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Sudd al Sud

di Carmen Pellegrino

Parlano i politici dei mali “storici” del sud. Parlano ai giovani di colpe antiche che hanno fatto sprofondare il sud in un tempo immobile, e per le quali possono avere compensazioni solo immaginarie. Creano concatenazioni di pensieri, ora sinceri, ora menzogneri.  Ultimo viene Franceschini: “Arrivare al Sud è difficile.  Andarsene è molto, troppo facile”. Parlano tutti in preda a un vorticare di fantasmi e nomi sussunti sotto quella che è ormai una categoria di pensiero: la questione meridionale. Golosamente dissotterrano ferite inscritte in solchi profondi, ineluttabilità, speranze negate, ansie di riscatto e di ribellione sostenibile (di rivoluzione, invece, non parlano mai).
Ripropongono, come per effetto di una surrettizia coazione a ripetere, il lungo periodo di una questione  meridionale che ha fissato per il sud i tratti di una irrimediabile separatezza, una mappa mentale costruita per lacerazioni continue e ustioni sentimentali. Anche i vescovi ne parlano: “un clamoroso silenzio avvolge la questione meridionale”.
Tutti ricapitolano in qualche centimetro quadrato d’aria l’ intera vicenda di una irrisolta questione, che è parola muta scelta dalla storia; usano codici frettolosi per significare una realtà complessa, fatta dei colori dell’ identità, di paradossi e sentimenti con una loro forma, di emozioni lente, di incompiutezze e trafitture.
Questione meridionale: un ricordo da dimenticare alla maniera di Georges  Perec (“devi dimenticare come si spera, come si ha iniziativa, intraprendenza, come si riesce, come si persevera”)  mentre lo si esibisce agli altri, a quelli che meridionali non sono. Una umanità minore ingobbita sotto il peso di una faglia storica profonda, che è una ferita, la scheggia di “una storia che non è più nostra” (Pasolini).
Mentre si viene come sopraffatti dalla sensazione di un ritardo definitivo, di fronte al quale si rivela inadeguato qualsiasi tentativo di riscatto, subite ormai tutte le decostruzioni possibili, può aiutare recuperare le intuizioni di Ernesto De Martino, che ebbe l’audacia di contrapporre all’ Italia del boom economico, del progresso a rate e delle illusioni delle sorti mirabili, il riaffiorare di arcaismi, simbolismi, magie che appartenevano agli strati più remoti del sud, incarnati dalle contadine lucane che si percuotevano il petto, dalle tarantolate che si arrampicavano come ragni, da operatori magici specializzati, in quadro mitico di forze occulte, possessioni, fatture, esorcismi. Era quello il lato oscuro del progresso, della trasformazione antropologica del Paese, a cui il sud stava pagando due tributi pesantissimi: l’emigrazione e l’arretratezza.
Proprio in questi giorni sta nascendo al sud un laboratorio politico-culturale, che si vorrebbe come  un nuovo luogo del pensiero e dell’iniziativa, di partecipazione politica e culturale, di riflessione sul Mezzogiorno e sui suoi nodi irrisolti. Nel logo della fondazione, che si chiama Sudd e avrà la sua sede operativa a Napoli, in un appartamento al terzo piano tra via Porta di Massa e Corso Umberto, c’è una spaccatura grafica che simboleggia una faglia, una ferita fortemente evocativa.
Diciamolo subito: il presidente della fondazione è Bassolino e, a fronte della messe di attacchi, ora velati e succinti ora frontali, di chi vede in Sudd un’operazione strategica del governatore, evocando in termini apologetici o sospettosi il nesso tra cultura e politica, tra  rapporti reali e la loro metafora; a margine della percezione di una realtà frammentaria, in continua fuga verso un futuro sempre meno prevedibile per il quale si invoca il “nuovo” che però non si sa quale volto potrebbe assumere, una garanzia c’è, ed ha il nome e il volto di Diego Belliazzi, chiamato a dirigere Sudd.
Diego Belliazzi ha 40 anni e lunga storia politica alle spalle, vissuta con atteggiamento e convinzione militante; non si è arricchito con la politica, non ha rendite di posizione: vive del suo stipendio di insegnante, scorrazza per la città su una Volkswagen polo del ’94 comprata usata nel 2001 e fa un viaggio all’anno, su voli rigorosamente low cost! E’ umile Diego, si rimbocca le mani nei lavori di ristrutturazione della sede di Sudd, seguendo da vicino operai, elettricisti, tecnici e arrossendo di rabbia quando qualcuno dall’ironia grossolana gli suggerisce di assoldare per i lavori manuali qualche immigrato che lavori in nero a basso costo.
Decisamente refrattario alle dimensioni precostituite e alle ortodossie preventive, legge molto e cita Rosa Luxemburg ed Emma Goldman, guardando con entusiasmo alla liberazione di energie provenienti da fonti le più diverse. Per lui Sudd dovrebbe essere un’officina sperimentale, il luogo degli attraversamenti culturali che violino finalmente le frontiere che cingono di palizzate odiose Napoli e la Campania. Ogni attraversamento però, se non è invenzione lessicale, presume coraggio e aperture alle confluenze, procedendo per differenzazioni anche sconvenienti, non per determinismi.
Mettendoci la sua faccia è riuscito a conquistarsi le simpatie anche di una parte dei militanti della sinistra più radicale, non intruppati in alcun partito. Se avrà la possibilità di lavorare al meglio, riuscirà a fare di Sudd un laboratorio in cui narrazioni, alternative culturali, rifrazioni del pensiero avranno lo spazio per dispiegarsi, evitando le fumate intermittenti che hanno trasformato altre esperienze del genere in accumuli ossificati di diffidenze, sospetti e tensioni. Con lui una nuova generazione di militanti civili, del lavoro, della cultura e dell’arte, per cercare di costruire una nuova “narrazione” del sud, una lettura più autentica e articolata di quello che è oggi Napoli, e la Campania, e il Mezzogiorno.
“E’ stata l’assenza del Mezzogiorno dalla vera lotta politica – scriveva Guido Dorso ne la Rivoluzione meridionale – che ha reso possibile prima l’insuccesso del socialismo e poi il successo del fascismo, tra il 1919 ed il 1922…
I migliori figli del Mezzogiorno, che vivono ogni giorno in se stessi questa terribile tragedia politica che è la questione meridionale, aspettano con ansia i segni augurali per iniziare questa colossale impresa di civiltà, e temono nel più riposto angolo del cuore che i loro ragionamenti non siano frutto di fantasia”.

14 COMMENTS

  1. Una bella iniziativa, un cenacolo culturale speriamo non stereotipato. In bocca al lupo a Diego Belliazzi.

  2. Anche io ho una Volkswagen polo anni ’90 comprata usatissima, e non la cambierò mai! Se Diego è una persona umile e capace come si evince da questo bell’articolo, siamo con lui. Avanti e coraggio!

  3. una nuova narrazione del sud? dovremmo prima cambiare un po’ di cose…ma comunque, in bocca al lupo a Belliazzi: non lo conosco di persona, ma da quello che ho letto qui mi è simpatico a priori!

  4. Il bell’articolo di Carmen Pellegrino fa intravedere una realtà in costruzione potenzialmente molto interessante. Anche il fatto di affidare la direzione di questa fondazione, che a quanto ho capito intende proporsi come un laboratorio culturale, a una persona come Diego Belliazzi – che a quanto leggo si allontana dai canoni del politico medio – fa ben sperare. Anche a quelli che bassoliniani non sono.

  5. E’ questo il tempo in cui dare addosso a Bassolino è divenuto uno sport nazionale. Alla recriminazione (quasi sempre strumentale) non segue mai alcuna proposta convincente, forse perché una alternativa autorevole al governo della Regione Campania non c’è. La Provincia è rovinosamente precipitata a destra (“Ave, Cesaro, morituri te salutant!”), segno che le derive autoritarie destrorse sono sempre dietro l’angolo. Quali sono i gravi torti di cui Bassolino si è macchiato? chi con onestà intellettuale, mi chiedo, avrebbe potuto fare meglio in una regione martoriata, vessata da decenni e decenni di malaffare, clientele, corruzione, senza dimenticare delle infiltrazioni cammorristiche che con fare ameboico assediano e tormentano quotidianamente la vita di noi tutti? in bocca al lupo a Sudd, a Diego e a quanti credono in questo progetto
    Ilario Massarelli

  6. Complimenti all’autrice dell’articolo, scritto con un certo gusto letterario e pieno di suggestioni. Mi è piaciuto molto

  7. > Ultimo viene Franceschini: “Arrivare al Sud è difficile. Andarsene è molto, troppo facile”.

    Non è affatto molto, troppo facile. Spesso non è una scelta. E anche quando non è una scelta, anche quando ce ne andiamo perché si deve, abbiamo bisogno di convincerci che quella fosse l’unica cosa possibile da fare. Forse non lo era. Forse potevamo continuare a fare i sognatori, e restare. Ma ce ne fosse almeno uno, di quelli che guardano e parlano dall’esterno, disposti a lasciare tutto per venire qui.
    In bocca al lupo a Diego Belliazzi, che ho avuto il privilegio di conoscere. Una bella persona. Una persona pulita.

  8. … Diego Belliazzi ha una storia politica a sinistra coerente ed un futuro alla guida della nuova Fondazione per il Mezzogiorno che non deluderà le attese!

  9. Ma non diciamo corbellerie. Belliazzi non è un pollo, è una persona perbene, faccia e mani pulite.

  10. Lo sport preferito dei campani, come dice acutamente Ilario Massarelli, è dare addosso a Bassolino, senza partorire mai un’alternativa convincente. Qusto è puro disfattismo. Avanzate proposte, piuttosto…invece di sparare sempre e solo sugli gli altri…

  11. Caro Michele, ma hai compreso che stai intervenendo in un luogo di discussione serio, dove elementi di sterile populismo dovrebbero essere evitati?

  12. concordo: qui si sta dibattendo di canoni culturali, di strumenti per realizzarli, non di opzioni populistiche e demagogiche

  13. si finisce sempre così in Campania: a darci addosso l’uno con l’altro (proprio noi di sinistra più degli altri), a criticarci anche quando ci sarebbe solo da unirsi e fare fronte comune. Le iniziative culturali dal mio punto di vista sono sempre ben accette, così si smuovono le acque: muovondone le gocce! L’arretratezza del Sud è prima di tutto arretratezza e limitazione culturale. Forza Diego, vai avanti come un treno

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.