Lettere dall’assenza #2

di Mariasole Ariot

 

Cara J.,

la coltre di nebbia che ha piegato il cielo mi scava le ossa, sono mature per la semina, come quando ci siamo incontrate, e tu danzavi sopra le mie corde. Un canto muto, una sirena.
Abbiamo camminato lungo la scia delle lumache, e tu disegnavi cerchi nell’aria, gettavi i drappi colorati facendoli roteare appena più in alto del collo: ricordi la scena della pista da ballo?

Oggi è un giorno senza parole, cerco di deglutire la poca saliva rimasta, ma non esce che uno sputo, un gorgoglio avanzato a forza. Le mani sono di creta, provo il disgusto delle frasi troncate, di questi arti incandescenti, di questa pasta madre che non fa madre, che non fa niente. A volte, ritornando sugli eventi, ho un’immagine di te, J., che cerca di annotare le ultime note del diario notturno: una spia rossa illuminava la tua attesa, il microchip impiantato nell’utero, questo figlio che non arriva, i preti senza croce, le infermierine del piano interrato.
Mi dicevi: è un campo, ho un deserto nella testa, e io ti innaffiavo senza speranza.

Non c’è che il dolore per quegli attimi scuri, per la peste che ci appestava, per i liquidi scuri iniettati a tradimento.
Eppure, nell’angolo liscio da cui ti scrivo, posso vedere a distanza il tuo occhio puntato nella direzione del vento, la tua Nigeria, la tua macchina corporale ancora tesa nel vuoto.
Raccontami dell’uomo malato, raccontami del sangue, delle particelle inumane della terra che non ti apparteneva, quella in cui ci siamo incontrate e il nero masticava ogni odore, i sette peccati capitali. Raccontami della tua zona, dei territori che hai navigato, della casa, delle tue chiese appese al muro della stanza.

I mancati appuntamenti sono assenze da ricordare, spremute nella memoria dei nostri secoli minori, delle parti piccole, delle macerie. Io sono il gambo secco della tua pelle, l’inflorescenza immatura, tu sei la donna d’ambra, l’ugola nera.

Ho un gufo che preme al centro del cranio, è un ricordo notturno, un’esclamazione finita dove l’intero mondo carpiva i parchi, o le foreste, o i canili dell’ombra.
Le delusioni sono contemplate insieme, non esiste separazione. Il verde che ti ho regalato quando ci siamo salutate è una città. Dimmi della tua, raccontami cosa ne hai fatto: se dici prato e il cielo cade, se decanta un assoluto.

Come ti penso, quanto ti prego, quanto mi cade dalle mani, quanto dolore, quanto il tuo viso, come il tuo corpo, quanto mi manca il passaggio della luna, quanta cancrena, quanto rispondi. Mi metto nella posizione degli appena nati, i cuccioli che hai nutrito prima degli altri, con la bocca spalancata attendo una risposta. Scatto con il diaframma un taglio di luce – e tu sei lì, affacciata ancora alla finestra umida della febbre.

Mi hai detto: attendi, ho risposto che ai risultati non c’è vigilanza, che il nudo della festa che abbiamo conosciuto non ha risposta: ha solo questa donna inginocchiata, come siamo tutti a terra a mangiare i resti, le briciole cadute dal tavolo.

Tu parlami del tempo, della luna, parlami della terra.

Tua, sempre, S.

8 COMMENTS

  1. “Come quando ci siamo incontrate, e tu danzavi sopra le mie corde. Un canto muto, una sirena”. Ti leggo e casualmente ascolto “This is a waltz thinkink about our body, what they mean for our salvation”… che meraviglia le due cose che si fondono

  2. È bello, vibra, consola è fa male come sanno fare le tue parole, Sole.
    Colgo la bellezza anche nel paesaggio desolato della foto.
    E mi porto dentro queste tue parole, queste tue visioni, inginocchiato, “come siamo tutti a terra a mangiare i resti, le briciole cadute dal tavolo”.

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mariasole ariot
mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot (Vicenza, 1981) ha pubblicato Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), La bella e la bestia (Di là dal Bosco, Le voci della Luna 2013), Dove accade il mondo (Mountain Stories 2014-2015), Eppure restava un corpo (Yellow cab, Artecom Trieste, 2015), Nel bosco degli Apus Apus ( I muscoli del capitano. Nove modi di gridare terra,Scuola del libro, 2016), Il fantasma dell'altro – Dall'Olandese volante a The Rime of the Ancient Mariner di Coleridge (Sorgenti che sanno, La Biblioteca dei libri perduti 2016). Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato ad esposizioni collettive. Ha collaborato alla rivista scientifica lo Squaderno, e da settembre 2014 è redattrice di Nazione Indiana. Aree di interesse: esistenza.