Il muretto
di Francesca Matteoni
Narrare l’inquietudine dell’adolescenza. Narrare chi è niente affatto” né carne né pesce”, ma al contrario fin troppo sé, fin troppo nel suo pieno. Narrare con il bianco e nero la trasformazione adolescenziale alla fine degli anni Ottanta, sul ritmo della musica dark e punk, i Crass, i Bauhaus, Mano Negra, fisicamente condivisa ascoltando insieme a un proprio simile un vinile, una cassetta registrata. Narrare lo struggimento della soglia, del rito di passaggio Narrare lo struggimento della soglia, del rito di passaggio per cui si traghetta la forza disarmata, senza pelle e violenta di alcuni adolescenti nel mondo adulto. Ci riescono Céline Fraipont, sceneggiatrice, e Pierre Bailly, illustratore, ne Il Muretto (Eris, 2014), storia a fumetti dura e commovente, ambientata in Belgio, nel 1988. Protagonista è Rosie, ragazzina abbandonata a se stessa dalla madre che è andata via di casa, seguendo un altro uomo, e dal padre assorbito dagli impegni di lavoro. Sola ad affrontare la sua identità in divenire, Rosie oscilla fra l’universo infantile e l’impulso a infrangere ogni regola, fra il desiderio di meritare l’amore e la fiducia del padre e un’indipendenza anarchica e ribelle, refrattaria a ogni regola. Come in un gioco si rifugia sotto una coperta a leggere, ascoltare la musica e pensare quasi fosse la sua tenda-nomade, ma allo stesso tempo marina la scuola, beve alcolici, fuma e perde la migliore amica. È così che si arriva al muretto, luogo di confine su cui arrampicarsi e da cui saltare giù, dove Rosie incontra Jo, sedicenne che abita da solo sopravvivendo grazie a piccoli furti e allo spaccio e che la inizia al mondo dei concerti, ai dischi dei Cure e dei Ramones. La musica, quale trama che unisce i destini, fa rispecchiare i due ragazzi l’una nell’altro, dice la loro rabbia e intensità. Jo è attraente e pericoloso, incarna una possibilità di vita condivisa, sebbene ai margini – è una sponda in cui Rosie trova riparo, sebbene sia fatta di buio, si popoli nel tratto del fumetto dei volti ombreggiati e nervosi delle dipendenze, dell’irregolarità che ci sembra liberazione quando gli affetti familiari, le norme sociali, l’apprendimento obbligato ci costringono in uno spazio troppo angusto per l’anima. Questa favola d’amore e perdita porterà Rosie all’estremo di sé, a conoscere il dolore che inutilmente voleva chiudere in un cassetto con le lettere mai aperte, ricevute dalla madre. Eppure solo chi si affaccia sull’inferno, chi con la sua fragilità si lascia toccare dalle fiamme, dalla paura, dall’amore totale, può trovare uno sguardo lieve, fiducioso sul tempo a venire.
Quando chiudiamo il volume è l’immagine di una donna-bambina a imprimersi in noi. Non sorride, ma attende. E nell’attesa il tempo si fa umano, smette di respingerci o di spingerci a un’inutile corsa. Cosa resta, dunque, quando la vita ci mette alla prova, ci tira giù brutalmente dal muretto, ci sorprende e non ci fornisce nessuna istruzione per l’uso del dolore? Forse la differenza sottile tra chi cade nell’ombra e chi l’accoglie dentro di sé, impara che tutto quanto il male taglia, è ricucito dalla grazia di essere ancora vivi.