Ho dovuto prenderla
di Anna Tellini
Ho dovuto prenderla, con quel boccio volenteroso dopo 54 giorni: senz’acqua. Questa volta ero persino più forte del terremoto e potevo salvarla, lei piantina sempre un po’ stenta, che presto avevo imparato più che altro a tollerare, visto che ormai c’era.
“Recupero beni”, si chiama, quando, un po’ umiliata, ti metti in fila aspettando che i pompieri, come si chiamavano una volta, ti accompagnino nelle tue quattro mura trafitte, e speri che ti lascino un po’ di più, un po’ di più dell’altra volta, a strappare ai calcinacci qualche pezzo della tua vita precedente. Attraversi qualche strada che ricordi tua e di cui non sospettavi la capacità di agonizzare come corpo vivente.
Sì, tale è tutto quel che ti circonda, nella surrealtà dello scempio, dell’offesa. Tutto è un corpo ansante, e lo sono le pietre e gli edifici che non riescono più a consistere, perché una specie di lebbra li ha attaccati – lo chiamano sciame, e come questo può produrre la morte. Ma una morte dilatata, strisciante, è come quando spii nel canceroso i segni progressivi dello sfaldamento, e sai che non ci puoi fare niente.
Sì, dev’essere per questo che l’hanno isolato, non dico il palazzo, no, e neanche il quartiere, ma il centro stesso di quella che fu città, per sottrarti allo sguardo questa tanatomorfosi distillata ed esperta che si insinua con la pioggia e coi sussulti di ogni scossa, e con la dimenticanza e l’incoerenza e l’insipienza del fare. E così sei in fila, e ti chiedi cosa dovrai prendere e cerchi una razionalità agghiacciante che ti suggerisca una priorità da rispettare tra quel mobile che ti è stato trasmesso e il libro che non potrai ritrovare e il vestito fighetto con cui contavi di giocarti le tue ultime cartucce e quell’oggetto sopravvissuto a viaggi aeroplaneschi per poi finire in queste fauci.
E non glielo puoi spiegare, ai pompieri, figuriamoci ai soldati che presidiano come neanche un golpe, che tu sei tutto questo, la tua vita è questo, e non c’entra col recupero beni, non sei un esattore di te stesso e non ti pensi nemmeno in debito con qualcuno, figuriamoci con la vita, e che così invece, per poterla rispettare, la scaletta di priorità, devi entrare nella tua casa con movenze ladresche e stomaco peloso e occhio ottuso che mira solo al sodo ed elimina dal suo campo tutto quello che non serve, che non serve, ma che è, ma che c’è, oddio ieri non c’era, ieri il pavimento qui non era spaccato e le mattonelle non pensavano di scoppiare, e continui a muoverti con gesti innaturali e anche un po’ cautelosi perché tutto allude alla decomposizione guarda lì è affiorato un affresco e il respiro ti avvolge di muri stuprati che non sanno ancora implodere e senti che è meglio non sperare niente per non avere poi altre ferite però forse sarebbe bello pensarlo che ce la può fare, che tu ce la puoi fare, e poi vedi quel boccio così incongruo e anche lui così stupito che non puoi non prenderlo con un sorriso beota e furbo.
Gliel’hai fatta, sì, non era questo che intendevano per “recupero beni”.
[…] di Anna Tellini Fonte: Nazione Indiana (link all’articolo) […]
chapeau.
dritto al cuore
un abbraccio ad Anna
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