Terra ! – Alessio Arena
Una ferita nella terra ecco il mio quartiere
di
Alessio Arena
Da sopra al ponte la Sanità è come una grande gabbia, nel petto squarciato della città un cuore che ha subito infiniti trapianti e adesso si sbatte solo lui, come un’ anguilla il giorno di Natale. Attraverso le grate del ponte, come al di là di un filo spinato che separa i prigionieri dai sicari, ci vedi la capa a cucuzziello della chiesa di San Vincenzo, prigioniera pure lei, che da poco le hanno fatto una lavata di faccia ma mica si vede da qua sopra, no, da sopra al ponte il quartiere lo vedi come un buco enorme, una ferita nella terra con punti di sutura segnati qua e là dalle antenne paraboliche, dalle scale che salgono e scendono, dai balconi balconcini loggette terrazzi ripostigli e vinelle che si buttano una addosso a un’ altra. A un ragazzino della Sanità il prete direbbe che il guaio lo fecero i francesi, Murat che fece costruire quel ponte perché il re arrivasse alla sua reggia senza farsi tutta quella strada, la scalata dello Scudillo, in mezzo a tutta quella gente.
Fecero il guaio perché dopo il ponte né il re né il suo seguito passava più per il quartiere, e allora non si dovevano più stendere le coperte pulite, non si dovevano aggiustare le supponte delle finestre e delle porte, non si doveva aprire più niente, ci avevano chiusi, chiusi dentro a qualcosa che da lontano, dall’ alto, non si vede nemmeno bene che cos’ è.
Un ragazzino della Sanità non lo sa che vive in una scatola nera.
Una di quelle che quando un aereo è caduto poi la vanno a cercare per capire cosa era successo, per trovare tutte le informazioni registrate. Forse è da quando tutta la città ha cominciato a perdere quota, che i segni sono stati marcati a sangue dentro al quartiere, sulla faccia ustionata dalle lampade delle casalinghe cinquantenni, sulle targhe delle macchine parcheggiate sopra allo scalone del Largo Vita, nelle insegne dei negozi con le scritte pure in inglese, o in spagnolo, quasi, senza alcun limite alla depressione esotica, palesemente frustrata, di stare qui ancora per po’ ma poi me ne parto.
E addò vai? A Londra, a Spagna, a Svizzera.
Intanto il ragazzino della Sanità non stava mai troppo tempo a casa, voleva andare a organizzare una partita con i suoi amici nel Bosco di Capodimonte, ma il papà gli ha detto che gli apre la testa semmai viene a saperlo, che il Bosco è pericoloso, ci sono i maniaci che ti portano nella grotta di Maria Cristina. Allora una partita la si fa lo stesso davanti alla chiesa, nella piazzetta, sotto al terrapieno della Villa D’ Agostino, pure se magari poi viene qualcuno che passa a dire che c’ è un brutto movimento, pure se le mamme cominciano a chiamare dai balconi, a fare quelle facce preoccupate, con il telefonino in mano, ma senza usarlo, perché potrebbe stare sotto controllo.
All’ improvviso si chiudono tutte le saracinesche dei negozi, una dopo l’ altra, con un rumore che comincia a essere assordante, l’ ultimo rumore che si sente prima di qualche sparo, qualche urla di donna, e chi s’ è visto s’ è visto.
La partita di calcio domani magari non si fa, tra qualche giorno magari, pure se ci sta quella segatura là a terra, dove stava il sangue di quello che si sono fatti.
Il ragazzino della Sanità fa la scalata della Mirciatella ogni mattina, quando l’ ascensore sta chiuso, per andare verso le scuole del centro. Lui non l’ ha capito mai perché l’ascensore del ponte sta chiuso almeno un giorno alla settimana, non capisce com’ è possibile che non si sia mai bloccato con dentro lui, che ci entra quasi ogni giorno.
Quando la professoressa gli chiede di dove sei, il ragazzino della Sanità probabilmente le dirà di Capodimonte, perché è più facile, suona meglio, e perché dire la verità sarebbe dire troppe cose, dare troppe informazioni, svelare un segreto che è meglio che ti tieni per te. Così facendo, il ragazzino della Sanità non dovrà dire dove stava ieri quando è successa quella cosa lì, se ha visto, se è vicino casa sua. No. Tornando a casa, da sopra al ponte, almeno una volta lui ha visto che le cose stanno tutte in equilibrio, che tutte quelle cose che si vedono attraverso il filo spinato della gabbia fanno meglio a stare ferme lì, immobili, e che è meglio per tutti non fare uscire niente dalla scatola nera, non si sa mai.
Pubblicato su Repubblica — 01 novembre 2009 pagina 1 sezione: NAPOLI
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Quanto dolore. E quanta lucidità.
Alessio Arena ha il dono di dare la parola alla città che ama Napoli. La vedo come un ragazzo sensibile che non ha mai abbandonato il suo vincolo alla strada napoletana, alla lingua che viaggia attraverso il filo spinato del dolore, ha il dono per vibrare con il luogo natale, per creare una musica in nostro cuore. Tocca a noi, adesso, di guadare, di vedere
Napoli altra che la vista abituale nei film o nelle foto di turismo. Siamo anche i ragazzi di Napoli a annusare, a parlare la lingua delle case, dei vicoli.
Bellissimo testo.
la vede / guardare
Il ponte fa passare gli angeli ragazzi di un mondo all’altro, di un quartiere all’altro … al di là del cuore dilaniato della città.
Questo articolo è un appello.La ” tragica poetica ” del ragazzino nella scatola nera, non è un film, è una realtà che esiste IN TEMPO REALE.Le parole di questo articolo hanno i colori di un appello,sono la richiesta urgente del nostro intervento. A forza di dire che ” è un fenomeno locale ormai radicato in una cultura diversa dalla mia….”troppo spesso non facciamo gioco di squadra per partecipare a sradicare ad una realtà che non è inamovibile. Il crederlo non fa che consolidare questo gioco perverso.
La voce di Alessio Arena fa poesia del dolore di una città che lo ha fatto scrittore dalla grande anima narrativa.
La sua “ironia” non ha niente a che vedere con il resto della giovane letteratura napoletana e italiana.
E’ uno di quei dati segreti iscritti nella _Black Box_ della sua terra.
cosa sono le “vinelle”?
quando tu conosci a alessio arena, cioè quando tieni il libro suo sul comodino, ti fumi la sigaretta finale e ti leggi le prima 4, 5 pagine de l’infanzia delle cose, tu ci rimani un poco così, come se ti avessero pigliato a schiaffi dentro al letto prima di prendere sonno.
“ma che scrive questo?”. e ti devi togliere la cenere che ti è caduta sopra al pigiama.
quando hai la fortuna di leggere cosa alessio arena scrive, come lo scrive, vorresti che le parole non finissero mai.
l., un fan sfegatato
1-bella scrittura visiva
2-da quanto tempo non sentivo nominare la grotta di Maria Cristina
3-mi iscrivo subito al fanclub
sapevo che nessuno mi avrebbe detto cos’è una “vinella”.
Forse dal francese venelle : viale stretto. Ma non so.
caro francesco
qui le persone non sono molto gentili, ultimamente :)
non so in passato
se io lo sapessi glielo direi
la seguo sempre sul suo austero blog
lei mi fa stare bene, lo sa?
un bacio
la fu
Francesco,
“a’ venella”, in terronico, è un vicolo.
ci provo a spiegare cos’è una vinella
la vinella è una specie di terrazzo/orto/deposito posta in basso
un luogo all’aperto prospiciente una casa o delle case dove si ammucchiavano cose
tant’è vero che si dice mi pare una vinella di un luogo sporco, pieno di cose
non ho mai letto una spiegazione di vinella
vado sul ricordo di quello che chiamavano vinella
qui le persone sono davvero gentili, forse anche in passato
effeffe
grazie a gianni e a maria luisa.
forse l’autore potrebbe chiarire.
@fu
il mio blog non è “austero”.
cioè: spero di no.
Stavo cercando il tasto “Mi piace” ma poi mi sono reso conto di non essere in Facebook!!!
Sono contente di avere imparato una parola.
Mi sembrava con il contesto che c’era un vincolo con la casa,
ma ho fatto un parallelo con una parola della mia lingua, come so che il napoletano ha colto qualche “bijou” della lingua francese.