Siamo sempre stati separati. Primo quadro: Mio papà, la guerra del 14, i balli, i libri
di Sarah Kéryna
traduzione di Andrea Raos
Una casa di riposo, un pomeriggio d’estate.
La biblioteca della casa di riposo.
La ragazza prepara il materiale per registrare la signora anziana.
– Ecco.
– È pronto?
– Sì, sì.
– Te ne intendi, tu, di quegli affari?
– Boh, no, non tanto.
– Ma sì dai, un po’ sì.
– Oh, sì, un po’.
– Un po’.
Così pensi che ci sono tanti libri nella biblioteca, tu, qui.
– Beh sì, ce ne sono, no?
– Non ho ancora guardato tutto quello che c’è.
– E non hai più il coraggio di leggere.
– Non mi ci posso mettere adesso.
È troppo.
Ho solo preso un libro ieri sulla guerra.
Poi non l’ho finito.
Perché è troppo grosso.
È interessante però.
È sempre un’epoca che mi interessa, a me.
(risate) Fa ridere, vero?
– E quando eri da Calmann-Lévy,
libri, ne avevi?
– Beh sì.
– Cosa facevi, eri correttrice di bozze?
– Sì, da Calmann-Lévy ero correttrice da Calmann-Lévy.
Sì, mi piaceva di più.
– Ti piaceva di più?
– Dopo, alla Caisse des Dépôts et Consignations, non era la stessa cosa.
Cosa facevo, lì?
Non molto.
Compilavo delle schede.
Ah, le schede che ho compilato!
Perché scrivevo bene, all’epoca.
Sono rare le persone che scrivono bene,
in un ufficio,
per essere in ufficio insomma,
per scrivere in modo leggibile, e poi,
che si capisca, allora lo facevo io.
Mi applicavo.
Non mi applicavo, no, non è vero, (risate)
dico delle bugie!
Ma allora, guarda,
mi piaceva, i libri. Aah!
Mi sono sempre piaciuti i libri, è strano eh, fin da piccola.
Ah! I libri, mi hanno sempre affascinata!
Poi, quando ho imparato a leggere, non ti dico!
– Ah sì? Leggevi sempre?
– Leggevo al gabinetto!
Mettevo il libro sotto il vestito,
poi leggevo al gabinetto.
Allora mio papà diceva:
“Hai visto, è partita di nuovo col suo libro in mano!”
Così diceva mio padre.
La mamma, lei, non si accorgeva di niente, diceva:
“ma cosa fa quella al gabinetto?”
Ci restavo tanto, per forza, leggevo (risate)
Perché è difficile leggere
in una famiglia dove si è in tanti.
Non è uno scherzo.
Non sono mica uno scherzo, le famiglie grandi.
Ho letto una volta un libro intero,
di Calmann,
grosso così.
Le pagine erano tante, capisci,
tante così.
In una notte l’ho letto.
Tutta la notte.
L’ho letto tutta la notte, il libro, tutto.
– Hai visto gente, degli autori famosi, degli scrittori?
– Sì, li vedevamo.
Uno che mi piaceva, era uno alto, era un bel ragazzo.
E poi, c’era
Colette Yvert.
– Ah sì.
– Colette Yvert col suo cappellino,
bianco.
Era sempre bianco,
bianco.
Si vestiva sempre di bianco.
– Quand’era che lavoravi lì?
– Nel millenovecento… aspetta. Beh, avevo tredici anni, quando ho iniziato.
Allora, ero piccola eh? Tredici anni.
La mattina prendevo la metro da sola.
Con i capelli sulla schiena.
Mica strano che gli uomini mi mettevano le mani addosso.
Portavo il cappello, mi pare. Credo…
Invece no, avevo una coda di cavallo. Avevo tanti
capelli. Avevo una grossa coda, no mi pare che all’inizio non mettevo il cappello.
È dopo che ho messo il cappello.
(Risate) Ho detto: “Adesso è il momento di imporsi.
Allora, cappello!”
– Facevi la civetta, l’hai sempre fatto.
– Ho sempre fatto la civetta.
Non te lo immagini.
Fin da piccola.
Che ridere.
Ero piccola, e pensavo agli uomini di vent’anni che mi guardavano.
Ti rendi conto quanto ero avanti?
Ero piccola.
Ti dico che ero piccola.
Poi dicevo: “Quello là mi ha guardata.”
Sì, facevo la civetta, che roba, eh.
– Eh sì! Ti divertivi a piacere, ti piaceva ballare?
– Uh, ballerine si nasce!
– I balli ti piacevano?
– Oh sì.
– Era la tua passione?
– Sì, mi piaceva, mi piaceva andare a ballare.
E allora ci andavo con mia sorella.
Ma la Lina, aveva un po’ il mento che sporgeva.
Hai capito.
Ma appena appena.
Ma io, i miei occhi all’epoca vedevano tutto,
l’avevo visto io che sporgeva.
È un peccato, perché era bella.
Poi bella di corpo.
Era la più bella di corpo.
Era ben fatta.
Sì. Oh sì.
Avrebbe dovuto fare un’altra vita.
Ma abbiamo perso tutte delle occasioni, perché non abbiamo seguito le direttive di quelli più esperti.
– Hai sempre lavorato in ufficio?
– Ho sempre lavorato in ufficio.
Tranne all’inizio, ho lavoricchiato qua e là, così,
con Lina, nelle officine.
Non mi dispiaceva, l’officina, ma insomma, era un po’,
era così, insomma.
E poi, papà mi ha fatta entrare da Calmann.
E poi, lì, ero abbagliata.
Tutte le novità, le leggevamo.
Tutto quello che usciva, arrivava la mattina di buon’ora, arrivava.
Che buon odore che aveva la carta nuova, sai.
Leggevamo, tutti leggevano.
Poi, c’era un giovanotto che mi piaceva, e poi, ho fatto la stupida con lui.
Oh ero fatta così, da ragazza.
Ero la Rebecca, non ero naturale.
Mi davo delle arie. Non lo so.
Ci tenevo e facevo finta che non ci tenevo.
Poi alla fine lui si è stufato, e mi ha lasciata.
Mi piaceva.
Credo che è il mio unico amore. Esiste, eh?
Aveva i piedi grandi, mi ricordo.
Quando saliva le scale per venire a trovarmi, lo sentivo arrivare, dicevo:
“Ecco, è lui!”
Avevamo un capo che era gentile. Aveva fatto la guerra, poveretto. Ci è morto, tra l’altro.
Quella guerra del 14, non c’è mai stato un massacro peggiore.
– Ti ricordi della guerra del 14?
– Ah sì, certo che mi ricordo.
Mi ricordo soprattutto della fine, perché nel 18 avevo otto anni.
Ma otto anni sai, ai miei tempi, eravamo svegli, eh?
Ah sì! Ero al corrente di tutto, dell’avanzata delle truppe, delle ritirate, di tutto.
Ero al corrente di tutto.
Mia sorella, Lina, lei non si interessava a quello che succedeva.
Io mi interessavo di quello che succedeva in Francia, e anche dalle altre parti.
Lei, per niente.
Lei, aveva il carattere dei fratelli di mio padre.
I fratelli di mio padre, era far soldi.
Ce n’era uno che aveva un caffé, e poi l’altro lavorava alle ferrovie, e allora c’era il loro lavoro. Poi, basta. Non avevano cultura, no, per niente.
Mio papà, di più.
Comprava “Miroir” mio papà, sai. Era un illustrato sulla guerra, e allora, figùrati, lo leggevo, io.
Mio papà, aveva il cuore fragile, aveva una deformità, uno spostamento del cuore.
L’hanno tirato via dalle trincee, ma prima che accettassero, lo sai com’è, ci vuole tempo. Allora ne ha prese tante con quegli scoppi di bombe.
Quante ce n’erano!
Una al secondo!
Una bomba al secondo che scoppiava
O tedesca,
o francese.
Ma insomma, era una al secondo.
(silenzio)
Ah! Maledetta guerra del 14!
Poi è morto anche il papà, in seguito alla guerra.
(silenzio)
(in un sussurro)
Tutti, morivano in seguito alla guerra.
[On a toujours été séparés, Marsiglia, Fidel Anthelme X, 2005]
Questo brano evoca molto per me. Anzitutto la passione dei libri.
Leggere è un’attività segreta, collegata all’ illecito, un po’ come la sessualità solitaria. Ho scoperto la lettura di nascosto quando sorvegliavo mia nonna. Mia nonna non poteva parlare con me. Allora leggevo i libri per adulti. A tavola, proseguivo a leggere tra due piatti.
Adesso credo che la scrittura è anche un’attività amorosa, sconvolgente, buia.
L’accenno alla guerra di 14 è giusta. lavoro in una regione che sopporta ancora le stigmate della guerra. Indico un museo molto interessante: l’Historial de la grande guerre, à Peronne (Picardie) , se un italiano smarrito passa nella regione.
Bel pezzo, apprezzo molto i racconti legati alla narrazione passata; perché per me la nostalgia esiste pure per quegli anni tremendi, mi fa male l’idea del reset emotivo, non di quello informativo che in un qualche modo di può recuperare, ma le esperienze no. La nostalgia credo sia l’unioco vero sentimento politico. E fa piangere, ed è un tempo che da la mano ad un altro tempo. Bello.
gisy
Grazie.
Il libro di Sarah è diviso in dieci “quadri”, che ho tradotto integralmente e che pubblicherò in sequenza, ogni lunedì e giovedì per un mesetto circa.
Spero che continuerete ad apprezzare.
Brava, molto.
[…] 1. Primo quadro: Mio papà, la guerra del 14, i balli, i libri 2. Secondo quadro: Nella stanza della signora anziana: Il Sud 3. Terzo quadro: Rebecca 4. Quarto quadro: Gli uomini 5. Quinto quadro: La fatica 6. Sesto quadro: Campoformio 7. Settimo quadro: (dopo pranzo) Il Fronte Popolare 8. Ottavo quadro: Le donne 9. Nono quadro: Carmen, le carte 10. Decimo quadro: Roques-Hautes […]