La sfacciata ( bagatella della fortuna)

di Giorgio Mascitelli

Talvolta Guido della Veloira indugia davanti alle agenzie per le scommesse sulle partite e sulle corse o davanti alle ricevitorie del Lotto e gli prende in cuore il pizzicorio di tentare la fortuna. E’ normale che sia così, a tutti capita almeno una volta di giocare o di voler giocare e, se non diventa un vizio, non c’è nulla di male.

Ma poi una voce interiore, tipo voce della coscienza, lo esorta o addirittura lo redarguisce a non sprecare così le proprie risorse guadagnate con il sudore della fronte, quand’anche si trattasse solo di due o tre euri.  La voce della coscienza o chi per essa prosegue ricordandogli allora che ogni cammino di successo è frutto di saggia prudenza, osservazione razionale dei fenomeni e soprattutto di un’accorta programmazione, attività nelle quali la fortuna non ha né deve avere alcun ruolo. E se non fosse così, dovrebbe esserlo perché la fortuna non può giocare un ruolo simbolico  in società in perenne trasformazione, piene di occasioni,  nelle quali si ottiene successo per via dei propri indiscutibili oggettivi meriti; la fortuna può diventare imperatrice del mondo  solo là dove si nasce in una posizione e in quella si resta. E se la realtà oppone resistenza a questo ideale, non bisogna rassegnarsi a credere alla fortuna, ma solo alla fuga dei cervelli.

Poi nelle questione della fortuna vi è sempre da scontare l’improvvidenza umana: tutti tra i colleghi di Guido della Veloira conoscono e si tramandano la storia di Landolfo Ruffolo che risale addirittura ai tempi del Totocalcio.  A quel tempo spesso gruppi di amici o di colleghi si mettevano insieme per giocare dei sistemi al Totacalcio ( delle schedine speciali che aumentavano considerevolmente le probabilità di vincita) tanto più costosi quanto più efficaci, in modo di dividere il peso economico dell’impresa; così anche Landolfo e cinque altri colleghi erano soliti trovarsi in un bar il venerdì pomeriggio all’uscita del lavoro e lì chi prendeva il crodino, chi il bianchino, chi il grappino ( non era stata ancora istituita la convenzione dell’happy hour) si discuteva animatamente sui pronostici delle partire per circa mezz’ora e, raggiunta l’unanimità o la maggioranza su tutte le partite, si mandava qualcuno a giocare la schedina. Quel maledetto venerdì fu incaricato Landolfo di compilare la schedina, ma egli non convinto del pronostico scelto per un Sambenedettese-Cesena  all’ultimo sua sponte senza consultare gli altri cambiò la previsione.  La domenica risultò che la schedina che avrebbe dovuto essere giocata da Landolfo aveva fatto tredici e Landolfo si negò alle telefonate dei colleghi e non si presentò al lavoro all’indomani. I colleghi di Landolfo dapprincipio sospettarono una fuga per non dividere i soldi della vincita, ma quando scoprirono il vero, beh sarebbe stato meglio per Landolfo che avesse effettivamente tentato di scappare con il premio.

La storia di Landolfo è a suo modo educativa perché ci istruisce magistralmente sul fatto che chi crede nella fortuna crede anche nell’iniziativa umana improvvisata e pertanto nei suoi errori. Oggi viviamo in un’epoca in cui il caso è stato virtualmente abolito dall’algoritmo e le scelte sono sempre prese con il calcolo razionale;  così giocare d’azzardo più che un disdicevole vizio è diventato un osceno anacronismo. La fortuna non è più imperatrice del mondo e, anche se lo fosse, nessuno se ne accorgerebbe perché hanno eliminato le insegne del suo potere come se si fosse trattato delle statue di Lenin in un paese desovietizzato.  Nessuno, nessuno che si rispetti, può citare impunemente la fortuna, affermare pubblicamente di affidarsi alla fortuna costituirebbe uno scandalo d’una gravità impensata nel nostro mondo o perlomeno nelle sue articolazioni più ufficiali.  E così, per fortuna, la fortuna diventa sfacciata nel senso etimologico di ‘priva di faccia’ nel nostro tempo semplicemente perché nessuno è in grado riconoscere il suo volto e, anche se lo riconoscesse, non potrebbe più raccontarlo.

Non che Guido della Veloira pensi a tutte queste cose, semplicemente non entra nell’agenzia di scommesse trattenuto da quella voce interiore, che è un misto di raccomandazioni avite e avanzi dell’etica del lavoro.No, Guido della Veloira non entra in quel luogo di perdizione. E’ oggettivamente meglio di no, giacché le persone serie al giorno d’oggi agiscono altrimenti in tutti i paesi più progrediti. Per esempio affidano i loro risparmi a fondi d’investimento che navigano con perspicacia i mari dei mercati finanziari con le più moderne bussole algoritmiche che mente umana abbia mai escogitato.

( l’immagine è Art Art Art D10  di Natale Galli)

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