Quasi qui
di Jean-Jacques Viton
traduzione di Andrea Raos
contro un muro disegno della lucertola verticale
violino Chagall fuori portata dei capelli
su una scala di giardino questa rosa che persiste
identica a una sciarpa ala di rosa trasparente
l’aria invade il tutto schiocca ai bordi
disfa ogni zolla di natura morta
*
a volte si sente dire
“è una festa” intraducibile
senza bracieri senza clarinetti
uno scoraggiamento incidenti microscopici
indistinguibili nella narrazione
brusii dei cambiamenti a vista d’occhio
spedizione nel trompe-l’œil
niente allarmi né lucine rosse
dentro la trottola
l’intrico è liscio continuo
il tempo passa senza sbattere
nella capsula calmante
come aiutare il me stesso che lavora di riflesso
si può rovesciare tutto niente caduta
è fissato a morte nulla parte
i vetri ricevono i puzzle d’identità
fondo scuro in uno sguardo di caffè ormai freddo
*
cos’è allora
dicevamo identità
per esempio “un campo per gli zingari”
doveva essere pittoresco
in armonia con la Camargue
apro l’ostrica il catalogo storia
è il saluto alla bandiera a Saliers
un campo di concentramento per nomadi
al centro Albert Robini ultimo direttore del campo
colonnello Pelet e signor Royet l’avevano preceduto
tre direttori per questo campo 1942-1944
“eravamo malvisti. venivamo picchiati.
eravamo infelici”
come trovare su una distesa
ciò che non ha tracce
ceracre una stratificazione che non ha lasciato niente
tranne all’orizzonte gli stessi pali della luce
su un niente del tutto piatto risaie inondate
il vecchio ingresso laterale
il vecchio ingresso principale
“sono venuti a prenderci i gendarmi
e ci hanno fatti salire sui camion”
panieraio acrobata domatore di cavalli
autista ambulante violinista ballerina
tutta l’assenza di tracce ritornava reale
gruppetto sulla strada a destra senza parlare
a pochi attimi dalla pioggia
sotto le nuvole spesse basse
inizio di calura in una bella luminosità
è l’inevitabile fascino discreto
“ci hanno bruciato le roulotte. dentro ci saranno stati
una cinquantina di violini”
su questo adesso vuoto
Clouzot aveva montato un set
girava Il salario della paura voleva
dare al campo un’aria messicana
“non so bene a cosa serva raccontare”
ci si può chiedere perché nell’agosto del 1944
gli aerei alleati abbiano mitragliato
questo campo di concentramento per zingari
ma ci si chiede perché gli alleati
non abbiano mai distrutto le ferrovie
che portavano ai campi nazisti di sterminio
più in là lo stordente asilo nido delle Sante Marie
circondato da recinti fangosi pieni di cavalli sellati
*
appena sotto una ripugnante apertura
bozzolo sfondato tettoia sventrata si vedono
le tubature deformate il cemento esploso
questo buio totale che buca il bianco marcio
è una donna immobile le braccia lungo il corpo
si pensa oratorio non si sa
ripetizione silenziosa in un disastro
sotto polvere di cosa
assassinio di Poolam Devi il 25 luglio 2001
arrivo discreto del gioco Caram
entrata in scena del rosso pantera
apparizione di una donna bionda forse Venere
è virtuale ma il suo volto sorge
*
quando ti abbiamo detto addio
pensavi a cosa in compagnia di quello sbronzo
portavi forse con te il nostro assemblaggio di parole
o avevi lasciato sulla tavola un pacchetto appropriato
pieno di resti da buttare
storie dicerie dichiarazioni
al nostro ritorno dal lago imbecille
quella donna dal maglione rosso che voltava il capo
per evitarci mentre passavamo tenendo un cane per il collo
come un lungo sacco magro
cosa cercava per terra
un guinzaglio? tracce? monetine?
*
e cos’altro
il suolo è mite in questa città in questa casa
sul bordo del divano si mordicchia le unghie
la piccola pronta per uscire
orecchie e fronte cinte di feltro
rimordicchia ma chi è entrato chi c’è
nessuno “sai benissimo che sono morta”
che strana risonanza d’improvviso
nella città una dolcezza particolare
una busta piccola cappa leggera
dissimula ingenua il volto dell’ombra
torna così lanuginosa a luglio
ovunque qui nel paese
sì ciò che ci avvolge è torrido
soave a volte
*
foglie dorate morte sulla Bunderstrasse
merda spalmata sulla porta dell’Institut Français
chi più indesiderabile
la pittrice volgare Leitner
o la scagazzatrice errante sconosciuta
alla presa della Bastiglia gli ufficiali
sono stati smembrati i pezzi divisi
mangiati in vari quartieri di Parigi
questo dettaglio rivoluzionario forte
mi disgusta tanto quanto il progetto
clonazione di maiali senza occhi
programma di sovralimentazione
*
così come il mercato delle donne di Reeperbahn
esposte nude in box da allevamento
come maiali senza occhi
in recinti a vetri pratici
per la valutazione dei corpi
esame dei volti e delle bocche
rotondità delle anche prominenza del ventre
sagoma delle gambe linea dei lombi
tenuta dei seni modellato delle natiche
tutti i tagli sono buoni
*
le voci cambiano i modi di suonare
ciò che esce dalla gola non ancora dalla bocca
ciò che è tra le labbra sulla punta della ingua
e il timbro un’altra stagione
seduta non vomitata un’altra coloratura
niente amplificazione niente scene
una tinta raschiata un po’ sospesa
non avvicinabile inverificabile
va bene, non una favola, una volta tanto
adesso non arriva tutto in un colpo
be’ è un racconto senza storia
continua a passare tra
il bianco freddo dei denti
sotto il rosa moribondo delle labbra
nel fumo muto delle esplosioni
*
è una spiegazione senza necessità
una mania triste un pensiero triste
ed è da ballare un nome africano
ascoltate bene è un tango
scricchiola e trema da ogni parte
ma nei momenti di calma si percepiscono
i corni e gli archi vedere
siamo nella foresta
indicazione semplice come
“caduta massi” “pericolo ghiaccio”
tutte situazioni regolari
quando invece “fossa comune”
è una situazione particolare
mal accetta per via di comune la fossa
*
in questa successione senza rapporti di tempi
grida gioiose e scossoni
passaggi di bolidi su una strada vuota
viaggiatori in piedi dietro gesticolano
scuotono i capelli è una festa dilagante
le urla sgorgano dalle automobili
occupate dagli assassini di Allende
la paura persiste sulla terrazza
riconosco inchiodata a un’asse
la maschera blu e nera e larga
la bocca da cui escono le risa
*
in percezione rapida è una stanza
mobili un corridoio porte
un incontro
cambia tutto compartimento casella per cervello
va da parte-leggero a se-ne-va-leggero
stessa truppa ridanciana ridente una sala
non le si sentono le si vedono le risa
fatto, è deciso se-ne-va-leggero alias
strizza su lupi e danza
una volta ammesso si passa a un assieme
la stanza liberata
dal residente provvisorio
*
in un angolo loro due soli
lacrime per se-ne-va-leggero
lei lo stringe a sé lo calma
lei lo piazza su una bella sedia
davanti alla finestra a due battenti
aperta al sole su stradina cammino
che costeggia un muro coperto di verde
sabbia semplice un po’ di pendio
una grande chiarità offerta
se-ne-va-leggero è un annuncio
un programma di viaggio
*
dormo in un sudore estraneo
svegliarsi permette di fuggire il velo
ad occhi aperti sottomessi al miscuglio
sulla carta voltata è la figura del gatto
la sua carne è dolce e buona nell’oscurità
ciò che sta tranquillo non si deve toccare
*
testi tratti da Comme ça, POL, 2003. Prima edizione in “Trame” 8/9, 2004, p. 153-183.
molto bene