GAMMM:::
di Gherardo Bortolotti, Alessandro Broggi, Marco Giovenale, Massimo Sannelli, Michele Zaffarano
GAMMM è una stanza o galleria d’arte moderna che avvicina intenzionalmente l’arte e la scrittura contemporanee, non nella forma di una semplice giustapposizione, ossia affiancando opere d’arte e opere letterarie; ma credendo e dimostrando che le arti visive e la musica contemporanea, così come la scrittura di ricerca, nelle loro numerose e diversissime forme, sono fatte della stessa stoffa, delle stesse domande; e hanno elementi in comune tra cui spicca ormai chiaro un carattere percepibilmente ‘installativo’, freddo, non performativo.
GAMMM non ha orientamenti prescritti – né prescrittivi. Allo stesso tempo, una nuvola di variabili e costanti si può descrivere, dicendo che si incontrano alcune ricorrenze:
le modalità di scrittura elencative; il superamento netto del referenzialismo e dei realismi; il cut-up e l’uso della “citazione” (questo termine Debord lo derideva una quarantina di anni fa, a ragione; qui va messa in conto l’umiltà di usarlo: per intenderci); il confronto con l’intero arco delle sperimentazioni nelle arti del secondo Novecento; l’indifferenza verso la cosiddetta questione dell’«io lirico» (finita o irreversibilmente metamorfosata la lirica, revocato in dubbio l’io, la faccenda è per lo meno vecchia: http://limetree.ksilem.com/archives/2005_12.html#000721); l’indifferenza verso ogni dualismo e in particolare verso l’opposizione banale tra scrittura oscura e scrittura chiara; l’indifferenza pressoché totale verso la poesia frontalmente performativa, verso lo spettacolo e la poesia spettacolo; l’interesse semmai per il concetto di installazione – anche in assenza di autore (come accade per i classici, distanti e insieme presenti e vivi solo e precisamente per via di una intensità/tensione testuale).
La rete e l’archiviazione in rete dei materiali cambia i materiali. ne cambia – insieme – la fruizione. (Cfr. anche Derrida, Mal d’archive, une impression freudienne, Galilée, Paris 1995; tr. it. di G.Scibilia, Mal d’archivio. Un’impressione freudiana, Filema, Napoli 1996).
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è/ha un’attività editoriale: ma offre ospitalità a testi. (La sigla HGH, scelta a questo proposito, traduce “hosted GAMMM hosting”: …e volendo: “hai gratis hosting”:-)
Come ospiti (della rete), ospitiamo pagine, poesie e prose: in semplici post, o in formato e-book e opeb (“one-page e-book”). Privilegiando nettamente le linee di scrittura affini ai materiali che il sito già offre, e a cui gli abbondanti link rimandano.
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Tutto il lavoro di GAMMM non necessariamente deve ma sicuramente può (rivendica il diritto di) non essere interessato a uscire dall’area della lettura in/per web. I materiali che di volta in volta verranno pubblicati non sono legati da un vincolo di necessità a letture pubbliche o incontri. Semmai a contatti individuali tra le persone, e a un concetto di gruppo/rete estremamente sfrangiato e disperso.
Tornando all’idea di installazione: i materiali sono disponibili e leggibili, come oggetti elettronici fissati nel flusso della rete. Possono essere liberamente visitati, osservati, letti, anche scorsi distrattamente: materiali installati, non invasivi: e possono agire, come tali, poi, singolarmente, sull’immaginazione del lettore. (Il quale deve, lui, fare un passo verso i testi: non saranno i testi a muoversi verso di lui).
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Il sito si compone così: una homepage che riporta dai tre ai cinque testi; una pagina sintetica di presentazione; una di e-book; una di opeb; una sezione dedicata ai chapbook curati da Michele Zaffarano e Gherardo Bortolotti per le edizioni Arcipelago; una di bio-bibliografia di redattori e autori; una sezione di link (tuttora in costruzione) disposti ‘analiticamente’ per categorie; e infine un riferimento agli aspetti legali dell’hosting. La prima uscita presenta cinque novità in homepage, due e-book e diversi opeb.
L’esperienza di GAMMM nasce come aggregazione naturale di scritture e persone della rete di àkusma, a cui si connette, in indipendenza e dialogo.
[Nella foto, uno che ci sarebbe stato, e che c’è. Immagine tratta da Edizioni Riccardi. a.r.]
Raos, guarda che ti scriveva un commentatore quasi due anni fa:
andrea barbieri Says:
November 11th, 2004 at 16:58
“Io penso che Moresco, per un dono naturale, non “scrive” ma “installa”, mi sembra veramente che lui vada a prendere delle cose e le appoggi davanti a me, delle cose che esistono (non esistono solo le combinazioni, ma non esistono nemmeno quelle di Kounellis). Quando lo leggo entro anch’io in quegli accrocchi di roba familiare, mentre Zizzi continua a usare solo parole, fa ronfare con roba surrealista tipo “in Nilo nero/
mulinando su sarcofagi d’enigma/”
quella che non è domanda […]”.
L’immagine può essere riprodotta come ti pare, ma deve essere semplice altrimenti non funziona e a me rimangono davanti solo parole. Hai presente i lavori di quell’artista che fa, uhm, diciamo cartoni animati, William Kentridge, hai presente come sono semplici le sue immagini, non so un uomo in una stanza in doppiopetto immerso nell’acqua che sale. Vabe’ oppure Kounellis, travi di ferro che schiacciano delle scarpe. Poi se vuoi fare un film, queste immagini efficaci le metti in sequenza, allora io spengo la luce e entro dentro.”
e tu rispondevi:
“il paragone con moresco non mi convince proprio; a parte forse una certa matericità della parola (e già qui il termine è troppo impreciso), ma se è solo questo gli antenati possibili sono davvero decine (alcuni sono stati fatti nei commenti precedenti, tutti pertinenti, tutti lontani).
ma più in generale, cosa “installa” la scrittura? quale spazio? piaccia o no (e a me non piace), quando si legge poesia (e si vuole magari parlarne), uscire dalla poesia medesima non è facile, altissimo il rischio di dire banalità. non me ne voglia barbieri, l’argomento che solleva mi interessa molto, anche se le sue risposte non mi persuadono del tutto.”
A mio parere quel commentatore anche se velocemente aveva esposto già bene la cosa, insomma si capiva benissimo quello che voleva dire, e te ne aveva anche voluto per le tue parole.
Poi, il commentatore, leggendo finalmente le schede di lettura di Tiziano Scarpa agli Esordi (nel libro “Antonio Moresco” di M. Parente ed. Coniglio) avrebbe ritrovato la stessa percezione della cosa (le schede erano del 1997 mi pare) e anche altro che si innestava in quella percezione.
Comunque se vuoi sapere com’è andata a finire, essendo continuamente in contatto col commentatore, posso dirti che in questi due anni si è stufato anche dell’idea di installazione: bisogna andare più in là.
ps quello che trovo scritto, il carattere non performativo e freddo dell’installazione viene da un punto di vista completamente sbagliato, troppo chiuso, astratto.
E’ lo stesso punto di vista che ha portato negli ultimi giorni a parlare di “io” nei lit-blog, mi viene sempre da pensare: ma questi in che mondo vivono?, possibile che per loro l’io sia questa fesseria astratta?
https://www.nazioneindiana.com/2004/11/11/da-la-caduta-occidentale/
Possibili sviluppi sul blog di Georgiamada…
cari, inserisco un piccolo saggio in fieri, che forse può essere utile alla discussione. mi scuso per la perdita dei corsivi. la questione è, sempre, e prima di tutto, ETICA, non di etichette. un caro saluto, grazie dell’attenzione
massimo s.
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1
Dopo il Novecento, la questione della poesia è questione di conservazione, semplicemente e orribilmente. Molto in generale: leggibilità, dicibilità, scrivibilità del mondo – o l’illusione che il mondo sia leggibile, dicibile e scrivibile – non si oppongono, forse, al tentativo concreto di restaurare la sopportabilità o la dignità della vecchia lingua, italiana o altra. E forse non si oppongono alla lingua di prima, ma è certo che non si tratta della stessa cosa. Arbeit macht frei, negozio ariano, colpirne uno per educarne cento, 1000 Nassiriya, e le contemporanee illazioni su una civiltà superiore all’altra, sono più che le prostituzioni momentanee di una nostra lingua: devono essere riconosciute come malattie comunitarie, nelle quali l’enfasi e la brevitas pretendono di giustificare l’irresistibilità del disumano. Gli aforismi sono lapidi su una complessità che si ama vedere polverizzata. La “poesia di ricerca” più avveduta – con tutta la semplificazione che il nome contiene, perché è imperfetto – cerca di porsi oltre e contro l’accecamento retorico: e non si tratta di porre fonemi dove ci sono sintagmi, o irregolarità fuori legge dove c’è la sintassi (e quindi sfociare goliardicamente in un superomismo alla buona contro il filisteismo o il fascismo); la questione riguarda – come li riguarda sempre – i corpi vivi dei vivi e la dignità delle parole usuali, usate, inusuali, inutilizzate.
In prossimità di Auschwitz o Bhopal o Bagdad, la lingua è chiamata ad annunciare l’inannunciabile (“Gott ist tod” – e quale speranza rimane?) o l’inascoltato (Christus vincit – e dov’è la speranza per chi sta già agonizzando?): certamente nella forma delle profezie di un Tiresia offuscato e amplificato da suoni elettronici, come quello di Giuliano Mesa, che ne riceve voce e corpo di esecuzione in esecuzione. Ogni altra forma di poesia ‘civile’ è enfatica e fatua.
2
Lo spettatore meno forte (perché è il meno divino), trasformato in sfidante, diventa spettacolo. Del suo corpo si fa un orrore scuoiato, come dell’animale in macelleria. Marsia è reso impresentabile dopo aver osato un’autorappresentazione contro il dio: è apparso a colui che appare, e si è distanziato dal do ut des teologico dell’uomo antico. La sfida al flauto di Apollo è punita con lo scorticamento, per una specie di contrappasso: la superficialità del suo gesto è rappresentata dall’eliminazione della superficie. Il dio è senza pelle perché troppo divino. Il satiro è ricoperto da una “vagina” sottile che ne nasconde un orrore rosso, di muscoli e vasi sanguigni.
3
Apollo non rappresenta la poesia, ma il poeta. Il mito che lo lega a Marsia potrebbe insegnare tranquillamente che la divinizzazione del poeta vero è autoritaria e violentissima; e che l’esaltazione del poeta mediocre è tracotante e punibile con violenza. Tra una forma e l’altra c’è più di una complicità: lo sfidante si sa debole in partenza, lo sfidato si sa maggiore e divino. Il risultato aspro è più che ovvio, ma voluto con vera programmazione: il grande e il mediocre condividono lo stesso entusiasmo autoaffermativo e lo stesso egoismo allucinato.
In pratica, un IO piccolo ha attaccato un IO grande; l’IO grande reagisce in proporzione a se stesso. Né l’uno né l’altro sono veramente umani. Né l’uno né l’altro sono modelli: sia l’uno sia l’altro sono qualcosa e qualcuno in una misura troppo determinata. Le rispettive personalità sono idoli troppo gravi per essere rimossi, e falliscono.
4
Il primo punto chiede che cosa debba e possa essere conservato, in una cultura che non eleva l’oblio a prassi quotidiana. Il secondo punto allegorizza la conservazione di Apollo e la mancata conservazione di Marsia: vedendoli entrambi come i portatori di un delirio di micro- e di onnipotenza. L’unica possibilità dignitosa è quella che donerebbe al mondo il proprio corpo, non cedibile e unico; cioè amare e godere anche a nome del mondo; e soffrire e morire allo stesso modo, per lo stesso mondo. In questo teatro – vero e proprio – Giuliano non si limita a scrivere la prosopopea di Tiresia, ma diventa Tiresia. Gli atti possono essere reindirizzati, senza perdere dignità e sapore.
Bisogna ripetere il più possibile che la questione della poesia è, oggi, una questione di conservazione della lingua, se possibile, e degli atteggiamenti, semplicemente e orribilmente; ma ora si presenta come l’urgenza, non allegorica, di un servizio non angelicato e non svirilizzato, e sempre più puro. Non si fa né poesia né critica della poesia senza una osservazione costante della vita e della realtà; proprio perché il riconoscimento della realtà comporta l’identificazione dell’arena su cui si agisce: quale arena, quali movimenti del corpo, quali parole, quali forme, e quali rasoi incidano quali pelli.
Una nuvola di variabili e costanti, speriamo che passi …
trovo questo discorso estremamente interessante. mi muovo e cerco di muovermi nelle gallerie di arte contemporanea come voce poetica e non come pittore o videoartista o scultore…
vi allego, sperando di fare cosa utile per questo dibattito, dei miei appunti sulla metrica del colore.
saluti
LA METRICA DEL COLORE
Il colore è arte e anti-arte, ordine e scarabocchio.
Il colore non crea, costruisce trasparenze.
Il colore emana idee, è sensibilissimo ed è un pozzo di visioni.
Nel colore cade ogni finalità e finalmente si apre la porta decisiva del puro mezzo, puro potenziale: libertà.
Dentro e fuori del gesto, del segno, della trasgressione (portata al limite esausto della sua forza), esiste un’unica grande ribellione: quella del colore contro se stesso.
Non più razionalismo e irrazionalismo, nessuna separazione tra coscienza ed esistenza, conscio e inconscio, pensiero e azione.
Fuori e lontano dal segno dimora questo mondo, antisimbolico e anticonico, materico e misterico del colore.
Nessuna linea-forza, nessuna linea-strutturale, nessuna linea-attiva esiste in sé.
In pittura qualità e quantità si annullano come una doppia negazione che si fa affermazione totale.
Mediazione è finalizzazione, è estrinsecazione dell’energia diretta, avvicinamento accecante agli impulsi primari.
Il colore va aldilà di ogni preciso riferimento all’oggetto e si getta nella luce del profondo.
La pittura è uno stato del colore, una condizione della sua materia.
La campitura sceglie e subisce i suoi movimenti fuori del segno e del significato nell’accesso alla conoscenza del mondo (come aver freddo o caldo, provare odio o amore, malinconia o gioia, cioè patire tutti i condizionamenti esterni e interni).
La pittura è colore, meno del colore, più del colore.
Il colore sta e va oltre il suo oggetto, cioè dentro e fuori lo spazio geometrico del tempo.
La pittura è l’improvvisazione costruita consapevolmente nei poli estremi e coincidenti del sempre e del mai.
La pittura non si sottrae al suo tempo, ma deve aprire le porte all’irriducibile antispettacolare.
La pittura non è solo visione, ma esperienza indefinita.
La figurazione nel colore deve mantenersi in uno stato potenziale, cioè di libertà, per poter esprimere tutta la sua intensità e durata nel flusso vitale.
Fuori ogni esigenza totale (totalitaria) dell’arte, fuori ogni approccio misurato (calcolato) dell’artista, la scelta non si pone più tra Io e Mondo, ma nella crepa che continuamente si apre tra Io-e-Io, e Mondo-e-Mondo, per lasciar essere la forma interna del colore voluta e involuta allo stesso tempo.
La pittura non è un’arbitraria astrazione di teorie o di colori assoluti (solo il bianco e il nero sono colori astratti di vuoto assoluto e assoluto pieno).
La pittura non finge la realtà, ma dilata la realtà stessa oltre la finzione.
Il colore è ascientifico, rigoroso, ed emozionalmente materico.
Il colore è suono e rumore allo stesso tempo: cioè contenitore di note e di lettere allo stato potenziale.
Il colore è fisiologico e metafisico.
Spazio e forma nella pittura sono silenzi referenziali della mente che abbraccia tutto come energia.
La pittura è la tensione alfabetica dell’intera gamma psichica che circonda il quadro: è aldiquà e aldilà del telaio: è l’aria nei suoi movimenti onnicomprensivi.
Il colore partecipa della realtà e ne è partecipato come istinto musicale e lirico del movimento.
Il colore è lo spazio limite di ogni cosa.
La pittura è l’ossessione ritmica del sentimento del mondo.
All’origine era una parola troppo luminosa per non essere luce e quindi intensità e densità di tutti i colori.
La pittura è movimento e contromovimento del reale. Il colore ne è l’agente principale: poi viene l’artista.
Contro la finta ed eterna opposizione io / non-io (o, come dice ancora meglio Massimo Sannelli, io piccolo e io grande), torno ancora una volta (per esempio) a Leopardi, e alla sua scrittura (poesia e prosa) non antropocentrica (il che non vuol dire che l’uomo ne sia assente). A me sembra che il nodo sia ancora e sempre quello, tanto più oggi, incastrati come si è fra auto-affermazioni identitarie e frammentazione estrema delle coscienze.
La fissità dell’installazione, “non invasiva” ma al tempo stesso strutturante (nei casi migliori, su tempi e spazî altri rispetto alle narrazioni dominanti), mi sembra senz’altro una delle risposte possibili.
Visto che di là non si può parlare.
Moresco nel primo amore è volgare. Ma possibile che creda di essere lui l’unica letteratura possibile, davvero pensa di essere meglio di nanni balestrini? E per quale motivo si ritiene voce talmente totale da mettersi da solo sopramonte senza alcun imbarazzo? Solo perché lo dice Carla Benedetti? Moresco ha il coraggio di accusare Cortellessa, ma parla proprio lui, accusa cortellessa di partito preso, quando lui, la Benedetti e Scarpa hanno fatto di primo amore stanze del potere assoluto da cui sputare sentenze a titolo reale. Moresco non è la letteratura. Cortellessa non è la letteratura italiana. Moresco non ha nessun diritto di rendere la neo avanguardia poca cosa. E’ evidente che non gli piaccia chi lavora sul linguaggio, basta leggerlo e ci si renderà conto, ma Scarpa allora che lavora sul linguaggio e ha scorazzato in qua e in là con aldo nove per riflettere di luce presa in prestito, cosa centra Tiziano Scarpa con la professione di fede di Moresco? La Benedetti nella sua totale volgarità di pura e radicale passionaria pasoliniana (diventerà peggio di laura betti?) ha avuto il coraggio di presentare Scarpa al tavolo dei POETI ITALIANI!!
In Italia si comincia a non respirare più se non a comando di qualche confraternita. Mi dispiace ma tutta questa radicalità di parte e purezza sbandierata è rivoltante.
g-emma, se hai un blog tuo usalo, mentre se vuoi usare questo ti prego di andare in bacheca; in questo thread si sta provando a parlare d’altro.
cari Andrea Barbieri e Wovoka, c’è una straordinaria possibilità, sono lieto di comunicarla: potete ignorare gammm. potete farlo, potete non leggere quel sito, ignorare tutti gli autori che linka e di cui parla e che pubblica e pubblicherà. (è del resto la prassi tenuta da quasi tutta l’editoria italiana negli ultimi 30 anni). mi sembra una opportunità fenomenale, liberante, e che vi consolerà. sono felice per voi, che non soffrirete nel leggere cose che (fin da adesso e recisamente) non vi piacciono. siate sereni, noi lo siamo già. senza astio, nella differenza di posizioni. pax.
Seguo i link e leggo: ” l’installazione è quell’oggetto che può darsi (ed emettere senso) indifferentemente dalla presenza del suo ideatore. Cioè il testo viene “progettato per” e “collocato in” uno spazio segnato dall’assenza di una motivazione umana, per così dire.” Un ampliamento degli aggettivi usati nel post, direi,”freddo e non performativo” e che Sannelli e Raos hanno commentato con chiarezza e generosità. Ed è proprio la generosità di tutta questa operazione che mi trova vicina e concorde. Nessuna astrattezza, anzi. A me viene immediatamente in mente il web, ad esempio, come popolato da scritture-installazioni. La “freddezza” della rinuncia al corpo, alla pretesa di identità-identificazione, la (paradossale?) persistenza dei testi “visitati, osservati, letti, anche scorsi distrattamente” non ha mai impedito nessun tipo di relazione come abbiamo sperimentato tutti quanti qui e come continuiamo a sperimentare, anzi ne allarga le possibilità. Ha fatto sperare di poter modificare equilibri di poteri (li ha, di fatto, in molti casi, modificati, seppur di poco). E mi viene in mente che proprio il tentativo da tempo in corso non di “stare in” rete ma, piuttosto, di “invadere” il web con operazioni performative di vario tipo fa, quello sì, correre il rischio alle voci in rete di assumere un punto di vista “troppo chiuso, astratto”, in quanto tutto riferito a e concentrato su una modalità mediatica, spettacolare.
A me questa GAMMM emoziona: non un teatrino, una Wunderkammer, una passerella su cui sfilare o un talkshow ma un cantiere: ” La rete e l’archiviazione in rete dei materiali cambia i materiali. ne cambia – insieme – la fruizione”. Questo è l’effetto delle installazioni al contrario dell’illusorietà del movimento prodotta dalle performances che, nel loro apparente dinamismo, nel loro apparente essere presenti (da praesum: sto “davanti”), perpetuano la rigidità dei rapporti di potere.
ho capito la prospettiva in cui metti la questione e devo dire che sono perfettamente d’accordo. anzi, mi rendo conto che il punto del non-antropocentrismo – che (nei miei conciliaboli notturni ;-) non ho mai formulato esplicitamente – è davvero un nodo fondamentale.
in effetti, il concetto di installazione (o meglio: la metafora dell’installazione) rientra perfettamente in uno schema eccentrico (non antitetico) rispetto ai problemi del soggetto, del darsi conto in termini umani del mondo.
per quel che mi riguarda, ho sempre trovato utile ed affascinante nelle installazioni l’irresolutezza della soluzione raggiunta, l’arbitrarietà eppure la perentorietà dell’ordine. un ordine in cui avevo chiaramente una posizione marginale, in cui non riuscivo a rispecchiarmi completamente e che, tuttavia, mi metteva altrettanto chiaramente in una posizione di libertà.
come dice massimo, al fondo è sempre una questione di etica.
scusate. dimeticata l’intestazione e creato strano gioco (installativo?).
il mio commento rispondeva ad andrea ed appare dopo caracaterina.
forse una conferma della tesi della stessa c.?
;-)
grazie a caracaterina, sinceramente, per questa attenzione e lettura. e per la generosità/esattezza nell’interpretare nel merito e nello spirito i testi, e l'”installare”. (prassi a cui facciamo ricorso senza intenzioni nomenclative, descrittive, escludenti; ma solo per [iniziare a] intenderci; giustamente lo rileva Gherardo. il fatto è che per molte scritture e pratiche poetiche – semplicemente – ancora non sono state messe a punto definizioni, almeno in Italia, e allora tentiamo di usare la metafora “installazione”).
ed è del tutto corretto vedere la stessa rete “come popolata da scritture-installazioni”. non si potrebbe dire meglio
Ci vuole coraggio a non considerare utile, anzi necessaria, un’operazione come gammm. Sopratutto per lo sguardo competente ed aggiornato che rivolge verso la fin troppo ignorata poesia sperimentale straniera. Iniziativa lodevole, spero che questo spazio possa servire anche a fare chiarezza “teorica” sul concetto di installazion.
Auguri
Adr.
(installazion)e
Caro Marco, naturalmente quella possibilità già la conoscevo, ma si dà il caso che io sia attratto dalle “differenze”, dalle dissonanze cognitive – che in questo caso appaiono particolarmente profonde. Ammetto anche la possibilità di rimangiarmi tutto quanto, fra qualche anno, quando probabilmente saprò (avrò incorporato) alcune “cose” che adesso non so di non sapere – in tal caso lo ammetterò senza vergogna (io so di essere “puro”, nei miei intendimenti, quanto voi). Per adesso non posso che esporre al sole la mia miseria: ho esplorato il vostro GAMMM e non ci ho capito un cazzo. Mi è sembrato anzi di ritrovarvi i peggiori luoghi comuni, le retoriche, gli opportunismi, le frasi fatte tipiche delle GAM vere -quelle controllate da certi scaltri curatori, specializzati in fondi pubblici. Ma almeno quei contesti appaiono mitigati da una sorta di consapevolezza autoironica – tipica dell’artista postmoderno, ovvero post-artistico – che qui sembra invece sostituita dall’autoritarismo implacabile dei “poeti” (vedi la violenza – simbolica – spellatrice di Sannelli). Quel mio brevissimo commento sublimava una nausea piuttosto precisa, però, trattandosi di una sensazione, posso soltanto concludere che il mio corpo reagisce in maniera diversa dal vostro. Pax tibi Marce, guarderò tutto quanto invece, esporrò la mia pelle nuda a questo terribile tirocinio del nulla, finché la sua verità mi verrà inscritta nelle carni, come nella colonia penale di Kafka – anche lì in fondo si trattava di una bella installazione.
Caro Giovenale, vedo che hai colto il mio messaggio (e il mezzo, l’onda in cerca di forma, se mi permetti). Il tuo Pax finale è invito alla metafisica, quella del colore evocata dall’ottimo Racca nel suo prontuario portatile di una micro-genesi che va dal colore al segno, dal segno allo spazio, sempre ritenendo il problema del significato non atropocentrico (come rilevava acutamente Raos) una certezza. Io – con ego provvisorio, a credito dell’epoca – aggiungerei basta con la parola che si fa testo!, lo aggiungo sovrapponendo Bene al Bene, la fisica nucleare alla metafisica. Tutto come vedi ritorna al tuo PAX iniziale, ma anche esplode nell’installazione mediale, mediana, mediata dalla plutogenesi teatrale che attinge il succo sodo del colpo di pistola. Colpo esploso con meno calma del previsto da Leopardi.
una stretta di mano a Barbieri. idem a Wovoka. non ve lo aspettavate? neanche GAMMM, forse. non so. comunque: try it, enjoy it
Francamente non ho capito bene.
Temo si giochi ancora sull’ambiguita del senso delle parole.
Non ho capito la differenza tra installare delle parole o insiemi di parole tanto da formare un testo e porre delle parole, scrivere parole o testi.
Temo che si usi la parola installazione perchè questa parola nell’arte contemporanea definisce oggetto/i svariati posti in una mostra d’arte.
Io credo che al momento sia chiarezza la cosa più necessaria e parole semplici se non povere per non cadere in ormai secolari trucchi.
Preferisco un luogo con linea di tendenza chiara, addirittura di corrente anche ristretta ma precisa che il confuso.
Per quanto riguarda l’antropocentrismo andrebbe trattato con più profondità essendo un atteggiamento interiore difficile da conoscersi e sentirsi con consapevolezza.
MarioB.
“Freddo” è l’aggettivo giusto per la vostra operazione; direi meglio: gelido, con ciò intendendo: glaciazione. E nella glaciazione il pensiero va a riposo. Prevale la forma del ghiaccio. Che – è vero – contiene in sé (sussume) tutte le altre forme, ma per stritolarle: ciò che prima era un fiore, tra i ghiacci diviene solo un ricordo (fine del profumo, fine dei petali vellutati, fine del dono alle amanti, e fine di ogni opera che ha celebrato il fiore come abbraccio o come addio ). Le vostre “ricorrenze” sono condivisibili, meno i risultati; ma, si sa, tra il dire e il fare … Il saggio “in fieri” di Sannelli è la classica zappa sui piedi (e non dico quella di Frank, calda, troppo calda e performativa per il vostro sentire). Anche qui, pensiero a riposo velato da sapienza filosofica … Eppoi,santiddio, diciamocela tutta: Dio non è morto, semplicemente non è(siste); e il grido di Cristo sulla croce è performance, non gelida installazione. Gelido è scrivere questa frase: “ma ora (la questione della poesia) si presenta come l’urgenza, non allegorica, di un servizio non angelicato e non svirilizzato, e sempre più puro”. Qui non è chiedervi di parlare come mangiate; è di parlare dicendo, semplicemente. I concetti non sono ghiaccio. Se provaste soltanto a sciogliervi restando integri, magari ciò che viene fuori – che resiste allo scorrere delle acque risvegliate – è interessante; così resta solo il freddo. Io mi sto muovendo per riscaldarmi, uscendo dalla vostra installazione, ecco: sono quasi in costume a grondo sudore. Forse è per questo che a scartabbellare nella vostra galleria mi sono divertito a cogliervi in fallo, anche se l’arbitro non lo ha fischiato: quando scrivete tra virgolette “citazione” citando Debord vi dimenticate del fatto che lo stesso Debord disse che bisognava lasciare agli imbecilli l’uso delle virgolette … Attenzione: qui non sto insultando; dico solo che il détournement di cui parlava era un’altra cosa dalla citazione saputella: era rivolta in atto, era crudeltà in azione: era insomma qualcosa di caldo, di radicalmente altro dalla glaciazione che proponete … Debord è corpo debordante, ossia proprio il contrario di quel‘installativo, freddo, non performativo che proponete …
Perdonatemi, è che davvero fa troppo caldo …
PS: what is “àkusma”?
mp
– la citazione da Debord fatta in quel modo tenta(va) coscienza, ironia, loop intenzionale. no? devo spiegare tutti i passaggi dell’operazione? (domanda retorica. non spiegherò tutti i passaggi dell’operazione).
– scartabellare.
– sul freddo: lo temi? è un’immagine. siamo nel linguaggio.
– esistono alcuni testi. un sito inizia a parlarne. altri autori e siti fanno altre cose, sempre in letteratura.
– la reazione ‘calda’ è legittima. quella differente, altrettanto.
– “petali vellutati”. nessuno ti invidia queste parole (non intendo i petali: intendo l’espressione “petali vellutati”). tutto ok. feel free.
volendo si potrebbero andare a prendere un sacco di scritti dove raos dice il contrario di quello che afferma quì, comunque… un saluto a giorgia e viva la coerenza…….
Sannelli viene chiamato in causa varie volte nei commenti. è la persona più serena e meno gelida (che significa poi? arcigna?) della terra.
la sua scrittura in versi e in prosa (e nei saggi) non è oscura, è complessa, come qualsiasi elettrodomestico. solo che davanti a un elettrodomestico dopo 5 minuti chiunque sa tradurre in operazioni sensate quelle che inizialmente gli sembravano solo manopole cavi bottoni e contatori; mentre davanti a un oggetto testuale che presenta alcune complessità occorre giocoforza disporre di un tot di competenze e letture e frequentazioni pregresse, o che comuque possono non essere ‘immediate’.
il linguaggio non è immediato, è appreso. alcune cose (competenze e gusti) si sviluppano nel tempo. possono non svilupparsi. o possono crescere certe predilezioni linguistiche, e non altre.
ora, credo ci siano due atteggiamenti, di fronte a questo fatto.
uno può porre l’equivalenza “non compreso = non valido IN ASSOLUTO” e farne discendere una serie di negazioni. oppure può porre o prospettare l’azione “non compreso DA ME = da chiarire = da indagare”. (nel tempo, poi).
quando a dodici anni ho letto Storie di cronopios e di famas non ho capito precisamente tutto: in quei microracconti non avvertivo come straordinariamente marcato il confine tra reale, onirico, plausibile, folle, inventato, verificabile, contraddittorio.
delle due reazioni, giudicare Cortàzar un mestatore o dubitare della mia percezione della strategia testuale, ho preferito – e sentito giusta – la seconda. ossia ho preferito pensare che dovevo cambiare sguardo io, piuttosto che dichiarare mal dipinto il quadro. e ho fatto bene, dico ora.
ma se avessi abbracciato la scelta opposta, e avessi fatto guidare i passaggi e percorsi del mio gusto letterario, nel tempo, negli anni, da una linea radicalmente diversa da quella cortazariana, non avrei sbagliato. avrei semplicemente preso un’altra strada.
fa un cattivo uso della strada scelta, di solito, chi giudica sbagliata quella altrui per il semplice fatto che è altrui.
“Tornando all’idea di installazione: i materiali sono disponibili e leggibili, come oggetti elettronici fissati nel flusso della rete. Possono essere liberamente visitati, osservati, letti, anche scorsi distrattamente: materiali installati, non invasivi: e possono agire, come tali, poi, singolarmente, sull’immaginazione del lettore. (Il quale deve, lui, fare un passo verso i testi: non saranno i testi a muoversi verso di lui).”
Che i “materiali installati” non siano invasivi è oltremodo consolante, e che “possono agire, come tali, poi, singolarmente, sull’immaginazione del lettore” mi sembra estremamente liberale oltre che innovativo. Anche il passo richiesto al lettore verso i testi, anziché il viceversa, è segno di una nuova dinamicità etica, stimolante (oltre che rispettosa: non se ne poteva più di questi testi e materiali vari che avanzavano a passo incontrollato verso di noi nei momenti meno opportuni), ricca di imprevedibili sviluppi, forse persino rivoluzionari.
cf05103025:
“Temo si giochi ancora sull’ambiguita del senso delle parole.
Non ho capito la differenza tra installare delle parole o insiemi di parole tanto da formare un testo e porre delle parole, scrivere parole o testi.”
essendo nemico delle ambiguità maliziose, ovvero della fumosità a fini di potere retorico, ti dico cosa (in due parole) mi interessa della metafora installativa e dove vedo la differenza di cui parli.
secondo me, la differenza principale tra un testo diciamo performativo (come ha detto marco: stiamo usando questi termini per mettere insieme i pezzi, prendiamoli tutti con beneficio d’inventario, anche se, negli effetti e ovviamente, a noi sembrano calzanti) ed uno installativo è che il primo fonda la sua tenuta, il suo fascino e, in determinati casi, il suo potere nella figura “storica” dell’autore, mediata dalla funzione del narratore e garantita dal corpo (mistico e reale ;-) dello stesso autore.
nel testo di installativo, invece, mi sembra che ci si affidi all’esposizione dell’ordine sintattico (ovvero: l’ordine degli elementi lessicale-semantici nella loro succesione logico-temporale – chiedo scusa ma ho una formazione da linguista dei poveri e mi trovo sempre con queste categorie!) in quanto tale, in quanto prova o esperimento di un ordine del e nel mondo.
detto in termini rozzi: il testo è un’operazione d’ordine sul mondo (una produzione di senso – e di piacere del senso) ma non fonda l’ordine sull’autore/narratore (sul suo carisma) ma sull’effettiva realtà dell’ordine stesso, ovvero del fatto che è stato istituito.
ovviamente a monte c’è sempre un’operazione autoriale. tuttavia nell’installazione questa operazione, di nuovo, non proietta sull’autore la fondazione dell’ordine, investendo la figura umana (anche in questo senso ci possiamo ricollegare al discorso sull’antropocenrismo – che _ovviamente_ stiamo solo sfiorando) del valore superiore che siamo soliti attribuirle. l’autore è in qualche modo una figura di secondo livello, impegnata più ad ascoltare che a parlare.
questo in termini generali. per le differenze tecniche, estetiche ed etiche (;-) non so come e quando ma vedremo di rispondere.
invito comunque tutti a leggere i testi che presentiamo e che presenteremo: sono in gran inediti in italia (o ormai dimenticati) e sono il frutto di elaborazioni che ormai contano dai dieci ai trent’anni e che rappresentano tradizioni importanti.
sarebbe proprio sciocco metterli da parte per incongruenze sui termini del dibattito.
ultima cosa (approfittando di NI): abbiamo pubblicato un testo di heissenbuttel perché un lettore di NI me l’ha segnalato sul mio blog personale. lo ringrazio pubblicamente (e sentitamente!).
Allora, Marco, facciamo così: mi scuso dell’acidume del precedente post (pur confermandone il senso). Però, almeno, non metterti sulla difensiva, ché davvero peggiori la situazione. La scrittura di Sannelli è quella che è, e lungi da me giudicarla; ognun si faccia le sue scelte espressive, io lo zdanovismo artistico e lo stalinismo comportamentale li ho gettati a mare da tempo. Il problema della sua traducibilità esiste e non serve richiamare le due opzioni (non compreso da me – non compreso in assoluto), per lo meno se non ci avvicini la terza opzione: incapacità dell’autore di farsi comprendere; solo così si chiude la relazione dialettica … Sei così certo che nel saggio qui postato Sannelli volesse farsi comprendere? Quanto c’è di auto-referenziale in quanto ha scritto? Non è che sta usando un codice di cui lui solo possiede le chiavi? È un “saggio” – così lo ha definito lui stesso – non un’opera creativa. Mentre nella seconda l’opacità può anche essere totale, scusami, ma credo che la funzione del saggio debba per lo meno essere quella di mostrare la propria estetica con esatezza di riferimenti e con chiarezza; altrimenti siamo davvero nel nulla. E siamo nell’incomunicabilità. Questa ultima ha il suo senso – Beckett dixit – ma nella creazione artistica; se è il saggio incomunicabile, allora c’è qualcosa che non quadra. E se non quadra “per me”, che leggo con attenzione Sannelli, allora se ne può anche dedurre che sia la sua scrittura ad avere bisogno di limatura … Formalismo vuoto, azzardando una definizione … E guarda che il suo “saggio” è stato postato per agevolare la discussione sulla vostra “galleria” … Solo che non agevola alcunché, anzi complica e irrita … Vedi, Marco, queste sono reazioni “a pelle” di uno che probabilmente – per quanto intuisco tra le pieghe del vostro discorso – approverebbe il punto di vista, condividendone prospettive e modalità (mi pare che si rientri nella sacrosanta ANTI-RAPPRESENTAZIONE che ha attraversato il Novecento come impulso della migliore arte). Ma una frase del genere:
“In prossimità di Auschwitz o Bhopal o Bagdad, la lingua è chiamata ad annunciare l’inannunciabile (“Gott ist tod” – e quale speranza rimane?) o l’inascoltato (Christus vincit – e dov’è la speranza per chi sta già agonizzando?): certamente nella forma delle profezie di un Tiresia offuscato e amplificato da suoni elettronici, come quello di Giuliano Mesa, che ne riceve voce e corpo di esecuzione in esecuzione. Ogni altra forma di poesia ‘civile’ è enfatica e fatua”,
scusami Marco ma necessita davvero di troppe precisazioni. E quand’anche conoscessi l’opera di Mesa citata (e la conosco, pubblicata sulla rivista HM; e già qui ravviso contraddizione con il manifesto di GAMMM, visto che parla di “esecuzione” e dunque di performatività), la frase rimane troppo ambigua, troppo criptica, troppo auto-parlante. Bisogna riprendere ad annunciare Dio? O riprendere ad ascoltare il messaggio di Cristo? La lingua del dopo-Auschwitz, pur negando l’impossibilità decretata da Adorno (e dunque affermandone una nuova) deve metterci in relazione col divino? Sarà una mia carenza, ma davvero la frase non l’ho compresa. Siccome mi pare che Sannelli un certo afflatto mistico lo abbia, ne ho dedotto provvisoriamente quello; però i miei dubbi sono tanti. E poi: per superare la “conservazione” attuale è più utile il “freddo” Cage o l’irridente Zappa? Questo è il vero problema: se i mezzi da voi proposti per uscire da quello che Sannelli chiama “accecamento retorico” – e qui condivido molto – siano efficaci per lo scopo che si prefiggono. A naso – dico “a naso” perché mi pare che il vostro progetto sia agli inizi – direi di no, o meglio: direi semplicemente che la strada non si confà alla meta (non tutte le strade portano a Roma, caro Marco). Sono sinceramente interessato al discorso che fate. Ma poco convinto per il modo in cui affrontate le questioni. Mi ripeto: le vostre “ricorrenze” mi intrigano, il vostro “stile” (e alcuni vostri “risultati”), mi irritano. E solo mia deficienza?
mp
“Anche il passo richiesto al lettore verso i testi, anziché il viceversa, è segno di una nuova dinamicità etica”
Ma perché finora voi lettori non vi siete mai mossi verso i testi? Sarà che sono un po’ stupido ma a me tocca farlo in continuazione: per comprarli, per toglierli dalla libreria, per leggerli. C’è qualcosa di nuovo in questo?
Certo, se il testo è come quello sul colore qui sopra, mi muovo per allontanarmi il più in fretta possibile. Era un pezzo che non leggevo cose così, pensavo fosse una mania da intellettuale francese di trent’anni fa, quelli dell’arte come Restany (che comunque di cose ne ha fatte). A me pare che qui si sia ingranata la retro. Almeno ricordatevi di girare la testa verso il lunotto mentre andate.
ps, se la trovo vado a rileggermi una cosa di Carmelo Strano scritta per una cosa che si chiamava DORA (docile razionalità) e poi la confronto con i testi qui. Se la trovo. Mi sa che non la trovo più, mi sa che l’ho espulsa dalla libreria in un raptus di dinamicità etica.
@Bortolotti
dire il dicibile
esperire l’esperibile
decidere il decisibile
raggiungere il raggiungibile
ripetere il ripetibile
terminare il terminabile
il non dicibile
il non esperibile
il non decisibile
il non raggiungibile
il non ripetibile
il non terminabile
il non terminabile non terminarlo
P.s.
Sull’asse mediano Wittgenstein-Heissenbuettel-Bense-de Campos si può ancora fare l’autostop ;-)
A mp che chiede cos’è akusma: se cerchi nell’archivio di NI, dovresti trovare uno scritto “teorico” (ma dovrei piuttosto dire “etico”) di Giuliano Mesa che ne spiega i principî. Su google, poi, troverai senz’altro dati più concreti. Spero che troverai la cosa interessante.
Sempre a mp: il Tiresia di Mesa è, senza dubbio, al tempo stesso “performativo” (in senso proprio) e “installativo” (in senso figurato) – e mille altre cose ancora. Difatti Sannelli non lo citava rispetto a gammm, ma più in generale rispetto a cosa possa essere una scrittura etica e politica oggi.
Tu trovi Cage “freddo”? Perché? Tanto più che quanto a “irridenza” mi sembra che anche lui non abbia scherzato, a volte…
E che noia gli aggettivi (penso ancora a “freddo” e “caldo”), sembrano sempre spiegare tutto e invece non dicono mai niente… ;-)
sono al lavoro ahi, e non posso rispondere ai commenti, mi scuso se sarò telegrafico (succede a noi freddi:)
mi concentro su questa frase-chiave (o che giudico nodale): “E poi: per superare la “conservazione” attuale è più utile il ‘freddo’ Cage o l’irridente Zappa?”.
rispondo con un’altra domanda: dobbiamo necessariamente e sempre ragionare per “più utile”? e se fossero non ‘utili’ ma ‘sensati’ entrambi?
si parla di conservazione della lingua che vedo come grande contraddizione rispetto alle onde corte, cortissime a cui siamo sottoposti quotidianamente.
qui si parla per l’ennesima volta di poesia
ma chi ne parla, la scrive? o si limita a stare come sempre appeso dall’alto a dire: questa a destra, questa a sinistra? (ho questa impressione)
non mi pare un buon atteggiamento critico quando di mezzo c’è la forma di espressione più flessibile, più fruibile e interpretabile del mondo battezzata “poesia” e soprattutto quando, come me, si ritiene che la poesia sia in grado di percepire il contemporaneo e le sue denunciamti nevrosi e tramandarlo installandolo in tutti i modi che il poeta ritiene di poter usare. come il pittore etc etc.
si parla di prostituzione della lingua per assecondare la disumanizzazione… trovo la cosa assolutamente ridicola e subdola-
allora si dovrebbe parlare di prostituzione del colore. del marmo. del legno.
insomma un esercito di artistiche puttane?
se io riporto su un foglio questo epitaffio:
“n.465
sconosciuto maschio”
e lo lascio così, senza aggiungere parole, mi sembra di avere dato il senso dell’inconnu più profondo e tragico e doloroso, supponendo di scuotere nello spettatore/lettore il sangue e i nervi e le domande sopite semplicemente perchè la visione ha scosso me che sono il primo spettatore di me stessa e lo so che è questo che non piace, questo autoreferenzialismo in cui l’io vive nel lusso sfrenato dell’autoerotismo metaforico (e non sempre metaforico)… eppure eppure credo che tutta la poesia migliore abbia un buon grado di autoreferenzialità.
ancora credo che la poesia che “dice una storia” o quella in cui il fruitore si “riconosce e ne ha paura” sia una conservazione più che decente della lingua anche solo per il fatto di avere fermato il respiro per quell’ attimo in cui viene recepita e che innesca una serie di collegamenti dai quali la struttura linguistica primigenia non è aliena.
per lingua primigenia intendo il tam tam vita/morte e non il rispetto normativo di archetipi linguistici classici.
rimando ai più competenti gli altri tam tam e segnali di fumo per arrabattarsi a disquisire sulla lana caprina endopoetica
lascio un link veramente interessante dov’è riportato un articolo del competente Luciano Nanni
http://www3.unibo.it/parol/articles/malevich.htm
un saluto
paola
p.s: mi scuso per gli eventuali errori
però pensandoci bene…
la poesia è un postribolo noioso
se non ci ricorda che siamo niente
Dice Marco:
“dobbiamo necessariamente e sempre ragionare per “più utile”? e se fossero non ‘utili’ ma ’sensati’ entrambi?”
Concordo in pieno, non per indifferenza finto-pacificante fra poetiche “inconciliabili”, ma per l’accumulazione di stimoli e conoscenze che deriva dalla loro compresenza.
Devo dire (più o meno nella stessa direzione) che alcune liquidazioni di questo progetto mi hanno un po’ stupito, innanzitutto per la loro rapidità. Quando penso che – sarà che ho una connessione lenta -, anche solo per esplorare i link che propongono, mi ci vorranno mesi…
D’altra parte, anche solo leggendo i commenti qui lasciati – per esempio – da Sannelli e Bortolotti (che rispecchiano in pieno le rispettive scritture), mi sembra che da questo gammm esca una varietà di approcci, una diversità ricca, nei cui confronti riesce ingenerosa qualunque condanna di principio.
sarebbe interessante forse conoscere dalle ‘voci’ qui raccolte quali sono le ‘tradizioni’ cui si richiama la loro scrittura attuale, in linea di massima e con le differenziazioni individuali del caso.
conosco almeno di marco giovenale (della sua ricerca) la generosa e lucida ‘apertura’ non solo ‘transmediale’ (fotografie, ‘installazioni’, ecc.), ma proprio intertestuale e dinamica, sul piano tanto della ‘poesia-pensiero’ (pensiero filosofico) quanto della ricerca nellE scritturE (nelle tradizioni) italiane ed europee (e d’oltreoceano). sono direzioni che andrebbero indagate.
quasi come discorso ormai invalso (raboni ecc.) si parla a proposito della ‘generazione del ’56’ (quella delle neoavanguardie, di pronunce ‘sperimentali’ individualizzate come rosselli, villa, porta, giuseppe guglielmi…), di uno stacco sostanziale dei modelli di riferimento (della poesia occidentale, ora decisamente post-simbolista…): dalla culla simbolista francese o spagnola (e dalle letture così’ orientate della nostra tradizione lirica o degli anglosassoni, eliot, per montale), si passa alla marcata filiazione da tipologie di area anglosassone o angloamericana (non più o non solo eliot ma pound), alla ricerca di ‘interlocutori’ nelle vie in ombra del ‘900 (i futuristi, lucini per sanguineti, i pre-ermetici), ecc.
credo che questa linea anglosassone sia rimasta e anzi sia ‘rimpolpata’ nelle vicende poetiche contemporanee (tralasciando gli sviluppi ‘autonomi’, ma significativi, della ‘terza generazione’, caproni sereni più in là zanzotto, e dei suoi epigoni e continuatori; e tralasciando pure le esperienze ‘confuse’ dei ’70, tra parola innamorata e le prime ‘mosse’ di un de angelis o magrelli).
sino ad arrivare ad oggi, alle voci qui raccolte, mi pare, e oltre (la biagini, ad esempio, è fertile traduttrice di ‘nuova’ poesia nordamericana).
vedo allora nel rapporto con questo filone della scrittura poetica di ricerca oltre confini, filone terribilmente ignorato dall’editoria e forse dalla stessa critica italiana, un punto su cui ragionare. è certamente un rapporto aggiornato, con uno sguardo alle esperienze in corso, nell’intreccio di ricerche e dialoghi (per es. un numero recente de ‘l’immaginazione’ sulla poesia in quebec, curato proprio da marco); nell’innovazione inevitabile, e da indagare, degli orientamenti espressivi e proprio ‘materici’ coi quali si concepisce idea E pratica di poesia (le installazioni: ‘performance’ visive, visuali?).
a partire da questo rapporto che relazione si pensa di esperire con quella genealogia di autori italiani (le neoavanguardie, la ‘generazione del ’56…’) che per primi hanno tentato di squadernare canoni e riferimenti italiani in quella direzione? ma in generale, che relazione si ‘vive’ con le tradizioni, prossime e remote, della poesia italiana (secondo)novecentesca?
com’è, in concreto, da che solco proviene realmente e che istanze raccoglie, eredita, avanza, lo ‘sperimentalismo’ possibile di cui qui si sta parlando? di cosa si sostanzia, come procede questa ‘rilettura’ delle ‘tradizioni’?
siamo (ancora), schematizzando, ‘fuori’ dal “realismo” (con mille cautele), ‘dentro’ il “postmoderno” (idem)?. in questo, nella autonomia di tanti lavori in corso, è sentito il rischio di un “epigonismo” di fondo (tradizioni che non si rivitalizzano criticamente, ma si ‘ricalcano’)?
ciao, f.
tutto il pezzo centrale del post, insomma, il piano non ‘prescrittivo’ ma ‘orientativo’:
– modalità di scrittura elencative;
– il superamento netto del referenzialismo e dei realismi;
– il cut-up e l’uso della “citazione”;
-il confronto con l’intero arco delle sperimentazioni nelle arti del secondo Novecento;
-l’indifferenza verso la cosiddetta questione dell’«io lirico».
ecc.
quali ‘modelli’ essenziali dietro queste traiettorie? per ‘sbarcare’ oltre oceano si saranno fatti bene i conti ‘in casa’, io credo. quale la consapevolezza critica di non essere (mai) pionieri ma DENTRO le ‘tradizioni’? (con un senso, e qui sottolineo, non solo letterario ma culturale, politico-culturale?)
e soprattutto: l’indifferenza verso la cosiddetta questione dell’«io lirico» (datata, si dice). questo, mi pare, è un modo marcato di ‘scegliere’ una ‘tradizione’, ‘scartare’ da altre. secondo me, e ci vorrebbero senz’altro 10 100 post, è uno snodo da riprendere (davvero così datato?).
e dico tutto ciò nella libera volontà di lettura e di conoscenza (lavoro in corso), anche nella stima per il lavoro autonomo delle voci qui presenti, almeno di quelle che conosco meglio. è solo per capire con chiarezza qualche passaggio, ‘stanare’ dal lavoro critico che accompagna la scrittura e la ricerca qualche parola, qualche ‘definizione’, per non averne paura (le ‘tradizioni’ non mentono, nè sono ‘innocenti’).
Credo che l’unico della neoavanguardia che possa in parte rientrare in questo discorso sia nanni balestrini. Se vogliamo trovare dei riferimenti orienterei lo sguardo verso esperienze più appartate come quelle di giuliano mesa o nanni cagnone. Tenendo sempre presenti villa, spatola, vicinelli. Ma un’occhiata a certa produzione straniera che in italia non ha praticamente corrispettivi (a parte rarissime e parziali eccezioni), anche in quanto “tradizione”, mi pare indispensabile.
ciao
a.
@ andrea raos
Ovvio che la prima cosa che faccio quando non conosco è cercare in rete. Su àkusma ciò che si trova è ben poco, e tutto molto distante nel tempo, quasi come se questa “rete” non esistesse più o sia ancora tutta da praticare (e il sito non ha alcun contenuto, è pennamente “in costruzione”, e il libro di Metauro, che tra l’altro è introvabile, è di 6 anni fa). Anche tu dici che il Tiresia di Mesa è perfomativo; ma voglio ricordarti che il manifesto di GAMMM afferma il proprio disinteresse per queste operazioni (scrivono: “indifferenza pressoché totale”). Davvero non ci trovi contraddizione? Sulla tua “noia per gli aggettivi” ti dico solo di rileggerti il post: loro hanno usato l’aggettivo “freddo”, non io (scrivono: “installativo, freddo, non performativo”). Io ho reagito col suo contrario. Entrambi assumono, molto evidentemente, un rilievo metaforico. In ogni caso, nel momento in cui escludi il corpo (scrivono: “assenza di autore”, “indifferenza verso lo spettacolo e la poesia spettacolo” …) è ovvio che escludi il pulsante, ciò che vibra, l’oralità sudata e puzzante, il sangue ribollente: il “caldo”, se vuoi. Insomma, forse siamo al di là della semplice aggettivazione … Sì, trovo Cage “freddo”, nel senso che mi pare una ricerca eccessivamente “formale”; in questo senso l’ho contrapposto a Frank Zappa, dove la ricerca formale, che pure c’è ed è immensa, non è disgiunta da un atteggiamento “etico” e, soprattutto, critico-irridente i sensi comuni …
@ marco (e andrea raos)
Sulla “utilità” permettetemi: nel momento in cui si dichiara una meta (e nel post viene fatto: “superare il conservatorismo attuale”, come ha scritto Sannelli), non tutte le scelte sono adatte. Quindi: alcune sono utili, altre meno. Ovvio che tutte le scelte sono leggittime, ma non tutte sono “sensate”. Che cos’è il senso se non direzione? Io, dai materiali del sito, ho avuto l’impressione non di una formalizzazione capace di “opporsi” all’omologazione imperante, ma di un mettersi in disparte. Diciamo così: ne ho ricavato la netta impressione di un lavoro prevalentemente sul significante, eludendo del tutto o quasi lo scavo dei significati (e quando lo ravviso, come in alcune parti dell’e-book si sannelli, resto interdetto). Ma questa non è una ricerca monca? E non è proprio un contraddire le premesse? Se io dico di voler andare a Parigi e poi prendo la strada per Palermo, tu che hai ascoltato la mia iniziale volontà sei leggittimato a dirmi che sto facendo una strada “inutile” e poco sensata … Se poi, per caso, non avete intenzione di andare da nessuna parte, allora siamo fuori da ogni senso (e dunque da ogni verità) …
mp
@a
risposte (genealogie) chiare. grazie, f.
@mp
se posso, io sono anche d’accordo con te su certi (molti) rilievi che fai. anch’io, insomma, ho dei ‘dubbi’ su questa ‘costellazione’… ma forse il tuo ‘taglio’ è già parecchio ‘militante’, battagliero (forse perchè conosci il più delle esperienze di cui si sta parlando). provoca, a mio parere, il quiproquo di critiche avvertite invece come frettolose liquidazioni, o stroncature ‘preventive’, cui seguono difese, arretramenti, arroccamenti o rilanci sterili (è un discorso generale). e nulla si rischia di cavare da un discorso, mi sembra, nel quale potenzialmente si possono delineare con chiarezza ‘le forze in campo’, le ‘posizioni’ sul piano della scrittura poetica (discutibili o meno…). per ‘stanarle’, in termini chiari… ciao, f.
fabio, preciso di non essere un gestore del sito, semmai sono un appassionato lettore degli autori in questione e, of course, di tanti altri.
Aspetto, se dovesse essere il caso, di essere smentito da uno di loro. Il tuo approccio alla questione, seppur critico, mi pare molto onesto, privo dei pregiudizi che altri qui ci elargiscono a piene mani.
a.
a. capirai, in un sito nato per ospitare parole che hanno un significato e un peso, in cui una settimana fa si pubblicava un appello per riprendersi Gomorra (libro pesantissimo che rende visibile un’immagine completa e dettagliata della camorra), ci si aspettano parole con un po’ di senso, non il ritorno a trent’anni fa quando i santoni scrivevano pagine in cui non si capiva un cazzo.
Ma forse è la mia premessa ad essere sbagliata, e questi testi qui vanno benissimo.
Ecco va’, Carmelo Strano non lo trovo, vi regalo questo frammento che sicuramente non avete letto, viene da “Giuseppe contre les hommes sans visage” un piccolo testo introduttivo di un vecchio catalogo d’arte:
…
9. Le massacre.
(Au fur et à mesure, les têtes volent en èeclates: des confetti et des billets de banque de toutes les tailles et de toutes les couleurs. L’un après l’autre, les membres de l’Organisation se disloquent en bouquets de lumières.
Le caque rouge: Mon yacht!
Le masque vert: Mon palais de Venise!
Le masque noir: Ma collection de tableaux!
Le masque mauve: Ma gouvernante!
D’autres: Mon usine de petits pois! Mon commerce de lingerie fine! Ma nièce! etc.
(Les voix se taisent une à une. Bientôt, il n’y a plus d’Organisation).
…
José Pierre, Paris, 14.6.1964
in rete si attivano sempre queste polemiche. cosa nota.
si attivano anche commenti come quelli di Fabio, che mi sembrano interessanti e ricchi/produttivi (di domande, più che di affermazioni): e sarà bello dare risposta in questa sede e/o direttamente (postando gli autori) su gammm.
ora. una nota per le critiche (che comunque sono benvenute; ed è un peccato non disporre di abbastanza tempo per replicare nel dettaglio):
con gammm abbiamo aperto appena uno spiraglio su un panorama molto vasto da noi stessi in parte (logicamente e umanamente) non tutto esplorato, ancora. se non piace, libertà di dirlo (è stato detto) e di non visitarlo (è stato fatto). tutto ok.
non è che gli scrittori e le opere i libri le installazioni smetteranno di esistere per via della passione compulsiva per l’insulto o la diffidenza o la bronzea volontà di iperdefinizione e tassonomia che qualcuno nutre. (non tutti i critici, a dire il vero).
un’immagine. siete sbarcati su un territorio che non conoscete. un tizio si mette lì e comincia a disegnare una mappa. neanche la abbozza, ed ecco arriva un altro e gliela strappa perché non gli piacciono i colori, un secondo personaggio si alza su e dice che tanto si trattava della mappa di un territorio che lui già conosceva (non si sa come). un altro ancora piglia e comincia a urlare, puzzare e sudare, e dice che siccome il paesaggio non urla puzza e suda, è sbagliato e non vale la pena di perderci tempo. una quarta persona osserva i frammenti in terra e li riduce in pezzi ancora più piccoli, imbufalito perché sono (a suo dire) imprecisi e arbitrari.
sono tutti comportamenti legittimi.
il territorio – per i fatti suoi – continua a stare là, non mappato, e indifferente. (né questa sua indifferenza è un “atteggiamento”: è un fatto. il territorio è un oggetto, esiste).
è questa la cosa bella. che i testi e la ricerca continuano/continueranno a esserci. a queste cose ci rivolgiamo, traducendo e scrivendo. chi si pone in ascolto (“àkusma” significa “ciò che si ode”) ascolterà cose talvolta interessanti. lo speriamo. chi non si pone in ascolto o lo fa con intenzioni insultanti, lo fa forse (temo, temiamo) a suo danno, e rendendo difficile o impossibile il dialogo. ma è libero di fare anche questo.
Barbieri, sei preoccupante, ci vorrebbe un esorcismo per liberarti da moresco. chiama milingo o don mazzi, forse possono darti una mano.
a.
Caro a. che c’entra José Pierre con Moresco? lo sai solo tu, nella tua testa incomprensibile. Vola in brasile e chiedi l’esorcismo per te, ti agiteranno in faccia un po’ di frasche in faccia e forse tutto passerà. Anche i testi di “Gammm:::”.
fabio:
la questioni delle origini e la questione del realismo…
per le origini, direi che in cinque mettiamo su un canone bello disorganico, anche se, per esempio, nel citato balestrini troviamo credo tutti una specie di terreno comune (ma anche in villa, per dire, rosselli, etc.).
in verità, però, ti so dire poco: frequento molto michele, un po’ meno marco ed alessandro e, purtroppo, quasi niente massimo. il nostro incontro è stato più uno scambio di gesti/feticci che un confronto come dio comanda.
quello che ci unisce è sicuramente la curiosità per tutta una serie di cose che ci siamo trovati di fronte, quasi casualmente potrei dire. gli americani sicuramente ed i francesi allo stesso modo. dei ritrovamenti che, in effetti, duplicano quell’incontro gestuale che ci ha messo insieme.
passando al personale, e facendo dei nomi, ti dico che parto dalla prosa, dalla narrazione e da calvino, soprattutto l’ultimo (dalle città invisibili, per capirci) e che di poesia italiana e non in verità ne ho sempre letta poca. mi sono trovato a ragionare con e su i poeti (almeno alcuni) perché con loro riuscivo a porre/pormi problemi tipo la decostruzione dell’io narrante, la non narratività, l’antireferenzialismo, mentre con i narratori la cosa è sempre molto più difficile (con bellissime eccezioni, per esempio il mitico gigliozzi!).
scendo così nel personale per arrivare ad un punto che, credo, vale per tutti e cinque: c’è sicuramente (anzi: necessariamente) una questione del rapporto con il canone, la tradizione,il dibattito. però c’è, soprattutto, la questione di alcuni problemi di scrittura (in quanto tali sia etici che estetici) che ti spingono a cercare ovunque degli strumenti per affrontarli. ti fermi, al di là delle genealogie e dei fascini, quando trovi qualcosa che sembra funzionare.
c’è essenzialmente questo alla base sia del nostro incontro, sia delle scelte nei nostri rapporti con la letteratura italiana e tradizioni come quella americana e francese.
la questione del realismo la risolvo in poche parole: fuori dal realismo non so, sicuramente lontani ed eccentrici rispetto alla referenzialità.
per entrambe le questioni, scusa la facilità delle risposte. cerchiamo comunque di portarlo avanti questo discorso.
miku:
grande, grande, grande! in italiano ho trovato solo testi 1,2,3 per einaudi. sai se c’è altro? tu saresti in grado di tradurre qualcosa di h. dal tedesco? se sì o se solo hai voglia di farti sentire contattaci al nostro indirizzo yahoo (lo trovi sul blog, qua non lo metto per evitare l’harvesting degli spammer ;-).
mp:
come battuta, ti consiglio (sui tragitti per parigi passando da palermo) il testo di jean-michel espitallier tradotto da michele (v. http://gammm.blogsome.com/chap/) ;-)
mp, potresti per favore scrivermi a ndriacambria @ hotmail.com? Grazie, ciao,
@marco
> un’immagine. siete sbarcati su un territorio che non conoscete. un tizio si mette lì e comincia a disegnare una mappa. neanche la abbozza, ed ecco arriva un altro e gliela strappa perché non gli piacciono i colori ..
veramente io la vedrei così:
un tizio si mette lì e comincia a disegnare una mappa. neanche la abbozza, ed ecco che si gira verso di te e ti chiede: “ti piace?”, tu gli rispondi “beh, finora mica tanto, ma continua pure …”, lui: “non mi serve il tuo permesso, non sei obbligato a guardare quel che faccio, ed inoltre non ho tempo da perdere con te”.
Scherzi a parte, se trovo il tempo proverò a essere più preciso. Ciao
certe equivalenze sono fenomenali! da avanguardia scatenata, direi :-)))
“beh, finora mica tanto, ma continua pure …” sarebbe l’equivalente dei primi commenti al post?!? maddài.
Non te la prendere, non è affatto semplice entrare nelle vostre cose.
Giusto Marco, infatti – per una volta a differenza di Wovo – io la vedrei così:
Alcuni ragazzi chiedono a Raos (a cui non piace parlare insieme di poesia e installazione e cose simili) di pubblicare il loro manifesto o depliant con uno strano titolo come andava di moda anni fa: “GAMMM:::” (iniziali di Gerardo, Alessandro, Massimo, Marco e Michele, i due punti non so cosa siano…). Raos legge il manifesto e in un primo momento pensa di rispondere ai simpatici ragazzi che il manifesto non manifesta: non ci ha capito una beata mazza di quello che c’è scritto!
Nonostante questo, essendo un momento noioso, con Barbieri alle porte sempre carico di ortaggi marci da scagliare su NI, si dice: non è manifesto in quanto trattasi di “ricerca”, la ricerca è sempre un po’ oracolare, se non lo fosse avrebbe trovato, dunque non sarebbe più ricerca.
Quindi pubblica su NI.
Però rimane il fatto che non si capisce un’acca. Addirittura arriva Sannelli con un saggio portatile in cui si possono leggere cose come: “Lo spettatore meno forte (perché è il meno divino), trasformato in sfidante, diventa spettacolo.” Allora un ingeneroso commentatore (barbieri) sfotte citando Carmelo Strano e un altro più elegante, ma non meno trivellante, scrive “Una nuvola di variabili e costanti, speriamo che passi … “: frase pressoché perfetta che a mio parere dovrebbe indurre autori e postante a un’autocritica.
Macché. Torna alla carica Racca con un testo sul colore che giuro, nemmeno nel manifesto della Transavanguardia scrivevano così criptico. Probabilmente i cinque (quelli della transavanguardia, si intende) avevano nonostante tutto qualcosa in più da dire e dunque occupavano un livello gerarchicamente superiore del significato.
Ora la domanda chiave: si è tentato di disegnare una mappa e qualcuno non l’ha capito?
Mappa la tua sorella! a me pare che Gammm::: sia un dripping inconcludente di parole. E ovviamente mi ribello.
D’altra parte se NI non vuole critiche, non ha che da chiudere i commenti. Infatti io non voglio, come auspica Giovenale, “ignorare gammm” perché a me GAMMM::: fa incazzare e se mi danno la possibilità lo dico. E se non me la danno, lo dico altrove.
@ wovoka
E’ semplicissimo, invece: basta spogliarsi di ogni idea pregressa (scolastica, canonizzata, museificata) di poesia e osservare l’ “oggetto” nella sua nudità, cercando di identificare e decodificare l’alfabeto in cui comunica la sua singolare alterità. E allora ti accorgi che parla: parla esattamente la libertà dello sguardo che si fa uno con la sua visione.
p.s.
Non mi sono fumato niente di particolare prima di scrivere.
Certo Ubertino, credo si possa fare, credo persino di conoscere il procedimento, ne faccio continuamente uso a livello visivo, funziona, crea nuovi pensieri, all’infinito. E non c’è bisogno neppure, per decontestualizzare, per “straniare” qualcosa, di spostarlo fisicamente, trasformarne l’immagine, assemblarlo: tutto può avvenire “concettualmente”, nella propria mente, magari con qualche piccolo aiuto tecnico, ma rimanendo operazione privata, pulita, per la quale non servono né mediatori né artisti, come Duchamp ci ha ben insegnato. Benché non ci abbia provato con la stessa convinzione, credo possa funzionare bene anche con le parole. Forse anche con i suoni, con l’aiuto di un buon software. Dato un buon livello di scolarizzazione, e sufficiente tempo libero, penso che tutti possano più o meno arrivare ad incarnare questo fantasma dell’ “uomo rinascimentale”: pseudo-artista, pseudo-poeta, pseudo-intellettuale etc. Suppongo che se questo poi riesce a combinarsi con certe abilità ed opportunità sociali, tutti quegli “pseudo” possano persino (ma illusoriamente, per semplice magia sociale [1]) essere fatti cadere, dando luogo ai veri artisti, ai veri poeti, ai veri intellettuali (per questi ultimi lo suppongo, per gli artisti ne sono certo). La faccenda diventa quindi assai spinosa perché tutta questa gente “pseudo” è al tempo stesso il tuo unico vero pubblico ed il tuo potenziale concorrente. Un atteggiamento ambivalente diventa quindi inevitabile, e questa ambivalenza io la intuisco fortemente nelle truci immagini di Sannelli, come nell’impressionante spettacolo che sempre forniscono le bande di poeti (complessi di legittimazione reciproca, veri e propri “gruppi tattici”) nel contendersi i loro asfittici spazi vitali. Io sono convinto che tutti i GAMMM siano gente di valore, credo veramente all’autocertificazione costituita dall’elettività – di Sannelli in particolare mi ha sempre affascinato la prosa densa, poco comprensibile ma proprio per questo quasi sacrale. Ma credo che neanche loro siano in grado di elevarsi al di sopra delle contraddizioni costitutive che sono di tutti: i problemi sociali non sono, (come sarebbe bello ma puramente superstizioso credere) dei problemi di linguaggio, di strutturazione del significante. A me non è piaciuto il “contenitore” GAMMM soprattutto perché non mi è sembrato porsi in maniera limpida, emancipante, di fronte al proprio pubblico, che sembra ricercare disprezzandolo, con una posa tipica dell’avanguardia già ben sviscerata sotto molteplici punti di vista (a me è piaciuta particolarmente la “tenaglia” costituita dalla teoria mimetica di Girard e quella sociologica di Bourdieu). La tentata saldatura dei poeti alla retorica commerciale dell’arte contemporanea (quella delle aste miliardarie, eredità dei Re Mida alla Leo Castelli, c’è stata dietro persino la CIA!) mi disgusta: si abbia il coraggio di esplicitare davvero le condizioni di “appropriazione” delle proprie opere, senza cercare di far credere, del tutto ipocritamente, che basterebbe soltanto un po’ di cuore puro e di orecchio ingenuo!
[1] Si veda per esempio la giubilazione della pseudo-artista (da un punto di vista strettamente pittorico) Patrizia Bianchi, attraverso una soffertissima certificazione ISO-9000 della sua anima da parte della premiata agenzia Sannelli. Tutti possono vedere come in quegli elaborati non ci sia “differenziazione” alcuna, ma ovviamente basta invocare Duchamp: quella sofisticata proiezione di significati che può avvenire sopra scolabottiglie, rami secchi, sacchi di rifiuti, pecore sfracellate eccetera può ovviamente funzionare anche su immagini senz’arte, purché abbiano “parte”.
cavolo, wovoka, figlio di tavibo: argomentzioni serrate, allusioni mirate. ce ne sarebbe di cui rispondere (non difendersi, ma ragionare replicando)…
solo:
‘con una posa tipica dell’avanguardia già ben sviscerata sotto molteplici punti di vista (a me è piaciuta particolarmente la “tenaglia” costituita dalla teoria mimetica di Girard e quella sociologica di Bourdieu)’.
puoi chiarire e ‘distendere’? graszie, f.
ottimo. la lettura sequenziale dei commenti credo dia – a questo punto della storia – un quadro chiaro delle differenze di posizione e stile tra coloro che propongono siti come gammm e coloro che li insultano. grazie a tutti.
Il tuo intervento, caro wovoka, è di quelli che si preferirebbe leggere con maggior frequenza: critico, anche pungente in certe allusioni (ma su queste non riesco a seguirti, perché credo di non aver ben chiaro del tutto l’oggetto del contendere), ma giocato sul filo di un pensiero e di una riflessione stringenti, ancorché criticabili, come tutto del resto.
Mi piace il tuo richiamo alla “criptopoieticità latente” in ogni uomo, di stampo rinascimentale, anche se, in questo caso, credo finisca per sfiorare soltanto il bersaglio: nel senso che lo “spazio evocato”, e sotteso all’operazione, non è una pura e semplice dimensione verbale, estemporanea, ma è la risultante di un elaborato percorso di definizione concettuale, tutto teso (a quanto capisco, e da quello che i testi letti mi lasciano intuire) a circoscrivere non un territorio a forte identità elitaria, ma una “possibilità”, un itinerario di ricerca non canonizzato, né tantomeno canonizzabile – stanti gli strumenti critici attualmente utilizzati, e acriticamente applicati anche a “realtà” per loro natura assolutamente refrattarie a quelle griglie interpretative. Ciò mi porta a credere, e ne sono convinto, che parlare di avanguardia, trans o post che dir si voglia, sia un falso problema: basterebbe, per sgombrare il campo da equivoci del genere, il lavoro di scrittura, e sulla scrittura, portato avanti da Giovenale, tanto per fare un esempio: un’operazione di “attraversamento” consapevole, fuori quadro, ai margini e sui margini, che, a mio modo di vedere, avrebbe dovuto costringere chi di dovere (la critica? ma in Italia esiste ancora, è ancora capace di definire nuovi statuti, nuovi codici interpretativi, quando si imbatte in oggetti “altri” che non riesce in nessun modo a far rientrare nei suoi schemi canonizzati dalla tradizione?) – a ridefinirsi in funzione di un’alterità dichiarata, fin dalle premesse e dai primi tentativi.
Ecco allora che la “chiusura”, che tu e qualche altro commentatore denunciate, non è verso il “pubblico”, verso il lettore o il frequentatore di quegli spazi (al quale si negherebbe l’accesso facendo ricorso a una “oscurità” programmatica, o alla riduzione degli spazi poetici a pura esibizione delle infinite possibilità/virtualità di una parola ridotta a puro significante: qui, e solo qui, potrebbe cadere un’eventuale “accusa” (?) di sperimentalismo veteroavanguardistico) – ma è diretta all’istituto stesso del fare poesia, dal punto di vista “pratico” ed ermeneutico. Se ciò non fosse (e il loro mi sembra, anche, un implicito atto di denuncia delle politiche culturali dominanti) tu avresti già, nella pratica reale e non a livello di proiezione e di sogno ad occhi aperti, strumenti capaci di avvicinare, di leggere, smembrare, sezionare e analizzare un oggetto “alieno”, quale è l’opera tutta di Sannelli, ad esempio: cioè, piaccia o meno, uno dei pochissimi “manufatti” veramente notevoli, da tutti i punti di vista, che questo paese di anime belle e di masturbatores grillorum delle lettere abbia prodotto negli ultimi dieci/quindici anni. Ma la grandezza, si sa, fa paura: ed è molto facile lavarsi scientemente le mani rifugiandosi dietro termini quali “freddezza”, “oscurità”, “tensione sacrificale”: che non sono, e non saranno mai categorie interpretative, perché, nel campo dell’arte, e della poesia in particolare, non significano niente.
Io credo che il progetto GAMMM sia un’ipotesi che, nella sua solo apparente autoreferenzialità, si spende in un’operazione finalizzata a minare l’intero “edificio” dalle fondamenta, partendo dal basso: visto che ogni tentativo di “ristrutturazione” (ciò che l’avanguardia è stato: non più di questo) è miseramente fallito. Forse sbaglio, ma, in ogni caso, prima della critica (preconcetta, in molti interventi), preferisco il silenzio dell’attesa e dell’osservazione delle produzioni che metteranno in campo.
@ugolino
‘la critica? ma in Italia esiste ancora, è ancora capace di definire nuovi statuti, nuovi codici interpretativi, quando si imbatte in oggetti “altri” che non riesce in nessun modo a far rientrare nei suoi schemi canonizzati dalla tradizione?’
è compito (anche) dei poeti, specie se ‘innovatori’ o ‘sperimentali’ (figli, a quanto pare, di nessuno sperimentalismo: quindi ‘orfani’ di tradizioni, ai margini dei canoni: che non è lo stessa cosa, a vedere bene), è loro anche il compito di costruire una discorso critico-teorico chiaro, serrato, permeabile alle critiche (chè di queste parlo, non di insulti, quelli sì, para-avanguardistici), ma impermeabile alle ‘ambiguità’ o ai dubbi; una critica poetologica (ma non solo), che accompagni il lavoro di scrittura (sto parlando in generale).
come dei ‘saggi-sassata’, credo: laddove se la ‘critica’ ritardataria arranca o sguscia via, se non lo fa per malafede, almeno non conserva l’alibi del ‘disorientamento’ (perchè dall’altra parte poca chiarezza s’è fatta, e dunque nisba).
oltre a questo, come dici tu, lavoro in corso. e sia (anche della critica…). (buon lavoro), f.
grazie degli interventi espressi in correttezza (critici o meno). il thanx to all era sincero, verso i contributi anche affilati ma rispettosi. intendeva in parallelo dire che la scrittura dichiara se stessa. produce talvolta alcune evidenze.
chi emette insulti si insulta, innanzitutto (e pubblicamente, poi). (gli altri due errori che commette sono 1, pensare che ciò non sia evidente; 2, illudersi che ai lettori non appaia lampante la sensatezza del “non raccogliere le provocazioni”).
*
mi auguro che proseguendo nel suo percorso gammm sappia far tesoro delle note, degli appunti, dei suggerimenti; articolando proposte analitiche e saggistiche, per affiancare di volta in volta (nel tempo) il versante di poesie prose e immagini, che comunque rimarrà predominante.
@ Fabio
Ma chi è questo ugolino? se è a me che ti rivolgi, come mi sembra, il mio nome è Ubertino (la mamma ci tiene tanto, sai).
Comunque, caro, mi sembra di aver detto proprio quello che tu sintetizzi con meno dispendio di righe. Quando parlavo di progetto globale, o lo lasciavo intuire, facevo riferimento anche al loro discorso critico-teorico (Giovenale, che non ho citato a caso, lo fa da sempre).
Good (and holy) night.
“Difficilismo”: malattia infantile molto contagiosa ma non mortale, di carattere pandemico nei territori italici.
Temp, una domanda prima di andare a nanna, se no la mamma mi sgrida: ma per te Sannelli è “difficile”? è affetto da “difficilismo”? Per me è il poeta più “limpido”, lineare e chiaro che abbia letto negli ultimi anni. Dimmi, sono grave? Ti leggerò domani, così saprò anche se devo ricoverarmi subito o si tratta di un malanno passeggero. ;-)
Caro Marco, l’unico insulto che c’è in questo colonnino è rivolto a me
“Barbieri, sei preoccupante, ci vorrebbe un esorcismo per liberarti da moresco. chiama milingo o don mazzi, forse possono darti una mano.
a.”
e magari questo “a.” lo conosci pure.
i lettori di questa serie di commenti non hanno bisogno di altre didascalie.
completo la frase (è partito un clic prima di completarla): i lettori di questa serie di commenti non hanno bisogno di altre didascalie per capire chi insulta chi. basta semplicemente leggere tutto in sequenza.
Vedi Marco, un insulto è un’offesa grave espressa con parole o comportamenti ingiuriosi, sprezzanti e sim.
Se io la butto sul comico e sull’ironia, magari più piccante di temperanza che parla di difficilismo o Wovo che parla di nuvola di variabili e costanti, non significa che le mie parole siano ingiuriose, sprezzanti ecc: sono ironiche verso i testi per motivi definiti (che avete capito benissimo), ma proprio perché i motivi sono definiti non si tratta di disprezzo, si tratta di critica, anche cattivella, che non rivolgo alla persona.
Mentre scrivere
“Barbieri, sei preoccupante, ci vorrebbe un esorcismo per liberarti da moresco. chiama milingo o don mazzi, forse possono darti una mano.
a.”
sì che è disprezzare e forse addirittura ingiuriare la persona.
Ora io potrei anche esprimere critiche al testo che non abbiano nemmeno un velo di ironia, che siano “oggettive” e “impersonali” come quelle che apprezzi nell’ultimo Wovo. Ma penso che buttarla un po’ sul comico, anche sulla caricatura, sia utile quando dall’altra parte c’è un atteggiamento ieratico-difficilista. Questa è la mia idea, e se vuoi la puoi smontare. Smontarla non vuol dire battezzarla come insulto a te o altri.
Caro @Ubertino Landi
letti i commenti la frase s’è formata da sola, è uscita con prepotenza, urgente e insopprimibile.
E’ uscita qui, ma poteva uscire anche in altre strisce, su questo ti do ragione.
Noto solo, molto in generale, che quanto più l’intellettuale è giovane e le sue labbruzze sanno ancora del latte dei sacri testi, tanto più opaca e confusa appare la sua argomentazione, poi, con l’andar del tempo, la memoria si appanna e la mente, godendo di maggior spazio, comincia a svilupparsi e a ragionare in modo più limpido.
Si è nella fase calante della malattia, poco ancora e il giovane sarà guarito, e non ci saranno neppure conseguenze.
Certo, alcuni non guariscono mai, il permanere della malattia era diffuso (ma come ho detto, mai mortale) soprattutto nei decenni passati, in parte perché si trattava di malattia sociale, in parte perché alcuni, dotati di minor talento dei davvero grandi, si erano accorti che era un modo per restare a galla, le frasi vuote infatti, ma ben sigillate e strette intorno alla vita dell’intellettuale, fungevano da minuscoli galleggianti nello spazio letterario.
Ma tutto questo, sia ben chiaro, in generale, sannelli ad esempio non lo conosco.
“sannelli ad esempio non lo conosco.”
e ci perdi molto, credimi.
@ Temperanza
Grazie per la risposta: breve, succinta, ma sicuramente corposa: mi piace in particolare la descrizione dell’affiorare e del decorso della malattia: vedrò, nel caso, se anch’io, con le mie note, rientro almeno nel referto sintomatologico. A miglior rendere (cioè: quello che segue:)
: “Sannelli ad esempio non lo conosco”:
e ci perdi moltissimo, credimi.
(cfr. Raos, con rafforzativo)
E vuol dire che lo conoscerò, sia chiaro che dire “non conosco Sannelli” non ha niente di provocatorio nei confronti di Sannelli, oltre a Sannelli ce ne sono molti altri che non conosco, i poeti sono tanti, sono un povero essere umano, ho i miei tempi.
Posso fare un OT?
Nessuno ha parlato dunque immagino di sì.
Mi è capitato qui di commentare i post, come tutti, a volte con un tono acidino (insultante mai) ma soprattutto ho commentato i commenti, perché chi scrive un testo che viene postato ha molte migliori ragioni di chi commenta, ha lavorato (immagino) ci ha messo del suo, si è esposto, e spesso si ritrova stretto tra due tenaglie deprimenti, gli insulti di una schiera di minus habentes che non articolano (me li sono presi anch’io) e il plauso ridicolo degli amici. Ma un commento argomentato, anche severo ma argomentato, non chilometrico, comprensibile e dunque rispettoso dell’altro, aperto e non, come vedo spesso, ammiccante a un microgruppetto di riferimento anche nascente, anche momentaneo, lo si vede di rado.
Questo mi deprime e mi viene da pensare che la rete faccia più male che bene, anche a me. Che non tiri fuori il lato migliore. Cosa mi ha portato questa ormai quasi biennale frequentazione? Ho detto cose utili e intelligenti? Ho i miei dubbi. E se non lo ho fatto perché diavolo ho perso il mio tempo? Ho conosciuto persone che valesse la pena frequentare, che avrei volentieri frequentato anche fuori? Be’ sì, tre o quattro. Ma la grandissima maggioranza ha un ego che in confronto quello della rana che voleva essere bue è invisibile, un’ ignoranza e un’ approssimazione e una cecità di fronte alla propria ignoranza e approssimazione così imbarazzanti che non val nemmeno la pena commentarle.
Sono stata severamente criticata l’altra sera, da gente che mi ha detto “in rete non si va”. L’ho difesa, ovviamente, perché sono curiosa e mi piace sperimentare, ma mi sto chiedendo se hanno torto, e questa critica radicale degli amici unita al mio stesso disagio, mi spinge a interrogarmi sull’utilità dei commenti.
Lo spiritoso che adesso risponderà “allora non commentare” vorrei disinnescarlo già ora.
@ Temperanza
Non ho mai pensato che il tuo “Sannelli ad esempio non lo conosco” fosse provocatorio.
Non faccio parte di nessun gruppetto o microgruppetto, fosse anche allo stato nascente.
Non ho nessuna intenzione, nemmeno remota, di farne parte in seguito.
Non credo che GAMMM sia una congrega o aspiri a diventarlo (ma questa è una mia idea).
Mi sarà anche capitato di plaudire ridicolmente nella mia vita, ma non in questo caso.
Conoscendo, da lettore, le opere di alcuni poeti coinvolti nel progetto, ho provato, rispondendo a wovoka, a immaginarne le intenzioni, anche alla luce degli interventi di Sannelli, Bortolotti e Giovenale.
Quando ti invitavo a leggere Sannelli, cercavo solo (come credo anche Raos), sapendoti una lettrice attenta, lucida e critica, di trasmetterti, come si fa in genere tra amici, il piacere intellettuale che la lettura dei suoi testi mi trasmette (a me personalmente: come quando si dice: ascolta questo disco, è veramente interessante: il che non significa che chi lo ascolta debba apprezzarlo per forza).
I guasti (e i guastatori) della rete non mi impediscono, quando mi va di navigare in qualche sito, di prendere il meglio di quello che trovo: e, anche se non succede spesso, quando succede, non è poco.
Pax tibi, Temperantia.
Faccio fatica a capire le ragioni di certe durezze negli interventi.
GAMMM mi sembra un’opportunità, per giunta un’opportunità del tutto gratuita.
La presentazione è di tipo “manifesto”, non di tipo “museo”.
La modalità “manifesto” non piace?
Non è obbligatorio aderire, ma non si può certo pretendere l’oscuramento del sito.
Anche io avverto un qualche rischio di deriva intellettualistica. Ma mi pare davvero poca cosa.
Soprattutto se penso che viene reputato campione eccellente della poesia nazionale (ha appena vinto il Viareggio) un libro-museo come “Ferite e rifioriture”.
Un libro che a me è parso assurdo, irritante, sentimental-dannunziano.
O un’imitazione del peggior ottocento.
L’avevo già postato su N.I. Ma forse ripetere giova.
Insomma, mi auguro che non sia questa l’alternativa a GAMMM.
Da Giuseppe Conte: “Ferite e rifioriture”
Più pietà
Devi avere più pietà per chi soffre
mi dici, mia vita, e hai ragione.
Non so che galaverna, che gelata
un giorno mi intaccò il cuore.
Da allora, lo confesso, il dolore
degli altri mi sembra spesso poca cosa
di poco conto se penso
a quello che io ho patito.
Ma di un bambino che aspetta suo padre invano
di un senzatetto costretto a tendere la mano
di chi dalla sua terra è lontano
e non vi può ritornare
tu lo sai che mi stringe pietà
– benedetta, benvenuta anche adesso –
più forte che di me stesso.
L’elemosina (omaggio a William Blake)
Chi è che lascia che un bambino
chieda in strada l’elemosina
stretto contro uno scalino
e con in mano un bicchiere di plastica?
È un bambino bianco e biondo
non avrà più di dieci anni
freddo e buio lo immobilizzano
sono logori i suoi panni.
E io che andando lo rasento
e che dal mio portafoglio
traggo un euro ed altri spiccioli
so la mia colpa, so che sbaglio.
Glieli porgo guardandolo
e ora lo saluto mesto
lui non fa neppure un gesto
quasi io fossi l’invisibile.
Chi è che lascia che un bambino
chieda in strada l’elemosina?
Vita, non lo sai davvero?
E non ti ribelli, anima?
@temperanza
cara temp., potrei risponderti cercando di scavalcare un po’ di nostri trascorsi ‘acidini’ (credo che tu rivolga anche a me i tuoi strali), recuperando in ‘confidenza’. confidandoti anch’io le ragioni che mi spingono qui (sottraendo comunque vada tempo ed energia ad altro), e ‘girandoti’ i miei personali mille e più motivi di delusione.
la ‘delusione’ credo sia una reazione quotidiana, fisiologica, tra entusiasmi e depressioni, anche per chi gestisce i blog ed è nelle redazioni ‘virtuali’, figuriamoci per i ‘commentatori’ (tuttavia, due anni sono davvero molti, a queste ‘latitudini’: non so sinceramente se arriverò al tuo ‘score’….).
sarà il sintomo e la ‘spia’ di qualcosa che non va più in generale (un ‘difetto’ di comunicazione…): non credo molto a diagnosi o prognosi tutte e soltanto legate alla natura del ‘medium’.
NI può essere anche una ‘palestra’, un ‘laboratorio’, un esercizio (per un lavoro in corso). vero quando dici che tutta ‘sta energia andrebbe, se mai, convogliata, nel tempo, verso contributi (i post). se proprio si vuole ‘collaborare’ (e scrivere).
vero è anche, dovrai ammettere, che talvolta i commenti articolano, (s)muovono, ‘aprono’ il post (l’autore ne è grato, soprattutto per sè, nel senso non della gloria ma del rimescolamento, e della precisazione eventuale, delle proprie certezze). sottolineo ‘talvolta’, è chiaro. c’è una ‘urgenza’ della comunicazione (questo è): quando non si parla di emorroidi, quando non ci si minaccia fisicamente via web, per me, va quasi sempre bene.
vengo alla ‘oscurità’ degli stili (‘scrivere chiaro/ scrivere oscuro’). senza scampo la tua diagnosi sul ‘difficilismo’ intellettuale dei decenni passati. c’era uno alla mia università, geniale critico letterario marxista (Pirandello e Svevo, per dire due auctores), senza contaminazioni poststrutturaliste, che davvero e fortunatamente traduceva per il volgo le sue cose a lezione, perchè i suoi scritti erano, appunto, di quella difficoltà oscura ma densissima che dicevi (i suoi epigoni, tolta la sostanza e la ‘tensione’ del suo ‘talento’, erano, e sono, solo eredi nell’ipotassi…). l”ipotassi’…
il punto, per me, è proprio lì. i ‘modi’ coi quali si trasmettono (costruttivamente, immagino) i frutti non solo anagrafici della propria ‘esperienza’ sono fondamentali (non credo solo per i ‘ggggiovani’ che tu, acidamente, quando ti scappa, immagini col ciucciotto..: a bari in questi casi il ‘vecchio’ acido e seccato dice, in dialetto: ne devi mangiare di pane tosto….).
in generale, dico (bada che non è questione – soltanto – di ‘orgoglio’: e NON è questione, stavolta credimi davvero, almeno nel mio caso, di narcisismo).
avrai scartabellato le lettere di calvino per einaudi agli amici scrittori. dimmi un po’ se non è la sua una lettura sempre ‘agonica’, contrastiva, che ci si augura da un attento ‘esecutore’ dei propri spartiti (e qui stiamo parlando di ‘commenti’…), con (emblematiche eccezioni).
gli arriva ‘il consiglio d’egitto’ di sciascia. subito lì a discutere, mettere in dubbio, circoscivere e rilanciare.
ed eccolo di fronte alla prosa levigata, paratattica, chiara e ‘temperante’ di sciascia (davvero tu scrivi con la chiarezza dell’ordine, senza manierismi…): esplode (lui, maestro di ‘stile semplice’) nel rimbrotto più paradossale: ‘falle esplodere queste polveri barocche che possiedi e che sottendono, tenute nascoste, il tuo ‘stile’ razionale!!!!’.
è più ‘faticoso’, è vero. ma quando qualcosa c’è, sotto, l”ipotassi’ vale (in generale)…
un consiglio filiale: se proprio non la sopporti, e vedi nell’oscurità, indistintamente, un bambino-scoiattolo della penna che colma con le parentetiche il vuoto del suo pensiero, ignoralo; nel caso tu abbia ragione, pensa con indulgenza alle tue ‘polveri barocche’, e a quanto tempo ci è voluto per assimilarle al tuo ‘stile semplice’…. nel migliore dei casi, se hai tempo e voglia, sii leggermente più ‘costruttiva’, please…
che senso ha ‘sprecare’ un commento per dire: ‘ che dici, che dici? vai a lavorare!’ ???? io l’ho fatto, mea culpa, mi son pentito: non faccio nomi ma mi rivolgevo all’artefice, qui, di uno ‘stile semplice’ (paratassi, apparentemente mai fuori tema, ecc.) che ha dello strordinario: non si capisce davvero (secondo me) proprio una mazza…. vedi tu… (chiaro/oscuro)…
comunque ciao, f.
…. ‘qui’, nel senso di NI (anche tra i post).
ciao
@ emma e (per conoscenza) @ temperanza
Se quella “roba” (“assurda” e “irritante” sono degli eufemismi) è rappresentativa della poesia italiana odierna (io continuo a definirla “di regime”, ma forse sarebbe meglio “di concime”), io auspico non una, non cento, ma mille GAMMM: un discorso ecologico, prima di tutto.
(In confronto, Sannelli è un Dante alle prese con i materiali della Commedia)
@Emma e tutti
come mi è già capitato altre volte concordo, in questo caso su Conte, ma sai quanto me che nella poesia edita dalle grandi case ci sono posizioni di rendita che nascono dalla presenza sul campo.
Del resto questo accade anche fuori dalle collane delle grandi case editrici, se un poeta scrive e magari pubblica a pagamento uno e poi due e poi tre e poi quattro libri e li manda in giro con costanza, al sesto libro sarà un poeta. La costanza premia, costruisce quella “carriera” che con la poesia ha poco a che fare ma con il ruolo del poeta invece molto.
Ma io (sempre che tu ti riferissi a me, ma credo che anche il tuo fosse un commento “generale”) non criticavo GAMM.
Facevo una riflessione più generale. Anzi, se a parte poche incursioni in altri blog io vengo prevalentemente qui è forse, oltre che per la curiosità che dicevo, per una certa nostalgia verso una stagione ricca di confronti e fermenti in cui politica e letteratura si univano produttivamente, anche se magari marginalmente rispetto alle strade maestre della cultura editoriale e perché no, “museale”, maggiore.
Mi sembrava che questo fosse un crocicchio produttivo.
Ma c’è una modalità, data probabilmente dal mezzo, che non aiuta la discussione.
Le discussioni accanitissime con la faccia dell’altro di fronte hanno avuto come risultato a volte inimicizie profonde, ma anche pensieri non episodici, e alla fine era più facile tenere in mano i fili, o le fila, del discorso, qui si appare e si scompare in modo più episodico, più caratteriale, e questo porta anche me a essere a volte “troppo” rapida. E se faccia a faccia lo scazzo è magari sul lavoro, nei commenti lo scazzo è spesso sulle caratterialità, sui toni, veri o presunti.
Ci sono state belle discussioni, ma anche molto brutte e questo sconforta.
Sconforta soprattutto per sé, e dunque io parlo ora per me sola.
@fabio
Io non immagino mai i “giovani” col cucciotto, se così fosse li considerei lattanti e ai lattanti non parlo, né chiedo loro alcunché.
Mi aspetto invece molto, molte cose che per varie ragioni, anche anagrafiche, mi è difficile trovare altrove da sola perché ovviamente frequento persone che conosco da quaranta o trent’anni e di cui so già tutto, persone ai miei occhi molto prevedibili, di cui so come si sono formate, so quello che pensano, a volte lo abbiamo pensato insieme, e con le quali mi intendo al volo.
Ma ho anche la sensazione che manchi a volte qui quello che nel rapporto personale c’è sempre, una forte richiesta a pensare bene e soprattutto a pensare bene per spiegare bene all’altro quello che si è pensato. E questa è una forma di rispetto. Le “polveri barocche” funzionano se non restano polveri, o meglio, quelle polveri barocche hanno funzionato perché non sono restate polveri.
E a proposito di chiarezza e oscurità, non vedo come si potrebbe rinunciare alla luce senza l’ombra e viceversa.
Dunque evidentemente non ci siamo capiti, certo per colpa mia, perché a me dello stile “semplice” importa assai poco, a me importa che lo stile sia un abito su misura, ben tagliato, con buone stoffe, ben cucito, e non un sacco che penzola da tutte le parti e pieno di volant malamente attaccati per farlo sembrare balenciaga mentre è fatto in casa mezz’ora prima. E questo non è un appunto a te, è un appunto a tutti, me per prima. E tra l’altro decisamente OT e dunque mi scuso e me ne vado.
Oddio! Che lungo, mi scuso ancora.
la nota di prima è ora qui, riscritta:
http://www.microcritica.splinder.com/post/8567499
un saluto, a tutti (veramente TUTTI)
massimo s.
@Temperanza
Sì Temp, il mio commento era di carattere generale.
Ho letto i commenti tutti insieme, e l’impressione è stata quella di un eccesso di insofferenza.
Succede spesso, e succede spesso anche a me, sia chiaro.
Anzi, ormai l’insofferenza la metto in conto e la considero un elemento fisso dei blog-commenti.
Tuttavia nel caso specifico ho trovato qualcosa di eccessivo.
Per la verità non tanto negli interventi *critici* (e i tuoi interventi *critici* li considero comunque preziosi), quanto in certi eccessivi personalismi.
Andrea, ho ripreso questo tuo importantissimo pezzo su 24/7: http://www.24sette.it/contenuto.php?idcont=440. Ovviamente, con tutti i credits.
Grazie per la splendida segnalazione!
Grazie a te Giuseppe (da parte degli autori soprattutto!).
Ciao,
A.
Una riflessione supplementare.
La poesia di Conte postata qui sopra da Emma dovrebbe ricordare a tutti qual è il vero \”nemico\”. In un paese in cui roba del genere riceve attenzione (non dico premî, di cui mi importa poco, ma anche solo semplice attenzione), dovrebbe apparire chiara l\’importanza di un lavoro \”di apertura\” come quello di gammm. La deriva intellettualistica di cui parla la stessa Emma esiste, certo (questo per chiarire, Temperanza, che anche fra amici – e molto cari – non passiamo la vita a darci pacche sulle spalle); ma in questa fase, mi appare evidente la funzione di anticorpo che queste pratiche svolgono (ho molto ammirato, in questo, le analisi di Ubertino Landi).
Pratiche che io, comunque, non vedo come destinate a restare chiuse su di sé, ma che spererei veder disciogliersi nel corpo delle scritture, tutte le scritture, e dar vita a nuove ibridazioni. Certe chiusure a priori (tutte \”di sinistra\”, certo; tutte provenienti da persone impegnate in une folle gara su chi è più a sinistra di tutti, e ad esclusione di chiunque altro) porterebbero a disperare; un segnale di attenzione come il tuo, invece, mi fa dire che forse ne vale la pena.
@raos
Caro Andrea, non credo che vi diate in continuazione pacche sulla spalla, ho letto per esempio l’altro tuo post sulla poesia cinese e giapponese, non ho commentato perché non ne so niente e non ho niente da dire, ma lo ho molto apprezzato e ho letto con grande curiosità e interesse.
Ma Conte non è un genere, è un poeta, e a me generalizzare non interessa, seguendoti su questa strada rifiuterei Penna – in quanto semplice – per la ragione opposta a quella per cui dovrei apprezzare XY perché è un poeta di ricerca.
Io non apprezzo Conte NON perché lo considero un poeta “vecchio” ma un cattivo poeta.
Ci possono essere, anche in pieno XXI secolo, poeti seri e importanti (ovviamente è un’ipotesi, ma non impossibile) che lavorano con strumenti apparentemente vecchi e semplici.
Già non mi interessano le ideologie globali, figuriamoci se posso appassionarmi alle posizioni ideologiche in poesia. Per me questa è roba non vecchia, “vecchissima”.
Come “un senzatetto costretto a tendere la mano” è lo strazio di questa poesia sentimentale e a bassissimo valore stilistico, estetico e di pensiero (ma piacerà a Veltroni?), così il difficilismo è lo strazio di tanta poesia cosiddetta “di ricerca”.
Io, che pure non dirigo collane, non sono consulente di niente, non scrivo recensioni, non ho alcun potere editorial-letterario, ho uno scaffale pieno di libri che mi vengono spediti e che trovano nella difficoltà l’unica ragione della loro esistenza.
Tieni presente che dice questo una persona con una formazione novecentesca, il che di per sé vuol dire eminentemente critica, e dunque istintivamente portata a dare valore alla sperimentazione e alla ricerca. Dunque ogni apertura, ogni possibilità non solo sono per tenerla aperta, ma per leggerla con estrema attenzione.
Ma il difficilismo in quanto tale (e ce n’è in giro parecchio) no, non riesco più a tollerarlo, i cattivi poeti sono ben distribuiti ovunque.
Cara Temperanza, devo essermi spiegato male, anch’io attaccavo il Conte-poeta, non certo il Conte-genere (che peraltro esiste, ma di cui ovviamente NON fa parte il grandissimo Penna – per dirne solo uno).
È ovvio che il problema di Conte, e di tanti, non è la sua semplicità, ma le cazzate che scrive, puntebbasta.
E questa finta alternativa “facile-difficile” (difficilismo-facilismo) mi ha veramente esasperato (qui non me la prendo con te, sto pensando a voce alta). È un aspetto ricorrente dei cosiddetti dibattiti italiani, è di un provincialismo abissale, è profondamente reazionaria.
Si parte dall’idea che esiste una frase “naturale”, soggetto-verbo-complemento, dopodiché tutto ciò che se ne allontana è “difficile”, è “sperimentale”, è “elitario”. Ma in cosa sono difficili i testi di gammm? Nel fatto che non somigliano alle frasette come le si insegnano a scuola? Ma allora anche Penna è difficilissimo! (e difatti lo è). E Saba? Lo mettiamo fra i “facili” o i “difficili”?
Mentre basta rovesciare anche solo per un attimo lo sguardo, rendersi conto che si è liberi di scrivere e di leggere ciò che si vuole e come si vuole, e tutto diventa semplicissimo… (qui ovviamente semplifico troppo, il rapporto-lotta-conflitto con la Norma – linguistica e non – è eterno, anzi probabilmente è proprio questa eterna conflittualità il senso di tutto).
E su questa base gli steccati che saltano sono davvero tanti, sia di “genere” che di “casta”: gli scrittori interessanti sono quelli che frantumano la prima gabbia, quella che dicevo qui sopra, ed interessante è come (cioè con che cosa) esprimono questa frantumazione; non certo il fatto in sé che lo dicano in modo facile o difficile. Ma è una divisione, questa, che fa comodo a tanti, e gli steccati e gli snobismi sono dovunque. Si parla tanto degli snobismi di certa cultura “alta” nei confronti di certa altra cultura “bassa”, che certo esistono; ma è vero anche il contrario. Perché nei due campi c’è interesse ad espellere ciò che davvero potrebbe metterli in crisi, nella loro povertà e piccolezza.
E difatti, nei due schieramenti nessuno ha letto, per esempio, Amelia Rosselli. Lo so. Si vede da come scrivono. Dopo aver letto Amelia Rosselli, non si può più scrivere allo stesso modo. E invece molti lo fanno (facili o difficili, romanzieri o poeti, non è quello il punto).
*
“Ma il difficilismo in quanto tale (e ce n’è in giro parecchio”. Qui mi piacerebbe sapere a chi pensi, perché a me non sembra proprio. E comunque non tirerei il respito internazionale di gammm (hai guardato la massa di link che offrono?) dentro ad asfitticità post-post-post-neoavanguardia che ci tiriamo ancora dietro in casa nostra. Non che l'”internazionale” in sé sia garanzia di nulla, ci mancherebbe, ma non vedo cosa ci sia di male nell’aprire le finestre ogni tanto.
“i cattivi poeti sono ben distribuiti ovunque.” Qui scusa ma sei banale. È ovvio che il 90% di ciò che gira fa schifo – è sempre stato così, e sempre sarà. Proprio per questo mi sembra urgente migliorare (affinare, allargare) i nostri strumenti, per percepire meglio il buono che c’è (se c’è).
“Ci possono essere, anche in pieno XXI secolo, poeti seri e importanti (ovviamente è un’ipotesi, ma non impossibile) che lavorano con strumenti apparentemente vecchi e semplici.” Io ne citerei almeno uno, di cui ho moltissima stima: Eugenio De Signoribus.
respito -> respiro
p.s. mi fa piacere che il mio saggio sul poeta giapponese ti abbia interessata, grazie. Ma i caratteri giapponesi si vedono correttamente? Io non posso verificare perché su tutte le mie macchine so di avere il programma adatto, mi piacerebbe sapere se appaiono anche su un computer \”normale\”.
solo due righe, una notazione marginale sull’opposizione facile-difficile.
in effetti, questa opposizione trova una sponda teorica (anche se nella fattispecie in negativo) nella distinzione di memoria formalista tra linguaggio comune e linguaggio poetico (dove il secondo perverte il primo a fini “liberatori”). a prescindere dal ginepraio di questioni che questa relazione comunque introduce, sarebbe da considerare il fatto che _non_ esiste un linguaggio comune (un linguaggio semplice, nell’opposizione di partenza). in ogni frase (dovrei dire atto linguistico?) c’è un coagularsi di gerghi, registri, tropi, schemi ideologici, mitologie varie, etc. etc. piuttosto denso ;-)
scappo,
gh.
caro Andrea,
sono un po’ di fretta (mi si è rotta la stampante con guai collegati):
Sulla falsa alternativa facile-difficile sono d’accordo.
La banalità sulla distribuzione dei cattivi poeti te la straconcedo, a volte però anche le cose banali sono vere e proprio perché banali non vengono ricordate abbastanza spesso, più si parla in generale e più si rischia di dimenticare che ogni poeta vale per la sua voce, non per l’area nella quale si situa o viene situato, può sembrare banale a una persona come te, che ci lavora, ma va ricordato a chi si accoda e fa eco e basta, ma comunque non sono così innamorata di quella frase da non accettare volentieri che tu idealmente la cassi.
Domanda: hai visto a che punto è il mio primo commento? Bene, se tu rileggi tutti i commenti precedenti capirai che non è con GAMMM ce l’ho (sulle finestre aperte del resto sono d’accordo), ma con una autoreferenzialità del discorso veramente sconfortante e l’autoreferenzialità è gemella qui di incomprensibilità per chiunque non sia perfettamente al corrente, anzi dedito, a una specializzazione a mio avviso esagerata. Si può parlare in modo più chiaro di tutto questo, oppure si deve sopportare la contraddizione di restringere ancora di più il campo già piccolo dei lettori di poesia pur volendola diffusa e letta, o (terzo) andar fieri di star nelle catacombe. (Ad aver tempo si potrebbe prendere ogni commento e riscriverlo in modo che venti persone in più possano capire di cosa si parla, venti persone in più per un post sulla poesia non mi sembrano da buttar via)
Tu del resto sei uno che parla sempre piuttosto chiaro, non fumoso, e dunque non capisco cosa difendi.
Poi il discorso si è allargato.
Fare i nomi, beh, qui sono in imbarazzo perché non voglio essere io a mettere alla gogna qualcuno, se mi capita di incontrarlo perché si è esibito lui, il poeta, lo dico, ma buttare sul tavolo un gruppo di rimestatori di parole solo per dirne male non mi interessa. Penso che si possa parlare dei peccati anche lasciando al loro destino i peccatori.
Tu dici che il difficilismo non è diffuso, se parliamo di numeri sono d’accordo, il cuore-amore è quantitativamente più presente ma non viene preso criticamente sul serio.
Del resto è più facile irridere un poeta come Conte che criticare un poeta (che tra l’altro mi intriga molto) come Blotto. Più facile intendo perché ci vogliono abbastanza pochi strumenti per Conte e moltissimi per Blotto, che non per nulla ha avuto un po’ di eco – e forse subito spenta – solo da poco, a settant’anni, eppure ha cocciutamente continuato a scrivere nel silenzio per anni. Con questo non dico che Blotto sia un grande poeta, non lo so, ma come ho detto mi intriga moltissimo, l’ho letto con uno stupore continuo.
Perché dici che nessuno ha letto la Rosselli? Parli dei poeti? A me la Rosselli risulta lettissima e amatissima. Forse tra i più giovani? Non so.
E cosa c’entra la sinistra? a chi pensi? mi hai incuriosito.
Ma mi aggiorno. Vado a cercare qualcuno che stampi.
@Raos
no, in effetti vedo punti interrogativi, che immagino siano i caratteri giapponesi, non so gli altri.
ma siccome ho passato dieci giorni a Kyoto senza capir niente il punto interrogativo non mi ha turbata, ho dato tranquillamente per scontato che fosse un carattere per me comunque incomprensibile. Capisco che per te non sia così, sorry.
Caro Andrea Raos, ho stampato il tuo intervento delle 15.18. Grande! Della serie: come fare critica intelligente e costruttiva in un blog (e non solo).
Anche gli “stimoli” dell’interlocutore/trice fanno la loro parte:come dovrebbe essere, almeno di tanto in tanto.
Ho stampato.
E dunque son tornata, sono entrata con più calma in Gammm e ho riletto i commenti, scoprendo tra l’altro quello di Ubertino Landi di questa notte (credo) rivolto a me, dunque, @landi, sannelli è abbastanza chiaro, sì, almeno ai miei occhi, il problema a mio parere nasce dal fatto che mentre i testi presentati non creano tanti problemi, la presentazione a Gammm ne crea.
E probabilmente ne crea perché si serve della parola “installazione” presa in prestito dall’arte figurativa invece di trovarne una propria che sarebbe stata più chiara, e infatti ho visto che a parte le nuove contrapposizioni caldo/freddo (e la aggiungerei a quella chiaro/scuro – facile/difficile associandomi alla noia di Raos) intorno a questa nuova/vecchia categoria si accaniscono soprattutto i commenti.
Tra l’altro, e forse sono esageratamente semplice, o anche sempliciotta, non vedo differenza tra installazione e testo non letto dall’autore, sempre che la contrapposizione installativo/performativo che voi proponete abbia un senso e io l’abbia capito bene.
Ho l’impressione che i binomi conflittuali si incrocino e dunque me ne vengono in mente altri:
caldo/freddo=
sinistra/non sinistra (perché la destra qui non c’entra, una certa destra beh è altrettanto calda della sinistra)=
emozionale/non emozionale=
emotivo/non emotivo=
vicinanza/lontananza=
condiviso/non condiviso=
distacco/attaccamento
e via discorrendo, sempre che io mi sia avvicinata al senso dell’operazione.
Ma di fronte a uno dei commentatori che manifestava la sua difficoltà a capire, non ricordo più chi, non vale la pena chiedersi se si poteva fare uno sforzo maggiore? Io so che gli artisti sono in genere, almeno nella mia esperienza, piuttosto afasici e faticano a spiegare bene, a concettualizzare bene il loro lavoro, ma dai poeti mi aspetterei una maggiore puntualità.
A scanso di equivoci, conoscendo la malefica capacità della scrittura in rete a creare inutili flames, tutto questo detto con spiritvo molto dialogico.
“Tu del resto sei uno che parla sempre piuttosto chiaro, non fumoso, e dunque non capisco cosa difendi.”
Cara Temperanza, vedo che davvero non ci siamo capiti ed è stato per colpa mia, ma con un po’ di pazienza da parte tua forse ci arrivo.
Tu te la prendevi con la “fumosità” di certi commenti. Va bene. Cioè, non lo so, può darsi, rispetto ovviamente la tua opinione. Io invece ero partito direttamente sulla scrittura creativa, e sulla sua ricezione, e su quelle, col tuo permesso, vorrei continuare.
E dunque dico che vorrei vedere certi procedimenti, certe modalità di ascolto della lingua, che sono proprî di certa poesia contemporanea, e che si fa passare per difficili, astrusi, espandersi in tutto il corpo della letteratura italiana. Allora sì che ci sarebbe da divertirsi! È stato detto – io credo con ragione – che l’Italia negli ultimi anni ha assistito a un impressionante fiorire di talenti poetici e narrativi (e secondo me anche saggistici, benché faccia bon ton affermare il contrario – ma questo, come al solito, lo si scoprirà fra cinquant’anni). E mi fa rabbia vedere come questi talenti, tutto sommato, non comunichino, o non abbastanza (le tre o quattro cappelle della narrativa, le cinquantamila della poesia…).
Per farla corta: sentir parlare di scritture “difficili” mi fa saltare sulla sedia perché – a parte le impasse teoriche che Gherardo giustamente ricorda -, penso che tutte le scritture italiane attuali avrebbero da guadagnare nel conoscere (e far fruttare in altri campi) questo tipo di esperienze. Avrai capito che penso soprattutto ai narratori (dei poeti, alla fine, mi importa meno; li ritengo meno recuperabili, e comunque, sanno senz’altro ciò che fanno, non hanno la scusante del non conoscere – anche se resto convinto che un po’ di sana fantascienza farebbe loro più che bene…). Anche l’accenno alla Rosselli veniva da lì, era rivolto ai romanzieri; i poeti certo che la conoscono, e vorrei anche vedere…
Anche il mio accenno alla “sinistra” voleva dire questo; possibilità convergenti ma che si ignorano, perché ciascuna certa di essere l’unica valida, e di non avere nulla da guadagnare da una o più ibridazioni.
Spero di essere stato più chiaro. Ma penso si veda che voglio dire una cosa molto semplice, alla fine.
p.s. Anche a me Augusto Blotto interessa molto. Ma lo conosco poco, e al di là di un generico interesse, per ora, non sono riuscito ad andare.
p.p.s. E così sei stata dieci giorni a Kyoto… Ma guarda te uno come deve venire a sapere le cose… Questa però me la racconti meglio, magari in altra sede.
p.p.p.s. grazie anche a Landi, ma credimi, è senz’altro merito del “processo”.
Ciao,
Temperanza, ho scritto senza aver letto il tuo ultimo, accidenti, adesso mi tocca ricominciare da capo… :-)
Temperanza, tra una performance di Luigi Ontani e una sala “installata” da Luigi Ontani non c’è nessuna differenza. L’ispirazione è la stessa. L’effetto è diverso come può esserlo tra due dipinti, tra due installazioni, tra due performance. Performace e installazione in sé sono pennelli che possono produrre di tutto a seconda dell’artista.
E ricordiamo le parole di Deleuze, grazie a Forlani proprio qui, su NI
“Car ça fait déjà un certain temps que, dans toutes sortes de domaines, les gens travaillent pour éviter ces dangers-là. On essaie de former des concepts à articulation fine, ou très différenciée, pour échapper aux grosses notions dualistes.”
https://www.nazioneindiana.com/2005/11/14/di-gilles-deleuze-vo-version-originale/
Oddio! beh, prendiamoci una pausa.
Sì, non volevo più tornare a casa, e pensa che prima non volevo andarci, non so perché, il Giappone non mi attirava, poi mi ha enormemente intrigato, mi sembrava che mi succedessero cose strane, e in effetti me ne sono successe:–))
Ragazzi ma vogliamo dare un senso alle parole “On essaie de former des concepts à articulation fine”?
@ab
Non sono d’accordo, a meno che tu non mi spieghi dove NON sta la differenza.
Io, come spettatrice, sento forte differenza tra la Abramovic che scarnifica le ossa e lo stesso luogo con le ossa scarnificate ferme, immobili, ancorché puzzolenti, ma senza la Abramovic.
Premetto che in queste cose che dico mi baso sulla mia sensibilità di spettatrice, osservatrice e lettrice, e non su una cultura specifica.
Proprio per questo, per amore della differenza, faccio invece fatica ad accettare la definizione di installazione per quello che ai miei occhi è un testo.
Ma come dico, posso solo imparare.
Qua si tratta di pensare contemporaneamente su piani diversi, uno molto sofisticato e rischioso dove si tentano nuove definizioni, che non è detto mi appassionino, ma mi incuriosiscono, e un’altro più privato che riguarda quei concetti e quelle percezioni e posizioni di ognuno di noi nei confronti della poesia e delle arti in genere che devono molto anche all’esperienza, o se vi piace di più, al vissuto di ognuno.
Io arrivata al punto in cui sono amo farmi capire bene, e perciò cerco un linguaggio chiaro e comprensibile, mostrando anche le mie lacune e défaillances, ma la cosa che credo sia più importante, almeno in una sede spuria come questa, è dire quello che si pensa senza fare giochini, io credo che né tu né Raos li facciate, ormai vi leggo da un pezzo, e riconosco in entrambi, una passione notevole, certe cose che tu dici Barbieri le condivido, altre no, e lo stesso vale un po’ per tutti, qui, ma mi piace confrontarmi con chiarezza (e anche a volte con bruschezza).
Quel pezzo di citazione di raos che a tua volta riprendi non è in contraddizione con nulla, mi pare, che si sia tentato di fare qui. Che il tentativo di “former des concepts à articulation fine” possa anche non andare a buon fine non esclude che ci si provi.
La non differenza come dicevo è che sono entrambi “pennelli”: da un pennello puoi togliere di tutto, così ti potrebbe capitare di ritrovare il vissuto della performance della abramovic in un quadro di Bacon… con lo stesso pennello-installazione può uscire l’arte povera o Cattelan. Cattelan adirittura installa delle performance usando sue riproduzioni a grandezza naturale… E le foto delle performance che cosa sono, performance o installazione? sono calde o fredde? suvvia…
Se tutto è pennello, caro Andrea B, allora vale anche il detto todos caballeros.
No, non mi convince.
Io ti propongo di non avere griglie, ma se ti piace vedere da una grata (non una grata di respiro, una grata e basta) fa’ tu. Ma almeno non abbandonarti a quella suggestionante coppia di parole, cerca qualcosa di meglio: non so astratto/figurativo, naturamorta/ritratto, boh vedi tu…
Installazione – performance.
Ne so poco.
Però se faccio un giro in rete scopro che la volontà di ibridazione – un po’ come la ricerca – non ha fine. E dunque che ci sono molti aspiranti ad installazioni di tipo performativo e interattivo.
Ripeto: so poco o nulla di arte e di musica contemporanee. Perciò uno spazio come GAMMM mi interessa.
Tuttavia penso che ibridazioni e ricerche comuni debbano riguardare anche ambiti diversi da quelli dei linguaggi non verbali.
Poesia e filosofia. Letteratura e scienza… Questioni vecchie, sì, ma anche nuove.
Una cosa mi sembra certa: le *poesie* di Conte possono *esistere* solo all’interno di un recinto chiuso a gran parte del novecento, un recinto fatto di estetismo (il più banale) e di sentimentalismo (il più vieto).
Possono *esistere* solo grazie a una (o soltanto fingendo una) totale mancanza di coscienza storica, sociologica, filosofica.
Dice Emma:
“Una cosa mi sembra certa: le *poesie* di Conte possono *esistere* solo all’interno di un recinto chiuso a gran parte del novecento, un recinto fatto di estetismo (il più banale) e di sentimentalismo (il più vieto).
Possono *esistere* solo grazie a una (o soltanto fingendo una) totale mancanza di coscienza storica, sociologica, filosofica.”
La cosa più drammatica (per lui) è che Conte finge, pienamente… E sì che il suo vecchio studio sulla metafora barocca era del tutto degno di interesse, e testimonia che anche lui, persino lui, volendo, potrebbe…
@Andrea Barbieri
Non ti capisco, perché io vorrei vedere “da una grata”? Quale grata?
E quale sarebbe la “suggestionante coppia di parole” alla quale “mi abbandono”?
Non so, eppure parliamo italiano tutti e due, davvero non capisco a cosa ti riferisci e probabilmente non capisco te, ma mi viene anche il dubbio che tu non abbia capito me e il senso di quello che volevo dire.
Tra l’altro nel primo commento ti autociti e scrivi “Io penso che Moresco, per un dono naturale, non “scrive” ma “installa” e in un commento a me scrivi invece “tra una performance di Luigi Ontani e una sala “installata” da Luigi Ontani non c’è nessuna differenza.”
Senza polemica, ma proprio per capire, io vedo una grande contraddizione tra queste due frasi, entrambe tue, e fatico a capire dove tu vada a parare, se puoi spiegarmelo in modo un po’ più chiaro ti sarò grata.
Mi sa che non avete capito una fava: l’operazione di Conte è segretamente ironica, vi spiego l’operazione con un taglia e incolla:
=
Si può anche supporre che l’affermazione dell’onnipotenza dello sguardo estetico, che si riscontra tra gli insegnanti di scuola secondaria, che sono i più inclini ad affermare che tutti gli oggetti proposti possono tradursi in una bella fotografia ed a professare il loro apprezzamento per l’arte moderna o il loro riconoscimento dello statuto artistico della fotografia, dipenda molto di più dall’intenzione di distinguersi che da un autentico universalismo estetico. La cosa non sfugge ai più acuti produttori di avanguardia, i quali, disponendo dell’autorità necessaria per mettere in discussione, se necessario, il dogma dell’onnipotenza dell’arte, si trovano in una posizione adatta per poter riconoscere in questo “partito” l’effetto di una lezione imparata e la preoccupazione di non marchiarsi con dei rifiuti già condannati in anticipo. “Ma chi può dire: quando guardo un quadro, non mi interessa che cosa rappresenti? Ormai solo più un tipo di persone con una scarsa cultura artistica. Dire una cosa simile è tipico di uno che non ha nessuna idea dell’arte. Vent’anni fa, non so nemmeno se vent’anni fa i pittori astratti dicessero veramente una cosa simile; non ci credo. E’ una cosa che si addice ad uno che non se ne intende e che dice: non sono mica un vecchio coglione; quello che conta è che sia bello” (pittore d’avanguardia, 35 anni). In ogni caso sono solo loro che possono permettersi di imporre quel passo decisivo indispensabile per attuare, attraverso un rifiuto di tutti i rifiuti, il recupero parodistico o sublimante di quegli oggetti rifiutati dall’estetismo del livello inferiore. La “riabilitazione” di oggetti “volgari” è tanto più arrischiata, ma paga anche di più, quanto più è ridotta la distanza nello spazio o nel tempo sociale: gli “orrori” del kitsch popolare sono più facili da recuperare di quelli delle imitazioni piccolo-borghesi, esattamente come si può cominciare a giudicare “divertenti” gli “abominii” del gusto borghese, una volta che si siano allontanati nel tempo quel tanto che basta per non essere più “compromettenti”.
“Ma queste diecimila lire sono false!” dice l’infermiere guardandole in controluce. “Perché quest’ospedale è vero?” risponde la vecchietta (in una vignetta di Altan).
Temperanza, se tu vai incontro a un dipinto, scultura, performance, body art, videoinstallazione, installazione, opera concettuale ecc armata di questa potente coppia di idee apprese su Nazione Indiana vedrai il dipinto, la scultura, la performance, la body art, la videoinstallazione, l’ installazione, l’opera concettuale ecc incasellata (la grata!). Io ti consiglio di scordare quello che hai letto qui e andare concettualmente leggera, basta per vedere il peso della nostra esistenza.
Moresco “installa”. Era un modo per restituire l’incanto della prosa degli Esordi. Quell’uso degli oggetti e dei corpi, dei movimenti, delle azioni, fuori da una psicologia normale, complessa, come se tutto fosse strano, “radiante” se si può dire. “Creaturale” scriveva Scarpa nella scheda degli Esordi per dare l’idea di quegli oggetti e corpi, che davvero stavano sulla pagina come qualcosa di nuovo nella letteratura. Che radici aveva quella scrittura?, non so, a me ricordava quelle cose lì, le installazioni, la body art, la performance, l’arte povera, tutte cose ipervisive, ma sicuramente piantate bene, anzi proprio drammaticamente, nell’esistenza.
Un salutone.
a. raos: “(dei poeti, alla fine, mi importa meno; li ritengo meno recuperabili, e comunque, sanno senz’altro ciò che fanno, non hanno la scusante del non conoscere – anche se resto convinto che un po’ di sana fantascienza farebbe loro più che bene…)”
andrea è vero! qui dobbiamo fare qualcosa. organizziamo delle sedute di lettura forzata di neuromante, di valis, della mostra delle atrocità, del crollo della galassia centrale…
(eventualmente anche con proiezione di tutte le puntate di galactica e spazio 1999 ed ascolto subliminale di gyorgy ligeti – che non sembra ma c’entra ;-)
@Andrea barbieri
Continuo a non vedere “la coppia di idee apprese qui”.
In ogni caso, nessuno ormai va a vedere alcunché con sguardo vergine, tanto meno una persona annosa come me che, volente o nolente ha appreso negli anni. Non si può essere “concettualmente leggeri”, da un certo punto in poi (su questo spero che converrai), neppure tu lo sei. Quando si parla di disincanto, di mancanza di stupore è questo, di incanto e di stupore siamo probabilmente desiderosi tutti, e alcuni dolorosamente nostalgici, questa nostalgia io vedo in te quando parli di Moresco, e la capisco, ma qui il discorso si complica e lo lascerei fuori.
Quello che io lamento è che a volte la concettualità sia caotica, male appresa.
Ciò che uno sa non mi spaventa certo, uno sguardo vergine ce l’hanno forse solo un paio di tribù nelle profonde foreste amazoniche, sempre che ancora ci siano. Qui da noi non è possibile, e infatti la verginità è diventata semplice ignoranza, un banale disvalore. Quello che mi disturba è che sia imparaticcio (parlo qui in generale) che non abbia prodotto pensieri personali, ben pensati dal soggetto che pensa, pensieri che abbiano prodotto in lui pensieri vivi.
Uno dei modi del pensare bene è usare le parole in modo se non univoco chiaro e motivato (è il grado zero, lo so) e dunque se nei commenti a un post dove si parla di installazione tu la usi in due modi divergenti, una volta in senso positivo, dandole un valore nell’ambito della scrittura e una volta negandole senso sempre in relazione alla scrittura quando è usata dagli altri, come nei due esempi che ho citato, non ti si capisce più, e allora la polemica diventa pregiudiziale.
Io qui su NI imparo poco, se non niente, ma vengo informata di molte cose che non so e di cui mi fa piacere essere informata e che vanno a collegarsi a quello che so, arricchendolo, persino in queste discussioni a volte magari un po’ sterili che facciamo. Anche se non ho più uno sguardo vergine, e lo rivendico, sono però aperta a confrontarmi e curiosa, e se non senza pregiudizi, almeno con pochi (sulle prime:–))
Un salutone anche a te.
intendevo dire “concetti che abbiano prodotto in lui pensieri vivi” obviously.
@fabio e ubertino: mi dispiace di non aver potuto rispondervi ma una emergenza di lavoro mi ha prosciugato tutto il tempo e mandato un po’ il cervello in pappetta (almeno si sappia :-). Al prossimo giro quindi!
Ricapitoliamo Temp.
Due anni fa avevo usato una analogia, l’installazione (che non sento opposta alla performance, ne a nessun altro mezzo espressivo) per parlare della scrittura di Moresco (ti faccio presente che parlavo perlomeno di un autore definito e non tentavo di dividere in due il creato).
Nello stesso post ho anche scritto che oggi cercherei analogie diverse. Sempre nell’ambito dell’arte, essendo la scrittura di Moresco visiva.
Ora ti dico che mi piacerebbe frugare nella pittura antica.
Tutto questo significa che:
– trovo assurdo, difficilista e concettoso l’uso della parola installazione fatto dai… dai… GAMMM::: Boys (azz, mi è venuta! fucilatemi!), lontanissimo dal mio,
– passando dall’installazione addirittura al pennello vero ti dimostro che non trovo nessuna differenza sostanziale tra i due strumenti: cerchiamo di guardare liberamente le cose, ci si può riuscire o almeno avvicinare.
Più coerente di così…
A questo punto chiedi a Raos perché due anni fa non voleva parlare di scrittura e installazione mentre ora gli sembra una gran cosa…
@Andrea B
caro Andrea, no, non glielo voglio chiedere, non mi interessa, lo dico pacatamente, ma qui mi pare che si entri in una spirale di rivendicazioni antiche che non riescono a intrigarmi, io cercavo di mostrarti cosa non capivo ora del tuo discorso, qui e ora, discorso che è appassionato ma non sempre limpido (neppure il tuo, e probabilmente neppure il mio) ma andare a chiedere addirittura a raos perché due anni fa non voleva parlare di scrittura e installazione, se anche è vero è inutile, mi pare che qui lui abbia ospitato un gruppo che attribuisce alla parola “installazione” un certo significato. Io contestavo che questo significato fosse chiaro e dicevo (in soldoni, che non ho vpoglia di rifare tutto il percorso) che assumere una parola dall’arte figurativa fosse una scorciatoia che confondeva solo le cose.
Qui però mi fermo, al di là del desiderio di rispondere non c’è nessun altro motivo che mi trattenga.
In un commento del 1 luglio, rispondendo a Mario Bianco, Gherardo Bortolotti ha spiegato in che senso la dichiarazione di intenti di gammm usa la metafora ‘installazione’ applicata alla scrittura.
Non c’è molto da aggiungere, mi sembra (non io, perlomeno).
essendo nemico delle ambiguità maliziose, ovvero della fumosità a fini di potere retorico, ti dico cosa (in due parole) mi interessa della metafora installativa e dove vedo la differenza di cui parli.
secondo me, la differenza principale tra un testo diciamo performativo (come ha detto marco: stiamo usando questi termini per mettere insieme i pezzi, prendiamoli tutti con beneficio d’inventario, anche se, negli effetti e ovviamente, a noi sembrano calzanti) ed uno installativo è che il primo fonda la sua tenuta, il suo fascino e, in determinati casi, il suo potere nella figura “storica” dell’autore, mediata dalla funzione del narratore e garantita dal corpo (mistico e reale ;-) dello stesso autore.
nel testo di installativo, invece, mi sembra che ci si affidi all’esposizione dell’ordine sintattico (ovvero: l’ordine degli elementi lessicale-semantici nella loro succesione logico-temporale – chiedo scusa ma ho una formazione da linguista dei poveri e mi trovo sempre con queste categorie!) in quanto tale, in quanto prova o esperimento di un ordine del e nel mondo.
detto in termini rozzi: il testo è un’operazione d’ordine sul mondo (una produzione di senso – e di piacere del senso) ma non fonda l’ordine sull’autore/narratore (sul suo carisma) ma sull’effettiva realtà dell’ordine stesso, ovvero del fatto che è stato istituito.
ovviamente a monte c’è sempre un’operazione autoriale. tuttavia nell’installazione questa operazione, di nuovo, non proietta sull’autore la fondazione dell’ordine, investendo la figura umana (anche in questo senso ci possiamo ricollegare al discorso sull’antropocenrismo – che _ovviamente_ stiamo solo sfiorando) del valore superiore che siamo soliti attribuirle. l’autore è in qualche modo una figura di secondo livello, impegnata più ad ascoltare che a parlare.
questo in termini generali. per le differenze tecniche, estetiche ed etiche (;-) non so come e quando ma vedremo di rispondere.
invito comunque tutti a leggere i testi che presentiamo e che presenteremo: sono in gran inediti in italia (o ormai dimenticati) e sono il frutto di elaborazioni che ormai contano dai dieci ai trent’anni e che rappresentano tradizioni importanti.
sarebbe proprio sciocco metterli da parte per incongruenze sui termini del dibattito.
@ Andrea Raos e Wovoka
L’attuale Giuseppe Conte mi fa pensare più alla finzione che all’ironia.
Non mi sembra un’operazione ironica quella di produrre testi del tutto sovrapponibili (nessuno scarto) ai testi prodotti da un poeta dilettante di (diciamo) 70 anni fa.
Tuttavia Conte non è un poeta ingenuo e sprovveduto.
Viene da studi di estetica e militanza nell’avanguardia (vedere il pezzo di Conte postato il 5 luglio da Giorgio Di Costanzo qui http://insonnoeinveglia.splinder.com/ – pezzo -questo sì- ironico, e anche sarcastico).
A un certo punto Conte ha imbracciato la bandiera del Mito, della Poesia e dell’iperenfasi.
Nessuna ironia, purtroppo – finzione è lecito supporre tanta, magari una finzione a cui si vuole credere, su cui si è disposti a giurare.
Certo Emma, io scherzavo. Avevo la tentazione di risponderti con un “invece sì!”, sulla base di questa reminiscenza letteraria:
Con quanta distrazione stesse a sentire la lunga relazione che il maestro fece in base al suo scritto, si vide dall’osservazione che pronunciò, dopo una parvenza di riflessione: >.
> esclamò il maestro segnando, con un po’ d’esagerazione dovuta al suo furore, un tratto di due metri sul muro.
> rispose lo scienziato, cui la cosa sembrava certamente assai buffa. Con questa risposta il maestro prese il treno e tornò a casa.
Ogni tanto, soprattutto quando sono affaticato, mi capita di perdere davvero il senso delle discussioni. Dovremmo preoccuparci che le poesie del GAMMM ottengano sul mercato dell’attenzione un successo maggiore che non quelle di Conte? Davvero una simile questione di stili e finzioni dovrebbe spingerci addirittura all’indignazione? Non saremmo in ciò intrinsecamente ridicoli quanto il maestro della talpa gigante? A piccoli frammenti, sto procedendo anche con il libro di Saviano. La faccenda della moda mi ha particolarmente colpito, considerando che tra “high art” ed “alta moda” corrono delle belle corrispondenze … boh, però adesso non posso imbarcarmi in elucubrazioni esagerate. Ciao :-)
Accidenti, le doppie parentesi angolari ingarbugliano wordpress. Perso tutto l’effetto. Correggo con le virgolette ripromettendomi di non esagerare in futuro.
Con quanta distrazione stesse a sentire la lunga relazione che il maestro fece in base al suo scritto, si vide dall’osservazione che pronunciò, dopo una parvenza di riflessione: “Però la terra dalle vostre parti è molto nera e pesante. Perciò offre anche alle talpe un alimento particolarmente grasso, sicché arrivano ad una grandezza straordinaria”.
“Ma non grande così” esclamò il maestro segnando, con un po’ d’esagerazione dovuta al suo furore, un tratto di due metri sul muro.
“Invece sì” rispose lo scienziato, cui la cosa sembrava certamente assai buffa. Con questa risposta il maestro prese il treno e tornò a casa.
caporali assassini
però tu li hai usati singoli, singoli non so se hanno un nome.
@Wovoka
“Dovremmo preoccuparci che le poesie del GAMMM ottengano sul mercato dell’attenzione un successo maggiore che non quelle di Conte?”
Wovoka, il mercato della poesia (dell’attenzione e non) è diverso da quello dell’arte :-)
Parlare di mercato – nel caso della poesia – fa un po’ ridere.
Credo che i poeti di GAMMM non pensino proprio al mercato, neppure a quello dell’attenzione; anzi che a sentir parlare di mercato si mettano a ridere pure loro.
“Davvero una simile questione di stili e finzioni dovrebbe spingerci addirittura all’indignazione?”
In effetti questo mondo è zeppo di problemi più seri e pressanti.
Però ricordo che anche tu ogni tanto ti “indigni”, e parecchio, per questioni di stili e di finzioni :-)
Comunque sì, il libro di Conte lo trovo insopportabile.
Mi capita raramente di provare un fastidio così forte per un libro di poesie.
Quando l’ho letto (preso in prestito) ignoravo fosse candidato al Viareggio.
Sapere che ha addirittura vinto mi sembra scandaloso.
Non leggo i libri perché vincono dei premi. Però so che il Viareggio è uno dei premi più noti e in qualche modo di prestigio.
Presumo che abbia un valore anche in termini di mercato (o di mercatino, per la poesia).
Ecco, magari uno, sapendo del Viareggio, si compra il libro di Conte.
Dopodiché decide (e sarebbe una decisione sensata) di chiudere con la poesia.
Come minimo con la poesia italiana (che naturalmente non si esaurisce con Conte e con GAMMM).
Ho visto con grande dispiacere che in giuria c’è Mario Lavagetto.
Eh, cara Temperanza, ‘cca tenimmo famiglia e quaccosa s’adda fa’ pe’ magna’.
Che c’entra Lavagetto col tenere famiglia, caro Ugolino Conte? Ma sai almeno chi è? da una frase così sembrerebbe di no.
Cara temp, mi spieghi da cosa tu deduci/si deduce che la mia esclamazione, in una approssimativa lingua eduardesca, avesse per oggetto il prof. Lavagetto (ma tu guarda che rima baciata m’è venuta)?
Dal fatto che venisse subito dopo la tua stupìta constatazione di un dato di fatto? Suvvìa, mi sembra un po’ poco. Poteva essere anche riferita a un mio parente che scrive libri di poesia di “quella” fatta, no?
E’ grave, poi, non conoscere vita, opere e miracoli del sunnominato?
Dal MIO punto di vista per chi si interessa di letteratura non sapere cosa Lavagetto ha scritto, che casa editrice ha fondato, qual’è stato ed è il suo ruolo nella cultura italiana, quali studiosi ha formato eccetera è un sintomo di ignoranza.
Dal tuo punto di vista non so.
Quanto all’ordine degli interventi e al loro oggetto, se tu ti rivolgi a me e scrivi dopo un mio commento non occorre essere un grande indagatore, se mi dici che avrei dovuto comprendere nel circolo delle ipotesi un tuo parente, beh, auguri.
Temp, grazie per gli auguri, sono sempre ben accetti. Anche da parte del mio “parente” poeta.
Per quanto riguarda l’ignoranza, beh, sì, diciamo che è un vestito che mi calza a pennello. Una seconda pelle, ecco.
p.s.
Per quanto riguarda Lavagetto, ti prometto che studierò, compatibilmente con i miei impegni istituzionali “laggiù”, e, al primo post che lo riguarda, farò un tale sfoggio di citazioni dalle sue opere e di cultura da lasciarti sbalordita.
@Ugolino, e con questo però chiudo
fai un commento dal quale chi non sa può essere spinto a pensare che uno degli studiosi migliori e più rigorosi di questo paese, un uomo tra l’altro che non è un banale accademico, perché fondare una casa editrice è lavoro culturale sul campo, abbia delle ragioni ignobili per stare nella giuria del Viareggio, devo star zitta?
Il mio stupore e dispiacere deriva dal fatto che non basta un Lavagetto per non far vincere un Conte, evidentemente le logiche puramente editoriali la fanno da padrone non solo allo Strega, dove si è combattuta una guerra Mondadori versus Bompiani, ma anche al Viareggio.
Non occorre che tu citi Lavagetto, basta che tu non getti un velo di ignobiltà su una persona di eccellenza, e per di più per bene.
Cara Temp, e con questo chiudo anch’io,
diciamo che sei andata giù dura, e non di poco (“basta che tu non getti un velo di ignobiltà su una persona di eccellenza, e per di più per bene”), personalizzando fino all’estremo, e anche oltre (l’ “errore” che, giustamente, rimproveri sempre a tanti commentatori), quella che, detta col sorriso sulle labbra, è, né più né meno, una battuta ironica, e che, in determinati contesti, può servire anche a sdrammatizzare. Ma tant’è: a volte leggiamo, in ciò che troviamo scritto, esattamente quello che in “quel” momento vogliamo leggere. E forse è giusto così, chi può dire il contrario?
Mario Lavagetto è un grande studioso, e uno dei pochi intellettuali italiani che personalmente stimo, anche per la sua dirittura morale. Detto questo, si commette un “crimine” chiedendosi (ma sei tu che mi tiri fuori la domanda, visto il tenore della tua risposta precedente), ad esempio, cosa ci fa una persona del genere, portatore di un tale status culturale ed etico, in “luoghi” dove il compromesso, la bassa manovalanza e l’economia di scambio dettano legge? Cosa c’entra lui con le logiche di mercato delle guerre guerreggiate tra feudi editoriali e politici? Ci vuole tanto a tirarsi fuori da una qualsiasi giuria quando ci si accorge che ad ottenere un riconoscimento non è la “qualità” intrinseca del “prodotto” che si vuole premiare, ma l’appartenenza ad una determinata scuderia?
Con stima immutata, per te e Lavaggetto (e ci si aspetta, sempre, che le persone che si stimano, proprio in quanto meritano quel sentimento e lo ispirano, siano anche consapevoli che osservazioni anche aspre e pungenti sono proprio il portato più naturale di quell’attenzione).
Ora vado, e, purtroppo per lui, non mi resta che prendermela, come al solito, con quella carogna dell’arcivescovo.
@emma
> In effetti questo mondo è zeppo di problemi più seri e pressanti. Però ricordo che anche tu ogni tanto ti “indigni”, e parecchio, per questioni di stili e di finzioni :-)
In teoria mi proporrei il contrario (anche se nella pratica invece inciampo spesso): cerco di accorgermi quando la discussione diviene sostanzialmente “interna” al campo letterario, nel qual caso mi astengo dall’intervenire, oppure mi limito ad un “mi piace/non mi piace” puramente indicativo. Perché mai dovrei assolutizzare il mio gusto, quando mi apppare così evidente la sua dipendenza dall’intero sviluppo e dagli accidenti, fortunati o sfortunati, della mia vita? Così Conte o GAMMM per me pari sono, per il semplice motivo che non ho ancora visto né da una parte né dall’altra degli indicatori che me li facciano sospettare essenziali nel completamento della *mia* esistenza. Questo non vuol dire disprezzare le pratiche di chi frequenta la poesia e la letteratura con ben altro ingaggio ed approfondimento, ma soltanto sorvegliare i confini del campo per saggiarne le sortite che pretendono all’universalità. E non tanto per cassare la pressoché costante assurdità di queste pretese, ma per la possibilità di intercettare qualche fortunata eccezione, oltre che per il divertimento intrinseco nell’attività stessa.
Provo a completare: vedi, molto in soldoni, io intenderei l’universalità come un discorso di questo genere: “io ci ho messo (che so) vent’anni di ricerche e di fatiche per scoprire/capire/inventare queste cose, che sono ormai incarnate nel mio corpo, però penso di potertele arrangiare in modo tale che tu possa apprezzarle attraverso un percorso più breve, senza cioè costringerti a diventare più simile a me”. In altre parole, un tentativo di rinunciare, per quanto possibile, alla violenza simbolica, che è la pretesa di universalizzare le proprie carissime disposizioni, arbitrarietà comprese (anche quando queste dovessero prendere le sembianze di commoventi affettività.) Se una cosa che io faccio non colpisce nessuno quanto colpisce me, allora ne deduco semplicemente che è troppo legata a me stesso, al mio tipo, al mio gruppo, alla mia sottocultura, ovvero poco universale. L’alternativa è considerare il mondo come costituito da una massa di bestie volgari ed ottuse, che ci nascondono alla vista quei pochi eletti, a noi affini, verso i quali gettiamo disperatamente le nostre esche (che è esattamente il quadro che emerge dalle autorappresentazioni di gran parte delle combriccole che si affacciano alla rete.)
Voglio solo dire, e poi mi ritiro nelle mie stanze, che le poesie di Conte testé postate da Emma mi hanno commosso.
Nel senso della commozione cerebrale!
Secondo me:
(2 poesie di Conte) / Poesia = x / Critica
[leggasi: le due poesie di Conte stanno alla Poesia come x sta alla Critica]
x = [Si parte dall’idea che esiste una frase “naturale”, soggetto-verbo-complemento, dopodiché tutto ciò che se ne allontana è “difficile”, è “sperimentale”, è “elitario”. Ma in cosa sono difficili i testi di gammm? Nel fatto che non somigliano alle frasette come le si insegnano a scuola?]
E’ Temperanza che ha introdotto l’errore :-)
I testi di GAMMM non sono affatto difficili.
Ma chi può dire: quando leggo una poesia, non mi interessa che cosa significhi? Ormai solo più un tipo di persone con una scarsa cultura poetica. Dire una cosa simile è tipico di uno che non ha nessuna idea della poesia. Cent’anni fa, non so nemmeno se cent’anni fa i poeti formalisti dicessero veramente una cosa simile; non ci credo. E’ una cosa che si addice ad uno che non se ne intende e che dice: non sono mica un vecchio coglione; quello che conta è che sia bella” (poeta d’avanguardia, 35 anni).
@Wowoka
13 settembre 1959 (Variante)
Luna puella pallidula,
Luna flora eremitica,
Luna unica selenita,
distonia vita traviata,
atonia vita evitata,
mataia, matta morula,
vampirisma, paralisi,
glabro latte, polarizzato zucchero,
peste innocente, patrona inclemente,
protovergine, alfa privativo,
degravitante sughero,
pomo e potenza della polvere
…
da: Andrea Zanzotto, Poesie (1938-1972) a cura di Stefano Agosti, Oscar Mondadori, 1973
————————————————————————
Canto LXXXI
Zeus giace in grembo e Cerere
Taishan è servito da amori
sotto Citera, prima dell’alba
e egli disse: Hay aquì mucho catolicismo–(pronunciato catolizismo)
y muy poco reliHion”
e egli disse: Yo creo que lor reyes desparecen”
Quello era Padre José Elizondo
nel 1906 e nel 1017
o verso il 1917
e Dolores disse: como pan, nino,” mangia il pane, bimbo mio,
Sargent l’aveva dipinta
prima di scendere la china
…
da: Ezra Pound, Canti Pisani, Grandi libri Garzanti, 1977
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Impiega ami nitore o sporadico
Aroma a le dee carpire di Terra
Prenderne un fioco, che nato
Brusisce, vocìo, da unire all’ambra su
da:Osvaldo Coluccino
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A proposito di questa poesia di Coluccino riprendo dalla prefazione di Stefano Agosti a O.C., Strumenti d’uso comune, Campanotto, 1994 dopo la sua analisi di questi diversi, soltanto questa frase:
“Operiamo pure delle traduzioni in linguaggio lineare, ma riportiamoci poi alle figure complesse della poesia”
Come vedi quando parlo di “difficilismo” non parlo di testi complessi e difficili. Le figure complesse della poesia non sono difficilismo, difficilismo è un passo (o anche più d’uno) prima della complessità, la complessità può essere anche il frutto non immediatamente chiaro di un estremo processo di sintesi e di erosione dopo aver lavorato in lungo, in largo e in profondo e in superficiale – la superficie non va mai disprezzata -, il difficilismo è arrendersi prima di aver fatto questa strada perigliosa.
I cani da caccia sono allenati a seguire l’usta, io, se non per talento di lettrice, almeno per annoso esercizio, sono abbastanza allenata a distinguere tra figure complesse e anche azzardate e il resto.
Temo che a volte non ci si capisca:–)
Un po’ OT, ma mi sono capitate tra le mani, cercando qualche testo non proprio agevole per Wowo, le lettere di Pound, le consiglio ai lettori di poesia magari ancora troppo giovani per conoscerle, perché sono certa che quelli appena più vecchi già le hanno lette,
Ezra Pound, Lettere 1907-1958. Prefazione e cura di Aldo Tagliaferri, Feltrinelli, 1980
Sono certa che sono ancora in catalogo, o almeno lo spero, perché è una lettura appassionante, divertente e istruttiva, vi copio dalla lettera da parigi del 18 marzo 1922 a William Carlos William per sfilargli qualche soldo e liberare Eliot dal lavoro in banca:
“Caro Bullll
il fatto è che Eliot è all’ultimo respiro. Ha avuto un crollo. Dobbiamo fare subito qualcosa.
Mi sono dedficato alla faccenda e sono stanco morto a forza di martellare la macchina da scrivere. Sono stati presi provvedimenti. Richard e io ci siamo impegnati per dieci sterline all’anno …
Tu puoi metterci 50 dollari?
Tenterei di non farteli perdere, più avanti. Voglio dire che la lotta sta nel liberare il primo uomo. “Liberazione di enegia per invenzione e progetto” secondo le migliori teorie economiche. DOPO che Eliot sarà stato liberato, sarà molto più facile fare uscire il secondo, il terzo e il decimo prigioniero.
Ti sosterrò se vorrai essere tu il secondo. Ma non credo che tu voglia lasciare gli Stati Uniti per sempre. Penso che tu soffra di nervi, che tu in realtà abbia paura di lasciare Rutherford… ”
Mi scuso per tutto lo spazio che ho preso ma volevo far vedere a chi non lo sapesse che non c’era poi tanta differenza, da un certo punto di vista, la vita di un poeta era dura anche allora:–)))
Esattissimo! Ma il difficilismo rimarrà sempre, purtroppo, una tattica “localmente” vincente – una manifestazione della costitutiva tensione ad approfittare, più o meno benignamente, dell’ignoranza altrui. Il problema diventa allora come valutare la “distanza” un frutto che non sia già alla nostra portata, perché ovviamente l’albero di ricerca non può essere visitato esaustivamente né per ampiezza né per profondità. Andiamo quindi a fiuto ma senza ridicolo pretese d’infallibilità. Per fare esempio, tra i due tartufi che seguono preferisco di gran lunga il secondo.
Come forma che non vuol essere altro che forma, l’opera d’arte appar tale solo a chi sa vederla come pura riuscita, cioè a chi sa rendersi conto ch’essa è come dev’essere e dev’essere com’è. [..] L’opera d’arte appar tale solo se la sua compiutezza si mostra come riuscita di un processo di formazione, solo se la sua totalità si svela come il processo stesso nell’atto di concludersi nell’unico punto in cui doveva formarsi, solo se la sua armonia dichiara ch’essa non poteva esser fatta se non nel modo in cui è stata fatta [..] altrimenti non s’intende, nell’opera, la coesione che ne tiene strettamente unite le parti, né si capisce perché essa non può essere se non così com’è, e le sue parti non possono essere che quelle, e con quella collocazione e con quelle relazioni fra loro e col tutto: l’opera d’arte non sarebbe vista come opera d’arte. [Luigi Pareyson in “Estetica”]
Ogni particolare creatore – romanziere, compositore o programmatore che sia, è accellerato nello spazio dei progetti da un insieme di abitudini particolarmente distintivo noto come stile [Hofstadter …etc]. E’ lo stile che ci vincola e allo stesso tempo ci offre le opportunità, imprimendo una direzione positiva alle nostre esplorazioni, ma soltanto rappresentando in altro modo regioni confinanti che ci sono proibite – e se sono proibite a noi in particolare, probabilmente sono proibite a chiunque per sempre. Gli stili individuali sono davvero unici, prodotti di incalcolabili miliardi di felici incontri casuali avvenuti nel corso degli eoni, incontri che hanno prodotto dapprima un genoma unico, poi un’educazione unica e infine un insieme unico di esperienze di vita. Proust non ebbe mai la possibilità di scrivere qualche romanzo sulla guerra del Vietnam e nessun altro potrebbe scrivere quei romanzi – romanzi che raccontino quel periodo con il suo stile. Siamo bloccati, essendo reali e finiti, in un angoletto minuscolo dello spazio totale delle possibilità, ma quale meravigliosa realtà ci è comunque accessibile, grazie al lavoro di ricerca e sviluppo di tutti i nostri predecessori! Tanto vale sfruttare al meglio quanto abbiamo, lasciando in tal modo ai nostri discendenti qualcosa di più su cui lavorare. [Daniel Dennett, L’idea pericolosa di Darwin – cap.15 la mente nuova dell’imperatore e altre favole – p.574-575].
@Wowo
su questo:
“Ma il difficilismo rimarrà sempre, purtroppo, una tattica “localmente” vincente – una manifestazione della costitutiva tensione ad approfittare, più o meno benignamente, dell’ignoranza altrui.”
con me sfondi porte aperte.
E anche il resto mi convince. Penso che si debba restare in ascolto, e andare sempre a vedere e avere “memoria”. Più se ne sa (più memoria si macina) più l’orecchio si esercita, e non è tanto facile perché non si esercita solo alla poesia, ma anche all’umano nel quale si cala.
Perché l’autore non ci sarà più, il soggetto sarà indeciso se esserci o meno, ma i nostri corpi sono qui a ricordarci che ancora non siamo mere presenze virtuali.
Quelle lettere di Pound che ho citato sono un esempio a mio avviso magnifico della “semplicità” – nella complessità del pensiero poetico – con cui un grande (spero che nessuno lo creda un poetucolo nazi e marginale) poeta parlava di poesia, del suo farsi e anche del suo quotidiano organizzarsi, come se fosse nella sua cucina a tagliar peperoni. Insomma “senza tirarsela”, tanto per essere eleganti.
@Wovoka e Temperanza
Neanche io sono per il partito del difficilismo. Non mi diverte avere a che fare con una cosa che non capisco, meno ancora mi diverte avere a che fare con una cosa che non capisco e che sospetto essere un bluff.
Di per sé tuttavia il facilismo non mi garantisce.
Il libro di Conte potrebbe essere un esempio di facilismo, ma secondo me è anche un esempio di bluff.
Ciò che mi ha spinto a leggerlo fino in fondo non è stato il “facile”, ma la voglia di scoprire fino a che punto può arrivare la faccia tosta in poesia.
Ricordo poi che ho tirato in ballo Conte su N.I. nei commenti a un articolo di Philippe Muray postato da Forlani, questo:
https://www.nazioneindiana.com/2006/04/20/a-gamba-tesa-philippe-muray/
L’articolo mi pare in tema, almeno in gran parte.
Questa la motivazione del Viareggio a “Ferite e rifioriture”.
”Momento culminante di una storia poetica iniziata trent’anni fa con L’ultimo aprile bianco, Ferite e rifioriture si caratterizza per un registro epico, nel quale figurano, forse per la prima volta, momenti di intenso pathos autobiografico.
Nel libro precipitano, dunque, abbandono, inquietudine e malinconia che investono di senso inedito il grande tema della poesia di Conte e della nostra vita: il destino della cultura occidentale.”
Bluff al cubo, direi.
Chi sa se sotto una puttanata del genere, elargita in spregio di qualsiasi senso del ridicolo, ci sono le firme di “tutti” i giurati.
Sarebbe bello verificarlo.
Ho ri-sfogliato il libro (cioè ho strappato altre pagine) e mi sono ancora di più convinto che Biondillo sia un grandissimo critico letterario. Ha proprio ragione, e la sua sintesi è mirabile: è un libro “commovente”.
dispiaciuto di non poter rispondere ora alle domande (e a quelli che posso giudicare fraintendimenti, anche) in questo tratto di tempo attraversato da superlavoro inatteso, mi riprometto di farlo sia su questo spazio, in ulteriori commenti postati anche quando l’articolo sarà fuori dalla homepage, sia eventualmente in altri spazi in rete.
@Emma
Mi ero persa il testo di Muray. Da un lato, come dargli torto? dall’altro però mi è venuto da pensare, e non per la prima volta, che le invettive mettono molta carne al fuoco e lasciano le cose come stanno.
Sul “facilismo” sono d’accordo.
Quanto alla recensione di Giovanni Ch. a Conte, mi è parso di capire dal commento di Biondillo che sono amici, non so se è vero, si è amici perché si è in consonanza, o si finisce in consonanza perché si è amici, un’amicizia severa è molto rara. Andrea Cortellessa nella scheda a ‘parola plurale’ lo stronca, ma io, vi confesso, adesso avrei voglia di mettermi a studiarlo per capire PERCHE’ sia finito a scrivere quello che scrive. Dov’era la grande menzogna? Quella degli anni ’70 o quella di adesso? O nessuna?
Ho detto una grandissima stupidaggine. Non la posso cancellare e dunque faccio una precisazione, stiamo parlando di “poetiche” qui, giusto? Perché quanto a “sapienza” poetica, doti, strumenti non mi sentirei di aprire bocca. E probabilmente a questo è dovuto il Viareggio.
@Temperanza
Si rischia (colpa mia) di parlare molto di Conte e troppo poco di GAMMM.
Vabbé.
Ricordo che una questione-Conte su N.I. era emersa nel corso di una lunga discussione su “Parola plurale”. La questione era stata sollevata da Giovanni Ch., qui:
https://www.nazioneindiana.com/2005/10/27/parola-plurale-2/
In “Parola plurale” Conte viene stroncato.
Qualcuno potrebbe sostenere che Cortellessa (l’autore della stroncatura) è “schierato”; o che Cortellessa preferirebbe senz’altro, a priori, i poeti di GAMMM.
Conte tuttavia viene bruscamente liquidato anche da Enrico Testa, in “Dopo la lirica”.
Perché?
“Giuseppe Conte non è amato dall’Accademia” – affermava in quell’occasione Giovanni Ch.
Sono andata a spulciare nella giuria del Viareggio (colpa tua). Mi sembra che gli accademici siano davvero tanti (http://www.viareggino.it/notizie/repaci/).
Dunque?
Ha deciso tutto l’accoppiata (micidiale accoppiata?) Cucchi-Mondadori?
Quella motivazione per il premio a “Ferite e rifioriture” (iperbolica – ridicola) chi l’ha scritta?
Non è che conosco il Conte-pensiero o la Conte-poesia a menadito.
In realtà ho letto per intero solo “Ferite e rifioriture”.
Ma questo libro mi ha colpito. Parecchio. In negativo.
Ho dei pregiudizi?
Non riesco a digerire il passaggio repentino da un’Avanguardia che più Avanguardia non si può a una Tradizione che più Tradizione non si può?
Può darsi.
In generale (non credo di essere un caso isolato) mi infastidisce chi un giorno mi vuole convincere a tutti i costi (con insistenza) di una cosa e il giorno dopo vuole convincermi a tutti i costi (con pari insistenza) del contrario.
Tu chiedi: “Dov’era la grande menzogna? Quella degli anni ‘70 o quella di adesso? O nessuna?”
Sul piano strettamente logico manca la quarta domanda-opzione: “Tutte e due?”.
Giusto o sbagliato che sia, in poesia la “menzogna” dà più fastidio che in altri contesti letterari, contesti in cui è normale amministrazione, ha valore aggiunto, viene addirittura a coincidere con l’idea di creatività.
Meglio, in poesia la “menzogna” (la sensazione di “menzogna”) dà fastidio (a me dà fastidio) quando il poeta esibisce la propria “sincerità” e la propria “autenticità” ogni tre per due, in modo stucchevole, semplicistico o finto-semplicistico (è ciò che fa Conte in “Ferite e rifioriture”).
Allora: la “poetica” di Conte non mi convince affatto.
Allora – forse – sono di parte.
Quanto alla “sapienza” e alla “tecnica” poetiche.
Può darsi che Conte – in generale – sia un campione di “sapienza” e di “tecnica” poetiche.
Può darsi che su questo aspetto della questione io debba tacere, per conclamata incompetenza.
Tuttavia – circoscrivendo e delimitando parecchio il discorso – ritengo di poter affermare con tranquillità che le due poesie di Conte postate qua sopra hanno un valore del tutto trascurabile (eufemismo) anche sul piano della sapienza e della tecnica poetica.
Che bei commenti, Emma! Eh, quanno ce vo’ ce vo’!!! :-)
mazza quanto tira la vanguardia.
@Emma
Sono stata via e non ho potuto seguire, non so se per caso tornerai, mi rendo conto che è un po’ tardi, cmq, sono piuttosto d’accordo con la tua conclusione:
“Tuttavia – circoscrivendo e delimitando parecchio il discorso – ritengo di poter affermare con tranquillità che le due poesie di Conte postate qua sopra hanno un valore del tutto trascurabile (eufemismo) anche sul piano della sapienza e della tecnica poetica.”
e anche con quasi tutte le altre cose che dici, mi ero solo resa conto che IO stavo partendo per una specie di tangente poco meditata e soprattutto che mi si stavano aprendo riflessioni che non ero pronta poi a motivare nei commenti di un blog. Poi non ho più avuto il tempo né di seguirle né tanto meno di scriverne.
Il binomio sapienza tecnica/menzogna (prendendo la parola “menzogna piuttosto alla larga) mi intriga assai, ma proprio per questo avrei bisogno di pensarci in modo più meditato.
Alla prossima:–)