Note per uno Story Border
Narcisse Revisited, Caravaggio ?
« Fece alcuni quadretti da lui nello specchio ritratti. Et il primo fu un Bacco con alcuni grappoli d’uve diverse »
Giovanni Baglione su Caravaggio , nelle Le Vite de’ Pittori, Scultori, Architetti, ed Intagliatori del 1642
“Mentre attraversava la strada, diretto verso la farmacia all’angolo, girò involontariamente la testa ( un bagliore gli aveva colpito di rimbalzo la tempia ) e vide – col rapido sorriso con cui salutiamo un arcobaleno o una rosa- che dal furgone stavano scaricando un parallelepipedo di cielo di un bianco accecante, un armadio a specchi su cui, come su uno schermo cinematografico scorreva il riflesso impeccabilmente nitido dei rami, scivolando e oscillando in modo tutt’altro che ligneo: era un vacillare umano, condizionato dalla natura di chi portava quel cielo, quei rami, quella sdrucciolante facciata.”
Vladimir Nabokov, Il dono
Un pittore, Caravaggio e uno scrittore Nabokov, dunque, alle prese con un’esperienza che è ben oltre la semplice visione di un fenomeno. Diciamo pure che quella apparizione di seconda mano, l’immagine riflessa, permetteva l’accesso alle cose nella loro più intima essenza. Come se la cornice, dello specchio, del quadro, rendesse possibile una visione più autenticamente “umana” del mondo. Storicamente fu quando le pareti delle case si sostituirono agli altari delle chiese, che le opere, affreschi, si staccarono dall’immaginario sacro per diventare quadri trasportabili nel quotidiano delle stanze.
A proposito della sua funzione, allora cornice come borderline, vale la pena citare il filosofo Georg Simmel:
Quel che la cornice procura all’opera d’arte è il fatto che essa simboleggi e rafforzi questa doppia funzione del suo confine. Essa esclude l’ambiente circostante, e dunque anche l’osservatore, dall’opera d’arte e contribuisce a porla a quella distanza in cui soltanto essa diventa esteticamente fruibile” (G. Simmel, La cornice del quadro. Un saggio estetico, in I percorsi delle forme, i testi e le teorie, a cura di Maddalena Mazzocut-Mis, Bruno Mondadori, Milano, 1997, p. 210, citato qui
Ciò che accade in ambedue i casi che abbiamo preso in considerazione la si potrebbe definire una rifrazione del flusso vitale, un encadrement di sensazioni, certo, ma soprattutto di esperienza della realtà non più immediata quanto filtrata, tradotta, da qualcos’altro. Ora uno specchio, “la camera ottica” di cui Caravaggio fa un uso quasi scientifico, ora un armadio a specchio, quasi caleidoscopio di una strada in movimento. Quasi caleidoscopio perché la sensazione che si ha è che si tratti di un mondo all’interno dell’occhio e non il contrario.
In altri termini l’encadrement, la messa in cornice dell’opera determina non soltanto il suo isolamento dal resto delle cose, ma in un certo senso ne permette l’apparizione, svolgendo così la sua profonda azione epifanica . Da quando si sono introdotti i maxi schermi alle conferenze il pubblico alza la testa quasi snobbando la presa diretta sugli oratori. Le cose cominciano ad essere nel momento in cui appaiono. In un vecchio ristorante parigino della rue des Vinaigriers, ricordo di come José Muñoz, il grande fumettaro argentino, mentre mi raccontava di una ragazza russa emigrata a Buenos Aires, di cui, lui poco più che bambino era innamorato, scarabocchiava sulla tovaglia di carta, delle cose, senza mai abbassare lo sguardo. Quando ci alzammo per andare via, diedi un’occhiata a quegli scarabocchi. Un profilo di ragazza, una caviglia sormontata da uno scaldamuscoli, per ballerine, una macchina enorme nordamericana da cui si poteva indovinare la famiglia. La tavola, è il caso di dire, valeva ognuna delle parole dette. La cornice lasciava “apparire” la verità di quell’insieme di emozioni, sensazioni che determinano la potenza di un incontro. infatti la potenza delle figure si pone alla stregua di un processo iniziatico ai più complessi mondi della scrittura e della lettura. Così il bambino legge le storie attraverso le figure come gli italiani scoprirono nella fase di alfabetizzazione di massa del secondo dopoguerra, i rotocalchi e i fotoromanzi, per una grammatica che è essenzialmente montaggio e sequenze di scene.
Possiamo allora affermare che ogni rappresentazione della realtà si confronta con questa esperienza duplice del limite. Limite che se da una parte isola, esclude, dall’altra determina, territorializza un campo, lo rende ovvero praticabile. E questo campo lo possiamo chiamare racconto. Il racconto, Récit, in francese così pericolosamente vicino alla nostra parola Recita, nella nostra tradizione si impone dal principio come racconto a cornice, ovvero “polittico” in cui se da una parte ogni racconto aveva una sua autonomia, dall’altra ognuna di quelle narrazioni si inserivano in un tempo o in uno spazio comune, come fu il caso del Decameron di Boccaccio o di Miguel de Cervantes con le sue Novelas ejemplares. E perché non pensare alla Bibbia?
Raccontare una storia. Ricordo di un’intervista alla televisione fatta a Marcello Mastroianni in cui l’attore raccontava di come un giorno, in una mattinata di sole e spiaggia, avesse osato chiedere al Maestro Federico Fellini il copione per il nuovo film. “Non c’è copione” risponde Felllini “per ora c’è soltanto il soggetto”. Gli chiede allora di dare un’occhiata al soggetto e il Maestro gli porge un bloc notes con abbozzati alcuni disegni. La storia, il film, era tutta in quei disegni.
Ci sono infiniti modi per raccontare una storia. E poco importa quanto sia sperimentata la scrittura, sicura la voce, ferma la mano, elegante o sporco il tratto. Certamente non ci sono frontiere alle storie e tanto meno generi in cui chiudere a chiave il talento, le visioni. Un linguaggio si nutre di ogni lingua possibile, e perché sia plausibile una polifonia abbisogna di più voci. Quando in quasi tutti i paesi d’Europa esplodeva il genere Romanzo, gli italiani, suscitando le ire della Maestrina de Staël, se ne andavano all’Opera. E già, eppure quando Victor Hugo andò a vedersi la prima del Rigoletto non poteva capacitarsi del fatto che nel Quartetto del terzo atto, Verdi fosse riuscito a far parlare quattro personaggi simultaneamente in modo che il pubblico percepisse parole e sentimenti di ognuno. Cosa che nessun romanziere avrebbe mai potuto fare.
Strana e meravigliosa allora l’arte del racconto. Quando “la chose” è lì, davanti ai nostri occhi, eterna, immortale, fissata per sempre sulla pagina stampata di un libro polveroso e prezioso, o in una cornice, d’improvviso muta, si trasforma in qualcosa d’altro eppure straordinariamente la stessa. Chi avrebbe mai potuto immaginare che l’incipit di uno dei più bei romanzi della nostra tradizione, Il Maestro e Margherita potesse essere cantata da Mick Jagger con Keith Richards alla chitarra?
Mi piace allora pensare che la sorpresa di coloro che hanno partecipato con la scrittura al progetto di Blog e Nuvole, quando hanno visto i loro racconti tradotti in fumetti dai migliori disegnatori italiani, sia stata qualcosa di simile alla meraviglia che avrebbe sicuramente provato Bulgakov nell’ascoltare l’attacco di Sympathy for the devil, Please allow me to introduce myself I’m a man of wealth and taste ».
Uno stupore non lontano da quello che José Muñoz, mi diceva di vivere ogni volta che nasceva un nuovo progetto insieme a Sampajo, autore dei testi.
“Un caso di schizofrenia riuscita, prima eravamo come una sola persona, che è stata separata in due. Ma ci siamo ritrovati e i nostri segni, parole, gesti, finzioni diventano la nostra amicizia – con tutta la meraviglia che i nostri stessi giocattoli ci procurano – si mescolano nella fucina di un unico autore.” mi disse una volta.
*Alcune delle cose che dirò alla tavola rotonda che si terrà domani.
Centrogiovane alle Colonne – Piazza San Lorenzo, 45 – Milano primo piano
14 Luglio 2009 – Ore 18.00
L’incontro è aperto al pubblico.
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certo che nabokov – e mi scuso con i suoi ammiratori – avrebbe avuto bisogno di un editor…:-)
Franz ma come!!!
effeffe
molto convincente, effeffe, come t’ho detto, una bella tesi chiara e distinta. Una volta una simpaticissima studentessa mi portò all’esame il mio libro riraccontato in una ventina di pagine a fumetti, una meraviglia. Passò l’esame con un ottimo voto.
C’è u problema a monte, Francesco, e cioè che il Narciso non è opera di Caravaggio, ma dello Spadarino. Questo lo si è potuto verificare con certezza durante le analisi di laboratorio che vennero presentate alla mostra fiorentina “Come nascono i capolavori del Caravaggio”, credo del ’91 o giù di lì, che fu ottimamente curata da Mina Gregori. Quelle analisi evidenziarono come Caravaggio non realizzasse disegni preparatori (e tutte le fonti dell’epoca lo confermano), bensì praticasse alcune incisioni col retro del pennello a contornare i punti salienti di tutte le sue raffigurazioni. Il Narciso ne è privo, ergo non è suo.
[…] completo fonte: Note per uno Story Border posted under Film, News, Persone, Rai, Soubrette, […]
grazie sergio, correggo la didascalia. Avrei potuto usare il Bacco, opera legata alle considerazioni che sono al principio – il pezzo infatti non si riferisce al Narciso – ma non avevo vino in casa! Il Narciso mi era parso pertinente per quell’azione speculare dello sguardo. Comunque grazie per la nota.
Per ricambiare ti porto al Pio Monte della Misericordia e ce ne restiamo per una mezza giornata ai piedi delle sette opere di misericordia del Caravage.
effeffe
Vi prego di scusare la mia ignoranza.
Non conosco bene l’inglese.
Cos’e’ uno story border?
Il confine, il bordo, il limite di una storia?
Un termine derivato da storyboard?
Lo so, non ha senso leggere le cose che non si capiscono.
Ma allora non dovrei leggere quasi nulla.
bravo antonio! proprio così, story border come storia del limite, con un riferimento alle story board usate per il cinema. vedi che ha senso leggere le cose che si capiscono?
vota Antonio mi raccomando
effeffe
avevo letto di questa ttribuzione del narciso allo spadarino.
e mi era venuto in mente quanto contasse che non fosse di caravaggio visto che nell’immaginario collettivo lo e’ cosi’ tanto. e’ piu’ caravaggio di caravaggio, piu’ attaccabrighe di merisi, e pure piu’ fermo della madonna morta.
… io quando mi alzo per andare via dalla rete do sempre un’occhiata agli scarabocchi di forlani… un profilo di ragazza, una caviglia sormontata da uno scaldamuscoli per ballerine, l’ennesima comparazione pop e dandy che rinfresca la mattinata afosa…
…un casco da motociclista :-)
effeffe
ps
Sergio, sei in linea? Che tu sappia, questa è ‘unica attribuzione “contestata” del mitico Roberto Longhi visto che fu lui, a due riprese, a ritenerla del Caravaggio?
@Sergio Garufi
Scusi ho capito bene? .. il fatto che non vi siano le incisioni fatte con il retro del pennello e’ considerata una prova determinante?.. ma veramente?.. ma un pittore non puo’ cambiare le sue abitudini?..
..ma non sarà l’unica prova… vero?
No, non è l’unica. Diciamo che il silenzio totale delle fonti contemporanee (l’opera viene citata solo nel 1645, quando le attribuzioni di dipinti anonimi al Caravaggio sono migliaia a fronte di un catalogo di poco più di 100), l’assenza sia di incisioni che di pentimenti (in un artista che dipingeva senza disegni preparatori) e l’analisi stilistica (la rigidità delle braccia, il decoro della veste grossolano, gli sbuffi inamidati delle maniche) autorizzano più di un sospetto. Sono prove indiziarie, certo, ma numerose e concordanti.
Cappero, grazie, che delusione..
.. certo che la doppia immagine data dal riflesso dell’immagine sull’acqua era una bella idea, innovativa per l’epoca se non sbaglio?…. e poi l’illuminazione del ginocchio..
.. ma ..ma la rigidità delle braccia non e’ data dal fatto che il Narciso si regge sporgendosi sopra il velo dell’acqua?.. non non potrebbe essere una prova a favore del Merisi?..
.. va bè non stia li a rispondermi ..