La fantasmagoria dell’amore in rete
di Marco Rovelli
La virtualità non è irrealtà, ma solo un’altra forma di realtà. Per un caso qualsiasi, un qualsiasi snodo nella rete, accade di incrociare un’altra persona. Ma “un’altra persona” significa, in rete, essenzialmente “un’altra scrittura”. E quella scrittura ci coglie, ci accoglie, ci chiama. Allora si comincia a camminare per una strada costellata di segni, e si entra nella vita di uno sconosciuto, trascinati solo dalle parole, da un riconoscimento compiuto parola per parola, brano a brano. All’apice della mente (sic), pare di sentire una musica nelle parole dell’altro che fa riconoscere il suono prima che il senso, una musica che si accorda con la forma del vivere, che mostra il ritmo che ognuno ha nel camminare. Ci si legge e si sente la stessa metrica. E allora, accade, ci si sente e ci si desidera. Senza pensare, come invece si dovrebbe, che quel “si” non è reciproco, ma riflessivo. Che nella persona immaginata è proiettata la nostra fantasmagoria di desideri. E allora, sempreché – miracolo su miracolo – non avvenga l’Incarnazione, quei desideri, al contatto con il piano di realtà della quotidianità, implodono e si afflosciano, ripiegandosi sul vuoto che li costituisce. Oppure, ancora peggio, non hanno il coraggio di manifestarsi, mantenendo lo “scrittore” preda perenne delle proprie fantasmagorie. Come capita, ad esempio, in un lieve ma acuto romanzo, Le ho mai raccontato del vento del Nord (Feltrinelli) di Daniel Glattauer, quasi 800mila copie vendute in Germania. Un romanzo epistolare fatto di mail scambiate tra una donna e un uomo, scambio nato da un errore di persona e che è andato a costruire un’intimità soffocante che non può che rivelarsi un vicolo cieco. Glattauer è riuscito a costruire una ragnatela fatta di richiami, avvicinamenti e prese di distanza, la ragnatela paradossale della virtualità, e questa ragnatela scrittoria riesce a prenderti e portarti, in un paio d’ore, alla fine del libro. E ognuno che abbia creduto di riconoscersi in un’altra persona virtuale si riconosce inevitabilmente in questa féerie.
(pubblicato su l’Unità il 23/10/2010)
Mi piace questa riflessione di Marco Rovelli. L’amore viene da una voce, la parola delinea l’anima, la respirazione, la gioia, la tristezza, la sensualità, l’ironia, la dolcezza, la fluidità, la timidità, la passione, la paura. La scrittura dice molto di più. Il corpo stesso entra nella scrittura. L’amore nato dalla scrittura in rete gioca del sogno, di quello che si immagina dell’altro, della sua pelle, del suo odore, del colore degli occhi, della sua presenza. Dietro il commento chi puo sapere che la donna scrivendo ha i capelli rossi, gli occhi un po’ verdi, che ha un corpo femminile; chi puo sapere che l’uomo scrivendo ha gli occhi neri e un volto ancora nell’infanzia. Dalla scrittura solo si puo nascere personaggi di finzione o della nostra storia intima. E’ pericoloso innamorarsi dalla scrittura sola, perché si svela l’intimità e non il corpo fisico. In un vero incontro corpo/anima si penetrano.
Certo, è pericoloso innamorarsi di una voce. Bisogna sempre dare un corpo alla voce che si sente, rischiare. Uscire dal vicolo cieco, insomma, tentare.