La famiglia su YouTube. Dai bagnetti ai prediciottesimi
di Alberto Brodesco
Un estratto dall’ Archivio Trentino, 1/2014, numero speciale “Pratiche del film di famiglia. Memorie amatoriali dall’archivio alla rete”.
«Emerson – Mommy’s Nose is Scary! (Original)» riprende per 58 secondi un bambino su un seggiolone. La descrizione del video, caricato dalla madre, recita: «My five-and-a-half-month old son Emerson isn’t sure what to think when I blow my nose. Sometimes he’s terrified, then he can’t stop laughing». Il video conta in data 15 luglio 2014 quasi 56 milioni di visualizzazioni e 216.000 ‹like›. «Baby Laughing Hysterically at Ripping Paper (Original)» mostra un bambino che ride mentre il papà strappa una lettera: 70 milioni di visualizzazioni e 236.000 like. Un altro video assunto alla celebrità è «David After Dentist». Mostra un bambino che delira sotto l’effetto di un sedativo ed è stato visto da 125 milioni di persone. Il video dei record, infine, riprende due fratellini. Il più piccolo morde l’altro, che esprime il commento eponimo «Charlie bit my finger». Si contano qui 740 milioni di visualizzazioni e 1 milione e 300 mila like.
Queste sono solo le piccole star familiari di YouTube, le stelle più brillanti di un universo sconfinato di autorappresentazioni familiari di cui cercheremo di individuare e analizzare alcune sedimentazioni discorsive in grado di segnare i punti cardine della vera e propria mutazione socio-culturale avvenuta nella transizione dal passato analogico al presente digitale.
Il salto da un’epoca di scarsità, in cui la pellicola era un bene prezioso che andava risparmiato, alla suddetta era dell’abbondanza o dello «spreco iconico» (Gilardi, 2000, p. 311) produce una prima distanza tra lo ieri e l’oggi. Non è più necessario impegnarsi in quella che era la vera questione chiave per il cineasta amatoriale, ovvero l’accurata selezione di specifiche porzioni di realtà. Venendo meno il bisogno di preoccuparsi dell’esauribilità del supporto materiale, cioè di delimitare una frazione di tempo, la durata di osservazione si estende, le riprese si allungano, lo sguardo si sofferma e permane.
I modi con cui viene rappresentato su YouTube un momento canonico del film di famiglia, il ‹bagnetto› del neonato, forniscono un buon punto di osservazione su questo primo effetto. Bisogna intanto prendere atto dell’enorme disponibilità di bagnetti su YouTube: digitando in italiano ‹primo bagnetto› (fra virgolette) il motore di ricerca restituisce 7.310 video; utilizzando l’inglese ‹first bath› come parola chiave si trovano circa 140.000 filmati. I primi trenta risultati delle ricerche nelle due lingue, raccolti come campione, mostrano che i video con ‹primo bagnetto› nel titolo o nella descrizione hanno una durata media di 4 minuti e 37 secondi (mediana: 3’48”), mentre i video taggati ‹first bath› durano in media 7’52” (mediana 6’36”). A volte i genitori riprendono integralmente il bagnetto, con durate che giungono fino ai 19 minuti. Al di là dell’esigenza di risparmiare, all’epoca della pellicola la stessa durata fisica delle bobine rendeva impossibile girare delle sequenze di tale lunghezza.
Strettamente associata a questa, una seconda conseguenza della digitalizzazione del video di famiglia ha a che fare con i contenuti, con ciò che viene registrato dalla videocamera. Ai momenti canonici che continuano a essere filmati (matrimoni, compleanni, primi passi…) si sommano ora i fatti più minuti, considerati un tempo scarsamente rilevanti, non meritevoli di essere ripresi. Entrano nell’inquadratura i piccoli momenti del quotidiano. I video esplorano senza fretta i territori dell’effimero.
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Le parole svolgono una funzione fatica, servono a ribadire l’esistenza di chi le pronuncia. È facile per lo spettatore porsi in una posizione di superiorità rispetto a tale esposizione ingenua del quotidiano più minuto e alle considerazioni verbali che la accompagnano. Eppure i numeri dimostrano che vlog come questi richiamano un interesse di massa. PepperChocolate84 è una ‹fashion e make-up guru›, una partner di YouTube, una professionista in grado di guadagnare grazie al suo canale, la star di uno «star system tutto interno a YouTube» (Nencioni, 2013, p. 75). In data 6 giugno 2014, PepperChocolate84 è autrice di 687 video – tutorial, consigli di abbigliamento e di stile, racconti di viaggio e di vita privata. Il suo canale ha 137.677 iscritti. La concezione di ‹famiglia› che viene così a stabilirsi assume evidentemente una forma particolare: PepperChocolate84 non solo condivide pubblicamente la sua vita familiare, ma la vende.
La somma tra prolungamento dello sguardo sull’oggetto inquadrato e ripresa dell’effimero finisce per estendere il territorio del filmabile, la cui capienza abbraccia ora tutti gli spazi e tutti i luoghi, come se la realtà fosse divenuta un lunghissimo piano sequenza. Dal punto di vista tecnologico tale apertura degli orizzonti del possibile è simbolizzata dall’invenzione dei Google Glass e dalla progettazione della videocamera GoPro. La camera diventa un terzo occhio, raddoppia la percezione, conserva traccia registrata di tutto ciò che l’individuo ha percepito. La rassicurazione psicologica fornita da questa opzione ne decreta il successo: «la memoria privata è ormai perfettamente controllabile grazie al suo spostamento dalle incertezze dell’organico alla sicurezza dell’inorganico» (Eugeni, 2009, p. IX).
Se, prima, la presenza della cinepresa stabiliva un’eccezione, ora l’ubiquità della videocamera o del videofonino è la regola, l’ordinario. La registrazione (o la registrabilità) del quotidiano fa parte dell’orizzonte degli eventi della società contemporanea.
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La disponibilità costante di dispositivi mobili a portata di mano dell’individuo produce inoltre degli effetti legati alle modalità stesse della rappresentazione o dell’autorappresentazione. Si può infatti osservare la perdita dell’«afflato corale e inclusivo» (Cati, 2013, p. 106) che contraddistingueva l’home movie, con un conseguente passaggio enunciativo dal ‹noi› all’‹io›. Oggi i racconti di sé ‹familiari› o collettivi sono decisamente minoritari rispetto all’enorme mole di video concentrata non sulla famiglia ma sull’individuo.
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Il cineamatore in pellicola svolgeva un ruolo sociale, filmando la famiglia per la famiglia, per lasciare un lascito al nucleo domestico o ai propri figli. La visione collettiva nel corso delle serate di proiezione rinsaldava l’unità degli affetti. Di preferenza, i video sono invece oggi destinati alle pagine o ai canali personali di FaceBook, YouTube, eccetera. Se prima la comunicazione mirava a un ‹noi› condiviso e voleva sedimentare anche una testimonianza per le future generazioni, ora ci si indirizza prevalentemente al presente parlando in prima persona singolare. Lo stesso payoff di YouTube, «Broadcast Yourself», è da intendere come un ‹tu› più che come un ‹voi›. La celebre copertina di Time del 2006 che celebra l’avvento del web 2.0 eleggendo ‹You› come «person of the year» si può interpretare alla luce della stessa connotazione. La copertina mostra lo schermo di un computer ricoperto di una superficie riflettente, lasciando già spazio alle interpretazioni culturali che puntano l’indice contro la presunta «epidemia di narcisismo tra i giovani» – ormai un luogo comune segnalato con toni preoccupati da quotidiani felici di pescare tali dati dal mare magnum della ricerca accademica («ben il 70% dei ragazzi è ‹malato› di narcisismo, fenomeno che sta dunque raggiungendo dimensioni epidemiche»). Eppure sin dagli anni settanta, scrivendo di videoarte, Rosalind Krauss (1976, p. 50) suggeriva che una deriva narcisistica fosse interna a un medium come il video che induce l’artista a cercarvi uno specchio. Il videofonino, portatile, agile e personale, non ha fatto altro che accentuare (mcluhanianamente) questo aspetto.
I processi di mediazione e di auto-mediazione, prerequisiti essenziali per la soggettivazione, attraversano dunque un’evoluzione tecnologica. La costruzione del sé si ricalibra all’interno dell’interazione sociale offerta dai Social Network Sites. La presentazione o rappresentazione del sé – un’operazione drammaturgica, concepita per una pluralità di palcoscenici e per una molteplicità di audience (Goffman, 1969) – è calata in un’era di vetrinizzazione sociale (Codeluppi, 2007), di auto-spettacolarizzazione o di confezione del sé a fini spettacolari. I SNS sono luoghi dove formulare, moltiplicare e negoziare identità, dove essa viene ‹messa in forma› o inventata. Giorgio Agamben (2006, p. 23) parla di una «disseminazione che spinge all’estremo l’aspetto di mascherata che ha sempre accompagnato ogni identità personale». Rappresentarsi vuol dire anche ri-presentarsi, ri-conoscere se stessi dopo aver attraversato un processo di oggettivazione: lo specchio della foto o del video serve a vedersi a distanza, a creare un gap, una separazione tra il sé e il mondo esterno. Tale piazzamento a distanza del sé presuppone tuttavia una separazione minima. Il selfie prevede che la fotocamera si collochi a distanza di braccio o di selfie stick. Non ci si allontana mai davvero troppo da se stessi.
Riferimenti bibliografici
Agamben, Giorgio
2006 Che cos’è un dispositivo? Roma: nottetempo.
Cati, Alice
2013 Immagini della memoria. Teorie e pratiche del ricordo tra testimonianza, genealogia, documentari. Milano-Udine: Mimesis.
Codeluppi, Vanni
2007 La vetrinizzazione sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società. Torino: Bollati Boringhieri.
Eugeni, Ruggero
2009 «Mrs. Bathurst. Il cinema come operatore della memoria privata». Prefazione in: Pellicole di ricordi: film di famiglia e memorie private (1926-1942). Di Alice Cati. Milano: Vita & Pensiero: VII-IX.
Gilardi, Ando
2000 Storia sociale della fotografia. Milano: Bruno Mondadori.
Goffman, Erving
1969 La vita quotidiana come rappresentazione. Bologna: Il Mulino (ed. orig. The Presentation of Self in Everyday Life. Garden City, NY: Doubleday, 1959).
Kraus, Rosalind
1976 «Video: The Aesthetics of Narcissism». October. Cambridge, MA, v. 1: 50-64.
Nencioni, Giacomo
2013 «I make up tutorial di YouTube e il caso Clio make up: gli stardom di Internet e i transiti tra web e nuova tv». In: Factual, reality, makeover Lo spettacolo della trasformazione nella televisione contemporaneaV. A cura di Veronica Innocenti e Marta Perrotta. Roma: Bulzoni: 75-84.
Trovo questo contributo molto interessante, verrebbe voglia di estendere l’osservazione all’intero sistema di auto rappresentazioni del sé attraverso la produzione di home movie digitali (così diversi dai vecchi super otto) riversati nei social media globali che trasudano di frammenti biografici in cerca di spettatori. Autobiografie minime impudiche, nuove certificazioni
dell’essere al mondo nel tramonto della comunità. Sarebbe bello fare la mappa, l’atlante geo-culturale, il catalogo ragionato, di queste forme diffuse di privatismo sociale e iconico dietro le quali ci cono comunque esseri umani – donne, uomini, vecchi, bambini – che cercano di dare un senso alle loro vite. Un lavoro di ri-rappresentazione e decostruzione certo impegnativo ma che in fondo ha tutti i materiali già pronti sullo schermo di un computer.