Posizione orizzontale. Su Progetto per S. di Simone Burratti

di Claudia Crocco

Progetto per S. è il primo libro di Simone Burratti, ed è una delle prime uscite all’interno di “Le Civette”, la recente collana che la Nuova Editrice Magenta ha dedicato alle opere prime. Magenta è la casa editrice che ha pubblicato Laborintus di Sanguineti nel 1956; nella storia della letteratura italiana il suo nome è legato soprattutto ad opere d’avanguardia. Anche la plaquette di Burratti è sperimentale, come si legge nel risvolto di copertina firmato da Viviana Faschi, ma lo è in modo diverso non solo rispetto alla Neoavanguardia, come è ovvio, ma anche rispetto a molta poesia di oggi che presenta un marchio esibito di sperimentalismo.

Il libro si compone di quattro sezioni (Posizione orizzontale, Costruzioni, Appunti per un distacco, Quadrato), ognuna contenente cinque testi, per un totale di venti. La terza sezione è quella più esplicitamente sperimentale: Poesia dello zenzero e Scarborough Fair possono essere considerati esempi di googlism; Cronologia consiste nell’elenco di tag o frasi tipiche della pornografia; Stinkfist è una traduzione molto libera di una canzone dei Tool, come si legge nella Nota alla fine del libro. Nessuno di questi testi, dunque, è scritto per rispecchiare o permettere l’espressione di una voce individuale; eppure sono in continuità con la voce presente nel resto di Progetto per S., che può sembrare autobiografica.

 

Nei restanti sedici testi, infatti, Burratti alterna prima e terza persona per descrivere un unico personaggio, che in Avatar viene definito «S.» Di fatto, S. ha molte caratteristiche in comune con il soggetto delle altre poesie del libro: vengono accentuate le sue caratteristiche più antiestetiche, fisiche e morali («S. è una persona bassa e insignificante»; «S. soffre di meteorismo»); ne risulta l’immagine di un corpo invadente e da reprimere («Per il mio corpo sono solo un peso […] Hai piegato il tuo corpo a un compromesso di efficacia e automatismo»). S. parla di sé con una forma di derealizzazione («E io mi dico che non sono io, questa estensione di braccia, tronco e inguine, questo fantasma che vegeta giorno dopo giorno»), che si concilia con la generale cupio dissolvi percepibile in ogni pagina («Mi faccio schifo molto spesso»; «Ma io sono qui e voglio pensare solo ai miei disagi fisici»; «La mia vita si disgrega giorno dopo giorno / e io sono bravo solo a non pensarci»; «Le dipendenze mi fanno sentire più tranquillo»). La decadenza fisica è quasi contemplata («Bisogni fisiologici, azioni scriptate»; «Che cosa importa e che cosa è efficace all’infuori dei dettagli fisiologici») e si affianca alla descrizione di una inettitudine o debolezza d’animo («il desiderio di essere diverso viene sempre di notte/ e se ne va al mattino con la stessa precisione») che è, in un certo senso, troppo accentuata per essere vera («S. mente dal giorno in cui ha imparato ad accettarsi»).

Di questa caratterizzazione fa parte anche il rapporto con le donne: da un lato appaiono quasi visiting angels, come scrive Dal Bianco nell’introduzione («Allora si prova a immaginare una figura femminile – una mamma o una fata. Sussurra qualcosa di dolce, e tutto è perdonato»; «Le donne e gli dèi erano a un altro livello»); dall’altro il desiderio è associato a una percezione di colpa e solitudine («Tristezza fatta di masturbazione o poco più»; «Stanotte mi masturberò / con lo sguardo fissato al soffitto/ come fanno gli uomini grandi/ prima di compiere opere grandi»; «Sui mezzi pubblici, S. sfiora le donne con il dorso della mano»). L’attrazione sessuale e l’attenzione alla malattia e ai dettagli fisiologici sembrano essere gli unici elementi in grado di alimentare uno slancio vitale nel protagonista di Progetto per S («In questo momento la masturbazione può sembrare tanto un’evasione quanto una battaglia per il controllo sul mondo»; «Pornografia come massima distrazione /assidua conferma e dimenticanza»). Di S. sappiamo, d’altronde, che viene «dalle proiezioni più sincere della tua autocoscienza», ma anche che «è l’unico che potrebbe capirmi».

I meccanismi della poesia non sono gli stessi dei mondi di finzione: per questo sarebbe sbagliato leggere Progetto per S. come un romanzo e scandagliare simmetrie, parallelismi e incongruenze fra il personaggio principale e l’autore. Eppure, è innegabile che questo libro, come molti degli ultimi decenni, si serve di alcune strategie finzionali, o meglio autofinzionali, che contribuiscono a costruire la voce dell’autore. Da questo punto di vista, presenta elementi in comune con le ultime opere di Stefano Dal Bianco, Guido Mazzoni, Gherardo Bortolotti, Valerio Magrelli. Questi autori condividono con Burratti anche un’altra caratteristica: alternano prosa e verso nella stessa opera, spesso con una prevalenza della prima. In Progetto per S. ci sono soltanto sei testi versificati: Sto scrivendo da un tempo diverso, Entrare nel mondo, sfuggire al mondo nella prima sezione; In a Landscape, Storia di una fine, Progetto per S. nella seconda; Astronavi nella quarta. A parte i primi tre, gli altri sono tutti prosimetri, nei quali le parti in versi sono presenti in modo irregolare (e, nel caso di Astronavi, minoritario). È evidente che Burratti conosce la poesia in prosa italiana che si è imposta, con una dimensione di gruppo o movimento, negli ultimi quindici anni: Bortolotti è l’autore a lui più vicino per la costruzione di un personaggio autofinzionale, deformato come all’interno di un dark fantasy; Broggi è un modello per i testi più grotteschi e violenti, quasi splatter (11h. Nuovi modi per uscirne; Cronologia; Stinkfist) nonché per le poesie la cui struttura è quella dell’elenco o della lista (Scegliere); un possibile riferimento per queste ultime è anche Giovenale.

Al tempo stesso, Burratti non è un epigono del gruppo: rispetto a coetanei più noti, le sue poesie non sono una dimostrazione di antistile o di antipoesia, ma costruiscono un discorso su ciò che resta di vitale e autentico in una coscienza contemporanea, sui rapporti umani e sull’autopercezione. Scegliere, ad esempio, è il testo in cui appare più chiaro che l’autosvalutazione non è solo un atteggiamento personale, bensì un modo per mostrare la mistificazione sulla quale si fonda qualsiasi coscienza: «Smettere di bere, svegliarsi a un’ora decente, avere rispetto per la sofferenza degli altri, per l’amore degli altri. […] Smetterla di secolarizzare l’amore, o di creare figure leggendarie. Ricordarsi tutte le cose belle che contavano, dire “mi dispiace”, pensare: “voglio cambiare tutto”, liberarsi da qualsiasi costruzione». Tutti i buoni propositi di un uomo occidentale contemporaneo, la «presa di coscienza» con cui si apre il testo, si basano in realtà su una forma di buonismo velleitario o, quando c’è più consapevolezza, su una necessaria autoillusione.

Questa riflessione continua con gli esperimenti di googlism. In Progetto per S. di Burratti – come già in Avventure minime di Broggi – c’è una decostruzione del linguaggio quotidiano delle emozioni. Ad esempio la finta ballata Scarborough fair è dedicata ai filtri d’amore, e accosta frasi che sembrano tratte da ricette di cucina o da articoli sul mangiar sano («La salvia è da sempre il simbolo della salute ma anche della virtù delle massaie») ad altre che riproducono il lessico degli articoli dedicati alle relazioni amorose («[…] stabilire relazioni strette, in particolare quelle amorose, è un bisogno essenziale dell’essere umano. Un utente su tre cerca relazioni online. Sono in tanti quelli che, tra chat e videochiamate, hanno costruito relazioni profonde. Basta sentirsi un po’ amati e la vita cambia»; «La terapia di coppia è molto indicata per questo tipo di problemi»; «Non si dà amore senza la possibilità di tradimento, così come non si dà tradimento se non all’interno di un rapporto di amore»). I rapporti umani sono più complessi di una ricetta culinaria, eppure il nostro modo di verbalizzarli implica quasi sempre una schematizzazione, un tentativo di ridurli a «prezzemolo, salvia, rosmarino e timo».

In conclusione, Progetto per S. è uno degli esordi recenti più interessanti, perché costruisce una poesia con gli hashtag del porno e perché, poche pagine prima, ha il coraggio di presentare un testo in versi, che si apre e si chiude con la parola «cielo» e con il verbo «amare»: «perché il cielo si trasforma continuamente / e si spegne, di regola, e delude / come sempre le cose che si amano».

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