Da Kiev (#1)
di Giovanni Catelli
Al viaggiatore che arrivi, come sempre, con il Tisza express dalla frontiera del Chop, l’Ucraina, il giorno dopo la vittoria elettorale di Viktor Yushenko, appare la stessa. Ma forse non lo è, e , in modo continuo ed invisibile, non lo sarà più. Anche la temperatura, insolitamente tiepida, +5 gradi alla stazione di Leopoli, sembra partecipare ad un improvviso disgelo, quasi una sospensione del corso delle stagioni, come in un racconto di Joseph Roth, dove però questi eventi singolari apparivano forieri di sventura.
Il paese, sotto la duplice presidenza di Leonid Kuchma, appariva congelato in un’eterna era postsovietica, in cui le permanenze e resistenze burocratiche e di potere, garantendo un tranquillo perpetuarsi di antichi equilibri, potevano permettere un superficiale e sfrenato sviluppo capitalistico, capace più che altro di creare vistosi arricchimenti e palesi ineguaglianze, in grado però di mostrare una pur disordinata vitalità economica, ed un afflusso ipnotico di beni di consumo occidentali, visibili, più che fruibili, da gran parte della popolazione.
Ora, il corso degli eventi sembra aver imboccato una direzione più precisa: ma sarebbe semplicistico descrivere, come hanno fatto i principali media occidentali, lo scontro fra Yushenko e Yanukovich come una lotta fra il potere e una presunta opposizione: entrambi sono i capofila di specifici gruppi di potere e forze già presenti nella spartizione delle cariche pubbliche avvenuta negli scorsi anni; non per nulla entrambi sono stati nominati a turno nella carica di Primo Ministro; è chiaro che Yanukovich rappresenti direttamente gli interessi della regione mineraria e industriale di Donetsk, e delle regioni di lingua prevalentemente russa, incarnando quindi, per la Presidenza uscente, una probabile continuità di indirizzo politico ed economico, anche nella dipendenza da Mosca; appare evidente, però, che Yushenko non sorga dal nulla come esponente di un generico scontento popolare, peraltro molto scarsamente manifestatosi nel recente passato, ma anch’egli rappresenti gli interessi di circoli finanziari e industriali, prevalentemente di Kiev e delle regioni dell’Ovest (fortemente nazionaliste e sostenitrici dell’ucraino come unica lingua), ansiosi di modernizzare il paese e di renderlo più competitivo di fronte ai mercati occidentali.
Resta qualcosa da dire, ancora, sulla “spontaneità” della mobilitazione popolare che ha portato migliaia di ucraini a Kiev nei giorni successivi al primo ballottaggio, invalidato di lì a poco per palesi manipolazioni e brogli: nelle principali città si parla tranquillamente delle cifre stanziate dai finanziatori di Yushenko ed offerte ai volontari che intendevano partire per partecipare alla protesta, su treni ed autobus gratuitamente disponibili: su questo, e sulla pacifica tendopoli che tuttora si distende sul Kreshatik, la principale arteria monumentale di Kiev, sarà il caso di tornare in una prossima nota.