il dibattito no, no, il dibattito no

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Il dibattito
di
Philippe Muray
(traduzione di effeffe)
Non si dovrebbero mai fare dibattiti. Il dibattito, come il resto, nel nostro mondo di intransitività incalzante, ha perso il suo complemento diretto. Si fanno dibattiti ancor prima di sapere su cosa: quel che conta è riunirsi. Il dibattito è diventato una mania in solitaria da praticare in dieci, cinquanta, cento, uno stereotipo celibe e contemporaneamente gregario, un modo di stare insieme, un magma di interglosse che consente di consolarsi costantemente del fatto di non raggiungere mai, da soli, alcunché di fondamentale. Non si dovrebbero mai fare dibattiti; oppure, nel caso non se ne potesse davvero, fare a meno, limitarsi a dibattiti sulla necessità di fare dibattiti. Chiedersi all’infinito, fino all’ esaurimento, qual è l’ideologia del dibattito stesso e la sua necessità mai messa in discussione; e come è possibile mai che il reale molteplice che lo stesso dibattito pretende di dibattere si dissolva alla stessa velocità con cui si dibatte. Eppure nessun dibattito potrà svilupparsi su una siffatta questione, poiché è proprio tale evaporazione del reale ad essere il vero scopo inatteso di qualsiasi dibattito. Si convocano le questioni fondamentali e le si sciolgono, man mano nelle macchine macinatrici della comunicazione. E più c’è dibattito, meno vi sarà il reale. Rimarrà alla fine solo il miraggio di un campo di battaglia in cui si diffonde l’illusione logorroica e imperitura che si possa decifrare il mondo solo attraverso un dibattito; o, se non in questo, in un successivo dibattito, forse. E’ di questa illusione che si nutre l’animatore di dibattiti.
Perché bisogna fare dibattiti? Qualsiasi argomento oggetto di dibattito si deve supporre debole, per definizione, dal momento che può essere demolito o intaccato da un altro argomento. Ogni pensiero che si è costretti a sostenere merita di cedere. E del resto il vero pensiero, il pensiero fondamentale, inizia soltanto laddove il dibattito finisca (o si zittisca). Orbene, solo ciò che è fondamentale conta perché apre alla piena conoscenza della realtà umana, e non lo si ottiene mai per sfregamento di idee composite le une contro le altre come, nel racconti orientali, si strofinino le pantofole per farne venire fuori il genio. Un nuovo pensiero, un pensiero fondamentale del mondo non può essere discusso, ponderato con calma, soppesato in buona compagnia, emendato, corretto, sfumato, palpeggiato, ammorbidito con pro e contro fino a che non assomigli a una mozione di compromesso di una riunione sindacale o la miserabile sintesi finale di un congresso del partito socialista. Qualsiasi proposta originale è minacciata in un dibattito da quel che potrebbe succedergli di peggio: un protocollo d’intesa. Un nuovo pensiero del mondo può e deve essere assestato come dissidenza irrimediabile, come un’incompatibilità d’umore. Non bisogna argomentare, bisogna tagliare di netto. Pensare, è presentare la frattura.
da Essais de Philippe Muray (Les belles lettres)

3 COMMENTS

  1. Che cosa aspettarsi in una società come questa, dove la parola ha perso ogni referenzialità, per privilegiare il canale di comunicazione, l’urlo, l’insulto, ma soprattutto l’apparire di ego ipertrofici che crescono come bolle di sapone?

  2. Definizione Surrealismo data da Breton nel Primo Manifesto

    Il Surrealismo è “Automatismo psichico puro mediante il quale ci si propone di esprimere sia verbalmente, sia per iscritto o in altre maniere il funzionamento reale del pensiero; è il dettato del pensiero con l’assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, di là da ogni preoccupazione estetica e morale”. La surrealtà ha inoltre, secondo Breton, il significato di unire in un luogo futuro i due stati di veglia e sogno, separate dalla società borghese.

    http://www.antelitteram.com/antologia/surrealismo.htm

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francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017