“Cari bambini dove siete e cosa vorreste da me”
di Francesca Matteoni
Pubblico un breve estratto dal mio saggio Il famiglio della strega sangue e stregoneria nell’Inghilterra moderna, che tratta della relazione fra il famiglio, spirito demoniaco spesso in forma animale, e la strega inglese. Fra tutti i casi, ben noti grazie alla grande produzione letteraria dell’Inghilterra moderna intorno ai processi, questo è forse quello che più mi ha toccato, con la disperazione disarmante di una donna, socialmente accettabile solo come madre, cui una volta persi i figli, non resta che la colpa (f.m.).
(…) l’immagine del famiglio si ridisegna speculare e contraria a quella del bambino, sua fantastica deformazione, in cui si proiettano le componenti più cupe dell’universo emotivo collegato alle difficoltà e peculiarità del ruolo di madre. Spostandosi su un piano spirituale, l’amoralità di una vita al suo principio, non incide solo sul fato eventuale del bambino, ma anche su quello della madre, sorgente e responsabile prima dello sviluppo fisico come di quello identitario del figlio. Un famiglio allora, poteva rendere tangibili, esternandoli, moti interni traumatici, come il senso del fallimento genitoriale e la perdita. Malcolm Gaskill ha suggerito, indagando l’impatto compromettente delle esperienze personali nei contenuti delle confessioni, che il famiglio potesse anche raffigurare un bambino o neonato deceduto anzitempo; così nel caso di Margaret Moore di Sutton, nel Cambridgeshire (1647), la morte dei suoi tre bambini costituì un nucleo nevralgico della costruzione dell’incontro con lo spirito demoniaco, che probabilmente condusse la stessa Margaret ad indossare la pelle sociale della strega. Riguardo la notte in cui lo spirito le fece visita la donna raccontò che
udì una voce che la chiamava in questo modo, madre, madre, madre, a cui la suddetta Margaret rispose cari bambini dove siete e cosa vorreste da me e loro chiesero di bere a cui la suddetta Margaret rispose che non aveva da bere dopo giunse una voce che la suddetta Margaret riconobbe essere il suo terzo bambino che domandò della sua anima, altrimenti si sarebbe presa la vita del quarto bambino che era l’unico bambino che le era rimasto e a questa voce Margaret rispose che piuttosto che perdere il suo ultimo bambino avrebbe acconsentito al dare via la sua anima e quindi uno spirito nella forma di un bambino nudo le apparve e succhiò dal suo corpo.[1]
L’accudimento del famiglio-bambino attraverso il sacrificio dell’anima, fornisce qui gli strumenti, sebbene a doppio taglio, per autoaccusarsi, affrontare la colpa e ottemperare ai doveri di madre, tristemente e prematuramente interrotti. La creatura accolta tuttavia non era altro che un prodotto dell’inganno, della disperazione privata. Corpo e sangue si facevano i mezzi per esprimere sentimenti taciuti e disturbati; determinavano il percorso per cui la madre, foriera di vita nella società, si traslava in destabilizzatrice, dando sangue invece di latte, innescando processi di malattia e morte al posto di fertilità e fermento, e convogliando su di sé un insieme di paure inesprimibili, che non smettono di accompagnare il genere umano, ricreandosi in forme spettrali ed eterogenee tra epoche e luoghi.
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[1] Malcolm Gaskill, “Witchcraft and power in early modern England: the case of Margaret Moore”. In Jenny Kermode, Garthine Walker, editors, Women, Crime and the Courts. In Early Modern England, Chapel Hill & London, The University of North Carolina Press, 1994, p.133