Le buone maniere
di Marco Simonelli
A tavola
“E fra voi due chi è che fa la donna?”
Ce lo chiede verso il dolce
dopo un primo con le arselle
e un secondo a base di branzino.
Per lui è naturale chiederlo.
A tavola, si sa
la confidenza aumenta.
Pare scortese glissare e non rispondere
e certo non è il caso di discutere,
tentare di spiegargli che due uomini
dispongono di modi più creativi
per divertirsi a letto.
Così gli raccontiamo
questo nostro segreto inconfessabile,
arcana metamorfosi notturna
sempre pronta a mutarci in qualcos’altro:
di come il seno cresca e il pene cada,
della voce che s’alza d’un’ottava,
di come bestiali ci accoppiamo
– animali feroci come gli uomini –
per poi tornare a correre ululando
alla mannara faccia della luna.
***
Sul lettino
Tre volte a settimana salgo le sue scale
senza mai incontrare anima viva.
Lui m’aspetta in piedi, al pianerottolo
col viso di chi attende un incidente.
Mi saluta stringendomi la mano
dopodiché il rito operatorio
si ripete identico a se stesso.
E mentre io mi sdraio sul lettino
lui richiude la porta della stanza
e prende posto dietro, scomparendo.
La prima volta è stato imbarazzante
non avevo idea di come comportarmi.
“Verbalizzi un qualsiasi pensiero”
suggerisce, “cercando, se riesce
di limitare al minimo la mole di scempiaggini
che ognuno si racconta per seguitare a vivere”
Un fascio luminoso mi esce dalla bocca
proietto alla parete i super8
di gite al mare, feste e compleanni.
Col tempo siamo entrati in confidenza
guardiamo horror, porno e gli snuff-movie.
Ogni tanto mi fa delle domande:
di chi era la mano col coltello?
a chi appartiene quel pene in erezione?
ed è proprio sicuro che la salma
non provasse un sottilissimo piacere?
Ma per il resto, tace. Lo sa fare benissimo.
Sa farlo così bene che lo pago.
“Pensi a me come ad una prostituta.
Per un’ora può farmi ciò che vuole”.
“Può piangere, strillare ed insultarmi
può lanciare anatemi ed accidenti –
sacrileghi o blasfemi, non importa:
accoglieremo tutti a braccia aperte”.
Una volta scoccato il termine dell’ora
scattiamo in piedi entrambi; premuroso
lui mi scorta di nuovo al pianerottolo
e scendo più leggero per le scale
fino all’angusto portone dell’ingresso
da cui sguscio infine all’aria aperta
fuori, fuori, coperto di placenta.
***
Il fumatore
Dopo il caffè ma prima dell’amaro
potrà sgattaiolare sul balcone
per soddisfare il proprio orrendo vizio.
Chiederà il permesso ai commensali
e si congederà rammaricandosi
con l’aria di chi cerca una toilette.
Imparerà ben presto a riconoscere
le facce solitarie dei cortili,
il livido richiamo verso il vuoto
in agguato da sotto le ringhiere.
Aspirerà veloce la sua cenere
fingendo di trovarsi lì per caso.
Nasconderà la cicca indifferente
fra i gerani appassiti dentro un vaso.
Poesie tratte da: Le buone maniere (Valigie Rosse, 2018)
Poesia come ripiegamento ombelicale, e anche oltre l’ombelico. Qui il privato, l’esperienza personale non riescono ad avere un respiro universale, non ci toccano. La lingua può e deve fare altro, pretenderlo. La poesia deve crederci, deve aspirare a dire cose alte, pena il ridursi a un esibizionismo lessicale, a una lessicomania che intossica chi scrive e chi legge, a un compito puramente o intimistico o combinatoriale, in definitiva all’esibizione del defatigante sforzo di rendere conto dell’incapacità della lingua di dire alcunché, quando sono del tutto implicite le limitazioni della lingua per chi scrive.
Mi piace soprattutto questo tono dimessamente ironico, gozzaniano, in cui fioriscono immagini nitidissime, sferzanti (“come bestiali ci accoppiamo / – animali feroci come gli uomini – / per poi tornare a correre ululando”; “Un fascio luminoso mi esce dalla bocca / proietto alla parete i super8 / di gite al mare, feste e compleanni”; “Imparerà ben presto a riconoscere / le facce solitarie dei cortili, / il livido richiamo verso il vuoto / in agguato da sotto le ringhiere. / Aspirerà veloce la sua cenere / fingendo di trovarsi lì per caso”) – bellissime, Marco, complimenti!
mdp