La stella polare
di Antonio Sparzani
Mi ha sempre affascinato il libro di Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend Il mulino di Amleto, Adelphi, varie edizioni. È in omaggio agli autori di questo libro che traduco qui un mito del popolo Inuit, che vive, ma non sappiamo ancora per quanto, nel profondo Nord.
“Questo accadeva prima di quello che accadeva prima, prima del giorno del primo capo della tribù, prima della costruzione del primo teepee, prima del padre del primo Inuit. Ma anche allora c’erano degli uomini sulla Terra, ed essi cacciavano. Quando morivano salivano nelle pianure dell’alto e lì cacciavano per sempre.
In quel tempo là non vi era alcun cielo e il Sole illuminava egualmente le pianure dell’alto e le pianure del basso. Nelle pianure del basso gli uomini cacciavano il bufalo e l’alce, e nelle pianure dell’alto gli spiriti cacciavano il daino di fumo e il bisonte di fuoco.
Venne un tempo in cui gli uomini del basso furono insoddisfatti, così come accade a tutti gli uomini, così che si misero ad ammirare le cacce degli uomini dell’alto e ad invidiarle. Non era difficile capirlo, perché cos’era mai la carne del bufalo e dell’alce, e cos’era mai la pelle del castoro, a confronto con la carne magica del bisonte di fuoco e con la pelle splendente dell’aquila celeste!
Un giorno Onowate, un uomo che aveva la forza di tre orsi, lanciò nell’aria la sua accetta ed uccise l’aquila celeste. Gli spiriti si infuriarono e si lamentarono con il Grande Spirito, che allora nascose le pianure dell’alto agli occhi degli uomini mettendovi in mezzo una copertura blu. Durante il giorno il Sole brillava sulle pianure del basso e durante la notte brillava sulle pianure dell’alto. E gli uomini del basso continuarono a cacciare il daino mentre gli spiriti cacciavano il daino di fumo.
A quei tempi viveva anche Ayoo, una donna che aveva l’astuzia di tre leoni di montagna. Ella era curiosa e desiderava osservare le cacce degli spiriti nelle pianure dell’alto. Allora spinse gli uomini ad arrampicarsi sugli alberi e a praticare dei fori nella copertura del cielo.
Gli alberi di allora non erano come gli alberi di adesso: erano grandi e grossi come montagne. Un centinaio di uomini che si tenevano per mano non riuscivano a circondare completamente la base di uno di questi alberi, né riuscivano a vederne la cima.
I rami superiori di questi alberi si appoggiavano contro la copertura del cielo. Gli uomini furono persuasi dall’astuzia di Ayoo, un’astuzia di tre leoni, a ritagliare dei buchi nel cielo. E quando venne la notte e il Sole si mise a illuminare le pianure dell’alto, la luce filtrava da questi buchi e scintillava. Allora gli uomini passavano le loro sere a scrutare da questi buchi e a spiare le cacce degli spiriti. Seduta sul ramo più alto, Ayoo soddisfaceva la sua curiosità.
Una notte Onowate, l’uomo che aveva la forza di tre orsi, spinse il braccio in uno di questi buchi afferrò il bisonte di fuoco per una zampa e lo tirò giù. Il suo braccio si bruciò fino alla spalla e due delle sue dita furono ridotte in cenere, ma quella notte festeggiò con il pasto degli spiriti.
Una volta ancora questi si lamentarono con il Grande Spirito, ma questi si rifiutò di riparare la copertura. Sembrava ad un tempo arrabbiato con gli uomini e affascinato dalla loro audacia. Ma cedette finalmente alle lamentele degli spiriti e con un colpo del polso mise in moto la copertura del cielo facendola girare.
Gli uomini non potevano più scrutare attraverso i buchi che avevano fatto, perché, se accostavano gli occhi ad uno di essi, quello tosto si muoveva ed essi dovevano smettere di guardare per non cadere dall’albero.
Ovviamente, la rotazione al giorno d’oggi si è rallentata, ma basta guardare fissamente le stelle per un certo tempo per accorgersi che esse si spostano.
Allora gli uomini delle pianure del basso abbandonarono le loro contemplazioni e se ne tornarono a cacciare il bufalo e l’alce, e anche la pelle del castoro. Ma Ayoo non era contenta perché non poteva soddisfare la sua curiosità.
Tuttavia Ayoo aveva l’astuzia di tre leoni di montagna e subito concepì un piano. Andò da Onowate, l’uomo che aveva la forza di tre orsi, e gli sussurrò le sue intenzioni. Questi allora andò là dove si trovava l’albero più grande della Terra, che si chiamava Gorikan, che voleva dire inflessibile. Onowate vi si arrampicò e quando arrivò alla cima afferrò il ramo più alto di Gorikan e lo incastrò nel cielo nel buco più vicino. E il ramo vi restò incastrato.
La copertura del cielo girò e girò attorno al punto dov’era incastrato il ramo, ma quel punto non si muoveva, perché era tenuto fermo da Gorikan, l’albero che era inflessibile.
Gli spiriti che cacciavano nelle pianure dell’alto s’infuriarono di nuovo e si lamentarono ancora una volta con il Grande Spirito, che però stavolta si burlò di loro. Allora gli spiriti scatenarono il fuoco. Il fuoco bruciò la pelle dell’uomo e bruciò i capelli della donna e bruciò la corteccia dell’albero. Ma Onowate resistette al fuoco e Ayoo mise del grasso sulle sue ustioni, e Gorikan non si piegò.
Allora gli spiriti mandarono le pietre, il tuono, il ferro e il lampo. Ma a nulla servì: l’albero tenne, il cielo continuò a girare attorno a quel punto fisso e Ayoo poté nutrire la sua curiosità. Come ultima risorsa, gli spiriti svegliarono il terribile Spirito della Neve, che vive nel sotto del sotto. Questo arrivò con i suoi venti e le sue piogge e si scatenò sugli audaci delle pianure del basso. Si formò del ghiaccio sulle braccia di Onowate, e anche con la forza di tre orsi, presto non poté più alzarle. Il gelo colpì la testa di Ayoo e, anche con l’astuzia di tre leoni, non riuscì più a pensare. Della neve e ancora della neve si ammucchiò sui rami di Gorikan, finché l’albero inflessibile si ruppe e cadde con un gran fragore, seppellendoli tutti sotto la neve.
Tuttavia, ancor oggi, il cielo continua a ruotare attorno a quel punto del nord. E qualche volta, la notte, Ayoo scuote la sua coltre di neve e mormora la sua astuzia nelle orecchie di Onorate, che, con la sua grande forza, solleva l’albero ancora una volta in modo che ella possa scrutare ancora le cacce nelle pianure dell’alto. Allora gli spiriti svegliano ancora il terribile Spirito della Neve, lo strappano al suo rifugio nel sotto del sotto e noi abbiamo le tempeste che fanno tremare gli uomini.”
tradotto da
http://vizier.u-strasbg.fr/~heck/arctiques.pdf
Meraviglioso. Grazie Antonio,
augh!
effeffe
Che bella leggenda!!!
Ah !….La dimensione onirica!
Lo spirito della neve!
quale potere daresti alla neve?
Così soffice, leggera, immacolata…
eppure la neve trasforma i paesaggi, gli alberi, i laghi, sotto la sua coltre ogni cosa assume nuove sembianze….
illude la neve, con la sua leggerezza!
Non tutto ciò che è pietra colpisce.
Una mattina di dicembre vedrai il cielo uniformemente grigio, le montagne dentro le nuvole, i boschi più scuri e, da una catasta di legna, schizzar via lo scricciolo. Il suo campanellino d’argento ti dirà prossima la prima neve.
Fine di Stagioni_Rigoni Stern
Bellissima leggenda, come bellissime sono anche le altre leggende sul cielo e le stelle raccolte da André Heck.
Una piccola nota sulla traduzione, però. Heck parla di eschimesi, non di inuit. Visto che come eschimesi si intendono anche gli yupik oltre agli inuit, forse era meglio lasciare il termine originale.
Davvero meraviglioso. Ogni riga potrebe essere l’inizio di un poema. (Un abbagliante mito sacrificale, tra l’altro, chissà se Girard ne ha parlato…)
sì, hai ragione, Pensieri non tanto Oziosi, è che Eschimesi mi sembrava una designazione troppo generica, in realtà non c’è indicazione sul luogo esatto di raccolta. Grazie, a.
Dài, Marco, cominciane uno. (Ma Onowate resistette al fuoco e Ayoo mise del grasso sulle sue ustioni, e Gorikan non si piegò. . . . . . . )
Mi affascinano i miti dei popoli del Nord Europa. Questo testo è emozionante. Anni fa ho incontrato una ragazza lappone coinvolta come me in un mega progetto di ricerca. Solo dopo che aveva preso fiducia e che aveva capito che la mia curiosità era autentica, una sera ha raccontato una leggenda tramandata nel suo villaggio solo attraverso le figure femminili di generazione in generazione. E’ stato un vero dono.