3 poesie da Habeas Corpus

buzz

di Pasquale Vitagliano

 

Monologo in vece di Buzz Aldrin

Mi sono fermato a lungo a pensare se
se ne debba parlare, raccontare l’esperienza unica,
sconosciuta prima e adesso irripetibile
di camminare sulla luna, sul suo suolo,
il terreno, non la terra, il suolo della luna.
Quasi ne ho dimenticato la sensazione,
del primo passo, come sulla sabbia,
ma meno duro, meno solido l’impatto.
E’ stato diverso il mio passo da quello di Colombo.
Anche quella era terra, la terra, la spiaggia bagnata,
il riflusso dell’acqua, eppure uguale alla luna.
Ma lui ha poi fatto passi stabili. Non è stato lo stesso
per me. Era come muoversi nell’acqua su un fondale senza mare,
ma intorno tutto era storto, il terreno, non la terra, il suolo della luna.
Sarebbe stato utile raccontare questa esperienza unica,
la prima, un inizio, la nascita, un tempo nuovo, se fosse
stata ripetuta, ripetibile, narrabile appunto come una storia nuova,
invece è rimasta unica, sola, isolata nella memoria e nelle immagini
che non mi appartengono più. Mi è sempre più difficile ricordare
quello che ho provato, quel primo passo, l’approdo, anche se
chiudo gli occhi le immagini si dissolvono ogni volta più rapidamente.
Adesso comincio a comprendere il silenzio di Aldrin.
Perché lui non ne abbia mai parlato. Perché ha scelto di tacere.
La sua è stata una scelta pratica. La mia non lo è stata per niente.
Anche perché, se ci penso, credo che sulla luna io non ci sia mai stato.

 

 

Enigmi alieni

Ho passato l’estate a cercare antichi alieni,
altera la luna non sa chi siano loro,
e chi sia io disteso sul divano e lo sguardo
oltre la finestra illuminata nel buio della sera.
Se non fosse mito o leggenda ma un fatto vero
che Prometeo è sceso sulla terra per farci nascere,
che anche Osiride è risorto dopo tre giorni per tornare a casa,
che l’albero della vita altro non è che la scala genetica,
il problema non sarebbe risolto perché mai sapremmo
il loro vero nome, quello che non gli abbiamo dato noi.
Non sapremmo mai il loro primo nome, quello della nascita,
malgrado il gene della parola, quel foxp2 che Dio ci ha
iniettato qualunque sia il suo nome il tetragramma impronunciabile
o l’illeggibile nome degli dei antichi, alieni comunque alla terra.
Allo stesso modo finiremo noi alienati dalle nostre stesse forme di vita,
comprendendo che l’ufologia è la tappa finale del materialismo marxista,
prodotti noi stessi di questa immane raccolta di merci che è cominciata
nel cielo dove gli dei esistono davvero e potrebbero essere fatti
della stessa materia dei tegami.

 

 

Via dai canili

Non si riusciva a sentire
l’ecolalia dei fiumi
ingessati sui corrimano
di case, delle case interminabili,
ci sono più case che abitanti,
e dove manca l’acqua, mancano
anche le case, sono solo quattro muri.
Senza margini sono gli storpi,
senza contorno, i tronchi alla deriva
sui fiumi, le acque, i fanghi.
Il fango, la melma delle città,
le deiezioni che non si controllano più,
chiamala merda questa natura pura,
che non riesci a educare perché lo stesso
la vita è inesorabile quando scorre cieca,
il cibo, la sete, il fango, le feci sotto la neve.
Gli altri, gli abitanti, si sono messi in mezzo,
hanno fatto delle loro case il campo di forza,
il punto focale dell’ordine costituito, che tutto
doveva girarci intorno, deviare, restare immobile
sui corrimano se non sbattendo continuamente il capo.
Il capo, su e giù, le forze sono rimaste altrove, fuori campo,
oltre gli argini, sopra le tettoie e sotto le tavernette perbene.
Diversamente abile è questa natura che ci ignora
e non riesce a adeguarsi alle nostre misure, e grida,
grida, borbotta, vomita, si scuote, ingoia, defeca,
divora, inonda, terrificante, inonda, piscia, e se la fa addosso,
assolutamente sorda, sorda e incapace di essere perbene.

 

*

 

Pasquale Vitagliano, Habeas Corpus (Zona, 2016).

 

 

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