Posti a sedere
di Luciano Mazziotta
in casa invece c’è quello che occorre.
tre facce due parlano e l’altra
li osserva. poi quella che osserva
inizia a parlare e l’una che prima
parlava si ferma che adesso
li osserva oppure si alza
si lava le mani girata
che allora non guarda.
come se a turno
l’una o l’altra o quell’altra
dovesse star muta in un angolo.
tre facce due parlano e l’altra
dovesse fare la spia.
*
tutto diventi altissimo mare.
e la casa una nave.
sul piano le ancore. sul ciglio
le alghe. e alghe e mare sempre più mare.
questa casa si muova sbatta
le porte e nessuno si accorga
di niente. nessuno richiami
il vicino perduto e niente
prima. dopo. niente nell’esca
tra ragnatele e corrente: corrente.
liquida lingua di ghiaccio di neve.
noi non siamo all’interno di un presente.
*
dove la madia è poggiata su un incubo.
ma ne è valsa la pena
venire a vedere
ché dentro c’è farmaci e pasta
e miele. le blatte le blatte.
dopo però quando l’apri
è tutto al suo posto. se c’era
qualcuno ha finto di no. e allora
la sposti la madia e quell’incubo
che riga i mattoni a rettangolo
s’irradia manda scintille al soffitto.
adesso è accesa la luce. dovreste
uscire. lasciare a riposo
la casa: guarda
c’è che questo spazio si regge
da sé. e cade.
*
possiamo anche morirci – ora, subito dopo
l’acquisto, il restauro – ora che sono levate
le porte dai cardini – stipate in un angolo muto
tra la parete – e lo spazio infinito di impronte
sottili.
forse cadranno – cadranno, di certo, di notte
durante il buio profondo – quando i sonnambuli
parlano ai morti – e il tonfo rimbomba per tutti
gli ambienti – per l’unico ambiente che è ora la casa
bosco, interno, ossimoro – intanto labirinto
come però se gli fossero tolti gli appigli
possiamo morirci – ora che sono in possesso
gli immobili, i mobili – perfino la polvere
soffiata da terra – come dei cerchi di fumo
che rotola ovunque possiamo comunque morirci
e basta e questo – e nient’altro e nient’altro e nient’altro.
*
eppure una data c’era una data che avremmo allora dovuto
svendere, prima che questi poveri figli nascessero
a vivere come futuri pazienti dei nostri analisti
o di quello che ancora sconosce le colpe che abbiamo
raccolto e concesso in eredità: mostri e miracoli
e martiri e maschere. meglio
se avessimo allora interrotto
il progetto la casa la culla le frasi dotate di senso
soltanto qua dentro. la data era quella, una cifra qualunque
sfogliata come una pagina bianca in agenda:
era quella la data, prima che fossimo posti a sedere
a comporre, ogni giorno, la scena finale di melancholia.
*
da questo punto esatto, oltre l’impaccio, c’è: l’impero della luce
serrande aperte e chiuse, finestre aperte e chiuse
e lampadari accesi, e un albero, e un lago nascosto
o un ostacolo altro al portone murato.
se è plenilunio allora
vuol dire notte d’insonnia per noi; per ore il prospetto di fronte
rimane lo stesso, tra l’una e le quattro che è quando
la luce non cambia e il palazzo è davvero impero di luci.
soltanto, ogni ora, si spegne una lampada, si alza
una donna svestita, un cane si lancia sul letto,
e, infine, in penombra, s’illumina un vetro. ogni ora
come dovesse non accadere mai più, come se fosse
questo per loro esistere: esistere a tratti
per l’insonnia degli altri. nel palazzo di fronte.
ma quello che accade, se accade, ci accade alle spalle
.
Testi di limpida bellezza. Ogni parola al posto giusto. Complimenti!
Si legge sempre volentieri, Luciano Mazziotta.