Non esiste separazione

di Francesco Borrasso

20141120_153314Non riesco ad uscire da questo disordine. Un laccio mi tiene stretto al ricordo.
Da allora, le mie giornate sono inerzia, secondi che seguono secondi, il mio compito è riempire, senza consapevolezza.
C’era il dolore bambino che ha cercato con un’imposizione di mettermi una benda sugli occhi, era il dolore che si fermava in un angolo della stanza e mi osservava, con i suoi argomenti provava a convincermi che la cosa accaduta non la potevo accettare, non la potevo elaborare. Era un bambino capriccioso, con il grembiule blu, il colletto bianco, le scarpe da ginnastica, la gomma da masticare, i palloncini colorati che faceva esplodere con il fiato; non riesco a ricordare la sequenza esatta, se è arrivato prima il lutto e poi il panico, o viceversa.
La certezza è che ci sono entrambi, e mi tengono al caldo.
Il dolore bambino era formato da tutti i ricordi bianchi, tutte le scene, gli odori, tutti i sapori, i vizi, tutti i sorrisi, le giornate di sole, e la pioggia che non serviva; ho provato con una mano ad accarezzargli i capelli, è scappato via, rifugiato sempre con le spalle contro il muro, sempre immobile nel suo angolo, a puntare il dito contro un’accettazione che non riteneva giusta; mi ha svegliato di notte, nel mezzo del sonno, mi ha impedito di mangiare, sporcandomi il cibo; ha sabotato il mio lavoro, ha provato a soffocarmi, mi premeva le mani contro il petto, stringeva forte sulla gola, non respiravo; ha tentato di manomettere il mio equilibrio, faceva rotolare la terra sotto i miei piedi, mi obbligava a stare seduto.
Sono andato da una maestra che conosceva bene questi bambini dolore; questa maestra mi ha obbligato a non ascoltarlo, c’erano della gocce che facevo cadere sulla superficie argentata di un cucchiaino da caffè, a volte era quindici, a volte venti; erano delle gocce trasparenti, dolci, con un retrogusto amarognolo; bene, queste gocce mi aiutavano ad essere irrispettoso nei confronti del bambino, creavano una barriera; riuscivo a dormire di notte, riuscivo a mangiare senza conati di vomito; la maestra mi ha detto poi di ascoltare le pretese del bambino e vedere cosa c’era sotto il sintomo dei suoi capricci, delle lacrime, delle urla. Siamo stati seduti nella mia camera per giornate intere, lui con la faccia paonazza a forza di gridare, io con il sudore sulla pelle per tutta la resistenza; l’avevo convinto a venire al centro della stanza, a lasciare libero il suo angolo di protezione; adesso eravamo entrambi con le spalle scoperte, giocavamo per la prima volta ad armi pari. Mi sono reso conto che quel bambino dolore cercava di vomitarmi addosso la sua sofferenza, la sua disperazione; aveva gli stessi bisogni emotivi che avevo io, solo che non conoscendoli, li respingeva come sostanza estranea. Mi ha parlato di suo padre, morto in una una notte straniera, sotto i colpi di un male alla testa, di un sangue impazzito, di una vena spezzata.
L’ho riconosciuto; quel bambino era il passato, il ricordo di me; con il tempo è rimasto solo il dolore, il bambino è diventato una compagnia, un’accettazione.
Il dolore uomo è stato più feroce ma meno teatrale; più rapido, più servizievole. Ci siamo riconosciuti subito; nella certezza di avere dei limiti, nell’approvare le nostre debolezze, nell’affrontare una perdita facendoci aiutare dal corpo. Abbiamo imparato insieme che la mente ed il fisico sono un unico pezzo; che le emozioni cadono a valanga sugli organi, affogano i muscoli, e che il gioco di equilibrio tra corpo e mente è quello più difficoltoso da trovare.
Addomesticare il corpo è stato come vivere dentro una casa sconosciuta, ogni giorno, dietro ogni porta, si nascondeva in una stanza mai vista, un odore sconosciuto, una luce irreale.
Io e il mio dolore uomo abbiamo cercato patti di alleanza, schierati dalla stessa parte, per la stessa crociata; divisi da un punto di vista differente, da un limite che non ci teneva in accordo.
Oggi, ancora, il corpo sente  paure che la mente sa riconoscere ma non gestire.  A giorni il mio corpo è una macchina che funziona male, un difetto, un errore di trasmissione tra pensiero e azione.
Le gocce sono meno presenza, sporadicità, paracaduti aperti in momenti terrore.
Non ricordo se sono arrivati prima gli attacchi di panico o la morte di mio padre; non mi va di starci troppo a pensare; so che il ricordo è una macchina magica, è un luogo dove tutte le cose continuano ad accadere; ancora, ancora, io e mio padre siamo sempre sulla stessa spiaggia a battagliare con le onde, io e mia madre sempre allo stesso tavolo a soffrire la perdita, io e il mio primo bacio riaccadiamo tutte le volte che accendo il ricordo.
Dal ricordo non esiste una separazione, vive a prescindere da me, vive fuori da me.

 

*foto Mariasole Ariot

7 COMMENTS

  1. Accade sempre più di rado, oggi, di imbattersi in scrittori emergenti validi. Con il suo stile, unico e personale, Francesco Borrasso riesce nel salto: un passaggio non scontato che da normale scrittore lo rende un autore a tutti gli effetti. Una scrittura, la sua, autentica, nel senso di tipica, peculiare, singolare; ma autentica anche nel senso di verace: non è indifferente la sua abilità nel mettere a nudo l’animo umano.
    Caratteristica delle opere di Borrasso è l’auto-spoiler, un rischio che l’autore corre consapevolmente: le anticipazioni hanno l’intento di catapultare il lettore nel cuore della narrazione. Lo scrittore, infatti, punta tutto sullo slancio emotivo del fruitore e sull’identificazione tra quest’ultimo e i protagonisti delle sue storie ed è così che riesce a tenerlo incollato alle pagine dei suoi scritti.
    Con questo racconto, “Non esiste separazione”, Francesco Borrasso conferma le sue doti di narratore, già emerse nei suoi romanzi e in altri suoi racconti. Incalzante, scorrevole, coinvolgente questo testo, insieme agli altri, dovrebbe costituire un biglietto da visita valido per ergere Borrasso allo status di scrittore non più-emergente!

    • Stefania, ti ringrazio; e mi faccio carico di queste lodi perché parli di un campo, quello letterario, in cui tu lavori. So che hai il dattiloscritto dell’ultima fatica. Parole che prendono forma dentro e fuori.

  2. Una scrittura davvero evocativa capace di sprigionare forti emozioni. Chiunque abbia attraversato questo dolore non può non ritrovarsi nella stanza con quel bambino. Complimenti

  3. Che cos’è davvero un dolore? Come descrivere un’ emozione che strappa il cuore? Francesco ce lo ha fatto vedere e sentire in ogni parola che ha scritto. Bravo davvero.

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mariasole ariot
mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot (Vicenza, 1981) ha pubblicato Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), La bella e la bestia (Di là dal Bosco, Le voci della Luna 2013), Dove accade il mondo (Mountain Stories 2014-2015), Eppure restava un corpo (Yellow cab, Artecom Trieste, 2015), Nel bosco degli Apus Apus ( I muscoli del capitano. Nove modi di gridare terra,Scuola del libro, 2016), Il fantasma dell'altro – Dall'Olandese volante a The Rime of the Ancient Mariner di Coleridge (Sorgenti che sanno, La Biblioteca dei libri perduti 2016). Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato ad esposizioni collettive. Ha collaborato alla rivista scientifica lo Squaderno, e da settembre 2014 è redattrice di Nazione Indiana. Aree di interesse: esistenza.