Chilografia di Domitilla Pirro
di Marco Renzi
Tutto comincia col sangue che «s’addensa in fili e grumi», con la materia che sarà il filo conduttore dell’intero romanzo assieme al peso di Palma, Mina per i famigliari e Palla per le perfide cape scout. Anche la numerazione dei capitoli è scandita dai chili della protagonista: da embrione di pochi grammi nelle prime pagine fino al quintale e mezzo delle ultime, il lettore percorre con lei le tappe del suo disagio, le risalite, le conquiste e i grandi capitomboli. Già, perché la burrasca è sempre all’orizzonte: del resto, la famiglia non è delle più equilibrate.
Mamma Stefania in fondo fa quel che può, ma la sua incertezza e la sua immaturità la precedono; e lo stesso vale per il padre, Sauro, in seguito allontanato da Stefania per far posto a un altro uomo. Clara, all’apparenza la sorella perfetta, ha nei confronti di Palma un atteggiamento freddo e indifferente: si dimostra in effetti la sorella che nessuno vorrebbe; almeno non quando uno è consapevole d’esser tutto men che perfetto.
Durante la sua parentesi da ragazza normopeso, Palma incontrerà Giulio, col quale le cose non andranno bene: il cibo allora sarà per lei di nuovo un rifugio. Ma per scappare del tutto, Palma si creerà un alter-ego grazie al gioco per PC Simcity, per un po’ di tempo il suo mondo parallelo, e nel quale conoscerà Tato76. Con lui approfondirà la conoscenza tramite un sito per amanti dell’adipe: Angelo, questo il nome che si nasconde dietro al nick, al contrario di molti, è attratto dal suo peso, ne è sessualmente stimolato.
La loro conoscenza, in breve trasmigrata dal virtuale al reale, li porterà prima a una relazione idilliaca e dopo a una convivenza che pian piano, per Palma, si farà sempre più prossima a una prigionia. Angelo rivela infatti una natura morbosa, violenta; un attaccamento alla donna e alla sua grassezza che pare un rovesciamento del cacciatore di anoressiche messo in scena da Garrone in Primo amore.
Palma troverà quindi un modo per reagire a tutto ciò, per uscire dall’angosciosa spirale di sottomissione all’interno della quale è finita.
Diario vorace di Palla, così recita il sottotitolo del libro; un sottotitolo fuorviante, dato che il romanzo non è né un diario né tanto meno una narrazione in prima persona. C’è però un narratore esterno che non abbandona mai il suo personaggio; lo segue in ogni difficoltà, nell’inadeguatezza che segna al principio il suo essere bambina, ragazza e poi donna; il suo essere figlia e sorella, videogiocatrice, amica virtuale e fidanzata; ma soprattutto il suo essere grassa, vera causa e conseguenza di ogni inquietudine.
Domitilla Pirro dipinge un complesso ritratto di donna e non si ferma alla superficie del problema: la immette sin da subito in un sistema conflittuale, all’interno di una famiglia disfunzionale, ovvero un topos col quale è facile perdersi nei cliché, ma che in Chilografia ritrova davvero il suo senso, grazie a caratteri ben delineati, antieroi a loro modo sempre e comunque perdenti.
Come l’eroina di un videogioco, Palma dovrà combattere e sconfiggere i mostri che incontrerà a ogni livello, siano questi demoni interiori o in carne e ossa; dovrà lottare col suo corpo, poiché il corpo è il guscio dal quale vorrebbe fuggire, provando a dimagrire e riscrivendo se stessa all’interno di Simcity.
Anche a questo giro, Effequ fa uscire un romanzo, com’era stato per Cereali al neon di Sergio Oricci, che fa dialogare il corporeo con l’incorporeo; o meglio, che mette al centro il corpo accostandolo a strumenti che rimandano a una realtà virtuale. Se Oricci guardava alla contemporaneità attraverso il corpo dell’artista Silvano Rei, le cui installazioni visive digitali lo facevano saltare da una esperienza all’altra, Pirro invece si sofferma su un passato recente che parla anche all’oggi, dando ancor più risalto alla materia primordiale, alle viscere, alle budella, al cibo, alla digestione, al colore rosso vivo o scuro del sangue.
Lo stile è senz’altro uno dei punti di forza di Chilografia, ed è la stretta connessione tra forma e sostanza, realizzata per mezzo della varietà dei registri, a far fare al testo il salto di qualità. La lingua usata da Pirro è un italiano imperfetto ma quanto mai vivace: fa a cazzotti col dialetto romanesco e mescola l’alto col basso, lo splendido linguaggio infantile e le parole difettose delle chat, il tutto inframezzato dall’esasperato e viziato lessico famigliare. Una prosa ricca, articolata; ottima per descrivere l’eccesso di certe immagini e per dar vita al corpo sgraziato di Palma: una Pantagruel in miniatura, protagonista di un racconto tanto doloroso quanto divertente, disturbante e a tratti dolcissimo, e che di certo un lettore attento non potrà lasciarsi sfuggire.