Vampiri di mezza età

di Franz Krauspenhaar

pinky max
pinky max

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[Questa sera alle 20.45, giovedì 12 novembre, Franz Krauspenhaar presenterà il suo nuovo volume Franzwolf al Circolo Sud, via Corsico 5, Milano; l’annuncio dell’evento dice tra l’altro letteralmente così: “Sono versi lucenti e durissimi come un diamante, e vale la pena di venire a sentirlo, anche perché Franz è pazzo e oltre a presentarci il suo libro ci intratterrà con monologhi, canzoni, deliri e chi lo sa…” a.s.]

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Usciti dalle auto, spalle depresse, malinconici
come sonde lunari, navighiamo per rotte di portineria.
Entrando pensiamo già al non da farsi.
E’ stata una giornata dura, di geli, di lampade spente.
Abbiamo bisogno di nuotare in una birra, in un biscotto,
in un rumore che sia caldo, di lana, rumore di tappeto.

Morsi contorti, lame e lapidi nella testa,
ancora, mentre sussultiamo felpati in ascensore.
Ci può aspettare una bionda stanca morta
o una bruna che ci pizzica il sedere.
Ma forse non ci aspetta nessuno, e siamo soli.

Accendiamo subito la tivù e, metti il caso,
c’è il solito sfracello, la solita tensione, il solito privè
ingorgato di politica. L’atmosfera mediologica
si fa pesante, non c’è quasi nulla di più antiestetico
di un telegiornale nel tardo pomeriggio.

Si rientra a casa come da una battaglia terminale,
le nostre Termopili, “insomma spartano, torni morto
dal lavoro”. E buttiamo le chiavi dell’auto in un cassetto
per non perderle, per tornare sull’argomento domani.

Invece poi decidiamo di uscire, tanto non c’è nessuno.
Non ci sono gli amici, quelli si sono diradati, proprio
come i nostri capelli, senza pietà, giorno dopo giorno
a quest’ora poi sono troppo stanchi o comunque
con la moglie e i figli, a sgattaiolare in un minuscolo abisso.

Fuori c’è già luna piena, contro una vetrina gastronomia
di lusso, – posti che non frequentiamo soprattutto
per partito preso, e anche per dare uno schiaffo alla ricchezza-
ci vediamo come Bela Lugosi, sul punto di azzannare colli
teneri di signore ultimamente non così morbide.

Non è stata una bella visione, ma neanche una prima.
Da un po’ di tempo essere vampiri ci sembra normale,
fisiologico, un regolare approdo della maturità.
Se nella giovinezza siamo stati troppo assenti a noi stessi,
anche se non facevamo che pensare a noi con la dura
impertinenza dell’egocentrismo più naif, ora è venuto
il momento di guardarci nelle palle indurite degli occhi.
Occhi che hanno sempre una voglia quasi perversa
di guardare muoversi il mondo per tutti i suoi versi.

Ci guardiamo e ci vediamo ancora una volta cambiati,
vampiri ormai certi, definitivi, dunque senza speranza.
Una stagione all’inferno? Ma no, basta tenersi in forma
fare lo jogging, magari addirittura il footing, fumare niet
bere con moderazione, saltare i pasti fuori dalla padella nera.
E invece facciamo le stesse cose che facevamo prima
quando eravamo aspiranti vampiri, e vedevamo
certi brutti stronzi della nostra età che ridevano
mostrando i denti aguzzi e il sangue della loro fame
gli colava dagli angoli delle labbra strette.
Ci facevano schifo, pensavamo che bisognava rigare dritto
anche se verso il nulla. Allora anche il nulla
era un bell’ideale, uno stendardo da avvolgersi al corpo
a mo’ di accappatoio, dopo la doccia, nelle sere d’estate
verso il tramonto, che da ruffiano accettava e negava.

Così proseguiamo senza meta, verso il centro, a poche luci
disseminate, cuscini d’assenza, e il freddo ci cova
come la gatta sul tetto che scottava, una volta.
Cominciamo a sentire i morsi di una fame cattiva e spudorata.
Scegliere un ristorante dove mangiare solo è una ferita di
solitudine.
Se sei in viaggio per lavoro hai l’alibi del fare, ma adesso
che ti porti a spasso il niente e il nessuno sono dolori,
scegliere è più che altro spegnersi, e arrendersi.

Alla fine saltiamo a piè pari i ristoranti etnici – troppi puzzoni
sotto al naso, troppa bagarre per un pescetto crudo
che sappia di buco nero di Nagasaki, e perché no di Hiroshima.
Le trattorie toscane? il ristorante romano?
la pucchiacchieria napoletana? e l’orecchietteria pugliese?
Ci sarebbe un mexicantexican da favola ma poi….
E i Mac altri american lager: quelli soltanto per l’ultimo saluto.
Torniamo indietro. Nemmeno la solita pizza, anche quella ci sta
stretta sul gozzo. I vampiri di mezza età hanno perso
appetito lungo la strada, nemmeno le bistecche al sangue
ci distolgono dall’anoressia.
Di nuovo a casa prepariamo una minestra Knorr,
di quelle che la mamma ci faceva quand’eravamo piccoli
e forti e ignari. Sapori disidratati nello spazio.
Nella scadenza del tempo. La sera in bocca sanguina il ricordo.

[Da: Franz Krauspenhaar, Franzwolf (un’autobiografia in versi), Edizioni Torino Poesia, pag. 100, euro 10,00, www.torinopoesia.org.]

25 COMMENTS

  1. La sera morsica il ricordo.
    Franz ha la follia che amo,
    la scrittura come porto,
    vera città, in un Milano donna
    della notte,
    si sente alcol,
    musica interna,
    segnata dalla luna pazza.

    In bocca la lupo, Franz!

  2. ciao, Franz, bouche au loup !

    versi da “satura” oraziana, gravidi di vita, quella pienezza che non teme il godere il soffrire – ciao, e.

  3. Ciao Franz. Non sapevo mica che avevi scritto un libro di versi. Avevo letto qualcosa qua e là, ma pensavo a un fatto episodico. Dunque, ti faccio il mio ‘in bocca al lupo’! E salutami Anna Lamberti (di cui ho perso la mail,diglielo, grazie)! e buon vino novello!

  4. L’ennesimo pseudo-maledetto che si maledice da solo. Parla solo di se e ne parla male con un linguaggio rozzo, volgare per essere volgare, da buon maledetto. Nessuna intensità, nessuna emozione, bruttissimo.

  5. In bocca al lupo, Franzi…
    Il brano proposto, comunque, ha il sapore di un racconto poetico molto ampio e bello. Senza essere scrito in quel noioso “poetichese” di cui accennava Franco Arminio.
    Go On!!! In bocca a te stesso medesimo: Wolf. E un bacio all’amica Tigrilla (Anna Lamberti-Bocconi)

    Nina

  6. più rileggo e più sento il sapore metallico del sangue
    nella bocca come se;
    i denti sono orecchie
    e nei lampi rossastri dietro le palpebre sotto il cotto
    sole delle lampare mentali in cerca di non-pensieri
    i denti sono ora occhi.
    e;
    niente è nessuno.
    così i denti sono.
    sono insetti ematici.
    sotto ambre emiche.

  7. volevo ringraziare in special modo colui o coleu che si firma diskussi, che volendo fare una critica negativa ha detto una verità, credo, a mio favore: perchè è il vampiro che deve vincere, a mio avviso. la poesia, se c’è, è un mezzo per farlo.

  8. “Rinfresca l’aria, avanza l’ora. Tu giaci morta, io non ancora” (da “Ballata del vampiro” di Anna L.B.). Povero vampiro, certo che vince sempre!
    Gran serata ieri sera, grazie a tutti. Ricambio il saluto a Manuel Cohen, la mia mail è ordet61@libero.it. E a Nina!!! Ciao.

  9. Grazie a Franz, a Anna e a Francesca (oppure a Francesca, Anna e Franz) per la bella serata che mi ha permesso di rivedere un sacco di amici. E chiedo scusa a Tiziano: sono scappato di corsa (avevo anche l’auto in sospetta sosta vietata) e non l’ho salutato).

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antonio sparzani
antonio sparzani
Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato anche due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia, pubblicato presso Mimesis. Ha curato anche il carteggio tra W. Pauli e Carl Gustav Jung, pubblicato da Moretti & Vitali nel 2016. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.