Gli Intempestivi: Hannah Arendt
Acqua Potabile
di
Francesco Forlani
“L’estrema forma di potere è Tutti contro Uno, l’estrema forma di violenza è Uno contro Tutti.”H. Arendt
Recentemente ho conosciuto ad una serie di incontri letterari in una valle piemontese una ragazza che lavora in Equitalia. Che ci lavorasse l’ho saputo in una pausa caffè tra un atelier di scrittura e un altro e mi ha molto colpito il modo in cui, alla domanda di rito in questi casi, del genere, “ok scrivi, ti occupi di letteratura, ma cosa fai per campare?” prima di rivelarmi il suo travail alimentaire, ha usato un’espressione del tipo, “un lavoro bruttissimo”. In realtà ho temuto il peggio anche perché qualche tempo prima, sempre ad un incontro letterario, però a Cagliari, due ragazzi che si erano avvicinati per fare due chiacchiere, avevano usato più o meno la stessa formula, “il peggiore mestiere del mondo”. Chissà perché, ma forse nella suggestione di quanto stesse accadendo nel Sulcis, avevo pensato alle miniere, e invece, prima ancora che dicessi una cosa del tipo, “non esistono lavori brutti in sé ma solo per chi non ama fare un lavoro che è costretto a fare”, il più spiritoso aveva aggiunto “vestiamo i morti”. Come se non fosse già abbastanza truce quell’espressione grammaticale al punto da spingere il mio amico poeta, napoletano, Biagio Cepollaro immediatamente in una sorta di danza del “gratta e vinci”, i due nel vedere passare un giovane accigliato lo avevano descritto così: “anche lui è uno che veste”.
Sui fatti accaduti a Roma qualche tempo fa, si sono già pronunciati le migliori menti della mia e della vostra generazione però non so, dopo averne letti alcuni di questi “illuminati signori” quanti si siano concentrati su una delle affermazioni dell’autore del gesto forsennato: “Ho voluto fare un gesto eclatante in un giorno importante: non odio nessuno in particolare ma sono disperato”.
“Luigi è sicuramente una persona disperata, ma questo non può giustificare assolutamente quello che ha fatto. Sono convinta, però, che anche la politica ha le sue colpe e dovrebbe riflettere su quanto è accaduto”. Lo ha detto la sorella di Luigi, Girolama Preiti.
La ragazza incontrata ai reading, dopo avermi spiegato l’imbarazzo del suo lavoro, di certo non del suo mestiere, mi ha anche raccontato come il giorno prima davanti al suo ufficio un uomo l’avesse aggredita prima verbalmente e poi sputandole in faccia. Ricapitoliamo allora. Una ragazza che per sbarcare il lunario e non certo per vocazione si arruola in una funzione simbolica, una impiegata, rappresentante, simbolo appunto di una delle più detestate marche sociali in Italia, al punto che qualora un cronista fosse venuto a conoscenza della cosa avrebbe intitolato il suo pezzo: Ragazza di Equitalia aggredita a calci e sputi. E sentire dichiarare dallo stesso aggressore, “non ce l’avevo con lei anzi, mi dispiace”.
Questo da una parte. Dall’altra un senza lavoro spara a bruciapelo su due carabinieri, ovvero un giovane e un cinquantenne in atto di esercitare per vocazione, sicuramente, assurgendosi a vendicatore di offese indicibili subite dal popolo, ad opera della sua classe dirigente. In realtà sappiamo che il bersaglio della disperazione di Luigi Preiti non erano affatto i due carabinieri ma un politico, un politico a caso, credo abbia detto in un’altra dichiarazione. Ecco allora che la centralità del lavoro e del potere, da intendersi come ostacolo all’esercizio legittimo che si vorrebbe fare del proprio talento o delle proprie braccia, in questa piccola storia ignobile, la fa da padrona e permette il salto simbolico che ha trasformato la vittima in carnefice. C’è una confusione tra Potere e Violenza nell’immaginario collettivo che sembra con estrema facilità e banalità offrire al disagio del male una qualche giustificazione. Se rileggiamo il bellissimo trattato di Hannah Arendt troviamo un passaggio a parer mio illuminante in questo scenario così dominato da chiaroscuri. E precisamente quando proprio a proposito della confusione tra potere e violenza, scrive:
Dietro la confusione apparente c’è un fermo convincimento alla luce del quale tutte le distinzioni avrebbero, nel migliore dei casi, un’importanza relativa: la convinzione che l’aspetto politico più sostanziale è, ed è sempre stato, la domanda: Chi comanda a Chi? Potere, potenza, forza, autorità, violenza non sono altro che parole per indicare i mezzi attraverso i quali l’uomo domina sull’uomo; sono considerati sinonimi perché hanno la stessa funzione. E soltanto dopo che si sarà rinunciato a ridurre gli affari pubblici all’esercizio del dominio che i dati originali nel campo degli affari umani appariranno o, piuttosto, riappariranno, nella loro autentica diversità.(…) Riassumendo: politicamente parlando è insufficiente dire che il potere e la violenza non sono la stessa cosa. Il potere e la violenza sono opposti; dove l’una governa in modo assoluto, l’altro è assente. La violenza compare dove il potere è scosso, ma lasciata a se stessa finisce per far scomparire il potere (Tratto da H. Arendt, Sulla violenza, Ugo Guanda Editore )
Al Palio di Siena i cavalli scossi sono quelli liberi dal fantino, e si sa che possono vincere, la politica mai, quando è scossa.