La mano sulla scuola è la mano che governa il mondo [scuola/5]
di Chiara Valerio
Tutti hanno idee sulla scuola e sui professori.
È qualcosa di più feroce del mondiale di calcio. Dove in un batter d’occhio tutti sono in grado di poter effettuare, in una partita a eliminazione diretta, cambi migliori dell’uomo con la cravatta in panchina. Io so perché. L’esperienza scolastica è l’unica esperienza sociale condivisa da ogni cittadino italiano o no. Tutti almeno una volta, tra i sei e i diciotto anni, sono andati a scuola. La scuola quindi non è di destra, non è di sinistra, non è di centro e nemmeno federalista. L’unico colore della scuola è il verde formica dei banchi. Perché fino a prova contraria si va a scuola per imparare. La prima prova contraria viene dai rapporti OCSE PISA che collocano i nostri quindicenni al trentatreesimo posto per competenze di lettura e al trentottesimo posto per competenze matematiche. La seconda, dalle percentuali bulgare di studenti rimandati nelle ultime estati in latino e matematica, senza citare poi le statistiche occulte, che pure ogni docente può stilare, sui rimandati in disegno tecnico e storia dell’arte. Le indagini statistiche non sono la verità. Sono come le stelle per i romani. Inclinant non necessitant. Anche se, in questo caso, inclinant verso il baratro. La terza prova contraria è la precarizzazione della figura del docente che si infrange contro la continuità didattica, che per quanto non esistano certezze, è un valore quasi assoluto.
Anche il ministro della pubblica istruzione è andato a scuola. L’oggettività di aver condiviso almeno una esperienza con tutti i connazionali non autorizza tuttavia il ministro della pubblica istruzione, chiunque egli sia, a strutturare proposte di miglioramento della scuola che siano di mero senso comune.
Io sono certa che nessun docente, più o meno precario, che possa dirsi tale, riesca a scagliarsi contro una riforma nella quale galleggiano indistintamente, come la storiella sul porto di Palermo, proposte coerenti e sagge e proposte infide e deleterie. La riforma della scuola è ancora così vaga e varia che il peggior risultato è lasciare indifferenti, silenti, i professori di ruolo e (s)mobilitare i precari. Di rendere evidente, in questa scissione, il suo non essere esattamente una riforma a scopo culturale quanto piuttosto una manovra a sfondo finanziario. Tuttavia, io sono certa che nessun docente, che possa dirsi tale riesca a serrare le fila insieme a un sindacato che osteggia qualsiasi cosa tranne l’assunzione a tempo indeterminato di tutti i precari, che inibisce l’introduzione di un criterio meritocratico di selezione del corpo docente. Io ne sono certa perchè mi sono vista chiedere delucidazioni a colleghi che stavano a scuola da più tempo di me o che ne sapevano di più su un argomento specifico. Perché ho visto colleghi domandarmi su questioni sulle quali mi ero dimostrata più ferrata. Io ne sono certa perchè chi sta a scuola sa più degli altri che non si smette mai di imparare. E che quindi i professori dei professori o i professori più bravi vanno pagati perchè insegnino. Ma non domani. Già ieri. Tutto questo, anche al costo infernale, di dover ridimensionare il corpo docente. Quindi al costo della mia cattedra.
Il gioco insomma è quello della torre. Solo che nessuno cade e nessuno muore. Non subito almeno. La domanda suona Che colore ha la tua scuola?. Io rimango interdetta, guardo lo strapiombo e penso che se sotto ci fosse il mare il gioco della torre sarebbe una attrazione turistica. Come tutto in questo paese. Poi alzo gli occhi e, qualsiasi cosa io abbia risposto nel millenovecentonovantasei, gli effetti, le mancanze, i danni al tessuto connettivo e produttivo del paese sono evidenti solo adesso. conosco la risposta. Se la scuola avesse un colore sarebbe il verde formica dei banchi. Perché fino a prova contraria a scuola ci si va per imparare.
Io ho finito la scuola superiore il tre luglio del millenovecentonovantasei. Avevo una gonna aragosta a trapezio, una polo color crema e forse un paio di sandali. Dietro una fila di banchi stretti, uno accanto all’altro eppure irregolari, stavano il presidente e i commissari esterni. A fianco a me la mia professoressa di matematica, membro interno di quell’anno. Le mie materie orali erano italiano e fisica. Fuori dalla finestra del mio piccolo liceo di provincia c’era il mare di luglio, con i primi bagnanti senza ombrellone e i teli stesi, a insabbiarsi le cosce o a sotterrarsi i piedi. Non faceva caldo e c’era il vento. Il mare mi è sembrato un lago per tutta l’interrogazione tanto era silenzioso.
La prima volta che sono entrata in un’aula scolastica per una supplenza annuale è stato il duemilasei. Esattamente dieci anni dopo. Dieci anni in cui mi sono laureata in matematica, concluso un dottorato quadriennale e abilitata all’insegnamento. Dieci anni in cui non sono mai uscita dalla scuola in senso stretto. Quella dove si va per imparare fino a prova contraria. L’esperienza in classe è stata scioccante. I miei studenti di quinto anno non avevano il bagaglio linguistico dei miei diciotto anni, non avevano il mio (allora scarno) bagaglio di conoscenze matematiche, non erano di certo molto più stupidi o molto più intelligenti di quanto lo fossi io, non avevano nemmeno il mio livello di semplice scolarizzazione. Si parla uno alla volta, i cellulari in classe si tengono spenti, non si mangia in aula, non si beve in aula, non si dorme in aula, non si picchia il compagno. Non in generale, almeno quando il professore ti guarda. E giacché non è più scuola dell’obbligo se non si è interessati si resta a casa o si va a lavorare.
Quando è suonata la campanella mi sono chiesta cosa fosse successo alla scuola in dieci anni. E dopo due anni di insegnamento l’idea che mi sono fatta è che, non avendo la scuola nessun colore o vessillo politico, tenere una posizione di una ideologia qualsiavolgia, fosse pure quella del Kalos kai Agathos, è una iattura, che perciò le cattive riforme, in quanto approssimazioni, sono meglio di nessuna riforma, che i sindacati hanno abdicato a qualsiasi reale possibilità di interlocuzione tra corpo docente precario e (cattive) riforme disinteressandosi alla qualità dell’insegnamento per concentrarsi sulla quantità delle immissioni in ruolo disponibili anno per anno, che l’infamia italiana dove un laureato medio, al primo impiego, percepisce un compenso mensile di mille euro con contratti dai tre ai sei mesi, ha tinto d’oro le cattedre scolastiche e persone, che mai avrebbero considerato l’insegnamento come un mestiere decente, si sono riversate nelle scuole di specializzazione per assicurarsi uno stipendio di milleduecento euro al mese, permessi per malattia o senza assegni, diritto alla disoccupazione con e senza requisiti ridotti, vacanze di Natale e Pasqua assicurate, orari umani. Insegnare a scuola, di questi tempi, è diventato quasi uno scopo di lucro e questo la dice lunga sullo stato effettivo del paese. Insegnare a scuola è diventato l’ultimo brandello di posto statale da prendere a ogni costo in un paese con un mercato del lavoro flessibile ma lavoratori immobili.
Lo scorso anno è apparso su La Repubblica un articolo di Citati sullo stipendio dei professori e dei maestri. Era pieno di osservazioni accurate scritte benissimo e argomentate meglio. La proposta era raddoppiare lo stipendio ai docenti perché, a oggi, costituiscono una specie di sottoproletariato. Mi ha stupito molto che un intellettuale di quella risma, un letterato raffinato e tutto il resto abbia avuto l’esigenza di parlare di soldi, della borghesia torinese che non si preoccupava che gli educatori dei loro figli venissero pagati meno dei loro autisti, della convinzione che questa indifferenza implicasse la coscienza che i professori non appartenevano a nessuna classe sociale. Io sospetto che Citati quando scrive elite intellettuale parli di persone ben pagate. Come se l’elite intellettuale fosse una conseguenza e quasi non si fosse accorto che i professori, al primo incarico, sono meglio pagati dei ricercatori universitari, degli ingegneri e degli architetti al primo impiego. Pare che le elite vadano scomparendo. In effetti però se gli intellettuali parlano di soldi i professori di scuola sono il sottoproletariato.
All’inizio di questo settembre Citati è ancora intervenuto, sempre da La Repubblica, sull’esigenza di aumentare lo stipendio ai professori per consentire loro di comprare almeno i giornali, dunque di tenersi informati, e buoni libri da leggere e un golf nuovo di tanto in tanto per apparire rispettabili. Lo so che la tesi di Citati, pur con qualcosa di classista, è giusta. Ma l’implicazione del golf non mi convince in nessuno dei due interventi. Anche se amo molto golf.
La mano sulla scuola è la mano che governa il mondo
Signor Ministro della Pubblica Istruzione,
anzi signora. Le scrivo perché sono una docente precario che non si fida né dei giornali né dei sindacati e che per qualsiasi cosa consulta la sezione comunicati stampa sul sito del suo ministero. Solo di prima mano. Le parole girano per l’aria e prendono strane pieghe. Che poi a toglierle ci si impiega tempo. Lei mi dirà che il tempo, per me che insegno a scuola, non è un problema, e io le rispondo che non è esattamente così perché in questa scuola di oggi ci sono le riunioni per materie, i corsi di aggiornamento obbligatori, i corsi di recupero in itinere, gli sportelli didattici, i programmi pomeridiani che sono stati finanziati e quindi bisogna farli così gli studenti maturano crediti scolastici, i consigli di classe, i collegi dei docenti, e due volte all’anno il ricevimento genitori. Pensi a me che quest’anno ho avuto le mie diciotto ore frontali spezzettate in tre scuole e moltiplichi per tre le righe sopra. Lungi da me volerle insegnare le moltiplicazioni ma converrà, che, a seconda dell’editor di testo che possiede, le righe sopra arriverebbero a sei o a nove e anche solo a leggerle, senza interessarsi di cosa significhino, ci si impiegherebbe un poco.
Le scrivo perché all’inizio di questo anno scolastico avverto un poco di stanchezza che, le assicuro, non è una sensazione che mi accompagna nel mio lavoro. Io penso che insegnare sia il mestiere più bello del mondo. Si rimane per sempre giovani, si affilano i concetti fino a farne stuzzicadenti con i quali impedire alle stupidaggini di addensarsi in carie, ci si confronta con persone il cui cruccio quotidiano medio è capire quanto elastico delle mutande lasciar sporgere dalla cintola dei pantaloni. Non è un giudizio, mi creda, è una meraviglia. Insegnare alle scuole superiori, e forse anche alle scuole medie, e all’università e alle elementari, e ai corsi di formazione aggiungerà lei, è il mestiere migliore del mondo perché l’ambiente lavorativo è quasi sempre spensierato. Io non sono un docente da Capitano mio capitano, sono uno che entra in classe il primo giorno di scuola con un test di ingresso tarato sui contenuti minimi dell’anno o del ciclo scolastico precedente, segna l’orario di inizio sulla lavagna e quello di consegna, si appoggia alla cattedra, incrocia le mani sul petto e guarda gli studenti ingobbirsi tra i banchi per crucciarsi o sorridere ma comunque confrontarsi con qualcosa che non è scontato, non è imprevisto ma nemmeno programmato, e che comunque, è una piccola sfida. O un ostacolo. O una pozzanghera nella quale battere i piedi, giocare a interpretare Narciso o da saltare per proseguire il cammino.
Mi perdoni se mi dilungo ma non so quando mi ricapiterà di avere un pomeriggio da dedicarle, qui ogni anno si cambia cattedra e classe e bisogna studiare tutto da capo. Non per imparare le cose, o non solo, non si spaventi, ma per capire come insegnarle, quale concetto viene un attimo prima di un altro e quale invece va taciuto e costruito piano piano. Non è che una persona che insegna si spaventi di studiare, assolutamente no, solo cerca di canalizzare le energie, ripartire il tempo, e farlo fruttare. Lei signor Ministro, anzi signora, così concentrata sulle migliorie doverose da apportare a questa scuola saprà pure che l’impatto che ha un docente di scuola superiore su uno studente non ce l’avrà più nessuno. Lei lo sa che certi colleghi rimangono in una classe per duecento ore l’anno?. Lei ricorda signor Ministro, anzi signora, che nemmeno un corso universitario annuale di qualche anno fa ammontava a duecento ore?. Lei immagina con tutti gli strumenti per lavorare, numero di persone congruo, laboratori, biblioteche e cineteche accessibili, preparazione solida ed etica, cosa potrebbe fare un professore in duecento ore?.
Ma non le scrivo per questo, lo so che ne è a conoscenza e che per questo ci vuole pagare di più.
Ci sono molte cose che nella sua riforma prossima ventura mi piacciono e molte altre che non capisco. Ma non voglio scriverle una lettera di elogi perciò le indicherò solo ciò che non mi convince. Per esempio, secondo me, meno professori vuol dire pure classi più numerose. Visto che lei dichiara di voler ascoltare i consigli di chiunque, il mio primo consiglio in questa lettera è di entrare in un’aula e cercare di tenere l’attenzione di trenta ragazzi per venti minuti. Ci vuole fatica e mestiere. Se fossero trentacinque ci vorrebbe un miracolo e come notava Saramago ne Il Vangelo secondo Gesù, Il miracolo non è una cosa tanto buona se bisogna piegare la ragione intima delle cose per renderle migliori. Io mi rendo conto, signor Ministro, anzi signora, che giustappunto la scuola non ha bisogno di miracoli ma di ritrovare la ragione intima delle cose. Tipo che ci si va per imparare.
Io la ammiro molto signor Ministro, anzi signora, quando dice cha la scuola deve essere prima di tutto per gli studenti. Ma mi segua, come è possibile fare una scuola per gli studenti senza professori? Qualcuno, signor Ministro, anzi signora, vuole prendersi la briga di insegnare, di fare questo benedetto e vilipeso mestiere?. Come può esistere una scuola per gli studenti senza i professori?.
Non si può, glielo assicuro io, poi sarebbe assurda, noiosa, sarebbe come una partita a tennis senza la rete. Senza nessun interesse, e nemmeno un imprevisto, e nemmeno il necessario confronto che c’è tra gli studenti e un docente che non va loro a genio. Nessuno avrebbe più l’opportunità di imparare nonostante.
Quindi i professori sono necessari alla scuola come i piloni in cemento ai ponti, siamo d’accordo. Il preside è necessario, gli amministrativi sono fondamentali, i bidelli, e mi perdonino quelli che lavorano, non sempre e gli studenti sono linfa. Che cosa dobbiamo tagliare allora?. Per rispondere a questa domanda, bisogna avere il cuore puro signor Ministro, anzi signora, bisogna osservare che meno professori e meno amministrativi è giusto se però ci sono meno studenti. Non parlo della scuola dell’obbligo, dell’alfabetizzazione ottima che il nostro paese è stato in rado di offrire fino a quindici anni fa. Parlo del triennio delle scuole superiori. Lei lo saprà meglio di me che a scuola si iscrivono persone che per vero non hanno nessun interesse per lo studio. Si iscrivono a scuola con il concetto che chi studia fa una vita migliore. Ovviamente se lo chiede a me che sono crocifissa ai libri, già adesso, senza l’auspicato raddoppio dello stipendio, le dico che è ovvio che chi studia ha una vita migliore ma è una mia opinione, non una verità di stato. Mentre è verità di stato che molte persone che non hanno terminato gli studi lavorano nelle trafile industriali e hanno termini pensionistici pari a quelli dei professori, o degli impiegati, ed è chiaro che questo è un assurdo perché esistono, a non volersi coprire dietro a un dito, lavori più logoranti di altri. Perché tutti si iscrivono a scuola anche quando non è più per legge. Per curiosità mi dirà lei. E io, che ho la curiosità come motore primo della mia piccola vita, le dirò che non è così, non tutti gli studenti sono curiosi, molti studenti arrivano per prendere il pezzo di carta. Dicono proprio, con una certa baldanza, Io voglio prendermi il pezzo di carta perché altrimenti qui non si può nemmeno andare a pulire i cessi. Mi perdoni la parola cesso, ce pure è italiano, ma ha un suono violento, ma dicono proprio questo. E io ho insegnato sia al nord che al sud signor Ministro anzi signora. Che cosa voglio dire?.
Che se la situazione scolastica è grama, è colpa degli studenti? No, no signor Ministro anzi signora, gli studenti sono la parte migliore della scuola, voglio solo dire che bisogna orientare le persone, riproporre una cultura del lavoro e dello studio come lavoro. Come tutti gli altri.
Voglio dire che la scuola è subissata di persone che aumentano il numero degli studenti senza essere studenti. È come se aumentassero il quorum di tutti quei sondaggi sulla qualità senza tenere conto che qualcuno alle domande non risponde proprio, segna una x qualsivoglia. Come per passatempo.
Lo ripeto signor Ministro, anzi signora, che lei pensasse che io ritenga colpevoli gli studenti dei mali della scuola. No, non signor Ministro anzi signora, ribadisco, io adoro gli studenti. Anche quelli che mentre parlo sorridono alle finestre o parlottano dietro le miei spalle con i compagni di banco o scrivono sul quaderno sotto al testo dell’esercizio, Io conquisterò il mondo.
Se il mio fosse un mestiere di contenzione li terrei lì per conoscerli per catechizzarli per dirgli che leggere e sapere salva la vita. E ovviamente sarebbe sbagliato perché ognuno di noi ha una vita diversa. La mia signor Ministro, anzi signora, è diversa dalla sua.
Ma torno in me e le scrivo chiaramente che il male della scuola è esser stata identificata come un luogo in cui, intanto, puoi guardarti intorno e scegliere. Che è anche vero fino a un certo punto. Ma poi? Perché non c’è nessun orientamento serio sulle possibilità di lavoro al di fuori del pezzo di carta? Perché nessuno dice a chiare lettere che chi studia non è una persona migliore di chi non studia, o diversa, ma fa semplicemente un altro lavoro?.
Nessuno signor ministro, anzi Signora, e poi da quando gli atenei hanno cominciato a farsi pubblicità come la cocacola, non potendo vantare per altro la medesima tenacia mercantile, si leggono cose del tipo studia qui e ti assicuri un podio nella vita. Questo è solo l’unico che ho visto, ma nemmeno il peggiore, il sottotesto di tutti è chi studia è migliore.
Che sinceramente signor Ministro, anzi signora, è veramente una stupidaggine enorme come il ministero dell’istruzione!.
Se ci fosse un orientamento precoce e non ideologico, se ci fosse un sistema pensionistico che permettesse a certe categorie di lavoratori d’altoforno di andare in pensione con venti o venticinque anni di lavoro, e di recuperare quindi, con un poco d’aria, la consunzione di quei lustri, se ci fosse qualcuno che dicesse, ma più chiaramente di quanto immagini, che certi operai specializzati percepiscono stipendi favolosi, che cere sarte si intendono di questioni di lanacaprina assai meglio di valenti filosofi, se qualcuno, lo stato, le signor Ministro anzi signora, togliesse questa aura mistica allo studio, le classi di secondaria sarebbero assai men numerose e lei potrebbe tagliare i professori allora sì sovrabbondanti e passare a una istruzione migliore. Una istruzione che corteggi pure a conoscenza delle cose. Ma cominciare a tagliare i professori, senza aver detto chiaramente che cose è e per chi è la scuola, cioè per coloro che la scelgono come lavoro,è forse azzardato.
Lei ha ragione ma è fuori tempo signor Ministro, come possiamo fare?
Queste riflessioni sono uscite, in versione appena modificata, su Nuovi Argomenti [#44, V serie] Concordia Nazionale attualmente in libreria. Il primo articolo di Pietro Citati, Raddoppiamo lo stipendio ai professori, si trova qui.
“Insegnare alle scuole superiori, e forse anche alle scuole medie, e all’università e alle elementari, e ai corsi di formazione aggiungerà lei, è il mestiere migliore del mondo perché l’ambiente lavorativo è quasi sempre spensierato”.
Questa cosa della spensieratezza è bellissima, è proprio così e forse è la cosa più inimmaginabile vista dal di fuori.
più che altro credo che molte discussioni sulla scuola evitino la parola spensieratezza. come se fosse leggero o inutile parlarne. come se escludesse tesi antitesi e sintesi. o limitasse preparazione, deontologia. e anche altri -ismi e -gie. ma la scuola mi mette allegria, quindi alè, grazie olipal.
chi
Un articolo coraggioso.
anche a me è piaciuto, la battuta sull’affilare gli stuzzicadenti è fantastica.
Osservo purtroppo, almeno per quel riguarda l’università, che molti dei suoi mali sono stati conseguenza dello sciagurato decreto, credo dell’allora ministro Berlinguer, sull’autonomia finanziaria delle Università, come se essa fosse un’azienda. E del resto tutto ormai viene altrettanto sciaguratamente considerato azienda, che deve sempre incassare almeno quanto spende, senza tener conto che la qualità delle persone e il loro miglioramento complessivo non possono apparire nei bilanci.
@nadia augustoni: rischio il linciaggio? ;-)
@sparz: io penso che se la sinistra non comincia ad assumersi una serrata responsabilità sul reale decadimento del diritto allo studio non riusciremo a pretendere un sacrosanto e (altrettanto reale) spazio di discussione. io penso che ci sia molta indignazione in giro, e spero che l’indignazione oltre che onda si faccia goccia che scava lapide.
anche a me diverte molto la battuta sugli stuzzicadenti. poi in fondo è anche un po’ vero… insomma… sarebbe assai bello se lo fosse.
e questo.
chi
@Chi
Spero di no.
intanto il coro serrato e acuto delle proteste scolastiche ha prodotto la sospensione (lo stralcio?) della riforma universitaria. l’indignazione per il disegno atecnico che rischia di far crollare la base della piramide ha convinto il geomètra a non rifare il tetto. piove dall’alto ma ci si bagna solo se si affondano i piedi nelle pozzanghere.
un merito, a questo ministro, robotico portaoneri del titolare della scure economica, va però riconosciuto: è riuscita a mettere al centro del proteiforme dibattito mediatico scuola & università, insomma l’organizzazione del sapere. che non è ancora metterci il sapere come valore, ma insomma se l’essere determina la coscienza…
queste pagine hanno avuto e hanno il pregio di ospitare discussioni serie e non preconcette, spesso sollecitate dai pezzi acuti e provocatori di chiara valerio. che sembra conoscere assai bene, e dall’interno, la scuola di cui parla, e al tempo stesso sembra osservarla statica e macroscopica come un entomolgo i suoi preziosi esemplari.
anch’io credo che il diritto allo studio non abbia nulla a che vedere né con il tutti dentro pigiati come in una metropolitana nipponica né con l’obbligatoria presunzione di conquistarsi un posto nel mondo, a meno che non spetti per diritto d’intelletto. che è un diritto di nascita, solo che la sorte lo distribuisce a casaccio, senza guardare la marca dello zainetto. credo pure che il nostro paese soffra d’un eccesso di intoccabili argomenti, volgarmente detti tabù. e ogni volta che si parla di merito e riconoscimento del – si sottintende a condizione di non emarginare il demerito. che non va emarginato né pigiato: va altrove, a cercare il luogo dove può essere merito. concetti relazionali, e relativi.
almeno credo.
p.s.: grazie per doris day!!!
;0)
La parte migliore è l’incipit, sacrosanto. Aggiungerei solo che, accanto a quelli che si sentono in diritto di reputarsi esperti per essere andati a scuola in un qualche frangente della propria esistenza, ci sono anche quelli che la scuola l’hanno terminata, e si sentono ancora più legittimati a dire la loro senza avere la minima coscienza dell’essere la punta della piramide di una selezione improntata al più feroce darwinismo sociale. Quando io imparavo a memoria il quinto canto del’Inferno, signora mia! (e intanto il compagno di banco, espulso dalla scuola, mi portava la spesa a casa dalla bottega che l’aveva assunto).
Una sola correzione: i bidelli sono indispensabili quanto gli insegnanti (cioè noi, Chiara).
Per ricambiare, ti rubo Doris Day per la locandina autoprodotta della lezione in piazza che faccio martedì prossimo venturo, pioggia o non pioggia.
Io credo che nessuna riforma della scuola oggi sia possibile, lo stato in cui versa è tale che la parabola evangelica sul grano e la zizzania calza alla perfezione; se si cerca di separarli estirpando la mala pianta si rischia di sradicare anche il buono.
Nell’esperienza scolastica dei miei figli ho visto una scuola elementare mediamente buona con punte di eccellenza, nelle medie ho incontrato ottimi docenti tra i precari, quelli di ruolo erano per lo più demotivati e aspettavano la pensione precoce.
Naturalmente non posso dedurne delle generalizzazioni che farebbero torto a troppa gente che oggi nella scuola si spende ben oltre il richiesto, ma è una roulette russa, se hai culo ti va bene.
Prima di dire che tutti hanno diritto alla scuola mi chiedo cosa sia l’oggetto rivendicato, a cosa serva nelle condizioni attuali.
Vedo troppo legato il titolo di studio, il pezzo di carta, al posto di lavoro sicuro, evidentemente con le promesse degli anni 80 si è creato un automatismo, reale o inconscio, che legava indissolubilmente le due cose.
L’altra cosa che mi viene in mente è che la rivendicazione di questo diritto è stato appannaggio, dalla fine degli anni 70 ad oggi, del mondo politico istituzionale che l’ha reso astratto quanto astratto è il legame tra scuola e lavoro, anzi tanto più si è insistito sul portare l’azienda a scuola e la scuola in azienda, tesi fondanti delle riforme gemelle Berlinguer-Moratti, (e come spesso avviene in Italia, importazione di format americani di seconda mano), tanto più questo legame è diventato labile.
Oggi dopo trent’anni torniamo a vedere la “base” in piazza a reclamare i suoi diritti, evidentemente la mancanza è la molla che motiva di più, sempre che non vogliano di nuovo la stessa illusione; pezzo di carta-posto fisso.
Quanto ai due schieramenti parlamentari, li vedo talmente sedotti entrambi dal sottosviluppo come mezzo di controllo sociale che oggi come oggi non investirei dieci lire sulla scuola.
Chiara Valerio
scrive:
“Io sono certa che nessun docente, più o meno precario, che possa dirsi tale, riesca a scagliarsi contro una riforma nella quale galleggiano indistintamente, come la storiella sul porto di Palermo, proposte coerenti e sagge e proposte infide e deleterie.”
**Certezza sbagliata. Io (e molti come me) non vedo nessuna riforma della scuola nel decreto Gelmini: trattasi di una non-riforma, di cui non vedo galleggiare NULLA di coerente e saggio. E’, come hai scritto poco sotto, una manovra finanziaria di taglio della spesa. Una pessima manovra.
Chiara Valerio:
“Tuttavia, io sono certa che nessun docente, che possa dirsi tale riesca a serrare le fila insieme a un sindacato che osteggia qualsiasi cosa tranne l’assunzione a tempo indeterminato di tutti i precari, che inibisce l’introduzione di un criterio meritocratico di selezione del corpo docente.”
**Di nuovo una certezza sbagliata. Io non so da dove ti venga tanta presunzione da poterti dichiarare certa che tutti la pensino come te a riguardo di questa manovra, ma comunque mi tocca ancora farti notare che (insieme a molti altri) considero valide le critiche dei sindacati a questa manovra, e sarei pronto a serrare le fila con chiunque si opponga in modo radicale all’imbarbarimento della scuola che questa manovra introduce e che il governo concretizzerà in futuro. E pensa che non sono neanche iscritto a un sindacato. Sul criterio meritocratico di selezione del corpo docente, faccio notare che la nostra professione non consiste nel produrre una merce, ma nel formare delle persone, quindi stabilire criteri certi e condivisi per decidere il “merito” di ogni docente è cosa alquanto difficile, specie se si parla di docenti precari, che lavorano in istituti diversi e che cambiano una scuola o due all’anno.
Chiara Valerio:
“Io ne sono certa perchè mi sono vista chiedere delucidazioni a colleghi che stavano a scuola da più tempo di me o che ne sapevano di più su un argomento specifico. Perché ho visto colleghi domandarmi su questioni sulle quali mi ero dimostrata più ferrata.”
**Quindi secondo te il “merito” nell’insegnare significa sapere più nozioni di un altro collega. Un criterio tristemente riduttivo. Facciamo un bel test, vero?, per scegliere i “migliori” e mandiamo a casa gli altri, fa niente se hanno passato un concorso o fatto la scuola di specializzazione. Per quanto mi riguarda, i professori che mi hanno dato di più alle superiori e all’Università non sono stati quelli che avevano una conoscenza enciclopedica della loro materia, anzi spesso quelli si distinguevano per il non saper comunicare la loro conoscenza e per il fatto di essere del tutto carenti in quanto a impostazione della didattica e dialogo con gli studenti.
“Io ne sono certa perchè chi sta a scuola sa più degli altri che non si smette mai di imparare. E che quindi i professori dei professori o i professori più bravi vanno pagati perchè insegnino. Ma non domani. Già ieri. Tutto questo, anche al costo infernale, di dover ridimensionare il corpo docente. Quindi al costo della mia cattedra.”
**Io voglio uno stato con sempre più docenti, altro che meno! Più docenti significa meno alunni per ogni docente, e quindi maggiore qualità dell’insegnamento! E poi non puoi pretendere che una persona si qualifichi per insegnare, faccia tutta la trafila, passi un concorso e POI DOPO lo stato selezioni quelli che “vanno pagati perché insegnino”. Si devono selezionare prima, non dopo! Dopo, semmai, si paghino di più i docenti che meritano di più – fermo restando che ancora non si sa come misurare il merito.
Chiara Valerio:
“…che perciò le cattive riforme, in quanto approssimazioni, sono meglio di nessuna riforma, che i sindacati hanno abdicato a qualsiasi reale possibilità di interlocuzione tra corpo docente precario e (cattive) riforme disinteressandosi alla qualità dell’insegnamento per concentrarsi sulla quantità delle immissioni in ruolo disponibili anno per anno…”
**Una cattiva riforma NON è sempre meglio di nessuna riforma. Non so cosa t’abbiano fatto i sindacati, ma i tuoi giudizi senza appello mi sembrano di nuovo del tutto esagerati.
“Come se l’elite intellettuale fosse una conseguenza e quasi non si fosse accorto che i professori, al primo incarico, sono meglio pagati dei ricercatori universitari, degli ingegneri e degli architetti al primo impiego.”
**Perché dici solo che “i professori al primo incarico sono pagati meglio di…”? Chiedo: gli altri dipendenti pubblici che hanno passato un concorso e iniziato a lavorare non sono godono forse della stessa condizione economica dei professori?
Per il resto, io ho due amici ingnegneri, quasi miei coetanei, e quando io ho iniziato a insegnare (nel 1997), prendevo meno di quello che prendevano loro con il loro primo impiego. Magari adesso è diverso, però non credo sia generalizzabile il discorso.
Chiara Valerio:
“Ci sono molte cose che nella sua riforma prossima ventura mi piacciono e molte altre che non capisco… Ma non voglio scriverle una lettera di elogi perciò le indicherò solo ciò che non mi convince.”
**Sarei curioso di sapere le molte cose che ti piacciono di questa non-riforma.
“Per esempio, secondo me, meno professori vuol dire pure classi più numerose.”
**Infatti, e quindi non capisco perché prima hai scritto che occorre tagliare il corpo docenti per far spazio solo ai più bravi. Non è una contraddizione? Qualcosa, mi sfugge…
Ho letto velocemente la parte finale, ma mi tocca fermarmi qui per ora dato che la vista non mi sorregge più.
@diego.
“credo pure che il nostro paese soffra d’un eccesso di intoccabili argomenti, volgarmente detti tabù. e ogni volta che si parla di merito e riconoscimento del – si sottintende a condizione di non emarginare il demerito. che non va emarginato né pigiato: va altrove, a cercare il luogo dove può essere merito. concetti relazionali, e relativi.
almeno credo” perché anche io… “almeno credo”, insomma, che se ne discuta.
@mauro pandiani. io credo e spero che una riforma scolastica sia possibile. perciò sono sempre preoccupata dei no a oltranza. non credo sia facile e non credo neppure sia indolore, ma dobbiamo per forza provare, la scuola è troppo importante, se anche la si volesse vedere come coltura, sarebbe un settore dove investire sempre e comunque. a ogni costo.
@girolamo. sui bidelli ho scritto “quasi” ma correggerò girolamo, non volevo essere fastidiosa, adesso che rileggo, era più un meschino meccanismo narrativo… oh, prendi pure doris day… è certamente creative commonso 2.5 :-)
@lorenzo galbiati. grazie per il contraddittorio. ma rimango convinta di quello che ho scritto. non credo ci siano le contraddizioni che sottolinei, ma ci ripenso. una cosa che mi piace di questa riforma è che almeno ci prova. anche se male. ma l’ho già scritto nel pezzo. e questo. alla prossima.
p.s. l’articolo di pirani oggi nelle pagine centrali di La Repubblica secondo me è assai bello. e questo.
chi
è un gran bel pezzo, brava chiara – mi pare sia chiaro che il riferimento ad alcune cose “da salvare” in questa (cosiddetta, per carità) riforma sia più una mossa retorica che una vera e propria argomentazione a suo favore. come a dire: è lampante che ci sia qualcosa che non quadra nella scuola, che nel giro di dieci anni si è fatto di tutto per smantellare la qualità del pensiero e il valore dell’istruzione, che va ripensato il ruolo dei sindacati che si occupano del buono pasto degli assunti a tempo indeterminato e abbandonano completamente a se stessi i precari, che non hanno, veramente, alcun diritto e alcuna forma di contrattazione (nella scuola e altrove). e che, infine, per anni la scuola è stata moneta di scambio per guadagnarsi i favori dell’elettorato e che, grazie ai molti vantaggi che offre in termini di assenza dal lavoro, aspettativa, ecc., essa è diventato “l’ultimo brandello di posto statale da prendere a ogni costo”.
critichiamo la riforma, ma pensiamo pure a queste cose, no?
sul calcolo del “merito”: ovvio che non possa essere basato sulla “produttività” dell’insegnante (anche se vi farei volentieri leggere il mio primo contratto da precaria all’università, dove ero pagata a cottimo, per numero di studenti promossi…), ovvio pure che non possa essere basato semplicemente sul gradimento degli studenti – all’estero, tanto per fare un esempio che riguarda l’università, c’è il peer-review (il parere dei pari, grossomodo) – comunque, senza troppi filosofemi, presumo che si possa immaginare un diverso ordine di valutazione tra chi in classe ci va, per esempio, e spiega e interroga, e chi va continuamente in aspettativa per fare il libero professionista o andare al mare…
mario pandiani usa una espressione tanto efficace da darmi i brividi: gli schieramenti politici sono “sedotti entrambi dal sottosviluppo come mezzo di controllo sociale” – mi auguro che si possa, prima che sia troppo tardi, riformare e la politica e la questione etica ad essa legata. ce lo auguro davvero.
un caro saluto,
r
p.s.: a qualcuno magari interessa, oggi su LPELS c’è una mia testimonianza sulla docenza precaria http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2008/11/10/viva-la-scuola-9/#respond
grazie
ehi renata, grazie per il commento e per la segnalazione del tuo bel pezzo su la poesia e lo spirito. Comunque, il contratto accademico a cottimo è così geniale che quasi quasi mi mette di buon umore… dio mio…
alla prossima.
chi
Per carità, si può rispondere come si vuole, anche glissando, ma allora ribadisco solo due cose:
– non vedo nulla di positivo o di buono in questa manovra
– ritengo scorretto dare un giudizio positivo a una manovra solo perchè esiste e riguarda un campo, la scuola, che necessita di modifiche. le modifiche in negativo, peggiorative, sono sempre in maggior numero di quelle in positivo, se non altro perchè quando c’è un malato i rimedi che lo fanno star peggio son sempre di più di quelli che posson farlo star meglio: come si sa per la legge dell’entropia, le possibilità riguardanti l’ordine sono sempre minori
delle possibilità dello stato di disordine. E nel caso specifico, se per caso si dicesse che questa manovra cerca di metter ordine, allora mi tocca dire che è un ordine che rischia di far morire il malato, la scuola.
bene galbiati. ma l’essere è e il non essere non è. almeno ne stiamo parlando. dopo anni di silenzio pernicioso. dopo anni in cui ci siamo resi correi di un decadimento rapido, esponenziale, del diritto allo studio. Ma li ha leti ieri Pirani e Sartori?, E che ne pensa?, Ma non le sembra che sia più costruttivo smontare la riforma pezzo per pezzo e negare perzzo per pezzo invece di dire no a oltranza?
Continuo a non capire.
Una legge non è uguale ad aprire un dibattito, una legge decide in una direzione e non in un’altra. Cos’è che finalmente è caduto come mela matura dopo anni di decadimento esponenziale? I tagli? La non-riforma Gelmini sta rivitalizzando il diritto allo studio?
Gli articoli: se Sartori è questo
http://flcgil.it/notizie/rassegna_stampa/2008/novembre/corriere_le_malattie_della_scuola
sono solo considerazioni socio-politiche in parte di buon senso e in parte reazionarie, insomma opinabili. Non so se c’è già il seguito. Pirani devo cercarlo.
Tu invece hai letto sull’Unità tempo fa l’articolo che parla delle conseguenze del decreto per le case editrici? Conseguenze che, se ti informi, potrai verificare essere reali.
E’ qui
http://www.flcgil.it/notizie/rassegna_stampa/2008/ottobre/unita_professor_berlusconi
galbiati non mi piace parlare dello stato e delle leggi dello stato come se fossero altro rispetto a me. mi piace discutere, partecipare, considerare le colpe.
bene… sartori di buon senso e reazionario? aspetto la tua sua pirani…
avevo letto l’articolo sulle case editrici e mi sembra che i tagli all’editoria scolastica siano gravi ma meno significativi di altri tagli.
comunque, qual è la tua idea?, no a tutto?
La mia idea non è un no a tutto, ovviamente anch’io avrei molte proposte per la scuola. E innanzi tutto la mia idea è di investire molto di più nelle infrastrutture scolastiche, in modo da poter avere meno alunni per classe e poter intraprendere anche una didattica differenziata, entro certi limiti. Cioè, sia in linea ideale, sia concretamente, tutto quello che prevede la manovra Gelmini e verosimilmente tutto quello che farà quando tentera la vera riforma della scuola, quella dei cicli, va esattamente contro, totalmente contro quello che è a mio avviso il bene della scuola.
Ti dico di più: l’approccio sotteso alla manovra Gelmini è per me un approccio che uccide la cultura.
Ps su Sartori: quello che ha scritto poteva scriverlo già 10 e passa anni fa, all’epoca di Berlinguer. Non dice nulla della riforma Gelmini, questo è un dato obiettivo. E, ripeto, il fatto che metta in luce alcune cause che secondo lui hanno rovinato la scuola, NON significa che qualsiasi manvora finanziaria sulla scuola è un bene in sè: è anzi un rischio di far morire il malato.
scusa galbiati, tu hai scritto:
E innanzi tutto la mia idea è di investire molto di più nelle infrastrutture scolastiche, in modo da poter avere meno alunni per classe e poter intraprendere anche una didattica differenziata, entro certi limiti.
che è una cosa che ho scritto più e più volte.
comunque sono contenta che stiamo riuscendo a discutere.
e questo,
grazie
chi
Chi (immagino tu sia Chiara, l’autrice)
Come già ti avevo fatto notare con il mio primo commento, io ho visto una contraddizione nel fatto che all’inizio del tuo pezzo sei favorevole a un taglio delle cattedre mentre alla fine discuti la negatività dell’aumento del numero di alunni per classe.
Cmq, sono andato sul sito dello SNALS, un sindacato della scuola che ogni tanto leggo e che mi pare faccia un ottimo lavoro (e credo non sia il solo). Ma immagino tu non la pensi così dato che hai avuto solo parole di disprezzo per il lavoro dei sindacati. Cmq, ecco l’inizio dell’appello per lo sciopero del 30 ottobre.
Appello a tutto il personale per una forte mobilitazione
Il distruttivo “piano di razionalizzazione finanziaria” del Governo per la scuola è stato contestato e rifiutato da tutto il mondo della scuola, da famiglie e studenti, nonché dal fronte sindacale perché fondato su tagli indiscriminati di oltre 130 mila posti dell’organico di personale docente e ATA, tagli alla spesa di 8 miliardi di euro che colpiscono duramente il sistema di istruzione nel suo complesso.
Essi comporteranno una generalizzata contrazione del tempo scuola e l’aumento degli alunni per classe, la riduzione delle classi di concorso, l’aumento dell’orario di servizio per i docenti. Tutto ciò con l’esclusivo obiettivo di realizzare risparmi.
Convinti, al contrario, che l’obiettivo della qualificazione della spesa pubblica non si consegue attraverso tagli irrazionali, ma mediante interventi (investimenti mirati, lotta agli sprechi…) volti a salvaguardare, nel contempo, qualità scolastica e posti di lavoro, siamo stati protagonisti di una proposta alternativa, emersa dalla Conferenza organizzativa dei quadri regionali e provinciali nello scorso settembre.
La nostra proposta alternativa
Abbiamo sviluppato ipotesi concrete e costruttive per una possibile qualificazione della spesa, senza tagli devastanti, dando
responsabilmente la nostra piena disponibilità ad un confronto approfondito e di merito, per giungere ad un progetto condiviso anche dal mondo della scuola.
In sintesi, abbiamo proposto di abbattere la spesa per le supplenze brevi istituendo l’organico funzionale pluriennale che consentirebbe anche la stabilizzazione del personale precario; di ottimizzare l’orario dei docenti della scuola elementare, escludendo comunque l’ipotesi del maestro unico; di salvaguardare il tempo scuola dalla scuola dell’infanzia alla superiore;
di operare sul turn over, sostituendo il personale in uscita con personale attualmente precario, e sull’eliminazione delle esternalizzazioni con specifico riferimento alla spesa per le cooperative di pulizia; di incidere sulla razionalizzazione delle fonti di finanziamento di progetti spesso inutili.
La nostra proposta di rilancio della scuola pubblica è stata discussa e ha trovato ampio consenso nelle numerose assemblee che in questa fase di mobilitazione lo Snals-Confsal ha tenuto sul territorio, ed è stata inviata al Governo nella speranza di aprire un tavolo di confronto, sul Piano programmatico e i regolamenti attuativi dell’art. 64 della legge 133,
finalizzato ad una vera qualificazione della spesa, salvaguardando il diritto allo studio, la qualità della scuola e le professionalità in essa operanti.
La nostra piattaforma, rappresentata anche nel corso delle audizioni parlamentari cui è stato convocato lo Snals-Confsal, è stata condivisa da Cisl scuola e Uil scuola e, successivamente, da Flc-Cgil e Gilda, e, sulla base di questa proposta, visto l’arrogante atteggiamento del Governo di non dare risposte e di voler realizzare le economie preventivate solo mediante la riduzione dell’offerta formativa e degli organici, è stato avviato il tentativo di conciliazione con la proclamazione dello stato di agitazione di tutto il personale della scuola che, abbiamo sottolineato, è ancora in attesa del rinnovo del contratto di comparto.
Ecco, a me questo sembra un approccio condivisibile, mentre è assolutamente non condivisibile e “altro da me” per usare le tue parole, la legge Gelmini e l’atteggiamento dei ministri di questo governo. Credo infatti che dei ministri che facciano leggi e dichiarazioni che penalizzano e disprezzano i lavoratori dei settori che loro amministrano vadano contestati con ogni mezzo legale.
bene galbiati,
lieta che abbia detto la tua. due appunti. disprezzo per i sindacati è espressione tua, non mia. possibilista come sono non potrei disprezzare proprio nessuno. le contraddizioni che dici di leggere potrebbero stare, come la bellezza, nell’occhio di chi guarda.
e questo. grazie degli interventi.
chi
Se la contraddizione è nell’occhio di chi legge questo
Tuttavia, io sono certa che nessun docente, che possa dirsi tale riesca a serrare le fila insieme a un sindacato che osteggia qualsiasi cosa tranne l’assunzione a tempo indeterminato di tutti i precari, che inibisce l’introduzione di un criterio meritocratico di selezione del corpo docente. Io ne sono certa perchè mi sono vista chiedere delucidazioni a colleghi che stavano a scuola da più
e poi che le classi devono essere meno numerose (quindi i docenti devono essere di più) allora magari l’autrice potrebbe spiegare cosa significa quello che ha scritto, sennò è troppo facile rispondere a chi dice di leggere una contraddizione che l’ha letta lui. Idem per il fatto che il sindacato osteggi “qualsiasi cosa” tranne che l’assunzione a tempo indeterminato: se si scrive una cosa così esagerata, si dovrebbe dire cosa si prova verso i sindacati: se non è disprezzo, cos’è?
galbiati non mi piacciono le polemiche viete.
disprezzo, cosa così esagerata et alia.
quindi la chiudo qui.
pensa pure che sia facile non rispondere. ripeto. non credo che l’assunzione a tempo indeterminato e indiscriminata sia una soluzione. ripeto. penso davvero che sia banale aumentare i docenti prima e invece di preoccuparsi di un serio orientamento scolastico. l’orientamento scolastico dove sta?
la scuola è per gli studenti galbiati, mica per i professori.
e questo
chi
Io non faccio mai polemiche viete.
Indago, chiedo risposte.
E dico la mia alternativa.
Poi, ognuno dedica il tempo che vuole a rispondere.
Quindi io leggo che dell’operato dei sindacati non hai detto nulla se non quelle due frasi di rifiuto totale, che vorresti far credere siano condivise da tutta la tua, nostra categoria (e uno che scrive così deve aspettarsi obiezioni e domande da parte di colleghi che dissentono da questa generelizzazione, sennò non è dialettico, si erge ad autorità solo perchè posta qui) e ti chiedo se il tuo giudizio non sia esagerato, a fronte di un giudizio morbido verso il decreto Gelmini: le tante cose positive o buone a cui accenni e che non hai voluto specificare neanche nei commenti.
Ti ho riportato un testo dello snals e non l’hai commentato.
Ora dici
“non credo che l’assunzione a tempo indeterminato e indiscriminata sia una soluzione.”
cosa significa indiscriminata? come si dovrebbe discriminare?
“ripeto. penso davvero che sia banale aumentare i docenti prima e invece di preoccuparsi di un serio orientamento scolastico.”
l’aumento dei docenti non avviene prima, avviene dopo l’aumento di offerta formativa
“l’orientamento scolastico dove sta?”
cosa intendi dire? non capisco.
una riforma della scuola fatta solo con il libro mastro, senza un progetto sociale serio, che non sia trasformare tutti nei lavoratori dei fast food, e pedagogico, basata sul pregiudizio e sull’intolleranza, senza una conoscenza seria di quello che è il mercato del lavoro non può che produrre danno ad un paese dove oramai la competitività è solo a livello calcistico
speriamo di riuscire a tenere un terreno di contrattazione. solo questo.
grazie del contributo.
chi