Insieme
I’ cominciai: “Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ‘nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggieri”
(Dante, Inferno, canto V, vv. 73-75)
Per accedere a un’idea bisogna cominciare a girarle attorno; si comincia scavando nelle parole che la rappresentano, che la dicono nella lingua che tutti conosciamo e che usiamo per parlare con i nostri simili anche, ma non solo, di quest’idea. Come la mettiamo con l’idea di insieme? Che, come certo saprete tutti, in matematica ha poi avuto grande fortuna, almeno a partire dalla fine dell’Ottocento. Lo saprete perché da anni ormai alle scuole medie si insegna una cosa che orribilmente chiamano insiemistica, ma che ufficialmente e in buon italiano si chiama teoria degli insiemi.
Quando fu messa insieme la parola insieme?
Come spesso accade, occorrerà scavare nel latino. Nel latino dell’età postaugustea – la prima testimonianza che se ne ha sta nelle opere del poeta P. Papinio Stazio (circa 45 – 96 d.C.) – si forma la parola insimul, talvolta insemel, col significato di “allo stesso tempo”, “tutto in una volta”. Essa sottintende vicinanza di tempo e di luogo, contiguità di esistenza.
La parola si afferma e rimane, e trapassa, attraverso il latino medievale, in varie forme della lingua volgare, il nascente italiano, fino a comparire nel Duecento, prima di Dante, per la prima volta documentata nel primo dei deliziosi sonetti della Compiuta Donzella. Superfluo aggiungere che molti hanno messo in dubbio l’esistenza stessa o quanto meno l’identità di questa sfortunata donna fiorentina, primo esempio nella nostra letteratura del topos della donna infelice oppressa dai propri familiari, topos che avrà forse nella dolorosa vicenda cinquecentesca di Isabella di Morra il suo più drammatico esito.
Prendetevi il tempo di leggere il sonetto di questa donzella – si discute anche se Compiuta sia il suo nome vero, piuttosto che un fittizio appellativo – per il puro piacere di ascoltare un lamento così accorato e gentile (v. testo in Poeti del Duecento, a c. di Gianfranco Contini, vol. I, t. I, Ricciardi, Milano-Napoli 1995, p. 434.)
A la stagion che ‘l mondo foglia e fiora
acresce gioia a tut[t]i fin’amanti:
vanno insieme a li giardini alora
che gli auscelletti fanno dolzi canti;
la franca gente tutta s’inamora,
e di servir ciascun trag[g]es’inanti,
ed ogni damigella in gioia dimora;
e me, n’abondan mar[r]imenti e pianti.
Ca lo mio padre m’ha messa ‘n er[r]ore,
e tenemi sovente in forte doglia
donar mi vole a mia forza segnore,
ed io di ciò non ho disio né voglia,
e ‘n gran tormento vivo a tutte l’ore;
però non mi ralegra fior né foglia.
Dunque una prima accezione del tutto naturale del termine, che indica – in questo caso – una forte vicinanza. Quando un termine incontra successo nella lingua, questa tende a estenderlo e a trascinarlo ad altri usi e ad altre funzioni. Vi è un certo momento nella storia linguistica d’Italia nel quale l’avverbio, talvolta locuzione prepositiva (`insieme a’, `insieme con’) viene promosso a sostantivo. Si comincia a poter dire “l’insieme di” o “l’insieme dei”. Mentre il primo uso attestato di questo tipo risale al Cinquecento, mi sembra più interessante citare qui un passo della celebre Storia della Letteratura Italiana (1870) di Francesco De Sanctis; si sta parlando del Decamerone, e De Sanctis argomenta in modo assai suggestivo sulla capacità di Boccaccio di adeguare la struttura del suo periodare alla complessità dei fatti raccontati:
“Perché‚ il fatto non è come l’idea, uno e semplice, ma come il corpo, è un multiplo, un insieme di circostanze e di accessori. Questo insieme è il periodo, il quale nella sua evoluzione è ciò che in pittura si chiama un quadro. Aggruppare le circostanze, subordinarle, coordinarle intorno ad un centro, ombreggiare, lumeggiare, è arte somma nel Boccaccio”. (Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, 2 voll., Salani, Firenze 1965; Ia ed. Morano editori in Napoli, 1870-71, vol. I, p. 397.)
Grazie Antonio per aver ricordato la Compiuta Donzella. I suoi pochi sonetti sono una gemma della nostra letteratura del 200. Quanto al suo vero nome credo sia sconosciuto, derivando quello attribuitole dal senso di malinconica separatezza che nasce dai suoi versi. Potenza e validità della nostra koinè – diciamolo almeno una volta dopo le tante tare che la macchiano- se è vero che una donna ( ‘insieme’ a uno sparuto gruppo di siciliani) è tra gli inventori di una lingua.
Quanto agli insiemi non avevo mai fatto caso al forzoso adattamento dell’avverbio al concetto matematico. La teoria che li descrive mi fa sempre vpensare a Kantor, quel grande quanto oscuro matematico che all’università dicevano fosse morto pazzo,
Penso che sull’argomento seguiranno altri articoli, giusto?
PS sto leggendo l’ennesimo trattato sulla teoria delle Stringhe e mi convinco sempre più che tu abbia ragione a diffidarne.
cari saluti
naturalmente grazie @ sparz delle concordanze matematico-letterarie, e proprio in grazia di codeste grazie non trovo alcuna forzatura tra l’un linguaggio e l’altro, è che dipende soltanto dalla ‘forza’ di esse concordanze, quelle di sparz sono appunto illuminanti in questo senso, e in tutti i sensi
E poi, come va a finire? Vissero insieme felici e contenti, oppure ci s’è messo di mezzo il dottor Lacan e l’applicazione della sua teoria degli insiemi all’inconscio?
Occhio, ragazzi, che mi sa che lo Sparz mo’ ci spataffia una delle sue meraviglie sincretiche. ;-)
Eh sì, trattandosi del diabolico Sparz, in controluce dietro la compiuta donzella mi par di intravedere la silhouette di Cantor.
un assemplo di ‘forzatura’ su ‘insieme vuoto’ o su ‘insieme sfocato’, data la mia morta imaginazione, o il mio morto imaginario, è, preso a prestito indebito e perso del suo contesto, codesto testo:
“Simpliciter: – Lei Le appare: Lei, Le appare questa natura, di tanto in tanto, e Le scompare. Le appare come un’apparenza, un apparire e scomparire, ma senza trasparirne null’altro. Lei non è trasparente, Lei non ha trasparenza: non si vede da parte a parte. Lei non è lucido, Lei non ha lucidità: Lei è matto. Il Suo disegno è opaco, non ha colore. Lei non è colorito, Lei ha un colorito pallido: Lei sta impallidendo. Il SUo piano è fallito, la Sua sequenz non segue una logica: Lei non ha ragione, Lei è irragionevole. Lei non ha mercato, Lei non segue una logica di mercato. Leio non ha utile, Lei è inutile. LEi non ha utilità, Lei è in passivo. Lei non più credito, Lei ha speso tutti i Suoi beni. Lei non ha credibilità. Lei è in debito. Lei è insolvente, Lei è insolubile.
Complicatibus: In luogo del luogo comune di dire, e di dirsi, e di dirci; in luogo del luogo comune di dare, e di darsi, e di darci; in luogo del luogo comune di fare, e di farsi, e di farci: un luogo dei punti del piano, o del disegno, che non sia comune a nessun luogo comune del piano o del disegno, o che sia insieme comune e non comune; insieme, ma senza aver più modo, né luogo, né tempo, di dare insieme, di darsi insieme, di darci insieme, né senza; iniseme, ma senza aver più modo, né luogo, né tempo, per fare insieme, per farsi insieme, per farci insieme, né senza; iniseme, senza essere più iniseme, né senza; insieme, senza più esserci né tempo né luogo né modo di esserci insieme, né senza; insieme, senza più aver modo d’essere insieme, né senza. In luogo del luogo comune di dire, o di dare, il modo che ci sia, o non ci sia, che ci possa essere, o non ci possa essere, del luogo dei punti del piano, o del disegno, la possibilità o l’impossibilità; di esserci, o di non esserci, il modo di dire, o di dare, parte o tutto, verso o passo, canto o figura; di esserci, o di non esserci, il modo di dire, o di dare, finito o infinito, definito o indefinito; che ci sia, o meno, soluzione o non soluzione, divisione o prodotto, differenza o somma; che ci possa essere, o non ci possa essere, parola spezzata o intera: c’è questo modo senza modo di dire, c’è questo modo senza modo di dare. In luogo del luogo comune di fare in modo che ci sia modo, e piano, e disegno, c’è questo modo senza modo di fare; senza aver modo di fare in modo di esserci modo; senza esserci modo di fare in modo d’avere modo. In luogo del luogo comune dei punti del piano, o del disegno, un luogo senza piano né disegno, né luogo; un tempo senza piano né disegno, né tempo; un modo senza piano né disegno, né modo. In luogo del luogo comune di dire, dire un luogo non comune che sia insieme comune: in luogo di dire che si è insolubile, dire in vece che si è indissolubile.”
Gulp, ho scritto Kantor, chiedo venia.
@macondo: non è lacan… è matte-blanco: l’inconscio come insieme infinito.
lacan è un’altra cosa, o Altra cosa. das ding.
ignacio matte-blanco è quello della bilogica la conditio sine qua non della tranvisione descrittiva.
:)
@ modale,
Lacan aveva presente la teoria degli insiemi quando “leggeva” il rapporto tra Simbolico, Immaginario e Reale in termini topologici. Del resto, uno spazio topologico è un insieme (qualsivoglia di elementi), e la topologia generale è topologia degli insiemi di punti. Perché il concetto forte è la spazialità. Cmq, diceva Lacan: “La topologia elabora uno spazio che parte dalla definizione della vicinanza, della prossimità .. è una definizione del vicino che parte da un assioma. Vale a dire che tutto ciò che fa parte d’uno spazio topologico, se va messo in una vicinanza, implica che vi è qualcosa d’altro da mettere nella stessa vicinanza” (“Mi-dire”). Cioè Lacan non vede il due senza tre, la triplicità, dunque si è pesantemente intromesso in “quei due che ‘nsieme vanno”. Qui il terzo è Dante, ma Lacan non sarebbe d’accordo. Difatti, dice Lacan (per suo conto, beninteso): “tutto ciò che essi hanno di Reale, è che faccia tre”. Che guastafeste, quel Lacan!
boh… macondo lo studio ora lacan, mi piace la sua distinzione tra a e A, ma quello che tu hai scritto sopra non saprei. l’inconscio si struttura come un linguaggio, so per certo che lo diceva lacan. quindi non so, se lacan abbia mai applicato quello che scrivi tu. può essere tu abbia ragione può essere che abbi aio ragione oppure tutti e due abbiamo torto.
;)
Se studi Lacan, a proposito di quanto sopra, vedi se trovi in qualche tomo italiano degli Scritti “Mi-dire…” (io l’ho in vecchia plaquette), che è un po’ il résumé del suo “discorso” topologico. Poi, se affronti i libri XI (“I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi”) e XX (“Ancora”) trovi molta parte delle sue elaborazioni “topologiche” (compreso il nodo borromeo e l’oggetto a).
PS.1: Matte Blanco è anche quello dell’inconscio asimmetrico.
PS, 2: Scusa, sparz. Ma come finisce con “quei due che ‘nsieme vanno”? Si sposano o si separano? Perché, credo, il 2 non è 1+1.
Anch’io vorrei che Sparz non la smettesse di accompgnarci in questi mondi affascinanti.
Nel 1963 ho avuto la fortuna, o la sfortuna, di far parte di una classe “sperimentale” di un liceo scientifico, in cui veniva insegnata la “Teoria degli insiemi”.
Mi pare di aver appreso a esercitare più una capacità di visualizzazione concettuale che la la capacità di manipolare simboli.
Parlo di me, naturalmente.
In seguito ho letto Lacan, ma stento ancora oggi nel sintetizzare ciò che veramente ha detto.
Con Matte-Blanco la cosa mi fu più facile: lo liquidai come tentativo non opportuno di formalizzare cose già dette da Jung.
Ora, dopo tanti accenni a temi così vasti da incutere timore, Macondo spara la piccola provocazione: 2 non è 1+1.
Archimede, Newton, Leibniz, Weistrass, Cantor, Godel, Robinson: non è che al posto della Compiuta Donzella, Sparz ci debba mostrare, partendo dalla parola “insieme”, l’Incompiuta e Lacerata Sophia?
Al termine della sua vita, Carl Gustav Jung lancia un’idea: che in fondo in fondo – “psicoide”, lo defisce – gli archetipi non siano altro che numeri.
Ma allora – se questa non è proprio una castroneria – anche a lui, alla fine, è capitato di viaggiare in contrade prossime all'”atomismo logico”, costringendoci ancora una volta a guardare meglio, e notare, quindi, dietro le “Ricerche” la vitalità perenne di quel mostro zannuto del “Tractatus”.
grazie a voi dei commenti. Di Lacan e Matte-Blanco so poco, quindi non dico nulla. Per amor di precisione del linguaggio, mi tocca di dire che “spazio topologico”, in matematica è una nozione ben precisa che non si esaurisce in quanto dice macondo (uno spazio topologico è un insieme (qualsivoglia di elementi), e la topologia generale è topologia degli insiemi di punti). Uno spazio topologico è sì un insieme di punti di natura qualsivoglia ma del quale si vogliono studiare quelle proprietà che non cambiano quando tale spazio viene deformato, modificato, contorto, purché in maniera continua: con le definizioni usuali, un’ellisse e una circonferenza, o anche un quadrato, sono topologicamente la stessa cosa, potete infatti pensare di deformare una nell’altra queste tre figure. Invece un’ellisse non è la stessa cosa di una retta, o di un segmento, perché per deformare l’uno nell’altro occorre tagliare ad esempio l’ellisse in un punto e poi “raddrizzare” la curva: tagliare non è concesso, non è un procedimento continuo. Maggiori dettagli tecnici, per chi volesse stanno nell’ottimo sito mathworld qui:
http://mathworld.wolfram.com/Topology.html.
A macondo aggiungo che “quei due che ‘nsieme vanno” staranno insieme abbracciati per tutta l’eternità, ancorché nella “bufera infernal che mai non resta”: una bella concessione che Dante fa loro, unica nell’Inferno.
Attenzione che Weistrass è in realtà Weierstrass e che Godel è Gödel, i nomi sono importanti.
Quando si dice con tono un po’ sorpreso e sentenzioso che 2 non è 1+1, come al solito si fa un’affermazione priva di contesto. In matematica è evidente che 2=1+1, mentre in altri settori disciplinari, dove i significati di 1 e di + sono diversi, le cose possono benissimo cambiare, senza che vi siano né sorpresa né contraddizione.
Una domanda vorrei fare a Sparz: la matematica, come contesto, è quella che viene [anche] definita dal fatto che in essa 2=1+1, oppure esistono settori della matematica in cui 2 ≠ 1+1?
Che Weistrasse, in quel contesto, sia Weierstrasse e Godel Gödel, non ci piove, tanto che si è capito subito. Quello che non capisco è perché spesso gli scienziati a domande, certo nebulose, dei non addetti ai lavori, rispondono ribadendo verità che ANCHE I NON ADDETTI AI LAVORI SANNO,
senza mai spiegare perché, sempre i non addetti ai lavori, non debbano mai accennare o porre quesiti che si riferiscono agli “arcana” delle loro discipline.
Forse perché sono convinti che un non addetto non potrà mai capire? Ma nel caso bisognerebbe dirlo e specificare perché.
Perché occorrerebbero anni di studio per appropriarsi degli strumenti adatti?
Perché sarebbe troppo lunga la spiegazione?
Una cosa ho notato, sempre, nel comportamento di molti che sanno di sapere: quando parlano di ciò che garba loro non basta mai il tempo, quando invece vengono poste loro delle domande non rispondono e se lo fanno è solo per farti sentire uno scemo.
@sparz,
la mia era una piccola provocazione, come ha notato soldato blu, e non di alta matematica, bensì di bassa filosofia. Cioè, come dire che la foresta non è la somma dei suoi alberi. E che il 2 nell'”insieme vanno”, ossia e comunque in un insieme, non si può ridurre al 1+1. Ma il quesito è questo: quei due hanno continuato ad andare insieme anche nella bufera infernale perché allora non c’era il divorzio o perché, appunto, il 2 non è 1+1?
macondo, dici i seminari, no? senti io so del fort-da, non conosco gli scritti “Mi-dire”. bello matte-blanco, vero? la misurabilità dell’emozione, l’antilogica… è quella la chiave per comprendere le cose che scrivo, quelle neurofantascientiche, Al insomma. comunque vedrò di trovarlo.
un abbraccio… ma dove ti trovo?
secondo te, tra parola piena e parola vuota, dove si colloca la letteratura? mi piacerebbe creare una cosa dialogica sul tema. sai un mucchio di cosa.
un abbraccio!
è vero soldato blu… forse è per questo che con i miei amici che legogno jung mi ci trovo bene a parlare. infondo il linguaggio dell’inconscio, il pensiero simmetrico è simile a quello dei miti. soldato blu hai illuminato questa triste giornata… di blu.
ma lo sai che ora mi affascina il tuo nome?
:)
Caro Antonio,
mi sa che nella discussione venga sollevato il problema che ponevamo gli psicologi della Gestalt all’inizio del secolo scorso: Paolo e Francesca insieme formano, per la nostra percezione, un’unità indivisibile, e dunque quello che per il calcolo è fatto da 1+1, per l’intuizione è diverso da 2. Ti pare?
Come sempre, tanto di cappello al tuo scrivere, che altrettanto ci è mancato.
:-)
‘nessuna sorpresa, nessuna contraddizione’:
“Simpliciter: Uno alla volta: partiamo dall’uno alla volta. essendoci l’uno, non può che partirsi dall’uno.
Complicatibus: L’uno, che si parte alla volta di cosa? L’uno, che è il primo numero dei numeri del più, della somma dunque, che si parte, che parte se stesso dunque, che parte ha?
Sim: Che parte ha?
Com: Forse non ha parte, forse è una parte, forse è una parte senza parte né parti.
Sim: Che parte è, se non ha parte?
Com: Ma, se si parte, che parti hanno, e sono, queste parti dell’uno?
Sim: Le parti dell’uno?
Com: Ma, se si parte, che parti sono, e hanno, questi parti dell’uno?
Sim: I parti dell’uno?
Com: E’ uno, tanto per dirne uno, o è uno, poco per dirlo uno?
Sim: Tanto poco? Tanto o poco?
Com: L’uno, determinato nella sua indeterminatezza, che si parte, parte alla volta di cosa.
Sim: Lei è determinato solo nell’indeterminatezza.
Com: L’uno, una volta partito alla volta di cosa, non è più uno, ma più di uno.
Sim: L’uno è più di uno? Lei è partito!
Com: L’uno è più di uno, ma meno dell’uno.
Sim: Più di uno non è più dell’uno? Se più di uno, meno dell’uno non è possibile.
Com. Più o meno, più e meno.
Sim: Se uno è più di uno, può dirsi che sia due?
Sim: L’uno più di uno non è due, non ancora; né due meno di due è uno, non ancora.
Sim: Non ancora?
Com: Potrebbe darsi, potrebbe darsi alla volta del due; ma per far sì che l’uno più di uno sia il due, può darsi, ecco, può darsi il dodici. Il dodici: ricorda?”
@ bimodale,
sì, i séminaires, molti li ho in francese, quelli tradotti da Contri per Einaudi avevo smesso di comprarli (anche per risparmiare). Di “Mi-dire…” non so se è stato tradotto, io l’ho in plaquette senza data e senza prezzo, forse un’edizione ad uso interno universitario, che parrebbe anche apocrifa se non ci si sentisse dentro il Dottore.
Cmq, col Dottore avevo fatto i conti (come potevo, con la mia somma ignoranza) tempo fa (un lungo saggio su rivista, introvabile, periodo pre-digitale, o post-giurassico), e, si parva licet, il Dottore mi era sembrato un illustre esponente dell’idealismo soggettivo, quello che ha in Berkeley un punto nodale, insomma un raffinato esponente dotato di tutti gli strumenti scientifici e conoscitivi moderni. E il suo “rétour à Freud”, beh, a mio avviso è un allontanamento.
Dove si colloca la letteratura tra parola piena e parola vuota? Ah, se lo sapessi… Io sbaglio sempre indirizzo quando la cerco. (Ma sei sicuro che si collochi tra uno di quei due estremi?)
Terra terra, ti posso solo dire che la letteratura si colloca nella storia artistica dell’uomo, la quale a sua volta si colloca nella storia socio-culturale, (ergo) economica. E che in quanto tale, come scriveva (più o meno) Benjamin, la sua bellezza estetica non può nasconderci l’orrore storico su cui si fonda.
vedrò… è vero che il suo ritorno a freud è stato un allontanamento. sembra anche a me.
caro sparzani, il “puro piacere” della compiuta donzella e lo “spazio topologico” sono uno splendiroso insieme, V.
@tina, certo, ottimo riferimento alla Gestalt. Resta quello che ho detto nel mio ultimo commento sull’1+1=2. Appena si esce dal contesto dell’aritmetica degli interi i significati dei simboli, e segnatamente del simbolo “+”, può bellamente cambiare. Perfino all’interno della matematica c’è un contesto in cui 1+1=0 (ad esempio quello della rappresentazione binaria dei numeri interi, usata universalmente nei computers.
Mentre non capisco, come sempre del resto, il lamento del sig. Cossu, ringrazio assai Viola.
Aveva detto il signor Cossu:
“Una cosa ho notato, sempre, nel comportamento di molti che sanno di sapere: quando parlano di ciò che garba loro non basta mai il tempo, quando invece vengono poste loro delle domande non rispondono e se lo fanno è solo per farti sentire uno scemo.”
Aveva detto il professor Sparzani:
“Quando si dice con tono un po’ sorpreso e sentenzioso che 2 non è 1+1, come al solito si fa un’affermazione priva di contesto. In matematica è evidente che 2=1+1, mentre in altri settori disciplinari, dove i significati di 1 e di + sono diversi, le cose possono benissimo cambiare, senza che vi siano né sorpresa né contraddizione.”
Dice il signor Cossu:
“Una domanda vorrei fare a Sparz: la matematica, come contesto, è quella che viene [anche] definita dal fatto che in essa 2=1+1, oppure esistono settori della matematica in cui 2 ≠ 1+1?”
Risponde il professor Sparzani:
“Resta quello che ho detto nel mio ultimo commento sull’1+1=2. Appena si esce dal contesto dell’aritmetica degli interi i significati dei simboli, e segnatamente del simbolo “+”, può bellamente cambiare. Perfino all’interno della matematica c’è un contesto in cui 1+1=0 (ad esempio quello della rappresentazione binaria dei numeri interi, usata universalmente nei computers.
Dice il signor Cossu, perché, finalmente, il professor Sparzani riesca a capirlo:
Sono stato ripreso – malgrado con il mio intervento volessi sottolineare la positività di uno scritto in cui si tentava almeno di “contaminare” le “due culture” – a causa di un refuso e della mancanza di un simbolo grafico sopra una vocale.
Ho poi sottolineato la “piccola provocazione di Macondo sul fatto che 2 possa essere diverso da 1+1, facendo in modo che risultasse “implicito” il richiamo allo “svarione” del professor Sparzani quando parla di contesto della “matematica”, mentre invece si tratta di contesto dell'”aritmetica”.
Come in seguito il professor Sparziani si affretterà a correggere, dando, però, un unico esempio di quando, in matematica, 2 è diverso da 1+1.
Mentre sin dall’inizio mi sarei aspettato, da un affabulatore scaltro e informato, qualcosa di più che allietasse noi, sempre innamorati dalle esibizioni di una cultura che mai dovrebbe dimenticare di poter essere anche gioiosa.
Tutto qui.
Tanto per chiarire, per quello che mi compete:
(e allargando il discorso, o “contaminandolo”, in quanto di scienze matematiche sono un perfetto ignorante, ma visto che qui si era partiti da Dante, da Compiuta Donzella, allora avevo pensato bene di chiosare e di scherzare, ma forse ho sbagliato a farlo con i matematici):
Ci sono tre ordini di linguaggio in questa fccenda che avevo posto del 2 diverso dall’1+1, e cioè:
Il linguaggio simbolico, qui espresso dal linguaggio artitmetico, o più latamente matematico, ovvero un linguaggio “oggettivo”.
Il linguaggio del reale, la vicenda dei personaggi Paolo e Francesca, il 2 irriducibile all’1+1 artimetico, in quanto il “valore aggiunto”, di cui la matematica o la scienza in genere è priva, è il sentimento (da cui anche l'”odioinnamoramento” di cui parla Lacan).
Il linguaggio dell’immaginario (la poesia, Dante che parla di loro, del 2 come insieme irriducibile all’1+1; tra l’altro, questi personaggi e il loro “insieme” sono da Dante privilegiati, perché per loro mostra una pietas mai dimostrata con altri personaggi infrnali).
Tutto qui. Tant dei bruit (il mio) pour une omelette (magari bruciacchiata, la mia). E nessuna Gestalt, please.
@macondo
perché dici: “E nessuna Gestalt, please”?
Perché della Gestalt conosco solo quanto ha scritto, letterariamente, Cortazar: “Le trappole della Gestalt: date tre linee, chiudere immaginativamente il quadrato”
imaginario langue imaginaria speculare mente
di numero innunero l’arco ancora
una volta ora teso oltre se stesso
ora sotteso l’estremo convesso
a concavo estremo appena che l’ora
il medio tocca toccato è in giro
tondo come corda che concorde uno
a uno unisce o che discorde due a uno
pur unisce quel che miro e rimiro
e questo altrettale qual è sì tale
come altro da sé non diverso da sé
da capo ancora una volta l’arco che è
corda tesa all’intesa bene o male
contesa l’unica mente duplice
sazia e affamata fiera complice
[…] Compiuta Donzella e da De Sanctis in poi, sembra facile dire insieme. L’insieme degli italiani, per dire. Pensate sia facile delimitare esattamente questo insieme, […]