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Do you remember Sylvano Bussotti?

Recital Majakovskij

Da “Un male incontenibile – Sylvano Bussotti artista senza confini”

– di Luigi Esposito – ed. Bietti, Milano 2013)

Prima biografia ufficiale approvata da Sylvano Bussotti

 

«Il peggio che può capitare ad un artista è di essere compreso», affermava Carmelo Bene nelle sue Lezioni sull’arte, e dava una esplicitazione chiara, legata al mondo della mercanzia e al gusto del pubblico, spesso manovrato e pilotato dalla condotta editoriale di gente d’apparato, e alle politiche di critici e galleristi, i quali convergono verso tutto ciò che è comprensibile alla massa perché immediatamente commerciabile, vendibile e, addirittura, venerabile. «Accidenti ai quattrini, accidenti alla cartaccia moneta. Questa orrenda matrigna dell’arte, di tutte le arti»[i].

E nella sua lezione-saggio non risparmia affatto «l’artista stesso», criticando sia la cosiddetta «vocazione del bello» (in cui ogni artista si rifugia e, negando altra scelta, condiziona ad un unico risultato la propria natura espressiva), sia gli «stati di vanità», che inesorabilmente provocano l’ansia di esprimersi attraverso l’ambizioso tarlo della «comunicazione» subordinata al successo tributato dal pubblico e dall’apprezzamento della critica: «Vediamo d’uscirne evitando inutili gineprai», cita una frase centrale dell’intero saggio: «Tutto il falso problema della produzione artistica è … sempre questo pervenire a questa o quella FORMA e comunque, solamente a UNA FORMA (identificata al suo contenuto); ma questa FORMA è nient’altro che una traccia residuale di un chissà quale ALTROVE, tuttavia, inespresso e puntualmente tollerato e spacciato dall’artista! Che fare? È chiaro, quanto meno nell’intento e nel metodo: […] = Bisogna ECCEDERE le FORME […]»[ii].

L’arte è una disciplina eternamente provocatoria, sempre al confronto con l’oscuro senso dell’essere. E in queste oscurità l’artista si impegna ad accendere lumignoli di conoscenza: simboli nuovi, nuove apparenze descritte, nuove scritture che reintegrino ed evolvano il presente già assimilato.10961902_10203779563235201_1332355529_n

 

Ma spesso l’arte è manovrata da poteri e da dogmi subdoli, fino a diventare «borghese, idiota, mentecatta, soprattutto cialtrona e puttanesca e ruffiana»[iii]. E invece «l’arte deve essere incomunicabile, deve solamente superare se stessa»[iv], continua Bene. Ma per convergere verso questi risultati andrebbe assolutamente auspicata la provocazione pasoliniana sull’abolizione delle scuole, di tutte le scuole, e la riapertura delle «botteghe rinascimentali», il ritorno della cultura cosiddetta “alta e libera”, in una sola parola, della «cultura».

Con Carmelo Bene, Bussotti ha fatto uno spettacolo, Recital Majakovskij, o Spettacolo-concerto Majakovskij, un unicum messo in scena al Teatro alla Ribalta di Bologna e datato il 26 gennaio 1961, secondo le cronache dei quotidiani; mentre nella Vita di Carmelo Bene (un’autobiografia stilata assieme a Giancarlo Dotto, dove spesso scorre una frase a mo’ di motto: «ogni autobiografia è sempre immaginaria»), ci si riferisce all’anno precedente: «Era il 1960. Carlo Maria Badini, allora assessore alla cultura a Bologna, invitò me e Sylvano Bussotti a presentare qualcosa al Teatro alla Ribalta, importante all’epoca come spazio di avanguardia. Insieme a Bussotti concertammo un Majakovskij. Lui suonava in scena, improvvisando un sacco di cose, io ero la voce recitante. Ne ho fatti tanti di Majakovskij, questo fu il primo. Andammo alla “Ribalta” per quattro soldi, quanto bastava per mangiare e dormire due, tre giorni. Cose che si fanno da giovani»[v].

Erano anni magnifici, dove l’avanguardia era una dea desiderosa di avvenimenti, che emanava entusiasmo. E i protagonisti erano disposti anche a ricevere compensi stentati pur di esibirsi.

«[…] la Firenze-Bologna andata e ritorno, temerari, a tutto gas, su una “Giardinetta” che andava a spinta. Fu un trionfo. Sylvano mi precedeva a teatro. Una volta lo beccai alla tastiera, che trattava con la grazia d’un cherubino. Di solito lo sventrava il pianoforte, lo prendeva a calci, faceva di tutto, alla Tudor. Quella volta, era il nostro debutto, lo sorpresi che suonava con grande trasporto, forse ebbi un po’ d’invidia, “O terra addio, addio valle di pianti”…»[vi].

Non vi era una scenografia, tantomeno dei veri costumi per la serata al teatro bolognese. Tutto l’addobbo del palcoscenico era stato improvvisato, utilizzando quello che si aveva a disposizione o mettendo a disposizione le proprie cose che si portavano in scena: «I costumi di Carmelo Bene erano fantastici», racconta Bussotti, «solitamente non erano dei costumi veri e propri, lui comprava delle partite di stoffa costosissima, d’arredamento, velluti, sete, e se li drappeggiava addosso, buttandoli in scena e facendo lunghissimi strascichi, ottenendo anche degli effetti altamente scenografici, perché se sali su uno sgabello e dietro hai una stoffa lunghissima che si srotola davanti agli occhi degli spettatori, diventa un momento molto forte di teatro. Tutto questo avveniva con molta attenzione alla tecnica di palcoscenico, nel riavvolgere i drappeggi, nel tirarli su, farli diventare fondale, o utilizzando parte della stoffa anche come scenografia. Io ci andavo a nozze! E lui lo sapeva che ci andavo a nozze con queste cose, infatti riconosceva che le aveva imparate da me!»[vii].

Non era mai un’improvvisazione approssimativa quella attuata nelle loro azioni teatrali. Anche se realizzato con mezzi precari, tutto veniva accuratamente meditato, passava sotto il setaccio del loro senso critico, si arricchiva del gusto dei loro talenti. «Ma poi con Carmelo ci inventammo tutta una serie di concertazioni», continua Bussotti, «considerando le nostre figure sceniche come quadri viventi»[viii].

Il Teatro alla Ribalta, che aveva già ospitato giovani nomi come Laura Betti e Paolo Poli, aperse le porte a spettacoli nuovi, idee innovatrici, ed era, quindi, un punto di riferimento importante per la ricerca avanguardistica, ma non godeva di una propria attrezzatura teatrale. «Poi oltre al pianoforte», ci dice Bussotti, «sul palcoscenico c’era un set di strumenti a percussione che portava lui, credo di sua proprietà, ma in questo set di percussioni vi era un gong che aveva un suono inquietante, perché in una rappresentazione precedente – una performance che si tenne in una galleria d’arte – questo gong capitò nelle mani di un giovane artista, che preso dall’euforia si mise a picchiare così forte sullo strumento da sfondarlo. Quindi una volta sfondato, il gong non dava più armonici, ma emanava un suono fesso ed estremamente inquietante, e Carmelo non si fece scappare l’occasione di utilizzarlo nelle sue messe in scena, avvistando delle rarità sonore in questo strumento malridotto»[ix].

I canonici fischi di rito partirono senza dubbio, magari imbellettati da qualche insulto ben formulato; ma in molti affermano che lo Spettacolo-concerto Majakovskij fu memorabile: due grandi artisti che, offrendo i propri ruoli sul palcoscenico, mistificavano le azioni sceniche evocandole in un raro lirismo poetico.

Anche Giuliana Rossi, attrice teatrale, prima moglie di Carmelo Bene (madre del loro unico figlio, Alessandro, morto in tenera età) e amica di Bussotti dagli anni dell’adolescenza, – «Ero vicina di casa di Cesarino, un cugino di Sylvano, e all’epoca i vicini di casa erano come parenti, quindi Sylvano per me era come un cugino»[x] – ricorda lo Spettacolo-concerto Majakovskij come un evento di grande impatto, e afferma sul sodalizio tra Bene e Bussotti l’esistenza di un grande equilibrio. «Si rispettavano molto, Carmelo voleva molto bene a Sylvano, parlavano spesso, di arte, di tutto»[xi].

«Sylvano aveva sei anni più di me», si legge nella Vita di Carmelo Bene: «Era già allora un compositore molto dotato. In comune avevamo certa smania di misurarci con i limiti del linguaggio e delle partiture»[xii].

«In quello spettacolo», continua Bussotti, «vi era un omaggio di devozione da parte sua nei miei confronti, e di insegnamento da parte mia nei suoi confronti. Carmelo mi ha sempre considerato “il Maestro”; ed è capitato più volte che mi telefonasse nel cuore della notte per dirmi che io ero l’unico grande genio musicale degli ultimi due secoli! Che non me lo dimenticassi, e qualora me lo scordassi, o non avessi il tempo di pensarci, c’era sempre lui a testimoniarlo»[xiii].

Lo spettacolo generò un 45 giri per l’etichetta La Voce del Padrone, dove il settore prosa era diretto dall’attrice Sarah Ferrati.

«Tornato a Firenze spedii alla Voce del Padrone un nastro majakovskijano che avevo registrato con Bussotti e Taverna», continua Bene nella sua autobiografia. «Il settore prosa era diretto da Sarah Ferrati. Arrivò la telegrafica risposta: “Interessaci sua incisione”. Ecco, il mio debutto nella discografia. Dalla porta principale. Mi presentai a Milano. […] A Milano dovevo incidere per la Voce del Padrone due 45 giri di Majakovskij. Braibanti venne ad assistere in questa grande sala di registrazione. Sylvano suonava, io recitavo. Oltre a quei due 45 giri, che poi sciaguratamente uscirono con la mia voce sinistrata dall’inefficienza tecnica dell’epoca, avrei dovuto anche incidere un ellepì da Ulysses di Joyce. La spiaggia era il brano che avevo scelto. Non uscì mai. Non lo ritenevo all’altezza, quel mio Joyce. Lo feci a pezzi. Pur essendo alla fame, mi permisi questo lusso. I due Majakovskij uscirono, Joyce no»[xiv].

«La Ferrati non solo era una straordinaria attrice», continua Bussotti, «ma era anche una grande animatrice, con un carattere fortissimo, ferreo, e per il settore prosa della Voce del Padrone aveva ideato una collana riguardante attori che recitavano alcuni testi di scrittori noti, accompagnati da musiche di compositori contemporanei. Ma tra gli attori di questa collana lei non c’era, perché in quel periodo era completamente senza denti, si stava rifacendo i denti, e quindi non poteva recitare»[xv].

«Di Carmelo Bene ho un altro ricordo stupendo», continua ancora Bussotti, «quando lo incrociai in un hotel di una città importante dove lui recitava, che ora non ricordo bene quale fosse.   Naturalmente, si svegliava nelle prime ore del pomeriggio, come solitamente fanno tutti gli attori che recitano fino a tarda sera, scendeva nella sala dell’hotel e faceva colazione col caffè latte. Ma la tazza che utilizzava era un oggetto di attrezzeria del teatro, ed era la tazza colante sangue, quindi una grande tazza scolpita e disegnata con un rosso vivo, dove il Conte Ugolino sputava il sangue dopo aver divorato i suoi figli! E Carmelo, mentre beveva da questa tazza, con tutta la serietà scenica, diceva: “sono il Conte Ugolino!”. E lasciava tutti stupefatti!»[xvi].

Dopo il Recital Majakovskij e la registrazione per il 45 giri vi fu solo un’altra collaborazione nel 1966 per le musiche di scena de Il Rosa e il Nero[xvii], uno spettacolo di Carmelo Bene su testo di Matthew Gregory Lewis. Poi non hanno collaborato più assieme. Forse non vi è stata occasione, o forse ognuno aveva da conquistare il proprio spazio, il proprio mondo, il proprio pubblico. E ognuno si è impegnato al costante servizio della propria arte, multiforme e unica, a difenderla dalle incompatibilità col proprio tempo. E ognuno sarà un insondabile mistero per sé, un mistero che l’accompagnerà, che potrà governare solo con la solitaria azione del proprio artificio.

 

[i] Carmelo Bene, in Momento 4. Arte (lezione impartita magistralmente in forma quasi confidenziale e colloquiale) tratto dalla serie di quattro puntate televisive, Quattro momenti su tutto il nulla, interpretate e dirette da Carmelo Bene. (Rai, maggio 2001).

[ii] Ibidem.

[iii] Ibidem.

[iv] Ibidem.

[v] Carmelo Bene e Giancarlo Dotto. Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998.

[vi] Ibidem.

[vii] Sylvano Bussotti, da una conversazione del 27/03/2007.

[viii] Ibidem.

[ix] Ibidem.

[x] Giuliana Rossi, da una conversazione del 06/06/2004.

[xi] Ibidem.

[xii] Carmelo Bene e Giancarlo Dotto, Vita di Carmelo Bene (cit.).

[xiii] Sylvano Bussotti, da una conversazione del 27/03/2007.

[xiv] Carmelo Bene e Giancarlo Dotto, Vita di Carmelo Bene (cit.).

[xv] Sylvano Bussotti, da una conversazione del 27/03/2007.

[xvi] Ibidem.

[xvii] Il Rosa e il Nero, da Il Monaco di M. G. Lewis. Adattamento, regia, costumi e interprete principale Carmelo Bene; scene di S. Vendittelli; musiche di S. Bussotti e V. Gelmetti. Altri interpreti: M. Monti, L. Mancinelli, S. Spadaccino, O. Ferrari, M. Spaccialbelli; Roma, Teatro delle Muse, 12 ottobre 1966.

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017