NOOR INAYAT KHAN Nemica del Reich
[ Noor Inayat Khan: Enemy of the Reich 2014 ]
C’era una volta un principessa indiana di nome Noor, nel cui sangue si mescolavano spiritualità e coraggio. Era figlia di una ragazza americana, Ora Ray Baker [1892-1949] e del maestro Sufi Hazrat Inayat Khan [1882-1927], che dalla sua città natale Baroda nell’India occidentale si era recato in Russia, obbedendo al suo maestro Syed Abu Hashem Madaniper, per diffondere il sufismo nel mondo. La via di ascesi spirituale passava attraverso la musica. Inayat era infatti musicista, nipote di Maula Baksh, il fondatore della Facoltà di Musica dell’Università di Baroda, e di Casimebi, a sua volta nipote di Tipu Sultan, il sovrano della Mysore settecentesca. Tipu Sultan [1750-1799], detto la Tigre di Mysore, l’ultimo grande potentato dell’India, viveva in un palazzo fortificato sull’isola di Sering Pathan, sorvegliato dalle tigri e combattè strenuamente gli Inglesi e la Compagnia delle Indie inventando delle speciali lance esplosive, i Mysorean rockets. |
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Noor è timida e riflessiva, silenziosa, disegna e scrive poesie e favole fin da bambina.
Noor-un-Nisa Inayat Khan [14 anni] La lampada della gioia Una sirena una volta salì su una nave Con il mare in tempesta, E mentre navigava, le Onde saltavano e spruzzavano allegramente, Perché sulla nave aveva appeso una lampada Che emanava una luce così dolce, Che chiunque vedeva il suo splendore Si riempiva di gioia. |
Noor-un-nisa Inayat Khan [age 14] The Lamp of Joy A mermaid once went in a ship Upon the stormy sea, And as she sailed along, the Waves arose and sprung in glee, For on the ship she hung a lamp Which gave a light so sweet, That anyone who saw its glow With joy was sure to meet. |
da Shrabani Basu Spy Princess: The Life of Noor Inayat Khan
The Hystory Press 2006
[Hazrat Inayat Khan – 1926]
Amati da Dio, il “Messaggio Sufi” è un messaggio attuale, che viene trasmesso all’umanità. Non è un messaggio dall’Oriente, ma è il Messaggio dell’Anima, dello Spirito.
[La parola Sufi significa saggezza e deriva dalla radice “Sofia”. Il compito di questa saggezza è di trasmettere il messaggio attuale all’umanità, in modo che le persone possano riconciliarsi in una migliore reciproca comprensione, che nasce superando le diverse divisioni di casta e religione che dividono il genere umano.]
Il “Messaggio Sufi” è una risposta al grido dell’umanità odierna: in questo momento, in cui il materialismo è onnipresente e il consumismo è in continuo aumento.
Il “Messaggio Sufi” rispetta tutte le Religioni, riconosce tutte le Scritture, tiene conto di tutti i Profeti tenuti in considerazione da grandi porzioni di umanità, ed è la Radice e l’Obiettivo comune: “La Sapienza è Unica”.
Nel 1926 la morte del padre, avvenuta in India durante un viaggio per ritrovare le sue radici, è una vera tragedia per la famiglia, la madre cade in una profonda depressione e si chiude nella sua camera muta e al buio per anni. E’ Noor allora a prendere in mano le redini della casa e la cura dei fratelli e delle sorelle, con dolcezza e maturità, mentre la congregazione Sufi viene portata avanti dagli zii paterni. Insieme agli studi classici continua a coltivare la musica iscrivendosi al Conservatorio, poi consegue la Laurea in Psicologia Infantile. Pubblica un libro di favole, Twenty Jataka Tales, collabora a Le Figaro e ad alcune trasmissioni radiofoniche.
Ma la guerra si avvicina e come molti francesi lascia Parigi con la famiglia in una lunga colonna di profughi, continuamente bombardata dagli Stuka tedeschi, che con fagotti, masserizie e ogni mezzo disponibile lascia la città. Dopo un’avventurosa traversata giungono a Londra. Il mondo esterno ha distrutto l’isola di mistica pace di Noor e una sempre maggiore consapevolezza spinge lei e il fratello Vilayat a fare qualcosa di concreto per contribuire alla Guerra contro il Nazismo. Per cultura, per educazione Noor non riesce a sopportare qualsiasi sopruso e a maggior ragione l’ideologia totalitaria e razzista di Hitler. Mite per natura ed educata alla pace sente comunque la spinta a combattere con ogni mezzo il male assoluto.
Lui si arruola nella RAf e e lei nel Servizio Ausiliario. Si addestra insieme ad altre ragazze e si adatta docilmente alla dura vita militare, così diversa dalla sua precedente. Anzi prova per la prima volta un senso di libertà e di autodeterminazione, che forse, se fosse vissuta nel contesto tradizionale della sua famiglia, dove ancora vigevano i matrimoni combinati e la donne era molto limitate nei loro movimenti e nelle loro aspirazioni, difficilmente avrebbe potuto sperimentare.
La principessa si sta trasformando in una donna forte e determinata. Si distingue per la sua abilità di telegrafista tanto da essere scelta per entrare nella SOE,, Special Operations Executive, un nuovo corpo speciale segreto voluto da Churchill per compiere azioni di sabotaggio oltre le linee nemiche e supportare i movimenti di resistenza antinazista. Verrà mandata a Parigi per tenere i contatti e aiutare a coordinare l’invio di nuovi agenti e di armi ed esplosivo per la resistenza francese.
Un compito fra i più pericolosi: era molto facile venire intercettati dalla polizia segreta tedesca durante le trasmissioni e la radio doveva essere continuamente spostata. Ma purtroppo fin dal suo arrivo a Parigi il suo Nucleo, denominato Prosper, è infiltrato da spie e i tedeschi sono a conoscenza di tutto. Gli altri agenti vengono arrestati, ma Noor, rimasta sola, rifiuta l’offerta di Londra di tornare e resta per cercare di riorganizzare la rete. Esausta dai continui spostamenti e travestimenti, in seguito a una spiata per denaro, il 13 Ottobre 1943 verrà catturata e portata nella sede di Avenue Foch, dove, nonostante gli interrogatori durissimi e le lusinghe, non parlerà, tentando anche di evadere, cosa mai vista in quel lugubre luogo di torture, per ben due volte. I tedeschi si impadroniscono dei suoi codici e trasmettono fingendo di essere lei. A Londra colpevolmente non si accorgono, se non dopo molto tempo, della frase in codice di 18 lettere che era il segnale convenzionale che lei era stata catturata. Noor viene classificata come ⇨ Notte e Nebbia, i prigionieri più pericolosi e vessati, e portata prima in carcere in Germania, sempre con le catene a mani e piedi e in isolamento totale, fino al 12 Settembre 1944, quando con tre agenti donne viene tradotta a Dachau. Le altre saranno uccise e cremate la sera stessa dell’arrivo. Noor per un’estrema punizione lungo tutta la terribile notte del 13 Settembre 1944 viene picchiata, torturata e violentata dalle SS e poi fucilata all’alba, in ginocchio, con un colpo alla nuca. La sua ultima parola: Liberté.
Hidayat Inayat Khan
“La Monotonia” Op. 7 [1972]
[Poema Sinfonico dedicato a Noor]
Quando durante il tirocinio Noor faticava e non riusciva a codificare i messaggi in modo soddisfacente, Leo Marks, il suo istruttore, per motivarla decise di affrontare la “principessa” nel suo stile, riferendosi soprattutto a una delle sue favole della raccolta Venti vite del budda, Il ponte delle scimmie, in cui 80.000 scimmie vivone felici su di un albero alle sorgenti del Gange.
Là, dove l’acqua gorgogliava saltando da una roccia all’altra, si ergeva un albero magnifico. In primavera era carico di teneri fiori bianchi e in seguito si riempiva di frutti così speciali da non avere paragoni, ai quali i dolci venti delle montagne regalavano il gusto del miele.
da Noor Inayat Khan VENTI VITE DEL BUDDHA
Traduzione di Federica Alessandri
2014 Lit Edizioni Elliot
Nonostante le raccomandazioni del loro capo di non lasciare cadere in acqua un solo frutto, uno di essi portato dalla corrente giunge a Benares nel regno di Brahmadatta, che lo assaggia e organizza così una spedizione e trova l’albero e le scimmie.
All’alba le uccideremo e mangeremo sia la loro carne che i manghi.
[ibidem]
Il capo delle scimmie allora sale sul ramo più alto dell’albero e tenendo in mano un lungo giunco salta su di un altro albero oltre il fiume. Ma è troppo corto per legarlo ed egli, aggrappato al ramo, chiama le scimmie, che si salvano passando sopra il suo corpo, una però gli spezza la schiena. Il re Brahmadatta, commosso, lo fa scendere e gli chiede chi sia ed egli, prima di morire, gli dice:
«O re» rispose la scimmia «io sono il loro capo e la loro guida. Hanno vissuto con me su quest’albero, io sono stato un padre per loro e li ho amati. Non provo dolore nel lasciare questo mondo dopo aver conquistato la libertà per i miei sudditi. E se dalla mia morte tu trarrai un insegnamento, ne sono più che felice. Non è la spada che ti fa re, ma solo l’amore. Ricorda che dare la tua vita non è un grande sacrificio, se nel farlo garantisci felicità al tuo popolo. Non usare il potere per governarli trattandoli come sudditi, ma usa l’amore trattandoli come figli. In questo modo tu sarai l’unico re. Non dimenticare le mie parole, quando me ne sarò andato, o Brahmadatta!»
[ibidem]
Marks dunque disse a Noor:
I messaggi cifrati hanno una cosa in comune con le scimmie: se salti troppo forte su di loro gli puoi spezzare la schiena – e questo è ciò che hai fatto con questo. Dubito che Brahmadatta potesse decifrarlo, e so che nemmeno le mie scimmie nell’ufficio codici potrebbero.
da Shrabani Basu Spy Princess: The Life of Noor Inayat Khan
The Hystory Press 2006
Un principio basilare per lei era di non dire mai bugie. Marks allora le fece osservare che sbagliare un codice era come mentire e metteva in pericolo la vita di molte persone.
Ogni volta che codifichi un messaggio pensa alle lettere come scimmie che cercano di attraversare il ponte tra Parigi e Londra. Se cadono, saranno catturate e fucilate… ma non possono attraversarlo da sole, e se non le aiuti guidandole lentamente e metodicamente, un passo alla volta, dedicando loro tutti i tuoi pensieri e tutto la tua cura, non raggiungeranno mai l’altro lato. Quando c’è una verità da trasmettere, non lasciare che il tuo codice dica delle bugie.
[ibidem]
Motivata dai suoi principi interiori Noor si impegnò a decifrare velocemente e con assoluta precisione i messaggi e così alla fine riuscì a far attraversare tutte le scimmie, facendosi lei stessa ponte e sacrificandosi fino alla morte per far loro ritrovare la strada della libertà.
La libertà senza paura
Noor Inayat Khan morì a Dachau il 13 settembre 1944. Aveva trent’anni e alle spalle una vita straordinaria. La arrestarono le SS tedesche, dopo averla cercata a lungo, perché agiva come telegrafista per i servizi segreti inglesi in Francia e quindi in aiuto della resistenza. Tentarono di strapparle le informazioni di cui era in possesso torturandola, abusandola e vessandola, ma non disse una parola. Un busto commemorativo è stato posto in sua memoria a Londra in Gordon Square, la piazza che vide tra i suoi residenti diversi appartenenti del gruppo di Bloomsbury.
Noor era figlia di un maestro indiano Hazrat Inayat Khan, un Sufi dell’ordine Chishty con molti allievi in occidente, e fu educata al cosmopolitismo, al rispetto delle tradizioni religiose e culturali, alla musica e alla letteratura. Se il padre si rese interprete dei significati esoterici delle grandi religioni, rileggendone i testi e spiegandoli, Noor rilesse alcune favole buddiste, tradotte ora anche in italiano, perché giungesse a tutti un messaggio che contrastasse l’odio e la barbarie che culminarono nei tredici anni del potere nazista, ma le cui radici erano molto più lunghe.
Nel suo lavoro coi servizi segreti profuse un forte impegno. Sapeva di correre grandi pericoli, ma non arretrò. Colpiscono la determinazione, la consapevolezza dei rischi e l’assenza di odio per il nemico, cui tuttavia non concesse nulla. La sua fine iniqua, come fu per intere masse di persone, non ha solo il significato di un sacrificio o quello dell’eroismo, ma ci fa pensare a come non sappiamo niente degli altri. Non possiamo veramente né capirli, né interpretarli. Leggendo le sue favole buddiste si fa fatica a pensarla coinvolta in una guerra, ma solo fino a che non si comprende che quasi sempre vediamo solo ombre. Con gli occhi puliti potremmo avere la percezione che la visione del male non annienta, né annichilisce chi è immune dall’odio, ma sa combatterlo. L’odio, qualunque parola prenda in prestito, è subito svelato: non ha a cuore nulla; il flirt con la morte e la volontà di potenza sono le due uniche carte. Basta pensare al “mai morti” e a tutto l’apparato fascista della Decima Mas, alla guerra di Spagna del 1936 con i falangisti e il loro “Abbasso la intelligenza viva la muerte” o a quei gruppi che in nome di una politica o di una religione praticano l’uccisione sistematica degli avversari o lo sterminio.
La personalità di Noor ricorda, per la determinazione e la visione non angusta, altre figure del tempo: Etty Hillesum e Simone Weil. Senza cercare paralleli troppo azzardati, l’ottica di spendersi per salvare gli indifesi è certo un collante comune, come il senso di carità e l’avere tentato di comprendere il nemico. Se questo non le aiutò allora, la prospettiva del tempo trascorso mostra che videro lontano e ci porta adesso ad incontrarle, con le loro stesse domande, con lo stesso senso di volere un mondo più giusto, anche proprio quando sembra impossibile.
La libertà che offre il sottrarsi alla paura è quanto ci serve per contrastare i demoni, interiori ed esteriori, senza trattarli da demoni, ma anche senza alibi per non vedere, usando strategie di adattamento invece di pronunciare un no chiaro. Un no, che se spogliò Noor di ogni difesa e sicurezza, ci fa capire che il confine tra acquiescenza, complicità ed essere davvero altro, è proprio quel corpo ferito e violabile, ma su cui si inscrive la condanna e la fine del male.
Grazie infinite Orsola. Sei puntuale come sempre il giorno della memoria. Che ci rammenta l’immensa barbarie cui l’odio può giungere e la grandezza, sublime come nel caso narrato, del sentimento opposto. Un messaggio tanto alto e nobile per la comprensione, il mutuo aiuto…la leopardiana ahimè ‘social catena’ de ‘La ginestra’.
Grazie, Nadia e Orsola! Giusto ricordare il male perché non si ripeta, giusto ricordare il bene perché dia i suoi frutti e ci impegni oltre la semplice indignazione.
Un caso? Due figure femminili accoppiate, due ‘luci della femmnilità’, una doppia speranza, due vite ricordo alla Vita che continua, incessante:Nor Inayat Khan, Shaima…
Come al solito, come ogni anno e con la stessa emozione: grazie.
Grazie, Orsola.
Ad Orsola, e a Nadia. Grazie ad entrambe. Per come siete riuscite ad entrare nel fondo a partire da una vita (che ne racchiude milioni).
Onore e gloria a Noor, piccola grande avversaria del Male! Grazie per avermi fatto conoscere questa storia mai sentita prima…Grazie Noor, splendida luce di Libertà e Giustizia!
mi associo di cuore alle lodi;
e credo che una delle vie per ovviare alla difficoltà ogni anno crescente di parlare di queste tragedie, sempre più lontane (almeno per i giovani), di cui si parla, ora che i testimoni diretti sono pochissimi, e che i luoghi di massacro sono diventati mete turistiche per certi versi analoghe a altre, possa essere propria questa, quella “dell’innovare” anche nella rievocazione, del non cadere nell’inevitabile diventare retorica della ripetizione;
Grazie a voi della partecipazione.
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Grazie altrettanto di cuore, Giacomo.
Che i campi di sterminio siano mete turistiche è un po’ vero nell’organizzazione delle visite, ma comunque nessuno dei turisti poi ne esce indenne.
Invece in Italia, come al solito, abbiamo una quasi totale rimozione dei luoghi di internamento, di tortura e di parcheggio nella deportazione verso la Germania, dei luoghi della nostra memoria, come fa notare Marcello Pezzetti direttore scientifico del Museo della Shoah di Roma in questo articolo:
http://80.241.231.25/ucei/PDF/2015/2015-01-27/2015012729387278.pdf
Non sia mai che si intacchi l’oleografia degli italiani brava gente e del fascismo più buono del nazismo.
Vedere il male in un altrove lontano è parte integrante di ogni meccanismo di rimozione.
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