“Il poeta degli immondezzai è più prossimo al vero che non il poeta delle nuvole” A proposito di Tadeusz Ròżewicz e di Alberto Burri
di Lorenzo Pompeo
La frase di apertura compare in Sogni, seconda sezione del Racconto didattico di , dedicato allo storico dell’arte e critico Mieczysław Porębski (fu compagno di studi del poeta a Cracovia), scritto nel 1959 e pubblicato nel 1962 nella raccolta Nic w płaszczu Prospera (trad. it. “Nulla nel mantello di Prospero” ). In Sogni. Różewicz si immagina di raccontare in sogno al suo amico pittore Andrzej Wróblewski, morto di infarto nel 1957 a soli quarant’anni, suo compagno di studi di storia dell’arte a Cracovia nell’immediato dopoguerra, le impressioni tratte dalla sua passeggiata per le sale della XXX Biennale di Venezia (Wróblewski fu una delle figure di spicco nella scena artistica dell’immediato secondo dopoguerra, solo apparentemente legato alla poetica del realismo socialista, nelle sue opere testimoniò la sofferenza sua e della sua generazione, sopravvissuta agli orrori dell’occupazione nazista e costretta a fare i conti con i dictat del nuovo Regime). Nella prima parte della poesia ritornano i ricordi del periodo bellico, che lasciarono un segno indelebile nella biografia intellettuale e nella creazione artistica del poeta polacco. Tra le nebbie finalmente appare Venezia. Il poeta passando attraverso le sale della mostra dedicata ai futuristi ne raccoglie le impressioni, che riferisce al suo amico, legate ai giochi verbali e agli slogan del futurismo italiano e del dadaismo tedesco (“dadamax ernst” è uno degli pseudonimi di Max Ernst) e finalmente giunge alle sale dove sono esposte le opere di Alberto Burri, l’artista che più di tutti lo colpì (“è vicino al mio cuore/l’immondezzaio della grande città/”).
La figura e l’opera del grande artista italiano non era passata inosservata in Polonia. Era stato lo stesso Mieczysław Porębski, a cui l’intero Racconto didattico è dedicato, a menzionarlo in un suo appunto del 1960 nel quale faceva notare che gli artisti italiani Burri, Fontana e Vedova “avevano qualcosa di vero da dire” . A questa osservazione dello storico dell’arte polacco si rifà il poeta. Il quale, profondamente colpito dalla poetica dell’artista, nel tentativo di comprenderne il senso della sua originale creazione artistica, conia il concetto di “immondezzaio”, che tuttavia egli allarga fino a ricomprendervi anche la propria creazione poetica. Il concetto di “immondezzaio” in Ròżewicz prescinde l’opera di Burri e diventa per il poeta in questi anni una vera e propria ossessione. Nella prima strofa di, Walka z aniołem (trad. it.: Lotta con l’angelo), del 1959, aveva scritto: “Cresceva l’ombra delle ali/ l’angelo canticchiò in falsetto/ le sue narici/ umide mi toccavano/ gli occhi le labbra/ lottavamo sulla terra/ battuta di giornali/ in un mondezzaio dove/ sangue saliva e fiele/ si mescolavano a sterco di parole”[1], mentre così si chiude Biancore: “L’agnellino è disteso/ sul tavolo della vivisezione/ addobbato di verde/ infarcito di speranza/ attorno seggono mucchi di sporcizie/ adorni di pennacchi bianchi/ mossi/ dal vento della storia”[2]. Questo concetto di “immondezzaio” fu uno dei principi compositivi di Kartoteka, pietra miliare del teatro polacco del ‘900, presto tradotto e rappresentato in tutta Europa, che risale proprio a questo periodo (l’opera venne pubblicata e rappresentata nel 1960), caratterizzato da una struttura incongrua, frammentaria e caotica (è abolita l’unità di tempo, spazio e azione) nella quale il protagonista assume diverse età, nomi e mestieri “un signor nessuno che le esperienze della guerra hanno svuotato interiormente e reso incapace di qualsiasi contatto umano”[3] Il linguaggio di Kartoteka, basato su cliché e scimmiottamenti di vari di vari registri stilistici e retorici e l’uso di materiali di risulta della comunicazione (stesso principio adottato anche nel citato poema Racconto didattico), ci ricorda molto da vicino i principi compositivi e la poetica delle opere del grande artista italiano.
Le improvvise aperture nella vita culturale determinate dai cambiamenti del 1956 (il cosiddetto “disgelo”) non avevano scaldato troppo il cuore del poeta, il quale non fu un entusiasta del nuovo corso. Tuttavia l’edizione delle sue opere complete, nel 1957, rappresentò senza dubbio la consacrazione della sua creazione poetica, a cui venivano tributati gli onori di un classico. Nello stesso anno perse la sua amattissima madre e partì per Parigi, dove incontrò Czesław Miłosz (il quale dal 1951 aveva interrotto i suoi rapporti con la Polonia comunista). Malgrado le grandi distanze che li dividevano sia dal punto di vista stilistico che da quello politico-ideologico i due mantennero un vivace rapporto intellettuale e umano per tutta la vita. Al suo ritorno in Polonia, profondamente depresso, comprende che la sua creazione poetica non poteva essere una stanca ripetizione delle sue prime raccolte di poesia, con le quali si era guadagnato una posizione di rilievo nella scena letteraria polacca.
Il volume Formy (“forme”), del 1958, rappresenta sia una rottura nei confronti con le esperienze generazionali sia una apertura verso nuove ispirazioni estetiche riconducibili alle istanze delle neoavanguardie («Quelle forme un tempo così educate/ ubbidienti sempre pronte ad accogliere/ la morta materia poetica/ spaventate dal fuoco e da odore di sangue/ si sono rotte e sparpagliate»[4] dichiarava in Formy). Le impressioni ricevute dalla visita alla XXX Biennale, e in particolare dalla figura umana (nel poema vi sono anche riferimenti alla biografia di Burri) e dalla poetica del grande artista italiano ebbero quindi un ruolo del tutto particolare nella vicenda intellettuale e artistica del poeta polacco, il quale vide e trovò nell’artista di Città di Castello consonanze e ispirazioni che metterà a frutto nella propria creazione artistica.
SOGNI[5]
I miei sogni sono comuni
il mio scialbo vicino mi porge un pacco
avvolto in un giornale legato con lo spago
sciogliamo lo spago a lungo a lungo
poi si mangia il brodo coi vermicelli
e si parla del bel tempo
vestiti di abiti un po’ dimessi oramai
mi capitano dei sogni realistici
una volta sola una mia conoscente
prese a mutarmisi tra le braccia
in un mio compagno di ginnasio
aveva occhi azzurri e capelli chiari
labbra leggermente rigonfie
ci univa l’odio
s’intrufolava fra le mie braccia
nel mondo reale divenne un delatore
e a quanto dicono morì condannato
quasi tutti i miei sogni
sono costruiti su i principi
della drammaturgia tradizionale
Disorro con Adrea W.
vale a dire parlo a me stesso
poiché lui morì tragicamente
quel piccolo foro sul volto
l’ingresso al sottoterra
si aprì il terzo giorno
o cieca talpa
quella cintura d’oro nel fumo è Venezia
cielo nugoloso corallo roseo il Palazzo Ducale
Andrea ti vuoi riscaldare
hai costruito di notte una castello di vento
tracce di sangue sulle dita
sei volato fin qui nel sud
ti racconterò
della XXX Biennale di Venezia
Moto Luce Rumore
futiristi anno 1912
pensarono d’essere demoni del movimento
nell’inferno della grande città
Automobile e Rumore
le loro automobili vedute
al Musés du Cinema
risvegliano salve di risa
il loro areoplano ricorda
l’incrocio di uno scaleo con un angelo
Parole in Libertà anno 1915
Marinetti Balla Boccioni
Cavalli Correnti Mattoli
Guerre Belle Léger Lourbimbim
Mort aux Boches traac craac croc tatatata
anno 1919 Esplosione Simultaneità
verdi tam tumb isonzo
paak piing
poi dadamax ernst
von minimax dada max
selbst konstruiertes maschinen
für fruchtlose bastäubung
weiblicher saugnäpfe zu beginn
der wechseljahre u. dergl. Fruchtlose
verrichtungen
così
spassandosela passarono
nella storia dell’arte
Jean Huizinga dice nell’«Homo ludens»
un bimbo che giuoca non manifesta infantilismo
il padiglione del Regno del Belgio
la scritta
EENDRACHT MAAKT MACHT
sul deretano di bronzo di una donna
resa realisticamente un bagliore di sole
quella dama proviene dalla fine del XIX secolo
sembra che allora il Congo fosse proprietà privata
del Re
entrano i custodi con le uniformi grigie
tengono d’occhio i quadri
dai giardini giunge il canto di un uccello
nella prima sala le sculture negre
si accoppiano con gli pseudoclassici esco
nella seconda sala Launduyt
vomita sulla tela le sue interiora
embrioni uova ovaie sangue
i tumori divorano tessuti
i custodi si annoiano
alle dieci esco fuori
sulle natiche ralistiche
della donna di bronzo
– ognuna di quella natiche mostrata
a parte potrebbe passare
per una scultura astratta –
il sole depone un bacio
EENDRACHT MAAKT MACHT
è vicino al mio cuore
l’immondezzaio della grande città
il poeta degli immondezzai è più prossimo al vero
che non il poeta delle nuvole
gli immondezzai sono colmi di vita
di sorprese
tu mi chiedi Andrea della XXX Biennale
vi ho visti organizzati
gli immondezzai di Burri
laceri sacchi di stracci
guardaroba da signara spaghi cartacce
Burri
affamato nel campo dei prigionieri
ha plasmato di spazzature
un mondo nuovo
fra quelle morti e quelle spazzature
ha creato il bello
ha dato prova di nuova integrità
Burri
ancora una volta rammento gli elementi del quadro del suo mondo
grandi sacchi rappezzati su fondo nero
reti più la vita di Burri
buchi di grandezza diversa legati da spaghi
da fili i cinque sensi di Burri
pezzi di camicie sporche
di vestaglie sacchi gesso
tele di sacco
nelle quali ripuliva qualchuno pennello e mani
l’etichetta di bronzo la scritta
Gift. of. G. David Thompson 1957
più oltre decomposizione sviluppo dei tumori di Burri
sportelli di un vecchio armadio tolto dal fuoco
compensato impiallacciato assi affumicati coperti da uno strato
di escrementi bianchi d’uccelli la terra di Burri
un altro quadro su sfondo rosso un lenzuolo sbrendolo
un fazzolettino da signora
tutto in rosso la fame e il fuoco di Burri
una solida ragazza in camicetta a merletti ride serena
guardando gli immondezzai di Burri
un altro quadro di pezzi di metallo silenzio e ruggine di Burri
Più oltre sono appesi immobili quasi già belli
Romiti Spazzapan Sadun
Music premio Unesco Gonzaga
Peverelli Leoncillo Vedova Dorazio
Corpora Fabbri Afro Lardera
[1]Tratta da: Le parole sgomente, a cura di Silvano de Fanti, Metauro edizioni, 2007 Pesaro.
2Da: Colloquio con il principe, a cura di Carlo Verdiani, Mondadori, Milano 1964, p. 279.
3Silvano De Fanti, Dal 1956 al nuovo secolo, in: Storia della letteratura polacca, a cura di L. Marinelli, Einaudi, Torino 2004, p. 449.
4Da: Tadeusz Różewicz, Le parole sgomente. Op. cit., p. 19.
5T. R., Colloquio con il principe, a cura di Carlo Verdiani, Mondadori, Milano 1964, pp. 283-288.