Scuola di musica

di Raimondo Iemma

manray-kiki

Play me Old King Cole
that I may join with you (…)

Genesis

 

La ragazza ha una nuca di cigno. Vende biglietti per i concerti del Conservatorio, che si tengono il primo venerdì del mese, o il sabato pomeriggio, l’estate. È necessario arrivare in anticipo, avverte, altrimenti non faranno entrare, i musicisti attaccano all’ora esatta indicata sul programma, poi si volta per rispondere al telefono che suona.

 

*

 

Acquerello

Uno scantinato, di fronte al cinema che un tempo si raggiungeva da una bassa galleria, nel tratto corto e chiuso di una via che taglia il centro.

All’angolo un negozio espone metodi e spartiti. Da sotto la strada, dalle grate sparse, giungono i suoni del Conservatorio, e io amo questi ragazzi senza volto, per sempre in ritardo sull’epoca, il nero dei loro occhi.

Ancora non so cosa significhi tornare, l’araldica delle insegne, gli stati d’amore.

 

*

 

Colloquio

 

“Quale tipo di musica preferite?”

Oltre la porta studiano una frase di tromba. L’allievo prova, ripete, ma l’errore rimane dov’è, come in origine suonava.

Sulle lavagne i segni della lezione precedente: quattro misure, in parte cancellate, sovrapposte ad altre note. Scompare (affiora?) la suddivisione ritmica, un tempo composto.

“A me piace la musica leggera”, afferma una voce bianca lontana che non si distingue.

 

*

 

Lezione

 

Occorre più di tutto assecondare
il tenero sottile della mano
fare il conto ai gesti e sopportare
che rossa come inchiostro giunga agli occhi
la punta dell’impulso di ascoltare.
Cantando incerto tema del destino
un’ostinata musica compone
per poi sciogliersi piano e diventare
l’oscura cantilena di Torino.

 

*

 

Ombre

 

Una certa nebbia ci accompagna
diversi come siamo tra di noi.
Clessidre e calendari
inseguono cadenze
le persone a cui pensiamo.
Scorriamo tastiere
e vuoti pentagrammi
nel mito del sonoro.
Il motivo da eseguire
è il buon motivo che ci tiene insieme.

 

*

 

Duro come un mattone

 

Incedere per frasi e nei frammenti
con cura fare spazio, in una sola
casa per volta. Abitare il passato
giusto, rintracciato sera dopo
sera come in sogno. E gli accenti tacere
dei dimenticati, perché nessuno
tra i languidi sorrisi che vedo
se ne appropri: altro non posso, né voglio.

 

*

 

Esercizio

 

Il brano è stato scritto in poco tempo, più per capire che per essere eseguito. La casa è conosciuta, la chiave unica, le alterazioni limpide, dichiarate. Lo strumento non soffre, e c’è tempo, spazio per improvvisare. Ma tra i pochi accordi, tenere fissa una nota, la stessa nota a cantare non è esercizio facile, si direbbe occorra amore.

 

*

 

I testi sono tratti dalla raccolta inedita di Raimondo Iemma Una formazione musicale (2013)

 

2 COMMENTS

  1. Un gruppo di testi che attraggono la lettura con il loro suadente pudore, con quel filo di timidezza sorridente che li intesse. Una fine porcellana che si colora di un tono crepuscolare, di un accento musicale non solo negli episodi sbozzati e lasciati volontariamente nella nebbia, ma anche nell’invisibilità misteriosa del suono (quello della parola come quello degli strumenti) a sollecitare le fantasie di chi legge. Tutto s’imbastisce senza forzature né fiammate, con equilibrio, con un gesto diafano del “tenero sottile della mano” che orchestra i versi.

    mdp

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