Da “Dire il colore esatto”
[Pubblichiamo alcuni testi del nuovo libro di poesia di Matteo Pelliti, Dire il colore esatto, con disegni di Guido Scarabottolo e prefazione di Fabio Pusterla, Luca Sossella, 2019.]
di Matteo Pelliti
Il cervello del santo
Rubato il cervello del santo, mente portatile sottratta,
grigia materia disanimata che non ammette riscatto,
dice l’arcivescovo: «Invito chi ha sottratto
la reliquia a restituirla senza condizioni,
perché si possa continuare degnamente
a onorare un segno lasciato e conservato
per la devozione e la fede di tutti».
Chissà cosa ha pensato il Santo dell’organo rapito
e se mai traccia di rapimento mistico
ha attraversato i resti, le spire spente
delle sinapsi di Don Giovanni Bosco
quando il trafugatore, per devozione certo interessata,
l’ha poi nascosto tra i ciotoli in cucina,
in una teiera di rame, reliquiario domestico.
Bersi il cervello, si dice, in questi casi.
In un regionale affollato,
da Vernazza a La Spezia,
raccolgo le confessioni
di un anziano avvocato.
Seduto di fronte a me,
le ginocchia che si sfiorano,
scenderà a La Spezia Migliarina:
disegna il bilancio spietato
di un’esistenza e lo espone
a una signora che l’accompagna,
forse un’amica o la sorella.
Settantenne elegante, Lacoste verde,
rivolge a sé critiche dolenti e puntuali.
Soffro con lui, per lui, ad ogni dato
sensibile che srotola, salute,
tre denti bacati, poi gli insuccessi
professionali, le umiliazioni, i complicati
rapporti intra familiari,
infine le delusioni amicali.
Pensavo a questi luoghi letterari
che sono quasi diventati
i lacerti di conversazione captati
sui treni, sui mezzi
pubblici, le vite degli altri,
carne da “status”, come la propria,
in fondo, legati in brevi stringhe di testo.
Nel mentre mi raggiunge la notizia di un corpo
che nello stesso giorno, in altro luogo,
si è lanciato da un viadotto, ed era quello
di un nostro vicino che avresti detto strambo
parlandogli un poco, sulle scale di casa.
Intorno a questo scoglio bianco,
la nostra magnifica e fortunata vita
che ci pare naturalmente propria e dovuta,
vedo il lago di nero petrolio
del dolore degli altri, del mondo incompreso,
allargarsi senza alcun senso.
Come la carneficina lungo la promenade
di Nizza la sera del 14 luglio,
un camion che falcia la folla, cieco.
Solidarietà
Il cranio di un ominide senza denti
segnerebbe l’inizio della solidarietà
a 1,8 milioni di anni fa (o forse due,
mi risuona in testa):
per farlo sopravvivere
avevano a lungo masticato per lui
i suoi ominidi vicini, compagni pietosi.
Lo sento vicino, fratello quasi, e
soprattutto qua “dentro” (leggi: nel web)
dove continuo è il rumore
di mandibole che ruminano
pensieri per gli altri.
Superstizioni
Solo il gatto nero
sa quanta sfortuna
rechi a lui l’uomo
che gli traversa
la strada.
Il medico disegna i reni sul foglio
come due grosse ovaie da cui covo
quest’uovo pleistocenico, fossile,
un sasso di un centimetro incastrato
in fondo all’uretere, sopra la vescica.
La mia cova è questo pietrisco inerte?
E le poesie, allora? E il corpo abitato?
Tu leggi “Reni” per ritrovare motivi
di questo malanno che ostruisce,
dolori non smaltiti, ingiustizie
del mondo calcificate in ciottolo,
in riva al grande fiume che ci abita,
l’urina che mai ci può bagnare
due volte uguali.
La terapia ad ultrasuoni
del tuo canto notturno
applicato al fianco,
spero funzioni a smuoverlo,
nella discesa libera, il sassolino
che ho prodotto e che,
cullandolo, nel condotto
mi tormenta.