Dei resti: Matteo Maria Orlando e Beniamino Servino
Quando ho ricevuto i testi di Matteo, giovane poeta, ho pensato di chiedere ad un architetto come Beniamino Servino di agire in controcanto con una sua creazione e con mia grande gioia ha accettato. effeffe
Crolli
di
Matteo Maria Orlando
Questo è tutto quello che rimane
un tacere dopo il clamore
poi dolore, timore, fame.
Macerie.
La malta che non tiene
pietra che cede, cade
rovina nella sera
che annera la collina.
Un crollo di ginocchi
è lo schianto dei tetti.
*
Dentro i vasi appesi alle finestre
un tempo c’erano ortensie, e calle.
Ora il legno è regno dei tarli
l’ascesso marcio morde
le tinte, i cristalli.
*
Non si vedono le porte ormai
coperte dai
rovi. Resta un rivolo di spine
ad assediare le rovine
di un fienile e di un casale.
Il campo è seminato a lutto.
Tutto resta fermo dopo il crollo.
*
Se gratti via gli intonaci dai tetti
si scopre uno scheletro di travi.
Ti accorgi allora che rimane
solo un tumore – di ferri marci
un gonfiore di tufi e calcinacci
a disfarci gli occhi. È un bagliore:
dietro la calce, ogni cosa muore.
*
Aperte come stomaci alla fame
le pieghe nelle fughe
fanno filtrare liquame
acque piovane.
*
Alcune volte l’acqua filtra,
punta dritta alle fondamenta.La falda
sfibra la terra, la sfalcia – allora
la struttura si incrina, si affloscia.
In un coito di morte si accascia.
*
Era un conclave di arcate, chiese
case. Ora ci portano le capre
a pascolare,
e sono sassi dove prima
urla corse giochi di bimbi.
Craco, germogli dalla terra
dalla terra spunti
come il polso dei morti.
Didascalie
di
Beniamino Servino
Mi sembra un canto disperato.
Forse solo l’ultima terzina sembra aprirsi a un “dopo”.
Mi è venuta in mente subito questa sequenza.
La prima [01] è una foto che mi inviò l’amico-collega Alessandro Scandurra. Il contestatissimo autore dell’expo gate a piazza castello a milano. Sulla foto 01 attraverso la 02 fino alla 03 ho costruito una sequenza che considera l’esistente la piattaforma da cui partire per lasciare tracce che si disporranno a ospitarne altre.
complimenti ad architetto e poeta per questa sintonia di desolazione e scarnificazione in sequenza allo stato dell’arte, in cui si coglie, in modo devastante, il “canto disperato” dell’assenza di elementi propri all’umano e il silenzio della stasi delle cose e degli oggetti in balia di un colpevole abbandono all’inutilità di un “essere azione e fatto” incompleto, mai realmente compiuto.
al poeta, che non conoscevo, dico: che bella scoperta sei.
a effeffe: due grazie.
nc
Bellissimi i versi. Meno belli gli stereometrismi eiettati che nascondono la collina.
Ringrazio Francesco Forlani per la dispobilità e lo sguardo; ringrazio voi per l’attenzione.
MMO
Matteo Maria, nostro poeta, cantore delle visioni eterne