Virtuale e Reale, virtuale è reale. Intervista a Giuliana Altamura
di Francesca Fiorletta
Da poco edito da Marsilio, “L’orizzonte della scomparsa” è l’ultimo romanzo di Giuliana Altamura, che affronta un tema spinoso e quanto mai attuale: le derive del mondo del web.
Ho fatto qualche domanda all’autrice.
F: Giuliana, i protagonisti del libro gravitano tutti attorno a delle tremende ossessioni: c’è Lana, che non riesce a liberarsi del peso del suo corpo, brutalmente violato in vari modi, c’è Christian, un pianista di grande talento ma che sembra non riuscire più a suonare, e poi c’è Blaxon, una sorta di entità virtuale, che di queste ossessioni diventa inevitabilmente il perno.
Ecco, prima di tutto ti chiedo: qual è, se c’è, l’ossessione che ti ha spinto a scrivere un romanzo del genere?
G: La mia ossessione personale, diventata in modo inevitabile il tema centrale del romanzo, è quella del desiderio di controllo – un’ossessione che credo caratterizzi in maniera determinante il mondo che viviamo. Christian e Lana rappresentano i due cardini complementari della dinamica ordine/disordine, forma/caos, che solo il personaggio di Blaxon – agendo nel virtuale, al di fuori di ogni determinazione spazio-temporale – può ricomporre in unità. Blaxon risponde alla necessità profonda in ciascuno di noi di dare voce al rimosso, a tutte quelle pulsioni che siamo costretti a sacrificare per il funzionamento sociale, ma che – perché possano realmente essere tenute sotto controllo – andrebbero ascoltate e accettate, non semplicemente soffocate. Siamo fatti in buona parte di disordine, d’incomprensibile, e più cerchiamo di negarlo a noi stessi, più quell’energia caotica andrà ad accumularsi da un’altra parte. In questo caso, nel web.
F: C’è un momento topico, nel testo, in cui Christian ha un attacco di panico, e riesce a sedarlo aprendo sul suo cellulare le varie piattaforme dei social network. Ultimamente si tratta spesso questo tema, la vita “sempre connessa”, l’eterna “condivisione”, al cinema come nella musica, e pian piano anche in letteratura. Il tuo mi è sembrato però uno sguardo diverso: innanzi tutto non è giudicante, ma soprattutto mi pare che tu punti l’attenzione più su una sorta di potere lenitivo del mezzo, come contraltare della tanto tipizzata accelerazione e sovrabbondanza di cui la rete si nutre (e ci nutre). Ecco, emerge molto più il vuoto che pieno, c’è molta più stasi e volontà di approfondimento, di appropriazione di sé attraverso l’altro da sé. Ci parli di questa doppia prospettiva?
G: Il mezzo in sé non ha una valenza positiva o negativa. In esergo al romanzo ho posto una citazione di Baudrillard: “Il mondo cerca il mezzo più spirituale possibile per sfuggire alla realtà. Cerca, attraverso il pensiero, ciò che può condurlo alla propria perdita”. Baudrillard si esprimeva in questi termini negli anni Novanta, ben prima dell’epoca dei social e facendo riferimento alla televisione. La tecnologia inventa mezzi sempre più potenti per rispondere a un’esigenza tutta umana che resta sempre la stessa, proprio perché il problema che ci attanaglia rimane invariato: convivere con l’impossibilità di rispondere a una domanda fondamentale di senso. Da questa prospettiva, vuoto e pieno vengono a coincidere: riempire la propria vita virtuale di relazioni, parole e immagini, non è che il contraltare di una forma estrema di solitudine e di alienazione che cerca quel senso che la realtà ci nega in una dimensione altra, regalando l’illusione di avere il più completo controllo su noi stessi e sul nostro mondo. Se per Christian il web ha un potere lenitivo, se per lui il sesso – e non solo quello – può essere unicamente virtuale, è perché crede di poterlo gestire attraverso una codifica, un lavoro di spostamento e di sostituzione. In questo modo gli fa meno paura, ma capirà a sue spese che non si tratta di una soluzione definitiva, è semplicemente la cura di un sintomo di una ricerca identitaria che trascende il web. Quello stesso mezzo, nel romanzo, finisce per rivoltarglisi contro e portare alla luce i fantasmi che credeva di scacciare. Familiarizzare con l’idea che il web si comporta come una sorta di enorme specchio ingranditore che ci siamo puntati addosso, potrebbe aiutare a utilizzarlo con più consapevolezza, trasformandolo in uno strumento importante per la comprensione del se’ e, come dici tu, dell’altro da sé.
F: Il personaggio di Lana incarna perfettamente una delle più grandi paure del nostro tempo, io credo: essere “solo” un simulacro. Secondo te, oggi, che rapporto c’è fra linguaggio e immagine? E fra immagine e, sostanzialmente, essenza?
G: Lana non è semplicemente bella, la sua bellezza ha qualcosa di mobile, d’indeterminato che accresce se stessa in modo esponenziale nel momento in cui la si esibisce su di un o schermo, da quello televisivo a quello di uno smartphone. Il suo farsi immagine aumenta il desiderio. L’occhio di chi la osserva si nutre della distanza che lo separa da essa. Lana non esaurisce mai la sua capacità di significare e risignificare se stessa, esattamente come l’immagine, rispetto al linguaggio, non smette mai di accogliere nella sua configurazione spaziale tutto ciò che il discorso non può incorporare. L’immagine possiede un’opacità che eccede il linguaggio e in quell’opacità si nasconde tutto ciò che, per dirla con Lyotard, non è «significazione». L’inafferrabilità di Lana sta esattamente in questo, nell’impossibilità di comprendere con il discorso ciò che vediamo, di dirlo senza che una profondità irriducibile non venga istantaneamente persa, che è poi il gioco stesso dell’arte. Per quanto riguarda l’essenza, è necessario cambiare il punto di vista: l’immagine presuppone sempre lo sguardo di qualcun altro, ed è lì l’essere, la coscienza che smonta e rimette insieme. Lo scollamento fra ciò che siamo (o pensiamo di essere) e l’immagine che costruiamo di noi stessi diventa un problema nel momento in cui lasciamo che sia l’occhio di qualcun altro a determinarci, come avviene per Lana.
F: Un altro tema tristemente caldo degli ultimi mesi, o forse anni, è quello del bullismo, specialmente nella deriva ovvia del cosiddetto cyber-bullismo: proliferano le persecuzioni virtuali, lo stalking, la diffusione di immagini o filmati privati, più spesso hard o comunque in qualche modo lesivi proprio dell’immagine che tutti c’impegniamo, quotidianamente, a restituire al mondo, e quindi anche a noi stessi. Come credi che tutto ciò stia contribuendo a cambiare la nostra rete di rapporti sociali?
G: Il cyber-bullismo non è che uno dei tanti fenomeni della nostra contemporaneità che contribuisce a incrementare quel costante senso d’insicurezza che purtroppo tutti noi conosciamo e che caratterizza questi tempi. Il principio non è diverso da quello del bullismo tradizionale, ma ciò che lo amplifica e lo rende più pericoloso è il (non) luogo in cui si svolge, lo spazio de-localizzato del web dove non ci sono distanze e tutto sembra coesistere senza distinzione. È uno spazio al di là dello spazio dove possiamo essere colpiti senza preavviso, dappertutto e in qualsiasi momento. Questo ci rende più vulnerabili e, d’altra parte, non fa che riflettere uno stato esistenziale che – anche in questo caso – il web porta semplicemente all’esasperazione: è il concetto stesso di “male” oggi a essere legato all’assenza di una ragione che ce lo spieghi. L’ansia di spiritualità che si avverte in certi meandri del web che ho voluto raccontare nel romanzo non fa che riflettere questa sorta di nostalgia di un Dio punitore che premi o condanni. È l’invocazione di un sistema di riferimento che giustifichi il nostro essere vittime, quando dovremmo cominciare a renderci conto che spesso siamo anche i primi se non a compiere in prima persona, a godere della carneficina.
F: Infine, una domanda ovvia: la letteratura e la rete. Cos’ha significato, per te, concepire un libro che ha come macro protagonista, fondamentalmente, il web? E come si pone la tua ricerca letteraria, nei confronti della rete? Per intenderci, cosa pensi del sempre crescente mondo della cosiddetta “Lit-Web”?
G: Ne L’orizzonte della scomparsa il web assume le fattezze di una sorta di “buco nero”, inteso sia nel senso astrofisico di dark star dal cui interno nulla può sfuggire, sia come la fossa del coniglio di Alice, una caduta a precipizio all’interno delle proprie ossessioni. Il romanzo si svolge proprio su quella linea di confine – l’orizzonte, appunto – che distingue il reale dal virtuale, la rappresentazione del se’ dal proprio lato oscuro. Credo che un racconto del contemporaneo oggi non possa prescindere dal confronto col mondo del web che è entrato prepotentemente a far parte della nostra quotidianità e del nostro immaginario. Quello che ho tentato di fare è stato liberare questo tipo di narrazione dal contingente e cercare di comprenderne e approfondirne il senso all’interno di una riflessione su tematiche universali, perché credo la letteratura debba procedere a un’analisi e a una risignificazione della realtà che viviamo per avvicinarci il più possibile a una comprensione di noi stessi. Della Lit-Web, intesa come letteratura che nasce sul web, ho avuto poca esperienza diretta, ma sono convinta che l’internet migliore sia proprio quello che si occupa di portare avanti riflessioni e approfondimenti di qualità su tematiche attuali e culturali, permettendo un confronto inedito e diretto.
Grazie mille.
Vuoto pieno. Solitudine alienazione. Forma caos. Baudrillard. Ma che noia. Libri che escono dai manuali fine ’90 di scienze della comunicazione. Marc Augé non lo citi in esergo? E due spicci sul dark web e sulla virtualizzione del corpo avatar non ce li dai. Quando avremo in Italia scrittori che emozionano scrivendo senza puzzare di antropologia?
Sembra che l’autrice si sforzi di trovare, tra tutti i più triti luoghi comuni dalla nascita del web, quelli più adatti al mercato editoriale.
Se al posto di web l’intervista usasse social network e pornografia sarebbe più chiaro, almeno così la capisco io.