Come un amico in pericolo (una libreria, what else?)
di Biagio Cepollaro, Andrea Inglese e Giorgio Mascitelli
La Libreria Popolare di via Tadino a Milano sta attraversando un momento difficile e rischia la chiusura. Si tratterebbe di un grosso guaio non solo perché lo è sempre quando chiude una libreria in questo sventurato paese, ma soprattutto perché la Libreria Popolare è diventato negli ultimi anni uno dei punti di riferimento del dibattito letterario milanese. Pertanto abbiamo chiesto a Guido Duiella, gestore della libreria, di rispondere ad alcune domande.
Ci puoi dire qual è la situazione attuale della Libreria Popolare?
Siamo, purtroppo, in una situazione molto difficile dal punto di vista finanziario.Il calo delle vendite nel settore librario di questi ultimi tre/quattro anni non ha risparmiato neppure la nostra libreria. Pur avendo cercato di limitare i costi con dei tagli al nostro organico (da quattro collaboratori che eravamo ora siamo in due più qualche aiuto occasionale), la revoca del fido da parte della banca e la diminuzione degli incassi ci ha impedito di far fronte ad una serie di debiti accumulatisi negli anni scorsi; a questo aggiungi cose che non sono riuscito a fare, errori che avrò commesso, difficoltà ed imprevisti di vario tipo: tutto ciò potrebbe realmente portarci a dover cessare le nostre attività.
Pensi che ci siano spiragli per uscire da questa situazione difficile?
Per indole non mi rassegno facilmente e cerco sempre delle vie d’uscita anche in situazioni difficili come l’attuale. Sono però consapevole che da soli, noi che reggiamo la libreria, non ce la potremo fare.
Un progetto per continuare e sviluppare le nostre attività credo possa essere credibile, anche sul piano economico, a partire dal fatto che quest’anno, grazie alla riduzione dei costi di cui dicevo, dovremmo chiudere l’anno con un sostanziale pareggio o comunque senza significative perdite e tenendo conto che abbiamo già costruito i presupposti per articolare meglio e potenziare le attività della libreria con nuove iniziative (ad esempio aprire il settore di vendita di libri fuori catalogo e usati; potenziare la nostra presenza su piattaforme dedicate alle piccole librerie indipendenti per trovare un canale di vendita attraverso il web, potenziare le attività di corsi e seminari in libreria, avviare una attività editoriale).
Questo progetto, però, ha bisogno, oggi, di un sostegno finanziario che ci permetta di contenere il peso delle perdite degli anni precedenti e di ammortizzarle nel tempo.
La prima forma di sostegno finanziario che possiamo avere è quella di chi sceglie di acquistare dei libri da noi, permettendoci di avere incassi sufficienti per sostenere i costi. Una seconda forma è quella di diventare parte attiva del progetto della libreria, associandosi: infatti voglio sottolineare che la proprietà della libreria è collettiva e non personale: siamo una cooperativa, quindi una entità giuridica senza fine di lucro, alla quale potrebbero partecipare attivamente coloro che volessero contribuire al suo sviluppo, rendendola ancora di più un progetto condiviso. Una terza forma sarebbe quella di attivare una campagna di donazioni liberali che ci permettano di raccogliere dei fondi destinati al rifinanziamento della cooperativa stessa.
Ci racconti un po’ il vostro lavoro e la vostra storia di questi anni?
Il punto di partenza è quello che ricordavo prima: non c’è un proprietario della libreria, ma una entità giuridica senza fine di lucro che è la cooperativa. Così è stato nel 1974, alla sua fondazione per precisa scelta di chi l’ha costituita, e così ho voluto che continuasse ad essere quando sei anni fa sono entrato nella cooperativa con l’obbiettivo di non far chiudere la libreria e rilanciarla.
Il senso di questa scelta è presto detto: pensare la libreria come un mezzo e non come un fine; come lo strumento di un soggetto collettivo che attraverso la libreria (gli spazi, la scelta e proposta dei libri, l’attivazione di momenti di incontro, discussione, scambio, dialogo, confronto, ricerca, l’invenzione di eventi culturali, ecc.) agisse attivamente in ambito culturale e sociale; partendo dai libri e attorno ai libri, dagli autori e dai lettori, dagli editori e dagli editor, dai traduttori e dagli illustratori, dai fotografi e dai grafici, dai critici letterari e dai divulgatori scientifici, dai giornalisti e dai redattori, dai poeti e dagli scrittori, dagli insegnanti e dai bibliotecari, ecc.; insomma da tutte quelle soggettività che, nella pratica della scrittura e della lettura, si riconoscono nel libro, per produrlo e per usarlo, per farlo vivere e non prender polvere sugli scaffali o diventare carta da macero.
Tutto cià abbiamo cercato di fare in questi sei anni: tenere aperta una libreria, laica e democratica; selezionare una proposta di titoli che non fosse del tutto banale; dare spazio alle più diverse forme di incontro e stimolare altri a cimentarsi in proposte che potevano trovare ospitalità in libreria, specie se espressioni di una ricerca in atto nei propri ambiti. Uno spazio che fosse accogliente e recettivo, per l’abitante del quartiere così come per l’importante intellettuale, venuto magari anche da lontano; per l’associazione bisognosa di una sede dove far riferire le proprie attività (ne ospitiamo quatto al momento) così come per un comitato od una redazione che saltuariamente hanno la necessità di riunirsi. Una libreria aperta di giorno e anche di notte, senza problemi di orari. Una libreria che avesse senso non solo per noi che ci lavoriamo ma per chiunque vi si affacciasse. Questo era ed è il nostro scopo.
Tenere aperta una libreria per tutti, e non solo per noi. Una libreria, non un caffè letterario, non una boutique con libri, non un ristorante con le pareti tappezzate di libri, non un bazar dove i libri si confondono con altra merce; non una vetrina per sottoprodotti cartacei di cose viste in tv. Una libreria, what else?
Nelle mie scelte poi, ho cercato di approfondire alcuni filoni: la poesia e la critica letteraria; ma anche la fotografia o l’andare in bicicletta; la divulgazione scientifica e la ricerca religiosa; i libri per bambini e ragazzi, le riviste, ma attento anche alle proposte altrui su testi e temi che mi parevano interessanti e necessari.
Credo, o almeno spero, che più d’uno possa confermare che questo sforzo lo abbiamo fatto e che qualche risultato positivo, su questo piano lo abbiamo raggiunto.
Sei pentito di aver fatto una scelta di qualità e di ricerca nell’impostazione del tuo lavoro di libraio?
No, non sono pentito. Anche perché non saprei fare diversamente.
Ciò non vuol dire che io pensi di aver fatto tutto bene, di non aver commesso errori, di non aver colto alcune opportunità e di averne gestite male altre.
Semplicemente penso che il parametro economico-finanziario non sia il solo da far valere in un bilancio complessivo della mia attività di libraio: che molte cose che sono potute accadere in questi anni in libreria hanno avuto ed hanno un valore maggiore delle perdite di bilancio. Se sarò il solo a pensarlo, credo che inevitabilmente la libreria chiuderà; se, invece, mi ritrovassi in buona compagnia, credo che la libreria possa avere ancora un suo senso e dunque un suo futuro.