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La città di frontiera #0

foto di Francesco Cardarelli

di Alessandro Chiappanuvoli

La città è una città di frontiera, lo è sempre stata, e mai sarà del tutto conquistata, dunque, continuerà a esserlo. Sorge su un piccolo colle nel mezzo di una grande vallata, alte montagne tutto intorno bloccano gli sguardi dei suoi abitanti, la tentazione dell’oltre li opprime. Prima dell’immane catastrofe che l’ha colpita, l’ultimo confine che ha incarnato divideva il centro del Paese dal sud, e così come la modernità dalla tradizione; queste potenze da sempre la tenevano in scacco.

Sei anni fa la catastrofe che tutti conosciamo. E la città fu prontamente soccorsa da eserciti nazionali, eserciti di volontari, invasa, quindi. Oltre che le casette rusticane nei paesini, i condomini impersonali delle periferie e agli antichi palazzi che adornavano il suo centro, la sua identità s’è danneggiata, compromessa, s’è persa. Orde barbariche poi, assieme agli eserciti, hanno straziato la sua terra, e martoriato la sua memoria. Dopo sei anni, le sue ferite sono ancora aperte, la violenza psicologica s’è aggiunta a quella naturale, la sua cultura è stata contaminata da atti inverecondi d’inciviltà, la speranza di risorgere s’è irrimediabilmente fiaccata, l’assedio sembra essere ormai del tutto riuscito.

Ma la città è una città di frontiera e proprio quel suo stare sul confine, lo spirito che violentemente ha incarnato stando per secoli sul confine, è oggi il male suo profondo e la stessa sua cura endogena, una sorta di risposta immunitaria.

La sua struttura non solo materiale ma metafisica s’è andata mutando profondamente in questi anni, dove c’era la piazza, la biblioteca, il mercato ora c’è una transenna, un vuoto, dove c’era identità c’è ora una sostanza liquida, gelatinosa, malleabile. Le invasioni barbariche, gli eserciti, ma soprattutto le visite di cordoglio e amicali, sincere, insperate, hanno portato un rilevante rimescolamento nelle idee: si sa, lo straniero porta con sé una potenza sia devastante che costruttiva, e ciò ha causato una grande destabilizzazione come pure salvifica fecondazione. Ma se da un lato tutti hanno dovuto fare i conti con il caos imperante, dall’altro, soltanto pochi hanno saputo cogliere nella necessità del momento la grandiosa possibilità non solo di ricostruire la propria identità ma di rigenerarla, persino. Pochi l’hanno fatto e continuano a farlo, e sono i più motivati, i più creativi, gli artisti, i folli, i sognatori. Contro la cristallizzazione di un’identità inevitabilmente ferita, zoppa, frammentata, si sono scatenati il genio e la passione: imprevedibili, potenti.

E ancora, se l’oscura violenza della morte, lo spettro gelido della fine, ha segnato per sempre le anime errabonde e spaurite dei suoi abitanti, intaccandone il sorriso, stravolgendone i sensi, pure ha ridato linfa nuova alle essenziali espressioni vitali, ha risvegliato, scatenato e incanalato una straordinaria, inaspettata energia. Qui insomma, ogni cosa, ogni gesto pare, seppur in costante contrasto con la realtà, possibile. Sì, possibile.

La città è una città di frontiera, lo è sempre stata e sempre lo sarà: questa è la sua condanna e insieme la sua salvezza, il suo paradosso, il suo phármakos che è veleno e pure antidoto, male e cura. È in luoghi come questo che avviene una specie di metamorfosi, la metamorfosi della paura, (R. Escobar, La metamorfosi della paura), è qui che è possibile un rimescolio delle carte in gioco, delle regole e che dalla distruzione invece si creino altre opportunità, altre occasioni, un altrimenti altro, vitale. In posti come questo, dove necessariamente i confini sono sempre da ristabilire, e altri ancora saranno i territori da dividere, e altre le esperienze da definire, altri i significati da capire, dove l’altrove sarà sempre al di là, oltre le montagne, disponibile al sogno. È in posti come questo che si esperisce la libertà vera, “non libertà dai confini ma attraverso i confini”.

L’Aquila è la città di frontiera.

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Foto di Francesco Cardarelli

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.