Gli artisti di quartiere a difesa della collettività: la storia di via Roma, Reggio Emilia
di Irene Russo
C’è una via Roma quasi in ogni città di Italia, c’è una via Roma speciale a Reggio Emilia. Questa storia può aiutarci a immaginare che si può vivere bene ovunque, se i cittadini escono dalle proprie case e cercano la felicità negli spazi pubblici, nei progetti comuni, nelle case degli altri.
In via Roma a Reggio Emilia i cittadini condividono progetti e servizi, ma soprattutto l’utopia di una città ideale dove la creatività genera relazioni di fiducia. Da un approccio artistico e divergente ricavano la risposta alle istanze strettamente sociali.
Proviamo a chiederci se la creatività può contribuire a costruire una società coesa, fondata sulla convivenza e gli scambi tra persone diverse per età, cultura, provenienza. E se, viceversa, un quartiere coeso può essere uno stimolo per le persone creative, attratte per loro natura da quei luoghi del mondo favorevoli all’ispirazione. Quesiti che possono trovare risposta nell’esperienza dei cittadini di via Roma a Reggio Emilia, e probabilmente in tante altre piccole storie più o meno note che si nascondono nelle strade del nostro Paese.
Una via “degradata” si è trasformata in un laboratorio di innovazione
Via Roma a Reggio Emilia è una strada del centro storico dove i richiedenti asilo vivono in hotel fatiscenti e i creativi organizzano mostre d’arte in luoghi insoliti, dalle lavanderie ai distributori automatici. Fino a metà del Novecento la via era abitata dal Popolo Giusto, una schiera di indigenti solidali che – secondo i racconti – rubavano ai ricchi per dare ai poveri. Poi è arrivata l’ondata di migranti che l’ha elevata alle cronache locali per questioni di risse e spacci. Ma, come scrive il geostorico Antonio Canovi, “Il degrado è una componente fondamentale del processo di metabolismo che determina accrescimento, rinnovamento e mantenimento degli organismi viventi. E il metabolismo di via Roma non ha mai smesso di lavorare”.
Oggi via Roma è un laboratorio di innovazione sociale che conserva un’anima popolare e accogliente, senza rinnegare il proprio passato. Il cambiamento ha preso forma attorno a una piccola impresa collettiva: organizzare una costola del festival cittadino “Fotografia Europea”, che nei cortili e nelle case private trova la sua dimensione più vivace e underground. Da cinque anni, il quartiere si anima grazie al lungo lavoro volontario di professionisti e artisti, attirando migliaia di appassionati in cerca di atmosfere coinvolgenti fuori dallo spirito delle gallerie.
Ma in via Roma si viene anche nel resto dell’anno, perché sono tornate le osterie e si sono moltiplicati gli eventi culturali. In cinquecento metri si allineano botteghe locali ed etniche, istituti superiori, la scuola di Comics, la Camera del Lavoro, l’osteria Ghirba gestita da una decina di donne, bar e locali notturni da cui si può osservare la vita di una città normale, poco frequentata dai turisti, molto apprezzata dai viaggiatori che arrivano senza aspettative e si lasciano sorprendere da un’atmosfera felice anche senza clamori.
Un piccolo orto condiviso ospita frutti che appartengono a tutti, non solo a chi li coltiva. Coinvolti nel progetto, i richiedenti asilo si impegnano a seminare pur non avendo la certezza di poter rimanere così a lungo da raccogliere. E ad agosto sono loro gli unici a prendersi cura delle piante, mentre gli altri vanno in villeggiatura. In via Roma ognuno trova il proprio posto. “Il suo fascino”, scrive sempre Canovi, “è di essere un quartiere non tanto premoderno quanto piuttosto antimoderno: quello che succede qui in occasione di Fotografia Europea, ma anche in altri momenti, è la rivelazione di una sorta di intelligenza collettiva che anima un nuovo popolo giusto”.
La creatività favorisce la coesione sociale
Cosa c’entrano la creatività, l’arte, con la coesione sociale? L’arte contemporanea oggi non ha bisogno di opere tangibili per essere apprezzata, ma può assumere il mondo come tela. Christian Caliandro immagina un nuovo ruolo per l’artista, che potrebbe “sognare di cedere importanti quote e gradienti di autorialità a favore di un processo culturale dal basso, che abbia a che fare davvero con una comunità e con le sue istanze e con le sue esigenze profonde (non presunte) e con le sue vocazioni” e quindi mettersi in testa “di far venir fuori da tutto questo un’opera collettiva che magari non sembra più neanche un’opera ma proprio un pezzo di esistenza quotidiana (di quartiere, di città, di educazione, di urbanistica, di cinema, di letteratura, ecc.), dedicandosi a costruire una grande e funzionante infrastruttura di relazioni umane e trasferendo lì (lì dove è sempre stata, o dove sempre avrebbe dovuto essere: nel territorio dell’umanità) la sua dimensione autoriale”.
Il piccolo miracolo di via Roma si è costruito per la convergenza di alcune circostanze favorevoli. Il quartiere è abitato e frequentato da persone non autoctone, che vi sono approdate senza una rete sociale a fare da cuscinetto per la propria migrazione. Persone motivate a ricostruire una sfera di legami che li rendono più forti e integrati. Persone che cercano occasioni di riscatto da condizioni precedenti. Persone che possono inaugurare nuovi filoni creativi, originali e dirompenti, perché non ancorati al passato e alla tradizione. Forse perché gli immigrati devono dimostrare qualcosa e vivono esperienze diversificanti, ovvero “eventi o situazioni molto inusuali e inaspettati che sono attivamente sperimentati e spingono l’individuo al di fuori del campo della ‘normalità’”, secondo la definizione della psicologa Simone Ritter.
In parte, come spesso accade nei quartieri “alternativi”, si tratta di persone creative: non necessariamente artisti e talenti, ma in generale persone sensibili ai problemi, flessibili, capaci di strutturare in modo nuovo le proprie esperienze. Oggi consideriamo la creatività come un processo intellettuale divergente rispetto al normale processo logico astratto: è per questo che la creatività offre molte chances in più per affrontare problemi ordinari o straordinari… e risolverli.
Scrive E. Weiner in Geografia del genio: “Gli artisti sono più sensibili degli altri, importano la sofferenze di un mondo imperfetto, la processano, la riformulano come arte e la esportano, alleviando la loro tristezza e aumentando il nostro piacere. Un esempio di simbiosi perfetta”.
La creatività permette di guardare lontano, oltre la lite di condominio e le classiche lamentele del comitato di quartiere. La creatività è immaginazione: quando le comunità sono capaci di una visione a lungo termine, riescono a intravedere il risultato oltre i propri sforzi. Nei lunghi preparativi di un festival, la coesione sociale si crea perché le persone si incontrano e lavorano insieme. Sudare sullo stesso metro quadro fa sentire tutti più vicini.
Ma c’è di più: i linguaggi creativi costruiscono il racconto degli eventi e dei loro retroscena, rendendolo più visibili per il pubblico e per la stessa comunità. Prendiamo appunto il caso di via Roma: le rassegne, i festival e i progetti diventano storie per il sito, il giornale di quartiere, i profili social, le conferenze stampa, i blogtour, i flipbook per bambini. C’è perfino una app che permette di citofonare virtualmente agli abitanti della strada per conoscere le loro storie (l’app “Via Roma Trip” si può scaricare gratis, per iOs o Android). Media e linguaggi che compongono un racconto crossmediale molto diversificato, ma al contempo veicolano un’idea comune di società.
La coesione sociale favorisce la creatività
La creatività trova il suo habitat ideale dove succedono cose inaspettate e circola un discreto numero di personaggi stravaganti. Ci sono tante storie di incontro dentro un grande contenitore di coesione sociale come via Roma. Alcuni esempi? I fotografi francesi aiutano i richiedenti asilo a esprimere la propria idea di bellezza. La parrucchiera sudamericana presta il negozio per organizzare un dj set. I ragazzi sinti suonano la chitarra durante un vernissage. La signora Giuliana mostra le foto dei suoi morti durante un tour teatrale nelle case private. I blogger di viaggi si ritrovano in osteria per preparare il nuovo numero di una rivista. La blogger americana impara a “chiudere” i cappelletti.
E poi in via Roma ci sono i bar, che non hanno l’atmosfera dei caffè viennesi ma sono buoni luoghi di incontro dove scambiarsi idee in modo informale. Molti artisti e pensatori ne hanno bisogno per fare il pieno di socialità prima di ritirarsi nella solitudine creativa.
Le residenze d’artista come antidoto al provincialismo
Via Roma è il cuore alternativo di una città di medie dimensioni, troppo piccola per concedere evasioni da flâneur. L’antidoto al provincialismo è l’introduzione dell’elemento “alieno”: ogni anno gli abitanti invitano alcuni artisti a trascorrere una settimana come ospiti del quartiere, mentre gli esercizi commerciali della via aggiungono alcuni benefit, dal taglio gratuito di capelli dal barbiere o dalla parrucchiera, al servizio lavanderia o a un buono colazione, un pasto o un piatto di cappelletti presso i ristoranti. La formula della residenza d’artista è diffusa un po’ ovunque, ma in via Roma si traduce in una relazione di vera e propria ospitalità. Quando arriva, ogni ospite scombina le carte e offre nuovi spunti.
Gli abitanti ci tengono a condividere questa esperienza con chiunque sia interessato, così organizzano eventi pubblici aperti alla cittadinanza. Via Roma non vuole essere un’oasi nel deserto, ma un’esperienza replicabile, un invito a sperimentare in altri contesti. Nel mondo dell’arte si parla sempre più spesso di secret concert, di esposizioni di artisti nelle case private, di catering riservati, contesti nei quali la condivisone non è pubblica. In questo scenario, Via Roma vuole configurarsi come un contesto che offre possibilità di ricerca, aperto ma non evidente, accessibile ma non scontato. Un contesto che non coinvolga solo un’élite, ma riesca ad attirare persone diverse, curiose e interessate.
L’ideologia della fiducia contro il clima della diffidenza
I tempi sono cambiati e la sfida della fiducia appare ancora più difficile. Da un lato preme un home enterteiment sempre più sofisticato (ciascuno guarda le vite degli altri sullo schermo di un tablet), dall’altro tuonano le voci minacciose di chi predica la diffidenza e l’esclusione. Qual è la strada di via Roma? Ora che non c’è più la necessità di consolidare legami di fiducia al proprio interno, è interessante vedere cosa sceglie la comunità anche in relazione al contesto esterno.
Intanto, il gruppo informale che ha lavorato in questi anni al progetto ha costituito l’associazione “Via Roma Zero”. Come a sottolineare che si è sempre all’inizio, non si è fatto ancora abbastanza né si può dare nulla per scontato. “Zero” è il numero civico di chiunque si senta parte di via Roma anche senza possedervi una casa, per il profondo bisogno di legarsi a un territorio in cui si riconosce. Dove le cose in comune non emergono dagli algoritmi di una profilazione digitale, ma dalla buona abitudine di salutare per strada anche chi non ci assomiglia.
Questi tempi duri richiedono una grande giovinezza interiore e lo stupore dei bambini per contrapporsi ai balbettii di un pensiero conservatore e regressivo.
Per saperne di più
Pagina Facebook Via Roma, Reggio Emilia
Fotografia Europea in via Roma sul sito della biosteria Ghirba
Articolo della blogger Alyssa Ramos (in inglese)
Per partecipare a Fotografia Europea in via Roma (12-14 aprile 2019), scrivi una mail a cittadiniviaroma@gmail.com