La regina della neve (seconda parte)
nella versione quasi fedele di Viviana Scarinci
(la prima parte si può leggere qui.)
Principi, principesse e ragazze virili
Per farla breve Gerda, grazie all’aiuto del corvo e della sua fidanzata viene condotta a una verifica per lei emotivamente distruttiva: il ragazzo che ha sposato, come le ha riferito il corvo, la più intelligente delle principesse disponibili sul mercato delle fiabe, è Kay? A differenza di quel che si dice in giro, non è che ci sia tutta questa disponibilità di vere principesse e Gerda questo lo sapeva bene. Possibile che proprio Kay avesse trovato quel favoloso connubio di intelligenza e nobiltà in una donna, e che ciò lo avesse reso principe?
La scena che conduce Gerda a questa verifica è di una bellezza pari solo a quella raccontata nel mito di Eros e Psiche: condotta furtivamente nei pressi della stanza più segreta del castello che custodisce il talamo dei neosposi, Gerda deve attraversare uno strano e popolato corridoio, prima di entrare nella camera da letto. Sono i sogni degli sposi a popolare quel corridoio limitrofo al sonno: cavalli purosangue, cacce, dame, cavalieri da cui Gerda fu circondata in un attimo. Oddio, pensò, i sogni di Kay potrebbero essere questi … Ma quando Gerda alzò la lampada, esattamente come fece Psiche per finalmente vedere se il suo uomo fosse un mostro o l’amore, lei sapeva già in cuor suo che quelli non potevano essere i sogni di Kay. E infatti principe e principessa erano solamente principe e principessa: due giovani gentili e generosi che quando seppero, invece di cacciare a pedate quella strana ragazza che si era introdotta nottetempo nei loro sogni, la rivestirono di tutto punto e le regalarono una carrozza per andare dove volesse, e ai suoi due fratelli di volo, corvo e cornacchia, ritennero giusto restituire pari libertà.
Ma Gerda è soprattutto un’esule e il nuovo apparecchiamento principesco non è destinato a durare molto. Appena fatta un po’ di strada la nostra subì un’imboscata da parte di briganti che però qui somigliano, invece che a manigoldi d’altri tempi, a orchi, anzi a orchesse. Infatti la più scatenata, quella che subito propone alla banda di fare fuori Gerda per impadronirsi di tutto quel ben di Dio che le avevano donato i principi, è una vecchia brigantessa barbuta che ha per figlia una ragazza assai virile. É il vero capo della banda. Per la verità la ragazza virile è un personaggio molto affascinante, forse il più fascinoso di tutti. Sembra una ragazza viziata e prepotente ma presto vedremo che l’autorità che Andersen le accorda non le arriva dalle sue velleità intimidatorie, né dall’essere figlia di un’orchessa che stravede per lei.
Subito, con prepotenza maschile della peggior specie, la ragazza precisa alla banda, madre compresa, che Gerda è il suo giocattolo e che quindi solo lei può farne quello che vuole. Del resto la fanciulla virile ama così, e lo dimostra a Gerda trattandola come tutto l’esercito di animali piccoli e grandi che tiene imprigionati, qualcuno rinchiuso, qualcun altro recluso per mezzo soltanto del terrore che incute. É il caso di una bellissima renna lappone finita chissà per quale oscura via in mano a quella ragazza.
Uno degli aspetti più avvincenti di questa bambina animale, figlia di brigante, è una forma di rapacità totalmente innata che trapela dal suo essere, che se da una parte la rende un personaggio non spendibile in termini di civiltà e decenza, dall’altra la partecipa di un istinto acuminato rivolto egualmente a cose, animali e persone che, insieme a una sincera sfrenatezza, la fa apparire un personaggio davvero portentoso, quanto regine seppur della neve e principesse, non si sognerebbero neppure.
Questa ragazza che Andersen rappresenta facendo scelte narrative modernissime, è il personaggio della storia che Gerda subisce di più. Sia in termini di paura che di fascinazione. Tuttavia neanche la fanciulla virile riuscirà a fermare Gerda che stavolta è davvero vicina alla meta. Ancora una volta sono gli animali a dare a Gerda una traccia riguardo la sparizione di Kay: Gerda è a letto con la fanciulla virile ed è spaventata. Quella ragazza ha sempre per compagno un coltello, ma non si sa se lo brandisce per giocare o minacciare. Si è già fatta raccontare tutta la storia due volte, come se la vita di Gerda fosse solo una favola. E adesso pretende che Gerda dorma insieme a lei, dopo il racconto. Gerda non sa se morirà o sarà amata, e per la prima volta è perfettamente consapevole di quanto siano equidistanti entrambe le possibilità, come fossero le due facce di una moneta che a un certo punto del proprio viaggio è necessario spendere per intero.
Infatti è proprio a questo punto della storia che i palombi, gli unici animali della brigata che sembrano vivere insieme a quella strana gente per scelta, le rivelano che hanno visto Kay, lo hanno visto passare su una slitta insieme alla regina della neve, probabilmente diretto con lei in Lapponia. Sì, la Lapponia il posto che, per una coincidenza molto curiosa, è anche il luogo d’origine della povera renna che la ragazza virile tiene prigioniera per motivi che non sappiamo e che pure minaccia col coltello, in quanto anch’essa evidentemente, come Gerda, le è estremamente cara. È dalla renna che finalmente apprendiamo qualcosa di importante sulla regina della neve, qualcosa che non somiglia a una chimera o al vagheggiamento innamorato di qualche giovane poeta: la regina della neve è una donna in carne e ossa che vive in Lapponia d’estate, che è originaria non di un paese delle fiabe ma di un luogo vero, l’isola di Spizberg o forse Spitsbergen, ossia le isole Svalbard! Possibile? A ogni buon conto Kay non è sparito, non è morto, ma si trova, forse per sua scelta o forse no, in un luogo vero. E alla luce di questa rivelazione, diventa fondamentale per Gerda capire se Kay è costretto prigioniero all’estremità più gelida del mondo o se in un modo o in un altro si trovi lì come di ritorno a casa.
La mattina successiva, tutto è cambiato. Gerda si risveglia in un letto in cui non è stata uccisa, se la più giovane dei briganti, non solo decide di lasciarla andare, ma le assegna come guida la renna, l’unico essere al mondo che possa condurla dove la bambina desidera veramente andare. Senza una lacrima, e con molta ironia, la fanciulla virile compie il gesto più nobile dei tanti che abbiamo visto fin qui: lascia andare le due creature che le sono più care, e insieme a loro forse l’unica possibilità che una orchessa abbia di differenziarsi dalla brigata turpe che capeggia. Lo fa consapevolmente e senza l’aria di sacrificarsi, diventando così uno dei personaggi più difficili da dimenticare sebbene il destino di Gerda fosse tutt’altro dal brigantaggio.
La visione gotica
Che cos’è una fiaba? Che funzione svolge nell’immaginario di ognuno di noi? Volendo lasciare indisturbate nelle loro sedi le spiegazioni di natura antropologica, sociologica, etnica, la domanda resta quella relativa al legame che ha la fiaba con la poesia, o meglio con l’integrità della persona di cui la poesia è espressione. Karen Blixen, un’altra grande narratrice danese che tra realtà e poesia ha saputo intessere una vera e propria araldica (Nadia Fusini) delle casistiche umane, nelle sue fiabe per adulti rappresenta in filigrana un doppio del reale, un’ultrarealtà che mette finalmente a dimora il seme dell’invisibile dentro il risaputo, rompendo attraverso il linguaggio l’immobilità che talvolta imprigiona i destini, iniziando così il lettore all’imprevedibile. Sortilegio che la Blixen applicò in primo luogo alla sua vita, utilizzando la scrittura come vero e proprio orientamento occulto della sua vicenda personale. Tutto lascia supporre che anche per il suo connazionale Andersen le cose non stessero diversamente, se è vero che un poeta, e Andersen fu soprattutto questo, rimane sempre una sorta di amante rifiutato. Uno sguardo che dal margine del suo isolamento attenta per mezzo della poesia, alle infinite apparenze con cui l’amatissima realtà si mischia, senza che lui la possa quasi mai toccare.
Gerda in groppa alla rena viaggia ormai ad altissima velocità verso la sua meta. Ormai sembra che più nulla la ostacoli, neanche i falsi destini che di volta in volta le si sono frapposti e hanno tentato di trattenerla in storie che non le appartenessero. A questo punto Gerda ha a che fare con due donne che Andersen definisce solo mediante l’area geografica di cui sono espressione. La prima è la donna lappone che vive in una casa la cui porta è quasi sotterrata, frigge il pesce e ascolta con partecipazione le storie delle due creature che le si parano di fronte: una renna parlante, e una bambina intirizzita. E senza stupore, e senza soprattutto antipatici protagonismi, scrive su un pezzo di baccalà, una lettera, forse di raccomandazione, a quella che a tutti gli effetti si dimostra poi una collega finlandese, superiore gerarchicamente per chiaroveggenza. La donna lappone e la donna finlandese sono due streghe.
Così sempre in groppa alla renna Gerda raggiunge l’altra strega che naturalmente già sa tutto. Già sa che a questo punto la storia è finita. Ma né Gerda, né la renna né Kay ancora lo sanno. La finlandese che vive in una casa senza porta e caldissima a dispetto del clima del suo paese, ha la pelle sporca, chissà perché. E legge probabilmente per finta. Legge il pezzo di baccalà inviato dalla collega. Legge da un altro foglio lettere incomprensibili. Quando la renna ingenuamente le chiede se non ha qualche pozione che renda Gerda più forte della donna che le ha rubato il fidanzato, la finlandese sa che nulla che possano dire o stabilire in quel momento ha più alcune senso. E allora si inventa la solfa che grazie ai meriti accumulati durante il viaggio e grazie alla sua purezza di spirito, Gerda è già più forte della gelida maliarda. Molto affrettatamente poi, si sbarazza dei due, dando indicazioni alla renna di condurre Gerda a un cespuglio che segna l’inizio del giardino di un castello di ghiaccio. Lì Kay non è rinchiuso e vive momentaneamente da solo, dato che quella che avrebbe dovuto essere la sua carceriera, se n’è andata per un po’ in Italia, attratta dai fumi del vulcano Etna, che desidera morbidamente imbiancare essendo quello il vulcano più ganzo d’Europa.
Anna Maria Ortese scrive “senza la retorica, nulla di serio o di vero può esser detto, mancando quel falso che è misura e supporto del vero”. Spesso, negli scrittori profondamente collusi con l’irreale, con la favola, con una visione gotica dell’umano, come lo fu Andersen, il depistaggio che questi poeti operano falsificando attraverso il linguaggio, le piste insignificanti, piuttosto che l’ordito di una trama realistica, compone una visione lussureggiante della pura verità. Un tipo di verità che rende assai vero quello su cui una scena quotidiana, di primo acchito silenziosa, risulta magicamente reticente.
… e vissero tutti più o meno felici e contenti
Gerda finalmente incontra Kay. Incontra non il bambino rapito dalla strega più potente del mondo, ma un ragazzo mezzo assiderato, chino da chissà quanto tempo sulla possibilità di comporre un unico lemma. Chiuso da quattro pareti gelide, tanto estraniato da tutto che neanche la riconosce. Certo possiamo anche credere che invece le cose stessero letteralmente come le scrisse Andersen, cioè che la regina della neve partendo per l’Italia, fosse certa che il ragazzo lasciato solo con il suo gioco fatto di tutte le lettere dell’alfabeto, non sarebbe mai stato capace, così assiderato e abbandonato, di evadere, componendo la parola eternità e acquisendo con ciò di colpo l’età adulta, un paio di pattini nuovi e la libertà. O magari possiamo anche ritenere che la responsabilità di tutti questi avvenimenti Andersen l’avesse liquidata a monte con la premessa dello specchio diabolico infranto che aveva deturpato momentaneamente il cuore e la vista del nostro giovane poeta. Ma cosa cambierebbe? Dopo che i due si sono ritrovati, Kay finalmente piange e lava via ogni scheggia diabolica dal suo corpo.
Quasi tutti i personaggi di questa storia, dopo che accade la catarsi del ritrovamento, escono dalle loro vite con sollievo e possono cambiare i destini dentro cui erano costretti perché tutto si compisse. La renna è un maschio che intanto si è sposato e offre ai due ragazzi il latte dai seni della sua giovane signora. Si viene a sapere che il corvo, amico fraterno di Gerda, è passato a miglior vita. Che principe e principessa, dopo l’incontro con la nostra eroina, hanno preso la via del mondo, probabilmente stufi di una favola che li voleva così banalmente buoni e belli. E le due streghe, la lappone e la finlandese , salvata la sorte di quella ragazza sbandata, si sentirono libere di tornarsene due vecchie contadine assai materne, che semplicemente parteggiavano per bonomia nordica in favore della gioventù. Ma più di tutti è la ragazza virile che, finalmente diventata l’avventuriera generosa e solitaria che ci aspettavamo, con una frase lapidaria rivolta a Kay, dice quasi tutto ciò che resta da dire: “Vorrei sapere se lo meriti, che una corra fino alla fine del mondo per te!”
C’è un’altra favola di Andersen incredibilmente significativa che a ben guardare possiede molte tessere che combaciano con questa storia. L’uomo di neve parla di un giovanissimo uomo che similmente a Kay, essendo fatto di neve, ne possiede apparentemente tutte le caratteristiche: il legame con il gelo che cristallizza le sue possibilità di vita in un arco di tempo brevissimo e impossibile da eludere, la capacità di vivere con gli elementi della natura una sorta consanguineità esangue che gli fa intendere la lingua degli animali e l’alternanza di sole e luna, senza davvero capirli, e soprattutto, l’ingenuità delle creature votate a un sogno soltanto. L’uomo di neve nella breve parabola della sua esistenza, si sente sempre strano ed è una sensazione che non sa spiegarsi, che gli fa venire in cuore uno strano languore che scrive Andersen “tutti gli uomini conoscono, se sono fatti di neve”. L’unico desiderio, l’unico sogno dell’uomo di neve è la dissolvenza attraverso il calore di una stufa, impossibile da raggiungere perché è qualcosa che sta agli antipodi del suo gelo eppure che egli sente intimamente propria.
Difficile alla fine immaginare Gerda e Kay, che sono diventati nel frattempo la donna e l’uomo che abbiamo visto, tornare alla loro città, e sedere per gioco sulle loro seggioline di bambini. Una volta di fronte l’uno all’altra, difficile che fossero potuti rimanere lì fermi per sempre in un idillio irrealistico che Andersen prima di tutti, non avrebbe consentito che durasse più del tempo di un frettoloso lieto fino. Andersen avrebbe continuato a raccontarli per sempre, come in effetti ha fatto cambiando di continui titoli e svolte alla sua pirotecnica ricerca della pura verità, attraverso le figure che attribuiva a se stesso e agli altri. Lo avrebbe fatto per sempre, perché come Kay col suo unico lemma, Andersen sapeva fin troppo bene che la ricerca di se stessi “è come se uno stesse lì seduto a esercitarsi su un pezzo senza poterlo mai terminare, sempre lo stesso pezzo. Ha un bel dire che se la caverà, non ci riuscirà mai, per quanto suoni!”
[…] Su Nazione Indiana la seconda e ultima parte di una lunga meditazione su La regina delle nave di H. C. Andersen https://www.nazioneindiana.com/2014/12/08/la-regina-della-neve-seconda-parte/ […]