Passi nella poesia francese contemporanea. Resoconto di un attraversamento (1)

[Presento qui un intervento apparso su “Poesia 2007-2008. Annuario” a cura di Paolo Febbraro e Giorgio Manacorda. L’ho diviso in tre parti. In questa prima parte, sopratutto documentaria, si guarda alla ricezione in Francia della poesia italiana contemporanea e si documenta un dialogo particolare, di un gruppo di amici poeti e traduttori, con una certa poesia francese. La seconda parte è dedicata ad alcuni sviluppi della poesia francese recente, riconducibile alle esperienze di Ponge, Beckett e Perec. Nell’ultima parte, presento il commento critico di Febbraro al mio saggio e la mia breve replica.]

di Andrea Inglese

1. Premessa metodologica

Diversi sono i modi di attraversare una frontiera linguistica e culturale. Ogni attraversamento presume un suo corredo di motivi ed intenzioni, di urgenze e di chimere. E ci sono attraversamenti ufficiali, in pompa magna, come altri clandestini, fatti nella penombra. Alcuni richiedono grandi mezzi e sforzi immani, rischiando ciò nonostante di mancare il bersaglio; altri si fanno quasi per caso, improvvisando, e malgrado ciò possono risultare indispensabili. In ogni caso, e oggi più che mai, passare una frontiera è qualcosa di altamente problematico, anche quando lo si faccia in quella dimensione privilegiata, incruenta, che è costituita dal dialogo culturale.

Come ben sappiamo, le merci e i capitali passano di continuo ovunque, al di sopra di ogni geografia linguistica e culturale. Ben diversamente accade per le persone, il cui movimento è libero solo a certe condizioni. I ricchi del pianeta si muovono facilmente dappertutto, attraversando il mondo come se fosse un elemento omogeneo, senza che la loro identità venga mai scossa o “contaminata” dagli attraversamenti di frontiera. I fuggitivi, i poveri, gli esuli, tutti coloro che portano con sé soprattutto il bisogno di lavorare, sono sottoposti alle prove più dure e crudeli. Un caso intermedio ed ambiguo è poi quello degli esuli che si spostano da un paese ricco ad un altro alla ricerca di un destino migliore. Ciò riguarda, ad esempio, un’intera generazione di ricercatori italiani provenienti dalle più diverse discipline che, dopo il dottorato o già dopo la laurea, sono costretti a cercare sbocchi professionali presso centri di ricerca o università in Europa, negli Stati Uniti o in Canada. Un effetto secondario di questa emigrazione, che resta minoritaria e privilegiata rispetto a quella povera e “rurale” vissuta da generazioni di italiani fino agli anni Settanta, è la moltiplicazione di reali occasioni di dialogo culturale.

Questo mio intervento è un tentativo di mettere a fuoco una particolare e concreta occasione di dialogo culturale, che si è stabilita da qualche anno a questa parte tra alcuni poeti italiani e francesi. Ho scelto, quindi, di mettere da parte non solo ogni pretesa panoramica ed esaustiva, ma anche ogni tentativo di cancellare quanto di contingente vi può essere in tale dialogo. Tra l’altro, evoco la formula “dialogo culturale”, che già suona alle mie orecchie troppo magniloquente, per liberarmene al più presto. Mi sento piuttosto a mio agio nella figura inizialmente evocata dell’attraversamento, o del passaggio, che implica una certa dimensione accidentale e accidentata dell’azione, oltre che non necessariamente ufficiale. Tutto ciò non nega l’elemento dialogico, ma lo ricolloca in una zona più concreta e aspra, meno garantita istituzionalmente.

D’altra parte, una panoramica ampia e ben documentata sulla poesia francese l’ha offerta sull’Annuario 2005 Fabrizio Bajec. E un attraversamento, per la sua natura interessata, non può mai assumere quell’apertura di sguardo, equanime e neutrale negli intenti, il cui esito è una rassegna. Neppure, però, si deve confondere l’attraversamento con una ignara riduzione del campo visivo: come se si guardasse da uno spiraglio, pensando di avere una visione a 360 gradi. Un attraversamento, per come ne parlerò io, è legato ad una carenza originaria, ed è un movimento che cerca altrove quello che non riesce a trovare a casa propria. Esso si definisce, innanzitutto, in termini di critica della propria cultura, o più precisamente d’insoddisfazione nei confronti delle proprie istituzioni poetiche. Il resoconto che in quest’ottica offrirò sulla poesia francese contemporanea è quindi molto parziale, ma ha un vantaggio: esso ha la pretesa di mettere in luce delle pratiche di scrittura “poetica” pochissimo frequentate dai poeti italiani attuali. Alcuni potranno poi decidere, che quel poco che in Italia si conosce della poesia francese contemporanea è largamente sufficiente. Ma un fatto rimane comunque innegabile, alcuni autori francesi sono già divenuti interlocutori ideali o reali di alcuni poeti italiani più giovani. E questo vuole la logica dell’attraversamento: essa prevede sempre un “rimbalzo”, un possibile ritorno. Questo avviene in ultima analisi nel lavoro di traduzione, ma non solo. Lettura di testi in lingua originale, traduzioni dal francese all’italiano, riflessione sugli scritti teorici, tutti questi momenti agiscono poi sulla nostra consapevolezza di autori, di scrittori in lingua italiana. Per questi motivi evidenti, la presentazione di alcuni poeti francesi avverrà qui nei modi del resoconto di un’esperienza personale, o di piccolo gruppo. E l’augurio è ovviamente quello che tali resoconti si possano moltiplicare, mostrando che da più parti e secondo itinerari anche divergenti, vi siano in atto oggi, da parte di autori italiani, attraversamenti di frontiera in direzione della poesia francese.


2. Dialoghi a carattere “museale”

Degli spunti di riflessione interessanti possono venire da uno degli ultimi importanti episodi del “dialogo culturale” tra Italia e Francia sulla poesia contemporanea. Tra il 2004 e il 2005, la rivista «Po&sie», diretta dal poeta Michel Deguy, fa uscire due numeri successivi, 109 e 110, interamente dedicati alla poesia italiana. In breve i criteri: gli autori presentati sono più di 65, i testi tradotti più di 500, tutti inediti in francese e tutti posteriori al 1975. Ai testi, vanno ad aggiungersi, per alcuni autori viventi, delle risposte ad un questionario, e degli interventi di critici letterari. Un lavoro imponente e senza alcun dubbio apprezzabile. Ovviamente, come accade spesso nelle antologie, vi sono assenze inesplicabili. Tra i presenti, si va da Penna, nato nel 1906, a Paolo Febbraro, nato nel 1965. Ed è certo buona cosa che siano stati inclusi poeti nati negli anni Sessanta. Inoltre, vengono ricordati autori che anche in Italia sono stati a lungo clandestini: Villa, Cacciatore, Patrizia Vicinelli. Ma di difficile comprensione sono le assenze, ad esempio, di poeti come Volponi, Majorino, Buffoni, o Mesa, a fronte delle presenze quantomeno bizzarre di Michele Ranchetti, Francesco Nappo o Massimo Bocchiola. Quanto alla cancellazione, salvo rare eccezioni, di tutto ciò che in Italia è stato in odor d’avanguardia, da Balestrini fino a Spatola e alle varie anime, napoletane e genovesi, del gruppo ’93, c’era almeno da aspettarselo. Il problema è che, come ogni antologia, anche quella di «Po&sie» possiede una propria “tendenza”, ma non la esplicita a sufficienza e spesso diventa arduo coglierne i criteri. Ciò non è certo una novità, per quanto riguarda le antologie italiane apparse in Francia. Sul n. 5 della rivista «Arsenal», nel 2001, uscirono traduzioni di Conte, Bianciardi, Lodoli, Magrelli, Merini, Salvia, Scarpa, Spaziani, Zanzotto. Non sempre sono percepibili dei chiari presupposti critici in questo tipo di scelte, ma queste rassegne “leggere” hanno almeno il vantaggio di non prendere minimamente all’esaustività, non hanno insomma ambizioni “museali”.

Deguy, nel suo brano d’apertura della rivista, evoca l’esigenza di “entrare in dialogo”, da parte francese, con la poesia italiana. E certo, il lavoro fatto da «Po&sie», costituisce una premessa solida, indispensabile, di questo possibile dialogo. Ma nello stesso tempo, inevitabilmente, dimentica l’esistenza di dialoghi già avviati, che da sempre esistono in maniera frastagliata, e precedono questo tipo di grandi rassegne. Leggendo le parole di Deguy e del curatore del volume, Martin Rueff, sembra di trovarsi ogni volta di fronte ad un inizio assoluto (Rueff: «È probabilmente venuto il momento di far sentire, qui ed ora, in Francia, ciò che, dall’Italia, da trent’anni agita, attraversa e sconvolge una poesia di una straordinaria ricchezza», ecc.). E questo non è vero, non è mai così. Un esempio solo: una rivista francese come «Banana Split» (1980-1990), nata a Marsiglia e diretta dai poeti Jean-Jacques Viton e Liliane Giraudon, pubblicava con una certa regolarità, negli anni Ottanta, traduzioni di poeti italiani come Balestrini, Sanguineti, Costa, Niccolai, Spatola, Reta, ma anche Montale, Penna, Luzi, Pasolini, e romanzieri come Gadda e Arbasino. Di questi “attraversamenti” già realizzati, su «Po&sie» non c’è traccia. Probabilmente non era negli interessi del curatore prestare attenzione a questo tipo di esperienza, ma vista la mole di materiale mobilitato, sarebbe stata un’ottima occasione per fare un bilancio sui rapporti di una certa poesia francese con quella italiana.

Per altro Rueff, in un’intervista apparsa su «Le nouveau recueil» (n. 81, dicembre 2006-febbraio 2007) e che tratta dell’antologia di «Po&sie», sembra riconoscere questa esigenza di “reciproco posizionamento”: «E soprattutto, come in Heisenberg, noi eravamo ben consapevoli che la posizione dell’osservatore non lascia intatto il campo d’osservazione […] Bisognerebbe qui, resoconto complesso, vicenda dolorosa, raccontare la storia di questa prossimità franco-italiana che ha consentito spesso delle captazioni, degli effetti d’autorità per non evocare quei veri e propri potentati che hanno segnato, nella buona e nella cattiva sorte, la ricezione della poesia di questo o quel poeta italiano in Francia». Qualcosa del genere sarebbe stato davvero importante, ma sarebbe anche bastato evidenziare da quale problematica della poesia francese ci si affacciava alla poesia italiana, in modo da chiarire i motivi di spinta e di attrazione, rendendo più comprensibili certe scelte. Invece, nonostante le buone intenzioni, lo sguardo di Rueff non si è curato del proprio posizionamento poetico, rivolgendosi esclusivamente al panorama che era intento ad inglobare.
Le conseguenze di questo atteggiamento sono rilevabili nel tentativo di abbozzare delle linee di tendenza della poesia italiana dopo il ’75. Rueff riporta con fedeltà una serie di categorie, che sono del tutto familiari all’addetto ai lavori italiani: poesia dialettale, poesia del corpo, poesia narrativa, le varie opposizioni o combinazioni tra plurilinguismo dantesco e monolinguismo petrarchesco, ecc. Anche in questo caso, il discorso è serio e documentato, ma non abbiamo nessuna occasione di sorpresa, di rimescolamento delle categorie critiche, di messa in discussione delle nostre partizioni. L’esperienza poetica francese non fa attrito. La lezione critica italiana giunge ben assimilata, ma indiscussa. Questo è forse il limite di una postura di stampo prevalentemente accademico, che vede la poesia in un’ottica di continuità con l’universo culturale da cui nasce e in cui è inserita. Nell’attacco del suo scritto introduttivo, intitolato Sangue nuovo, Rueff dice: «È giunto probabilmente il tempo [della grande rassegna di poesia italiana], perché non possiamo negare che la traduzione e l’edizione della letteratura italiana classica conoscano finalmente una vera e propria esplosione da questa parte delle Alpi». Segue elenco delle nuove edizioni francesi di Boccaccio, Ariosto, Aretino, ecc. E Rueff riprende: «A cosa dobbiamo queste imprese? Senza alcun dubbio alla reviviscenza dell’Europa neo-latina e alla convinzione, difesa nel grande classico di Curtius e ripresa oggi da Carlo Ossola, che, se è l’avvenire delle nostre origini, il ceppo italiano è anche la chiave di una grande parte della letteratura francese». Parole senz’altro lusinghiere per un italiano, ma che difficilmente possono riguardare l’attitudine di alcuni di noi, in quanto scriventi versi. In quanto individuo, poi, che si guarda in giro quando cammina per strada, e legge giornali abbastanza spesso, mi chiedo se «la reviviscenza dell’Europa neo-latina» non sia un’entità tangibile solo all’interno del ristretto universo accademico e di un’editoria specializzata. In ciò non ci sarebbe nulla di male, ma è difficile credere che la maggior parte dei poeti, oggi, italiani o europei, si sentano parte di questi profondi sommovimenti culturali. O diciamo, almeno, che alcuni sono poco sensibili ai grandi effluvi della civiltà neo-latina, senza per questo essere avidi dei nauseabondi gas del trash mediatico.

Comincio dunque a posizionarmi, e a disegnare alcuni margini del mio attraversamento. Un poeta come Francis Ponge può offrire un elemento chiarificatore sui difficili rapporti che sussistono tra le grandi architetture culturali e il lavoro di rasoterra del poeta. In un’intervista radiofonica del 1952, a cui parteciparono anche Reverdy e Breton, Ponge dice: «Noi non possiamo che ampliare per quanto ci è possibile il fossato che, separandoci non solo dalle letterature in generale, ma anche dalla società umana, ci tiene prossimi di questo mondo muto di cui noi siamo, qui, un po’ come i rappresentanti (o gli ostaggi)»1.
Ponge non parla né in nome di un misticismo della poesia, intesa come scaturigine misteriosa e astorica, né in nome di una tabula rasa di carattere avanguardistico. Possiamo eventualmente leggervi un sapore nicciano: la poesia non è ma il suggello di un processo culturale, né il compimento fruttuoso di un’eredità letteraria, ma un lavoro di consapevole distruzione degli schermi ideologici, che ogni civiltà erige. Questa distruzione non è, nell’ottica di Ponge, né regressiva né progressiva. Si è rappresentanti del mondo muto, non sacralizzando il silenzio o l’impossibilità dell’opera, e facendo del nulla il proprio idolo. Neppure, però, si corrode o respinge un certo patrimonio culturale e ideologico, per additarne un altro e alternativo. L’importanza e l’originalità di Ponge, nel panorama della poesia francese, nasce proprio dal situarsi altrove rispetto a due linee prevalenti, quella che nasce da Mallarmé e si cristallizza nella scrittura speculativa di un Blanchot, e quella che nasce da Rimbaud e s’innesta variamente nel surrealismo. Per questo motivo, egli costituisce uno snodo fondamentale, non solo per conoscere certi sviluppi della poesia francese verso la fine del XX secolo, ma anche per variare le nostre modalità di ricezione di quella poesia. L’orizzonte poetico italiano del dopoguerra, infatti, è stato sufficientemente ricettivo sia riguardo alla linea Mallarmé-Blanchot, o Mallarmé-Char, sia rispetto a quella Rimbaud-surrealisti.

Tornando all’impostazione “museale” dell’antologia italiana di Rueff, mi sembra che si possano trarre queste conclusioni. La prospettiva accademica, giustamente preoccupata della continuità culturale, delle genealogie ed eredità, dovrebbe risolversi a una concezione davvero plurale della poesia, senza percepire questa condizione come uno scacco. Invece di interrogarsi come fa Deguy su “poesia italiana” o “la poesia italiana”, bisognerebbe semplicemente adottare la formula di “arti poetiche italiane”, includendo una vasta gamma di attività che partono, attraversano, giungono alla poesia. Ciò non implica la dissoluzione del genere, ma la sua articolazione secondo una reale fenomenologia delle forme. Questo non è certo un problema specifico di chi fa antologie italiane per un pubblico francese, è un problema di tutti coloro che si confrontano con una molteplicità di codici inerenti alla lirica moderna e ormai periferici rispetto ad essa. In un buon “museo” ci deve stare Matisse ma anche Duchamp, Guttuso ma anche Pietro Manzoni.

Se invece si decide di fare un’antologia di tendenza, se si vuole difendere, in modo discutibile e legittimo, che una poesia è la poesia, allora bisogna essere estremamente coerenti e chiari con le proprie scelte, e se si lavora tra due orizzonti culturali, è importante chiarire dove ci si posiziona nell’uno e nell’altro, o nell’uno rispetto all’altro. Quello che io definisco “attraversamento”, è qualcosa che assomiglia molto di più a quest’ultima situazione. Con una precisazione importante per quel che mi riguarda: ci sono forme ed esperienze poetiche che trovo degne del massimo interesse, altre che non ne me ne suscitano alcuno. Mi sarebbe difficile, però, argomentare che la poesia di mio interesse corrisponda all’essenza della poesia, o risponda in modo indubitabile alla fisionomia che la poesia dovrebbe avere oggi.

3. Cronaca di qualche passaggio

L’attraversamento di cui parlo, ora, non è solo importante per il piccolo gruppo di poeti italiani che coinvolge, ma per le prospettive critiche e teoriche che apre, e per i nuovi autori francesi che permette di conoscere. Su riviste specializzate come «Testo a fronte» o «Semicerchio», è possibile rintracciare una variegata attività di traduzione che riguarda il panorama francese e più generalmente francofono. Spesso, però, gli autori sono studiosi e ricercatori universitari, e si pongono quindi di fronte al testo originale con un distacco e soprattutto con delle motivazioni che non sono quelle di un poeta. Qui ovviamente non è in discussione la qualità della traduzione, ma la portata più o meno ampia che può avere. Il caso che ci interessa non è quello di un poeta mosso dalla curiosità o dalla sfida per l’esercizio letterario della traduzione, ma l’attrazione per un certo tipo di scrittura, di forma, di processo poetico. Attrazione che, nell’atto di tradurre, trova l’occasione più efficace di rimettere in gioco anche la propria lingua e in direzioni inedite.

Senza dubbio verso le frontiere della poesia francese sono oggi in atto, da parte di giovani poeti italiani, molteplici attraversamenti. Per altro, collane di poesia legate a riviste come «Atelier» o «La clessidra», manifestano un sempre maggiore interesse per la poesia straniera. In questo atteggiamento, io vedo la rinuncia a un sentimento di soddisfatta autosufficienza nei confronti della propria cultura. E mi sembra un dato molto positivo.

Di vera e propria insoddisfazione, come molla di una famelica curiosità, bisogna invece parlare per autori quali Andrea Raos, Michele Zaffarano, Massimo Sannelli, Gherardo Bortolotti, Alessandro Broggi e Marco Giovenale, oltre che per il sottoscritto. Quattro di questi autori (Bortolotti, Broggi, Giovenale, Zaffarano), oggi, curano assieme GAMMM, che è un blog che «dà ospitalità alla ricerca». GAMMM rappresenta senz’altro uno dei progetti di poesia in rete più interessanti, in quanto si dedica a diversi tipi di attraversamento, principalmente in direzione delle arti visive e della poesia statunitense e francese. Questi continui passaggi di frontiera hanno ovviamente degli effetti sulla riflessione teorica del gruppo e soprattutto sulle diverse modalità di scrittura che ognuno dei suoi componenti realizza. E questo vale ovviamente anche per Raos, Sannelli e me. Alcuni di noi sono coinvolti in un lavoro abbastanza costante di traduzione (Raos, Zaffarano, Sannelli, ed io), altri sono più sollecitati da un punto di vista teorico e critico (Bortolotti, Broggi, Giovenale). Tutti quanti, però, ritengono decisivo l’incontro con alcuni autori francesi. E quasi sempre questo incontro è avvenuto, per ognuno, in modi e tempi diversi, e non in virtù di una trasmissione omogenea e simultanea dell’interesse.
Andrebbero menzionati in tale frangente almeno altri due poeti, oltre che narratori e saggisti: Francesco Forlani e Massimo Rizzante. Entrambi sono dei profondi conoscitori della letteratura francese contemporanea, ma più rivolti al versante della saggistica e della narrativa. Forlani ha abitato per molti anni a Parigi, animando una rivista internazionale d’arte e letteratura («Paso Doble»). Oggi dirige «Sud. Rivista Europea», che pubblica spesso autori francesi o francofoni (Michéa, Izzo, Kral, Danielou). Massimo Rizzante, che partecipò al seminario parigino di Kundera sul romanzo, è da anni redattore dell’«Atelier du roman», una rivista unica nel suo genere, che difende un’idea di saggistica d’autore sul romanzo, contro il tecnicismo di tanta critica e teoria universitaria.

Considerando il lavoro di ricezione della poesia francese contemporanea, una palestra importante per alcuni di noi è stata senz’altro «Testo a fronte», che negli anni Novanta ci ha permesso di familiarizzarci non solo con la pratica, ma anche con la teoria della traduzione. Poi è venuta la scoperta di una poesia, di cui in Italia non giungeva la minima eco. Pionieri in questo sono stati Raos e Zaffarano, il primo in quanto espatriato a Parigi per proseguire gli studi di letteratura giapponese, il secondo per aver soggiornato in Francia durante le ricerche per il dottorato. Raos, ad oggi, ha tradotto più di una quindicina di autori, prevalentemente poeti, tra i quali: Stéphane Bouquet, Henri Deluy, Liliane Giraudon, Laurent Grisel, Emmanuel Hocquard, Gherasim Luca, Valère Novarina, Jacques Roubaud, Éric Suchère, Jean-Jacques Viton. Buona parte di queste traduzioni sono apparse sul blog «Nazioneindiana», di cui Raos fa parte ormai da qualche anno. Proprio su «Nazioneindiana», nel marzo del 2004, ho dato io stesso vita alla rubrica dispatrio, dedicandola alla pubblicazione di traduzioni inedite in Italia. (Ad oggi, sono più di un centinaio i “post” apparsi sotto questa rubrica.) Quanto a Zaffarano ha finora tradotto Christophe Tarkos, Jean-Michel Espitallier, Denis Roche, Christophe Marchand-Kiss, Éric Houser, Olivier Cadiot, Jean-Marie Gleize, Jérome Game, Patrick Bouvet, Jean-Henri Michot, Cristophe Hanna e anche nel suo caso molte traduzioni sono apparse o appariranno su GAMMM. Ma accanto a questa attività di “traduzione militante” in rete, vi sono anche interventi in sedi più istituzionali. Nel 2004, Bortolotti e Zaffarano hanno curato, su proposta di Stefano Raimondi, un dossier di poesia francese per la rivista «Materiali di estetica»; nello stesso anno, Raos ha presentato su «Trame» (n. 8/9) un’ampia scelta di testi di Viton e, un anno dopo, in mia compagnia, un altro dossier sulla poesia francese, Le macchine liriche. Sei poeti francesi della contemporaneità, in «Nuovi Argomenti» (n. 32, ottobre-dicembre 2005).

Sul lavoro presentato per «Nuovi Argomenti», vale la pena di soffermarsi un attimo. Esso era corredato da un testo introduttivo, redatto da Raos e me, che presentava gli autori e nello stesso tempo cercava di coglierne l’elemento nuovo e determinante per l’orizzonte poetico italiano. In particolar modo, abbiamo sollevato la questione del rapporto, per noi inusuale, stabilito da quei poeti francesi con la prosa. Questione su cui ritornerò più ampiamente nell’ultima parte del mio intervento. Poco dopo l’uscita del numero, Alfonso Berardinelli, sulle pagine culturali del «Foglio», fece uscire una recensione dove stroncò senza mezzi termini il nostro lavoro. Noi decidemmo, allora, di rispondergli sulle pagine di «Nazioneidiana», e Berardinelli replicò nuovamente su quelle del «Foglio». Insomma, ne venne fuori una polemica letteraria, di quelle che l’attuale stampa culturale ama moltissimo. Ma per fortuna nostra e di Berardinelli, ebbe vita breve. D’altra parte, non avrebbe potuto accadere diversamente: come appassionarsi di una discussione, anche ruvida, ma su dei poeti contemporanei, e per di più francesi?

Qualcosa di utile, quella polemica mi ha comunque lasciato. A Berardinelli, tutti i sei poeti tradotti non piacevano, da Viton, classe 1933, a Suchère, classe 1967. Difficile controbattere ai giudizi di gusto, soprattutto se risoluti come quelli di Berardinelli. Ma c’è un altro punto, questo molto più discutibile, che lui sollevò. Può essere riassunto così: noi eravamo colpevoli, proponendo dei poeti aridi e cerebrali, di fuorviare giovani poeti italiani ancora in formazione. Sul momento l’accusa mi sembrò del tutto assurda. In realtà, Berardinelli misurava tutta la portata critica che certi testi tradotti possono avere, nel momento in cui vengono messi in gioco nei confronti della propria tradizione, della lingua poetica ereditata e dei suoi procedimenti. Ciò nonostante, l’accusa rimane sostanzialmente gratuita: se un apprendista poeta si fa fuorviare dalla cattiva poesia, vuol dire che era destinato a diventare un cattivo poeta. E chili di buona poesia, di per sé, non hanno mai creato dei geni poetici.

La situazione appare vivace anche sul fronte (almeno) della piccola editoria. Bortolotti e Zaffarano, infatti, curano per l’editore milanese Arcipelago la collana Chapbook, che ha pubblicato, oltre ad un paio di autori statunitensi, degli estratti di libri di Cadiot e Espitallier. Su GAMMM sono poi disponibili quattro ulteriori e-book: alter ego di Marchand-Kiss, Tra letto e muro di Houser, Bisogna dire il nome delle cose di Gleize tradotti da Zaffarano e in lingua originale Le grand noir du berry brayait avec le baudet du poitou? di Julien Blaine. Massimo Sannelli è stato invece editore e traduttore di un intero libro di Suchère, Fissa, desola in inverno, apparso nel 2006 nei Quaderni di Cantarena. È interessante notare che Sannelli presenta la sua traduzione come un’“interpretazione”.

A conclusione di questa cronaca, uno sguardo almeno su ciò che avviene nella direzione opposta. La frontiera, infatti, si attraversa sempre in due sensi. Nel 2004, Raos curava per la storica rivista «Action poétique» un piccolo dossier intitolato Azioni poetiche, coinvolgendomi nella stesura del testo introduttivo. I poeti inclusi erano Buffoni, Frasca, Mesa, Cepollaro, Nove, Giovenale, Fusco, Sannelli, Santi e me. Introdurre il lettore francese a queste voci era, nel contempo, un’occasione per riflettere sulla loro importanza, per noi, in Italia. Non si presentava né una corrente poetica omogenea né un gruppo del tutto sparso. Si individuavano dei punti di partenza comuni, considerando poi che da essi ognuno muoveva secondo un proprio vettore specifico.

Anche sul fronte dell’editoria, c’è qualcosa da segnalare. Raos ha avuto il privilegio di essere poeta ospite del cipM (Centre international de poésie Marseille). Questo centro invita periodicamente degli autori non francofoni a presentare dei loro testi, che vengono tradotti nel corso di un atelier collettivo e in seguito pubblicati in volume. È nata così Luna velata (2003), una plaquette che raccoglie in versione francese varie poesie dell’autore. Per quanto mi riguarda, le cose sono andate un po’ diversamente. Una piccola casa editrice, Le Clou dans Le Fer, su suggerimento di un loro autore – il poeta belga Pascal Leclercq – mi ha proposto di pubblicare un libro presso di loro, in edizione bilingue e che non fosse ancora edito in Italia. Nel 2007, è uscito così Colonne d’aveugles, che presenta il testo originale seguito dalla versione francese curata da Leclercq, che oltre ad essere poeta, traduce dall’italiano, avendo vissuto alcuni anni in Italia.

Le Clou Dans Le Fer è, per ora, un’anomalia editoriale in Francia, e lo è in qualche modo anche rispetto all’Italia. D’altra parte rappresenta un progetto editoriale interamente basato sull’idea di attraversamento. La case editrice esiste dal 2001 e possiede attualmente tre collane indipendenti, di poesia (11 titoli), saggistica (4) e di libri d’artista (2). Le collane sono state, di recente, rinnovate graficamente e concettualmente. Quella di poesia ha assunto il titolo di Expériences poétiques ed è diretta dal poeta Michaël Battala. Essa ha come obiettivo che «i suoi campi, editoriali e di diffusione, non si limitino alla Francia o all’Europa francofona, ma contribuiscano a rendere conto della produzione europea attuale». Progetto certo ambizioso, ma realizzato con una certa coerenza: gli altri nuovi titoli sono The John Cage’s experiences di Vincent Tholomé, Personnologue di Sebastian Dicenaire e Blanc. Topoemologie di Raimon Dachs. Tholomé è un poeta belga, che però è emerso in Francia durante gli anni Novanta, quando faceva gruppo con Tarkos e Charles Pennequin. Dicenaire, il più giovane, è francese ma risiede attualmente in Belgio. E Raimon Dachs vive in Spagna: il suo libro, che nasce da una poetica “minimalista”, comporta tre distinte versioni: spagnola, francese, catalana. L’autotraduzione diventa, per lui, un’occasione di giocare sulla reiterazione-variazione dei testi.

In definitiva, l’esperienza di una casa editrice come Le Clou sembra interiorizzare, anche in un’ottica di piccola editoria di poesia, due punti fondamentali: la pluralità delle “arti poetiche”, tanto più plurali in quanto viste su scala europea, e l’importanza degli attraversamenti linguistici, che non sono mai esterni alla prassi poetica né esclusivamente funzionali alla mera diffusione. (Un tale atteggiamento, in realtà, si comincia a riscontrare anche in Italia. La piccola casa editrice romana, Camera Verde, mi ha proposto di pubblicare una plaquette di prose in edizione bilingue italiano e francese – Prati / Pelouses, 2007. È anche vero che il responsabile della collana, Marco Giovenale, è autore disponibilissimo agli attraversamenti, così come l’editore, Giovanni Andrea Semerano, che già accoglie nel suo vasto catalogo dei libri d’artista accompagnati da testi in francese).

Nota
Sui due numeri di «Po&sie» curati da Martin Rueff e dedicati alla poesia italiana bisogna aggiungere un’informazione importante. L’intero progetto è debitore del lavoro ormai ventennale di un passeur quale Philippe Di Meo che, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, si è cimentato con traduzioni delle più ardue: da Agli dei ulteriori di Manganelli (Aux dieux ultérieurs, Editions W, 1986) a Il galateo in bosco di Zanzotto (Le Galaté au bois, Arcane 17 éditeur, 1986). Come spesso accade in questi casi, però, l’apporto finale di Di Meo è stato drasticamente limitato, probabilmente troppo eccentrico rispetto alle pretese “museali” del curatore. A Di Meo dobbiamo comunque la presenza nell’antologia di «Po&sie» di nomi quali Calzavara, Emilio Villa, Scialoja, Cattafi, Blotto, oltre che di un saggio critico (Poésie et «longue durée») davvero utile e acuto, per comprendere come la poesia italiana possa essere vista dall’orizzonte francese. Insomma, Di Meo, a differenza di Rueff, senza pretendere di farsi custode di dialoghi culturali altisonanti, entra in modo più diretto e preciso nella materia. Compie un vero attraversamento.
Sul versante della ricezione francese della poesia italiana, vanno poi segnalate almeno due pubblicazioni, queste di carattere apertamente accademico. La prima si propone come ambizioso bilancio di un secolo intero di “ascolto” francese della poesia italiana. Si tratta del saggio di Jean-Charles Vegliante, docente universitario e traduttore, La réception de la poésie italienne au XX siècle: une illustration du malentendu italo-français, in Traduzione e poesia nell’Europa del Novecento, a cura di Anna Dolfi, Bulzoni Editore, 2004. L’altro volume s’intitola D’Italie en France – Poètes et passeurs, a cura di Marie-José Tramuta, Peter Lang, 2005.

(Continua)

9 COMMENTS

  1. Grazie per l’articolo. Leggo questo pomeriggio.
    Merita una lettura minuziosa.

  2. Bellissimo Andrea e complimenti.
    Direi che ho scoperto la ricchezza della poesia francese grazia allapoesia italiana. Ero ancora prigioniera della tradizione dell’università che dà poco spazio alla poesia odierna. Ero “ignorante” della poesia odierna.
    Ho avuto la fortuna di incontrare Andrea Raos che in realtà non paralva della sua opera, ho saputo più tardi che aveva scritto versi limpidi, fragili, violenti in una forma perfetta. Luna velata è un libro che mi ha colpita per lo stile, la disperazione, la solitudine. Non ho mai letto nella sua versione italiana. Andrea Raos è il primo da consigliarmi la lettura di Danièle Collobert e la mai vista della scrittura ha cambiato.
    Ho conservato in Azioni poetiche con copertina verde et bianca, dietro la ricetta del pistou, dentro la scoperta delle voci nuove per me.
    Leggevo in francese la forma triste, bella, umana di Franco Buffoni: l’immagine dei cappelli e del lago ha sempre per una risonanza del dolore e della morte, Fusco per la follia della parola, la trasgressione nel
    sacro.
    Faceva ricerca su Giovenale Ceppollaro per meglio conoscere. Era come viaggiare in un cielo diverso, con pianete diverse ( di fuoco, acqua blu, gialla).

    Per Eric Suchère è un poeta che scrive poesia con foto e manda a corrispondenti. poesia del paesaggio, con ritmo, viaggio, sguardo.
    E’ una poesia che viaggia.

    Colonne d’aveugles è anche una vista nuova della poesia e la traduzione mi aiuta nella lettura, l’elemento biografico, la sperienza intima propia
    è tentazione di scrivere sul mistero del X. E’ un impressione di notte che mi è rimasta, una notte dove si impara da nascere con la scrittura.

    Métromorphoses il libro di Francesco Forlani è una meraviglia nello stile, l’invenzione, la manera di vivere la vita spostato, nella margine. Mi è arrivato di leggere ( il cuore in pena) è qualcosa di allegro è entrato nel pensiero, per la vivacità, la lotta, l’ironia, il desiderio di liberarsi della mente prigioniera, di ridere della disgrazia con grazia.
    Perché nel gioco delle carte, faccio parte “des calamiteux”, ceux qui se font toujours mal ou échouent. Faccio accenno a una storia della raccolta che evoca un gioco dei ragazzi napoletani.

    Mi piace sapere che il vincolo tra la poesia francese e italiana è ancora vivo.

    Grazie per il piacere che ho avuto nella lettura.

  3. Pardon , Andrea, pour les fautes. Je me rends compte qu’il y en a beaucoup…

  4. véronique tu sei la nostra lettrice d’oltralpe più affezionata, hai piena licenza linguistica!

  5. Grazie ad Andrea per la paziente attentissima analisi e per l’onore al merito concesso infine all’onesto, capace e entusiasta Ph Di Meo rispetto al commerciante Rueff.

  6. Avrei voluto leggere commenti più numerosi in un post che ritraccia una bella sperienza. Il lavoro di Andrea Raos, per esempio, nella traduzione della poesia francese odierna è straordinario.
    La camera verde è anche un luogo di incontri, di dialogo. Spero avere un giorno la fortuna di conoscere di vivo il luogo.
    La rivista SUD è un “bijou” : uno spazio di creatività, di riflessione, di arte.
    A Parigi si svolge “le marché de la poésie” è anche un luogo di incontri tra paesi.
    Si puo dire che il lavora di sperimentazione di poesia si crea in piccola casa editrice: non ha visibilità marketing, è un altra visibilità: richiede tempo, ricerca, passione.

  7. mi scuso se posto qui la traduzione ( un mio divertissement) ad un sonetto di Roubaud, come già ha fatto un’altra lettrice, ma l’articolo era archiviato e mi è rimasto il desiderio di un confronto, perchè, nonostante lo faccia per diletto e per passione, ci terrei ad un confronto con gli altri/e, e non per esibizionismo, per imparare, piuttosto, perchè era quello che volevo fare ‘ da giovane ‘ e oggi ci tento con un gran peso d’anni sulla schiena, ci tento con il francese, che ho sempre amato, con lo spagnolo che è un amore di data recente, non con l’inglese, che è la lingua che conosco meno e, poi, non ho che dizionarietti molto
    limitati.

    il tempo fugge il tempo , il tempo è come larva
    il tempo è l’incoscio si spande dalla terra
    il tempo è sguardo il tempo è trasparenza
    dei morti della passione delle false prove
    durata d’uomo solo durata di donna sola
    luci della luce dell’assenza
    l’unione non è che minima schiuma
    rapide* poi le onde si dividono
    il tempo è rosso fuoco il tempo è dell’ombra
    il tempo è questa scrittura che si accende
    sulle pagine sulle lingue del caso
    il tempo il tempo è formica il tempo è numero
    accosta i riflessi li mescola li sposta
    cancella l’uomo e la donna, l’infanzia

    *ho preferito, arbitrariamente, attribuire alle onde l’aggettivo che si riferiva alla schiuma, per gusto personale

    un caro saluto
    Blumy

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.