Diorama dell’Est #14
di Giovanni Catelli
Ceske Budejovice
Tu sai che non ci rivedremo, nel momento preciso in cui affronti la piazza, lungo il passo interminabile che frana sui selciati, senza sosta, mentre il piede si precipita, lentissimo, nell’aria che non regge, si fa largo, nella grande piazza che trabocca, dalla minima fessura che incide l’avvenire, si divarica nell’ora, nella ferma luce, nell’istante, si propaga tra le case, lungo il ponte, nella timida città popolata di giardini, s’allontana, verso il mondo serale che accumula frontiere, ci abbandona, sulle sponde rovinose che abitiamo, nella pioggia di frantumi che moltiplica il momento, nello sguardo che rimargina incessante l’apparenza, la ferita inseparabile dal tempo, la meccanica innocente delle cose che si perdono : ti guardo, mentre cerchi di affondare questo passo nel domani, ti raggiungo, quasi, mentre afferri l’occasione, tesa, di svanire, l’inganno di varcare lievi soglie praticabili, distanze materiali che si colmino in un lampo, già severa e cieca nell’istante, trascinata via dal peso che ricade, irreparabile negli occhi fermi del passato, già confusa e mobile nell’urto delle cose nuove che t’avvolgono.
Marszalkowska
Porta strane lontananze la Marszalkowska, lungo il vento inquieto che risale da un’infanzia delle cose, la fermezza invincibile della muta vastità, con il faro cieco del tram che t’indaga, per le corsie senza fondo, e ti chiama, da ogni tuo mancare al debito dei giorni, a un calcolo del tempo che rinumera la polvere : si svuotano le tue misure nel guardare, il solo passo che s’annunci ad una meta è condannato, si spargono le tue direzioni come gesti nel buio, e tu cammini, vedi, non senti minaccia nel dissolverti, nel perdere ogni remota intenzione d’arrivare, ti sorregge, la corrente unanime dell’aria, degli istanti senza voce, ti protegge, il volto anonimo del tuo vagare trasparente, la certezza che gli sguardi già non ti raggiungano, sospeso nel tuo stanco limbo d’innocenze, in tutte le perdute giovinezze che non cedi, promesso ad ogni arrivo luminoso del futuro, ti nascondi ov’è più limpido il non esser conosciuti, più sereno l’affondare nella quieta inesistenza, già distingui nei passanti l’invisibile che ospiti, che avanza nei tuoi abiti, e si perde, nella povera distanza fredda che ci aspetta.
e io non mi stanco di ripetere, che questa prosa poetica a tratti enfatizzata, con la sua punta di malinconica luce,
concilia il mio sonno…
Magari fosse prosa poetica, Chapucer. Ma roba del genere è proprio necessario pubblicarla?
Non mi sembra affatto superfluo leggere con occhi sfrondati e malinconici la pressione che la realtà esercita sulla nostra fragile superbia di definirci stoici divoratori di crudeli verità. Io invece ho trovato molto ben cadenzato il ritmo delle distanze, il lontanto ed il vicino che alternano immagini e suoni ed imprimono un senso desolato al sapore della separazione. “Si spargono le tue direzioni come gesti nel buio”, mi sembra una frase eloquente della sensazione di dispersione, di dissolvimento nello spazio aperto della piazza.
Magari non raggiungerà le vette eccelse dell’efficacia, ma non siamo tutti la perfezione incarnata…
MDP
Magari è meglio analizzare piuttosto che rifiutare…
MDP
“passo interminabile che frana sui selciati”
“piazza che trabocca, dalla minima fessura che incide l’avvenire, si divarica nell’ora, nella ferma luce, nell’istante, si propaga tra le case, lungo il ponte, nella timida città popolata di giardini, s’allontana, verso il mondo serale che accumula frontiere”
“sguardo che rimargina incessante l’apparenza, la ferita inseparabile dal tempo, la meccanica innocente delle cose che si perdono”
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Basterebbe eliminare tutti gli aggettivi (ridondanti, messi lì a effettaccio parapoetico); basterebbe evitare quel simbolismo forzato o quanto meno alleggerirlo con qualche correlativo oggettivo e questo pezzo, sfoggio(?!) di perizia calligrafica di retrogusto dannunziano, sarebbe quasi passabile.
Personalmente, prima di rifiutare, io analizzo sempre
La fotografia mi lascia perplesso sul fatto che si tratti di Budejovice; me la ricordo diversa. Poi, dovessi trovare una città, un paese di quella zona sul quale scrivere, riscoprirei Cesky Krumlov. E’ a due passi da Budejovice ed è un vero miracolo. La prima volta che ci capitai, per sbaglio, parecchi anni fa, finii a dormire in una vecchia casa torre del ‘400. I proprietari, marito e moglie, lui musicista, lei insegnante di inglese, per sbarcare il lunario affittavano alcune stanze ai primi turisti dell’epoca.
Ho ancora la ricevuta, scritta su carta ingiallita, del conto e, ad accompagnarla, il ricordo della colazione nel salotto buono, col servizio in ceramica bianca e il bicchiere in cristallo boemo, con l’adesivo in lingua a certificarne la qualità, che non era mai stato rimosso.
Ma perché, mi chiedo, maltrattare quei paesi meravigliosi, con descrizioni rannicchiate attorno a lemmi posticci? Mica mi pare un gran bel servizio e non riesco a comprenderne il motivo. E’ eccitante come la partita di ramino con i parenti: se vinci sei il solito esagerato, se perdi pretendono anche i 5 centesimi a saldo del debito.
Blackjack.
Catelli è ostinato.
“L’onda che avanza
luminosa si sfarina
per la spiaggia remota
si prolunga lenta
nella fine”
E’ così che ho conosciuto Giovanni Catelli. Stavo attraversando una piazza, era giugno, un attore enunciava questi versi… mi sono bloccata, attonita sono rimasta ad ascoltare. Ho acquistato “Treni” e succesivamente “Geografie” e “Lontananze”. L’idea che mi sono fatta è che Catelli abbia un profondo rispetto per le parole, un’educazione garbata nello sceglierle, le fa diventare preziose, talvolta abbacinanti, tanto da non coglierne subito il significato. Penso che la sua scrittura sia efficace, potente e comunicativa. Le sue visioni “visionarie” raggiungono in profondità il mio sentire.
In effetti la poesia è bella, è probabile che Catelli in poesia riesca a tenere a freno quell’enfasi che in prosa risulta fastidiosa
Per wakefiled:
“Dirada i tuoi poteri d’abbandono
la tua lama frequente
la sera vacilla nel respiro
cerca l’onore del buio
le tue spalle hanno freddo
nella voce degli specchi
tra le cieche mani della luce.”
Cosa ne pensi?
Non mi oiacciono “la voce degli specchi” e le “cieche mani”, più una cesura ritmica al quarto verso che è una specie di freno a mano testuale.
“Dirada i tuoi poteri d’abbandono
la tua lama frequente
la sera vacilla nel respiro
del buio, cerca l’onore
delle spalle più fredde
negli specchi e nelle mani
voci cieche di luce”
non andrebbe meglio? Chiedo scusa all’autore per questa presuntuosa intrusione e confermo quanto ho detto nel post precedente: Catelli come poeta è bravo.
Sarà…rimango comunque affezionata all’originale, perchè penso debba essere l’autore a determinarne il senso.
Scusami, c’è qual’cosa che mi sfugge: riesco a farti guardare nella mia direzione e tu cosa fai, mi porti da un’altra parte? Tipico comportamento da maschio che vuole assoggettare la povera malcapitata.
La verità è che mi sei simpatico.
A presto.