Da “Il quaderno cinese”

di Ron Silliman

traduzione di Massimiliano Manganelli

(Presentiamo un estratto del volume bilingue inglese-italiano, The Chinese Notebook / Il quaderno cinese, uscito per Benway Series, [1986] 2019.)

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  1. E se la scrittura servisse a rappresentare tutte le possibilità del pensiero, e nonostante questo qualcuno potesse o volesse scrivere soltanto in particolari condizioni, in particolari stati mentali?
  2. Ho visto poesie considerate o percepite come dense e difficili da portare a termine, diventare ariose e “leggere” una volta riposizionate sulla pagina, su un piano bidimensionale. Quest’operazione, quanto altera il contenuto?
  3. Certe forme di “cattiva” poesia sono interessanti perché la scrittura, quando è inetta, blocca la referenzialità e rivolta le parole e le frasi contro sé stesse, un’autonomia del linguaggio, questa, che caratterizza la scrittura “migliore”. Ci sono particolarmente portate alcune forme di surrealismo sciatto o di scrittura automatica pseudo-beat.
  4. La proposizione artistica designata.
  5. Si può usare l’intrinseca referenzialità delle proposizioni come certi artisti “pop” (penso qui a Rauschenberg, a Johns, a Rosenquist, ecc.) usavano le immagini, sfruttandole come elementi per una cosiddetta composizione astratta.
  6. Astratto contro concreto: qui, il vocabolario è fuorviante. Se leggo una frase (o un racconto, o una poesia, o una qualsiasi altra unità) che parla, mettiamo, di un combattimento e mi identifico in uno spettatore o in uno dei contendenti, vivo un’esperienza vicaria. Se, invece, sento, in maniera più marcata, questo linguaggio come un evento, faccio un’esperienza diretta di quello che succede.
  7. Impossibile mettere in parole le aspettative del gatto. Ovvero, l’esempio di Q: il topo ha paura del gatto perché è come se credesse che una certa frase in inglese sia vera. La verità è che non possiamo parlare delle cose, siamo esclusi, dobbiamo limitarci a quello che sta fuori, oppure creare narrazioni risibili e fantasiose.
  8. C’è la storia di uno scimpanzé cui hanno insegnato che certi segni geometrici rappresentano delle parole, per esempio, il triangolo rappresenta un uccello, il cerchio rappresenta l’acqua, e via discorrendo, e quando gli hanno messo davanti un oggetto nuovo, una papera, ha immediatamente composto un nuovo termine, «uccello d’acqua».
  9. Che la scrittura fosse del “parlato” “registrato”. Una generazione catturata da una metafora mista come questa (una metafora che nega la metafora). L’elaborazione delle componenti tecniche della poesia aveva la forza della profezia.
  10. I termini, sono ormai tutti qualcosa di più grande di un segnaposto? Può essere linguaggio una qualunque disposizione di quadrati, se è ben ponderata e se i quadrati sono ordinati secondo una comune teoria dei colori.
  11. I nomi, cosa rivelano? Cosa nascondono?

[…]

  1. «Se guardo una pagina bianca non è mai bianca!» Prova o confuta questa affermazione.
  2. Prima ancora di accettare l’idea di finzione, devi ammettere tutto il resto.
  3. «L’unica cosa che il linguaggio può cambiare è il linguaggio». D’accordo, però, fin quando agiamo in base ai nostri pensieri, agiamo in base alla loro sintassi.
  4. L’ordine di questa stanza è soggetto-verbo-predicato.
  5. Mettiamola in un altro modo: posso utilizzare il linguaggio per cambiare me stesso?
  6. Una volta ho scritto delle storielle per un libro di testo delle scuole elementari. Mi avevano dato una lista di parole con cui lavorare, centinaia e centinaia di termini che mi venivano proposti come il campo di informazione di un qualunque bambino di otto anni. La lista non comprendeva verbi di cambiamento.
  7. «Il tempo è il nemico comune».
  8. I concetti di passato e futuro vengono prima della capacità di concepire la frase.
  9. Alcuni soggetti che erano stati ipnotizzati per dimenticare il passato e il futuro scrivevano parole a intervalli casuali sulla pagina.
  10. Quando è strutturato asintatticamente, il cosiddetto linguaggio non referenziale tende ad alterare la percezione del tempo. Una volta riconosciuto questo, si può iniziare a strutturare l’alterazione. Clark Coolidge, per esempio, in The Maintains adopera il verso, la stanza e la ripetizione. I Three Poems di John Ashbery, non referenziali ma rispettosi della sintassi, non alterano il tempo.
  11. Il difetto della non referenzialità sta nel fatto che le parole sono derivate. Non esistono prima delle loro cause. Persino quando l’origine non è evidente o è dimenticata. Per esempio, la radice di denigrare è «negro». Le parole diventano non referenziali soltanto all’interno di un contesto specifico. Una condizione speciale (cioè non universale o “comune”) come quella del testo poetico, percepito nella sua qualità di discorso registrato per la pagina.
  12. Quand’ero giovane, ci si chiedeva se, una volta spogliata la poesia di tutti gli elementi inessenziali, restasse alla fine una voce o un’immagine. Sembra ormai chiaro che la risposta non è né l’una né l’altra. Come qualsiasi altro linguaggio, anche il testo poetico è un vocabolario e l’insieme delle regole con le quali quest’ultimo viene elaborato.
  13. Ma se l’equazione poesia/linguaggio è quello che andiamo cercando, sorgono nondimeno altre questioni. Per esempio, due poesie dello stesso poeta sono due linguaggi oppure, come sostiene Zukofsky, uno solo? Di Zukofsky, prendiamo dei casi precisi: Catullus, Mantis, Bottom, “A”-12. Non sono quattro vocabolari con quattro insiemi di regole?
  14. Confronta le sezioni 26 e 103.
  15. Se quattro poeti prendessero un testo preciso da cui trarre i termini di una poesia, quello che io chiamo “vocabolario”, e in base a un accordo preventivo ognuno scrivesse una sestina, avremmo comunque quattro linguaggi e non uno, giusto?
  16. Una collina con due cime, oppure due colline. Se riconosco che il linguaggio altera la percezione individuale, e se la naturale conseguenza è che si agisce in maniera diversa a seconda della percezione che si “sceglie”, (ci si abitua, per esempio, a certi percorsi, oppure si pensano determinate persone come vicine e altre no), e se riconosco che questi atti altereranno collettivamente la collina (per esempio, una cima diventa residenziale e borghese, mentre l’altra degrada in un ghetto che sarà in seguito sgomberato per far fronte a un ulteriore “sviluppo”, magari livellando tutto per creare uno spazio industriale); se insomma riconosco la possibilità di tutta questa catena, il paesaggio non diventa quindi una conseguenza diretta del linguaggio? Non è questa, in sostanza, la storia del pianeta? Nel contesto di questa catena, si può davvero affermare che quello che chiamiamo pianeta esiste prima del linguaggio?
  17. Questo significa saltellare. Non c’è alcuna “argomentazione”.
  18. Parigi è in Francia. E Parigi ha sei lettere. Anche la Francia ha sei lettere. E lo stesso vale per l’Egitto, la Russia e la Spagna. Come dovrei rispondere allora alla domanda: «Perché Parigi è Parigi?»
  19. La domanda nella domanda. A cosa si riferisce il punto interrogativo? Se si perde un punto interrogativo, dove va a finire il suo significato? Com’è possibile che la punteggiatura abbia riferimenti multipli o non specifici?
  20. In che senso quello che sto scrivendo sembra prosa? In che senso non lo sembra?
  21. Soltanto la coerenza estetica costituisce il contenuto (è quello che afferma Richard Yates riguardo alla musica). Se si applica il ragionamento alla scrittura, si arriva alla possibilità di una poesia “ricca di significato” come somma di poesie “prive di significato”.

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.