Ho provato a portarti lontano ( cinque poesie)
di Antonio Merola
Ho provato a portarti lontano,
ma il mostro ci ha seguito ovunque
come a spaziare l’alberata in una grillaia:
sentiva l’odore del sole, tu piangevi
dietro a ogni angolo. Una lubricità
non bastava a nascondere la sfogliatura,
a scivolare altrove: avevamo paura
delle grandezze
come l’acqua dentro una fontana.
***
l’unicità si dipanava lungo la steppa
come soli freddi o rovine
nella pioggia: la notte durava una volta
sola come di fronte a un nemico
che voleva mutilare l’origine comune
prima della disparità delle losanghe:
e allora chi giocava ancora per non essere scoperto
cercava la musica del mare
come una speciale isola di bianchezza o schianto.
***
Nemmeno una scogliera di bianco
rugava la pesca
come la nostra immobilità che seguiva la pioggia
nelle montagne: si abboccava all’ardiglione
perché bisognava mangiare come una resipiscenza
ti sentivo lontano una strada
che forse vuoi percorrere da solo
mentre sulla collina una voce suonava il motivo
dell’abbandono: la binarietà era il nostro destino.
Avevamo commesso l’errore dei dinosauri:
essere troppo grandi per camminare.
***
c’erano solo i mostri che attraversavano la brina
come una piorrea dell’infinito oppure accecati
dalla stella polare: era l’estinzione della strada
contro il muro recintato di caligine
che riserenava la città… bisognava passare oltre
la vita: ho imparato che tutto si destina.
***
E così vengo imbestiato dentro il vagone spoglio di rifugio:
è ora di ritornare a casa attraverso l’oscuramento
negli occhi di uno sconosciuto oggi che tutto rimane uguale
a una pietraia come l’orientarsi della mia abitudine
allo scoliasta che rintraccia in uno spicilegio la favola a margine
della gigantessa slanciata senza patema sopra le stelle
cadute oltre lo strapiombo: amareggiare la città
non serve a niente davanti allo squadrare del treno.
Voglio essere come un forestiero nel mondo
degli uomini: fuori rintrona ancora l’ultima migrazione.