Per Inventario privato di Elio Pagliarani. Parte seconda

di Andrea Dionera

[Pubblico qui la seconda parte di un estratto della tesi di laurea di Andrea Donaera dedicata ad un libro di Elio Pagliarani, Inventario privato del 1959. La prima parte si può leggere qui. E’ un testo relativamente poco frequentato dalla critica e che merita maggiore attenzione. B.C.]

  1. Lo stile “doppio”

Il processo dialettico messo in atto da Pagliarani, che fa confrontare il mondo cittadino e industriale con la dimensione intima e privata, si rileva con grande impatto anche nello stile con il quale viene scritta la raccolta. Uno stile “doppio”, con cui Pagliarani allestisce anche una doppia retorica, allegorizzando il mondo industriale e quello privato: «alienazione e vitalità che si contrappongono nel destino degli amanti metropolitani. Ma anche coesistono come una sfida» (Cepollaro, 2015).

Reduce dall’esordio Cronache nel quale già si percepiva la reazione alle tendenze ermetiche e postermetiche, in questa raccolta Pagliarani insiste nella creazione di un doppio registro, una doppia voce in grado di proporre contemporaneamente un linguaggio “alto” e uno invece vicino – lessicalmente e semanticamente – alla lingua parlata, che alla fine degli anni Cinquanta, tra l’altro, iniziava ad assorbire mutamenti notevoli provenienti dal linguaggio commerciale e dei media, e così dunque anche la poesia.[1] Questa scelta stilistica, evidentissima già in Inventario privato, sarà sempre uno dei marchi distintivi della poetica di Pagliarani, poetica estremamente inclusiva, in grado di far convogliare al suo interno anche riferimenti letterari disparati[2] (in Inventario privato, come si vedrà, il dialogo con la tradizione, anche in forme parodistiche, riguarda certa poesia medievale).

Nel seguente testo emergono fortemente «le due retoriche» di Inventario privato (e del Pagliarani successivo): una che si nutre della scrittura e una dell’oralità; una legata alla tradizione, al mestiere letterario, un’altra che invece ascolta il parlato e trasmette ciò che si è ascoltato. Si crea infatti «una feconda contraddizione tra il piano della retorica scritta e il piano della retorica orale, la prima analitica, separante, anti–naturalistica, la seconda sintetica, coinvolgente, musicale» (ivi).

 

Che ci portiamo addosso il nostro peso

lo so, che schermaglia d’amore è adattamento,

guizzo, resistenza necessaria perché baci

la nostra storia i nostro uomo-donna

non solo all’ombra dei parchi

l’imparo ora, forse.

 

Oh, ma scompagina come il vento

freddo di viale Piave i giorno scorsi, e spaura,

quanto di me non solo porto

sulle spalle, ma mi tocca travasare

adattare al tuo fusto flessibile

e scontroso.

Io che speravo

necessario e sufficiente solo il fiore

che affiora, tocco con le carezze oltre che il tuo

fusto flessibile lo specchio la certezza

di come sia insufficiente il mio amore

per la tua capacità di comprenderlo,

per la tua capacità di comprenderlo

come sia immane il mio bisogno d’amore. (Pagliarani, 1959)

 

Si possono notare la compresenza e la sintesi degli intrecci sia tematici che stilistici presenti in Inventario privato: il lessico e la struttura del verso “alti”, con assonanze, vocativi e perifrasi tanto stereotipate da assumere un retrogusto parodico («il fiore / che affiora»; «Oh, ma scompagina come il vento»; «lo so, che schermaglia d’amore è adattamento»), e quelli “bassi” e quasi narrativi («quanto di me non solo / porto sulle spalle, ma mi tocca travasare / adattare al tuo fusto flessibile / e scontroso»); i luoghi cittadini e gli oggetti della modernità («l’ombra dei parchi», «viale Piave»), la tensione amorosa ridotta ai minimi termini («il mio bisogno di amore»). Il risultato è un testo denso, carico di immagini e dotato di una plurivocalità nel suo presentarsi tanto variegato.

Questa presenza di più voci, appartenente sia al Pagliarani dell’esordio[3] che specialmente a quello futuro[4], si ripresenta come una caratteristica formale puntuale in vari punti della raccolta. Come se si causassero delle interferenze nello svolgersi del testo:

 

[…] e perfino una scoperta

abbiamo riserbata: anche a te piace

camminare? (e a te non stanca? che porti

tacchi alti, polsi, giunture fragili

che il mio braccio trova a fianco,

il tuo fianco, le mani provate sopra i tasti

milanese signorina) (ivi).

 

Un effetto di disturbo e interferenza si verifica non solo attraverso i dialoghi, ma anche con la presenza di voci off, esterne alla situazione descritta – effetto garantito perfino dall’impostazione grafica dei versi, posti in corsivo e che interrompono la lettura:

 

se ci pare che quadri tutto questo

con l’anagrafe e il mestiere, non il minimo buonsenso

 

un taxi se piove / separé da Motta

Ginepro e Patria / poltrone alla prima

 

ci rimane, o dignità, se abbiamo solo in testa

svariate idee d’amore e d’ingiustizia. (ivi).

 

Tra le ventuno poesie presenti in Inventario privato, molte sono brevi componimenti, stilisticamente quasi antesignani degli Epigrammi che verranno; in questi testi però si evince molto a proposito della vicinanza di Pagliarani ad alcune movenze di certi autori della Linea Lombarda (con i quali, con tutta probabilità, Pagliarani entrava in contatto proprio in quei suoi anni milanesi[5]), ma anche a un recupero, interessante e forse solitario nel panorama dell’epoca, dell’esperienza dei Vociani[6]. I versi “semplici”, l’utilizzo di immagini nitide, il linguaggio scarno, sembrano denotare un legame con quella tradizione vociana che era una sorta di alternativa alla tradizione ermetica[7]. Fortini, parlando de La ragazza Carla, noterà che «Pagliarani ritrova dopo quasi mezzo secolo accenti che furono del milanese Rebora» (Fortini, 2003), e questo pensiero può essere agganciato alla veste stilistica di alcune poesie presenti in Inventario privato.

In questi componimenti è ben nitida la dinamica che coniuga il doppio animo di questa raccolta, in cui cura stilistica e tecnica si sciolgono in una lingua facile, quotidiana. Fino a produrre poesie minime, esili, fondate anche solo su un’unica metafora, in cui ci sono «l’attenzione alla concretezza degli oggetti unita ad una mancanza quasi spietata di frivolezza, la potenza espressiva che scolpisce i testi in maniera drammatica» (Santini, 2004):

 

È già autunno, altri mesi ho sopportato

senza imparare altro: ti ho perduta

per troppo amore, come per fame l’affamato

che rovescia la ciotola col tremito. (Pagliarani, 1959)

 

O su un discorso diretto, in una semplicità lessicale disarmante, ma con una cura stilistica meticolosa, creando ancora un contrasto, ancora un’interferenza, grazie alla quale «i mezzi retorici sono elementi di disturbo rispetto alla sequenza abituale della lingua parlata» (Cepollaro, 2015):

 

Amore, la tua angoscia trasparente,

«potrei perdere le mani, gli occhi», dicevi,

trasparente timore dell’amore. (Pagliarani, 1959)

 

Oppure poesie che risultano quasi dimesse, nella loro semplicità, ma che dimostrano un denso “realismo sperimentale”. Nel testo seguente, per esempio, con l’assenza di punteggiatura e i primi tre versi dalla metrica rigorosa, si assiste alla fine a un componimento semplice e prosastico, ma corroborato da una potenza retorica (presente in tutta la raccolta) in cui «la violenza dell’enjambement afferma e contemporaneamente nega il flusso del dire orale, sottolineando drammaticamente che la lingua parlata si sta consegnando al regime retorico della lingua scritta» (Cepollaro, 2015):

 

Basta che tu li sfiori nella nuca

un momento con gli occhi quando brillano

i bambini si voltano a guardarti

avvertono la tua presenza. (Pagliarani, 1959)

 

La lirica in Inventario privato, da un punto di vista stilistico, non è quindi più soltanto un fatto che deriva dalla tradizione, ma è anche intesa e praticata come allargamento delle potenzialità di un genere, da reinventare con criterio. L’intenzione, legata all’apertura del linguaggio da applicare con urgenza nell’ambito della poesia italiana, senza però dover rinunciare al valore del genere lirico strettamente inteso[8], viene esplicitamente espressa da Pagliarani in un intervento scritto proprio negli anni di Inventario privato, cioè tra il 1957 e il 1959:

 

Non ha senso negare l’identificazione lirica = poesia senza una reinvenzione dei generi letterari. E ciò è già stato storicamente dimostrato: il tempo e la realtà incaricatisi di rompere un diaframma, la poesia allarga i suoi contenuti, ma non può farlo se non dilatando in corrispondenza il vocabolario poetico. Ma arricchire il vocabolario non significa necessariamente arricchire il discorso, può anche voler dire che si arreca turbamento e confusione. […] La reinvenzione dei generi è quindi la necessaria conseguenza della più ampia e variata modulazione sintattica del discorso poetico conseguente all’arricchimento del lessico[9]. (Pagliarani, in Giuliani, 2003).

 

  1. «Un conto delle cose che non tornano». Inventario privato e La ragazza Carla: legami e anticipazioni

 

L’accenno a Paolo e Francesca nel paragrafo precedente non è del tutto casuale. Infatti il legame principale che Pagliarani instaura nella stesura di questo libro è proprio con un poeta medievale, amico di Dante Alighieri, cioè lo stilnovista Guido Cavalcanti. In particolare è la ballata Quando di morte mi conven trar vita a essere la fonte letteraria prediletta da Pagliarani (Ballerini, 2008). In particolare è la domanda presente nella prima strofa della ballata a confluire poi nel testo:

 

Quando di morte mi conven trar vita

e di pesanza gioia,

come di tanta noia

lo spirito d’amore d’amar m’invita? (Cavalcanti, 2011)

 

Come spiega Andrea Cortellessa nell’introduzione a Tutte le poesie, questo interrogativo «può essere parafrasato in questi termini: “com’è possibile che Amore ancora mi adeschi, proprio adesso che mi riduco a vivere di morte e gioire dei miei abbattimenti, proprio ora che il mio stato è così doloroso?”» (Cortellessa, in Pagliarani, 2006). E questo è sostanzialmente lo spirito che anima semanticamente Inventario privato, squisitamente lirico nell’utilizzo del topos dell’amore coniugato alla morte: un amore che, nel suo (non) concretizzarsi conduce a una morte, una «morte interiore, morte dei sentimenti: se a essa si sopravvive, senza rimedio, in uno stato ben simile a quello del malinconico stilnovista di sette secoli prima[10]»; un’idea di morte che, nel procedere della storia d’amore, diventa sempre più fissata in un’abitudine, tanto da sembrare come se il soggetto parlasse in un dialogo tra un io vivo e un io già defunto[11], come si legge nella lirica che segue:

 

A dirli di questi mesi sembra agevole

con il margine di rischio necessario

a chiamare la vita col suo nome:

primavera invocata tempestiva

fu tempesta, e in vista della terra

il naufragio balordo; giugno vissi

per rassegnarmi a perderti; è di luglio

la più cupa speranza di riuscire

a fare della morte un’abitudine. (Pagliarani, 1959).

 

Il legame con Cavalcanti non è però soltanto utile a una comprensione totale di questa storia d’amore e disamore circondata da una idea di morte (Cortellessa, in Pagliarani, 2006). Si veda, infatti l’ultima lirica di Inventario privato:

 

Il verso «quanto di morte noi circonda»

apriva, e nella chiusa, isolato, bene in vista

«tu sola della morte antagonista».

 

Ma già prima del termine di giugno

la mia palinodia divenne sorte:

nessun antagonista alla mia morte.

 

E sono vivo, senza rimedio

sono ancora vivo. (Pagliarani, 1959).

 

Il verso virgolettato «quanto di morte noi circonda» è uno dei versi conclusivi del poemetto La ragazza Carla, all’epoca ancora non ufficialmente licenziato. Si tratta, quindi, sì di un rimaneggiamento del verso d’apertura della ballata di Cavalcanti, ma non solo: «esso è autocitazione, con tanto di virgolette, proprio dal corsivo finale» (Cortellessa, in Pagliarani, 2006) de La Ragazza Carla, e questo porta a comprendere che «alla pubblicazione di Inventario privato, La ragazza Carla fosse già ultimato e circolante» (ivi), e un indizio sicuro di ciò è «costituito dal fatto che nella Prefazione al libro del’59 Giacomo Zanga citi passaggi del poemetto come fossero già di dominio pubblico, addirittura venuti a dimensione proverbiale[12]» (ivi).

I due libri sono quindi legati a doppio filo, e in modo palesato dall’autore, dalla fonte letteraria di Cavalcanti – quindi dal tema di fondo della morte, sebbene in prospettive diverse[13] – e dal periodo in cui le opere vengono scritte o, se non pubblicate, almeno rese note a un pubblico di amici e conoscenti.

 

Inventario privato e La ragazza Carla sono unite fortemente anche dai temi affrontati nelle due opere, in particolare il tema del mondo del lavoro. I personaggi protagonisti dei due libri non solo orbitano attorno al mondo impiegatizio della Milano del boom economico: ne sono assorbiti, tanto da acquisire tratti costitutivi delle loro personalità e delle loro esistenze. Questo modo di trattare il mondo del lavoro è una delle peculiarità più rilevanti della poetica di Pagliarani, presente dall’esordio alle ultime opere; in queste due opere, sicuramente anche a causa della vicinanza cronologica della stesura, ci sono particolari punti di incontro attorno a questo tema, tanto da far sì che la «milanese signorina» di Inventario privato ricordi molto da vicino la Carla del poemetto. Entrambe le giovani donne svolgono un lavoro d’ufficio, e Pagliarani, per entrambe, fa assurgere questa dimensione lavorativa a una dimensione esistenziale.

Ecco che dunque in Inventario privato si entra in contatto «con le ambientazioni che ritroveremo – presto, ormai, prestissimo – nella Ragazza Carla» (Cortellessa, in Pagliarani, 2006):

 

[…] Quante ore

d’ufficio e quanti giorni in questi anni

d’ufficio fanno il totale della giovinezza?

 

Non so quanta saliva ha da secernere

la ragazza incollando francobolli, so

che cosa bruci per tenere in luce

te soave e i capricci. (Pagliarani, 1959).

 

Si confronti, infatti, con questo brano da La ragazza Carla:

 

Carla spiuma i mobili

Aldo Lavagnino coi codici traduce telegrammi night letters

una signora bianca ha cominciato i calcoli

sulla calcolatrice svedese.

 

Sono momenti belli: c’è silenzio

e il ritmo d’un polmone, se guardi dai cristalli

quella gente che marcia al suo lavoro

diritta interessata necessaria

che ha tanto fiato caldo nella bocca

quando dice buongiorno

è questa che decide

e son dei loro

non c’è altro da dire. (Pagliarani, 1962).

 

Nel procedere del canzoniere, il contesto lavorativo incornicia pienamente, o anche soltanto di passaggio, la storia di Inventario privato, in cui la «milanese signorina» sembra figura futurorum della ragazza Carla:

 

Al sole d’aprile del giorno

del tuo compleanno gli dico

che t’ho accompagnata all’ufficio

 

e non poteva bastarmi.

[…] (Pagliarani, 1959)

 

*

 

Poi chissà perché, mai fatto prima,

Aldo la segue all’uscita le offre un Campari

Carla adesso rifiuta – ci ha già pensato scendendo

[…] (Pagliarani, 1962).

 

La ragazza Carla è considerato un caposaldo della letteratura sul tema del mondo del lavoro, avendo portato Pagliarani a inserirsi «nella critica al mondo industriale attraverso una narrazione che accentua, anche col linguaggio quotidiano e con l’impiego materico di manuali e trattati, la “resistenza del reale”, i fallimenti e il senso di solitudine della protagonista» (Segre, 1998). Più complesso è quindi individuare il tema del lavoro – e della critica al mondo industriale – in un canzoniere d’amore, considerato opera secondaria sia dalla critica che, per un certo periodo, dall’autore stesso[14]. Eppure, non solo per quanto visto negli stralci in precedenza, il discorso della dimensione impiegatizia è davvero alla base di Inventario privato, ne fissa la struttura, ne crea una dimensione: questa dimensione, appunto, impiegatizia è resa esplicita finanche nella struttura stessa della raccolta, impostata, sin dal titolo, come un inventario commerciale, un prospetto di conteggio.

“Il primo foglio” è la sezione che apre il libro, e si apre con i versi «Se facessimo un conto delle cose / che non tornano», che risultano quindi programmatici in riferimento alla dimensione ragionieristica data al canzoniere; la seconda sezione, “A riporto”, si presenta come una serie di annotazioni riguardanti la vicenda amorosa esposta nella prima sezione, in cui il poeta, privatamente, arriva a una conclusione, nell’ultimo verso dell’ultima poesia: «e non mi ami»; la sezione conclusiva rende lampante l’intenzione di Pagliarani di trattare la raccolta come un vero e proprio rendiconto: “Totale S.E. & O.” è infatti una «abbreviazione in uso nelle fatture commerciali e in altri prospetti di conteggi, della locuz. salvo errori e omissioni»[15], e questo conteggio si conclude, negli ultimi due versi della raccolta, ponendo centralmente il topos dell’amore coniugato alla morte: «E sono vivo, senza rimedio / sono ancora vivo».

Mantenendo la coerenza con la doppia retorica stilistica e con la doppia dimensione tematica che nutre la raccolta, Pagliarani incornicia dunque questa sorta di “canzoniere pseudo-burocratico” in una collocazione grottesca, riducendo la storia d’amore a un fatto d’ufficio, crudamente gettata nelle mansioni della realtà, in una «porzione di vissuto non teatralizzata, non narrativizzata» (Cortellessa, in Pagliarani, 2006).

E Pagliarani, per la prima e unica volta, si offre «squisitamente lirico […] ma col suo linguaggio: ormai perfettamente calibrato nei suoi scompensi procurati, nelle sue intermittenze, nei suoi stordenti cambi di ritmo. Con la spietatezza di sé che ormai gli conosciamo (“Non devi amarmi se ti sbriciolo / su una tovaglia lisa; e non mi ami”)» (ivi).

 

 

Note

[1] Cfr. Montale, 1996, nel saggio Poesia inclusiva del 1964: «I poeti […] esprimono l’aspetto fenomenologico del loro esser uomini “in situazione” (anagrafica, temporale e strettamente individuale). Inclusivi di tutto, escludono la trascendenza di quella che fu tradizionalmente la poesia e l’alta retorica». Cfr. Testa, 1999, in cui, a proposito della poesia che si sviluppa in questi anni: «S’innesta […] il rinnovato rapporto che questa poesia intrattiene con la cosiddetta ‘lingua comune’; non più pedinata con l’obiettivo della mimesi né scardinata con gli usurati strumenti dello sperimentalismo, essa […] si costituisce in raffinato e scaltrissimo parlato-scritto […]».

2 Andrea Cortellessa, nell’introduzione a Tutte le poesie, di Pagliarani, nello scrivere a proposito de La Ballata di Rudi, sottolinea i numerosi riferimenti «alla tradizione, tanto popolare quanto colta» presenti comunque in tutta l’opera dell’autore: «[…] l’Ottocento “basso” […]. Ma anche qualche eco della ballata antica, lirica e “alta” anzi “altissima” […]. Poi senz’altro un Novecento “basso” […] e, forse soprattutto, “bassissimo”, spicciamente demotico» (Cortellessa, in Pagliarani, 2006).

3 Cfr. Pagliarani, 2006. Un esempio da Cronache e altre poesie è il componimento Romanza sotto la pioggia.

4 La presenza di più voci, dotate di più registri linguistici, sarà una delle caratteristiche principali anche de La ragazza Carla: «La “storia” di Carla è molto meno vera della Milano che ha intorno; una Milano che è fatta veramente di parole, cioè di un tessuto sintattico studiato sul vero» (Fortini, 2003).

5 Cfr. Santini, 2004: «La poesia lombarda è fatta di una combinazione di attenzione alle cose, al paesaggio, a una quotidianità dimessa e pungente […]. Tali qualità permangono anche nei lavori di autori lombardi della generazione successiva, come Elio Pagliarani, Giancarlo Majorino, Giorgio Cesarano, o il più giovane Maurizio Cucchi».

6 Cfr. Giuliani, 1977, in cui, a proposito dei poeti accostabili all’area lombarda, parla di «una vocazione morale […] che ha i suoi antecedenti e i suoi numi sin troppo palesi in Parini e Manzoni e un riferimento più recente, sostanzioso e quasi segreto in Clemente Rebora»

7 Dall’intervista che Biagio Cepollaro ha concesso per la tesi di laurea da cui è tratto questo articolo: «Quella scarnificazione, quella secchezza, quella retorica del grado zero si possono ricondurre forse alla tradizione dei Vociani, alternativa primonovecentesca, a quell’epoca, a ciò che era stato prodotto in ambiente ermetico».

8 Cfr. Mazzoni, 2005.

9 Cfr. Testa, 1999: «Che poi con questo italiano d’uso, sondato nei suoi intenti comunicativi e nella concretezza del suo vocabolario di fondo, si affrontino, liquidati insieme il crisma della separatezza lessicale e lo stigma della nobiltà tonale, temi centrali del pensiero contemporaneo e nodi essenziali della nostra esperienza, presente e remota, è un dato così importante da renderlo, credo, difficilmente trascurabile, costituendo, esso, un punto di passaggio, di transito e di svolta […] nella storia della nostra poesia novecentesca».

10 Cfr. Cavalcanti, 2011: «Canto, piacere, beninanza e riso / me’n son dogli’ e sospiri: / guardi ciascuno e miri / che Morte m’è nel viso già salita!».

11 Sulla questione, molto più vasta rispetto a quella rintracciabile in Inventario privato (senz’altro più forte nel Pagliarani futuro), del rapporto vivi–defunti nella poesia di questi anni, cfr. Testa, 1999: «Il discorso della poesia riattiva strutture antropologiche (destinandole a funzioni diverse da quelle primarie ed offrendone una versione ormai priva dell’originaria finalità pragmatica) che significano pur sempre – anche se sul piano simulativo proprio della scrittura letteraria – un recupero della comunicazione: […] si scorge così […] una mimesi, catafratta e distorta, dei riti della relazione morti-vivi, della loro funzione e del loro fine».

12 Cfr. Pagliarani, 1959. Nella Prefazione, Giacomo Zanga cita integralmente i primi quattro versi del corsivo conclusivo de La Ragazza Carla.

13 «Quello che in Cavalcanti è solo un gioco concettoso […] nella Ragazza Carla è effettiva possibilità di opporsi alla morte che noi circonda e trarne, dunque, davvero, vita. […] Inventario privato capovolge […] i termini: no, non si dà risoluzione; insanabile è il conflitto e irrimediabile, senza antagonisti, la mia morte» (Cortellessa, in Pagliarani, 2006).

14 Cfr. Pagliarani, in Piemontese, 1990: «Dall’uscita delle Cronache […] mi preoccupava il peso, che mi pareva eccessivo, delle mie vicende personali sulla mia poesia e m’era diventata pesante nello scrivere la “tirannia dell’io”». Ma questo non ha impedito, successivamente, un parziale recupero dell’opera da parte dell’autore. Come si legge in appendice alla raccolta del 1985 Esercizi platonici: «Prigioniero, almeno in parte, come avevo cominciato a sentirmi, del mio verso lungo, sempre più lungo, […] ho voluto cercare di riacquistare facoltà di articolazione più variegata (mi riferisco, per esempio, al pedale sommesso dell’Inventario privato)» (Pagliarani, 2006). Sull’argomento cfr. anche l’intervista che Concetta Petrollo ha rilasciato per questa tesi e pubblicata qui in appendice, in cui si parla diffusamente del recupero di Inventario privato da parte di Pagliarani anche durante le ultime letture pubbliche della sua vita.

15 Cfr. il sito dell’Enciclopedia Treccani: http://www.treccani.it/vocabolario/s-e-e-o/

 

Bibliografia

 

Ballerini L., 2008, 4 per Pagliarani, Scritture, Piacenza;

Cavalcanti G., 2011, Rime, Carocci, Roma;

Fortini F., 2003, Saggi ed epigrammi, Mondadori, Milano;

Giuliani A. (a cura di), 2003, I Novissimi. Poesie per gli anni ’60, Einaudi, Torino;

Giuliani A., 1977, Le droghe di Marsiglia, Adelphi, Milano;

Mazzoni G., 2005, Sulla poesia moderna, Il Mulino, Bologna;

Pagliarani E., 1959, Inventario privato, Veronelli, Milano;

Id., 1962, La ragazza Carla e altre poesie, Mondadori, Milano;

Id., 2006, Tutte le poesie (1946 – 2005), Garzanti, Milano;

Piemontese F. (a cura di), 1990, Autodizionario degli scrittori italiani, Leonardo, Milano;

Segre C., 1998, La letteratura italiana del Novecento, Laterza, Bari;

Testa E., 1999, Per interposta persona. Lingua e poesia nel secondo Novecento, Bulzoni, Roma;

 

Sitografia

Cepollaro B., 2015:

https://poesiadafare.wordpress.com/2015/05/14/biagio-cepollaro-su-inventario-privato-1959-di-elio-pagliarani/

Santini F., 2004: http://escholarship.org/uc/item/4v91s2cs#page-1

 

 

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Biagio Cepollaro, nato a Napoli nel 1959, vive a Milano. Esordisce come poeta nel 1984 con Le parole di Eliodora (Forum/Quinta generazione), nel 1993 pubblica Scribeide (Piero Manni ed.) con prefazione di Romano Luperini e Luna persciente (Carlo Mancosu ed.) con prefazione di Guido Guglielmi. Sono gli anni della poetica idiolettale e plurilinguista, del Gruppo 93 e della rivista Baldus . Con Fabrica (Zona ed., 2002), Versi nuovi (Oedipus ed., 2004) e Lavoro da fare (e-book del 2006) la lingua poetica diventa sempre più essenziale aprendosi a una dimensione meditativa della poesia. Questa seconda fase del suo percorso è caratterizzata da pionieristiche attività editoriali in rete che danno vita alle edizioni on line di ristampe di autori come Niccolai, Di Ruscio e di inediti di Amelia Rosselli, a cui si aggiungono le riviste-blog, come Poesia da fare (dal 2003) e Per una Critica futura (2007-2010). Nello stesso periodo si dedica intensamente alla pittura (La materia delle parole, a cura di Elisabetta Longari, Galleria Ostrakon, Milano, 2011), pubblicando libri che raccolgono versi e immagini, come Da strato a strato, prefato da Giovanni Anceschi, La Camera Verde, 2009. Il primo libro di una nuova trilogia poetica, Le qualità, esce presso La Camera Verde nel 2012. E' in corso di pubblicazione il secondo libro, La curva del giorno, presso L'arcolaio editrice. Sito-archivio: www.cepollaro.it Blog dedicato alla poesia dal 2003: www.poesiadafare.wordpress.com Blog dedicato all’arte: http://cepollaroarte.wordpress.com/