Relatività del natale

di Antonio Sparzani

Il minuscolo villaggio, quasi disabitato, di Woolsthorpe-by-Colsterworth ha un nome più lungo del villaggio stesso, sta nel Lincolnshire, circa 170 chilometri a nord di Londra, non lontano da Nottingham, sì, quella del famoso malvagio sceriffo.
Non ci sono molte strade a Woolsthorpe-by-Colsterworth, ma una delle più importanti è la Newton Way e la semplice ragione è che lo sconosciuto paesino è in realtà conosciuto per aver dato i natali a Isaac Newton. Mai espressione fu più adatta allo scopo “dare i natali”: Isaac infatti nacque il giorno di Natale, il 25 dicembre del 1642. Ma in quest’ultima frase è contenuto un mondo. Se infatti consultate una moderna enciclopedia non troppo dettagliata, essa vi dirà che Newton nacque il 4 gennaio del 1643, dieci giorni dopo. Come mai? Perché gli uomini, soprattutto quelli civilizzati, faticano molto a mettersi d’accordo sulle convenzioni da usare “universalmente”, e così è dappertutto, avrete notato; al sud chiamano spigola quello che al nord è noto come branzino, e, per fare esempi più “elevati”, i fisici hanno continuato per decenni a usare il sistema di misura centimetro, grammo, secondo quando da tempo era in vigore una convenzione ‒ appunto “internazionale” ‒ per decretare che s’aveva da usare il metro, chilogrammo, secondo, e così via.

Nel 1581 il papa Gregorio XIII, tra i papi più attivi della cristianità, riforme, collegi, fondazioni, monumenti romani e una quantità di cose, era preoccupato delle lamentele che ormai si facevano sentire: la primavera arrivava prima di quanto previsto dal calendario, insomma, come fare? Gregorio non si perse d’animo e ebbe il buon senso di non prendere iniziative personali ma di nominare una apposita commissione di dotti che studiasse il problema. E il problema era semplicemente che la Terra non gira intorno al Sole in 365 giorni, e questo era già ben noto, ma neppure in 365,25 giorni, cioè 365 giorni più un quarto di giorno (6 ore), come aveva decretato Giulio Cesare quando aveva istituito, contro le autorità religiose del tempo, il calendario, da lui detto Giuliano, nel 45 a. C. No, l’anno solare (o anno tropico) vero è di 11 minuti più corto; per essere un po’ più precisi, 11 minuti e 14 secondi più corto, ma chi voglia dare un’occhiata a quale complicazione si incontri non appena si voglia sapere una cosa esattamente ‒ sempre per quel che è possibile intendere con questa parola ‒ può consultare questo.
Dunque il calendario normalmente usato era in ritardo rispetto alla natura, che, come credo di avervi sottolineato molte volte, non si cura menomamente delle teorie degli uomini ma procede imperterrita. Ai tempi di Gregorio, al secolo Ugo Buoncompagni, la natura era già in anticipo di dieci giorni. Così che la commissione, che va detto non commise grossi errori, decretò che, appunto nel 1582, al giorno 4 ottobre sarebbe succeduto non il 5 ma il 15 ottobre. Detto fatto, allora il papa dettava legge anche in tema di calendari, così che con la bolla Inter gravissimas impose il nuovo regime: saltati dunque di netto dieci giorni, spariti, mai esistiti. Così che se voi dite a qualcuno che un certo fatto accadde in Italia il 7 ottobre 1582 ciò è sicuramente falso, anzi forse solo privo di senso: le parole “7 ottobre 1582 in Italia” non designano nulla. Come dire “il mio unicorno giallo a pallini blù” o anche “quel numero razionale che elevato al quadrato fa esattamente 2” o “la modestia e la discrezione del nostro presidente del consiglio”, ecc., tutte frasi appunto non designanti alcunché.

Dunque Newton non nacque a natale? E sì che nacque a natale, perché, se è ben vero che il 1582 arriva sessant’anni prima del 1642, nella protestante Inghilterra la riforma gregoriana del calendario non era minimamente stata accettata (avrete notato che ho pignolescamente aggiunto “in Italia” alla locuzione senza senso. Se siete curiosi dei tempi e dei modi con cui in Europa fu accettato il nuovo calendario leggete qui).
Nel luogo dove ciò accadde, Newton nacque il 25 dicembre 1642; e così non si perde il topos del passaggio del testimone. Quello che vuole che quando nello stesso anno muore un grande personaggio e ne nasce un altro, essi si siano avvicendati in un qualche senso forte sulla scena terrena. Galileo era appunto morto l’otto gennaio 1642. Ma qui allora rientriamo nel problema. Era morto in quella data a Pisa, dove il calendario gregoriano era già adottato da sessant’anni, ma secondo il calendario giuliano era morto il 29 dicembre 1641, dunque non più nell’anno della nascita di Newton. Vero è che comunque nacquero a meno di un anno di distanza ‒ e a questo proposito vi prego di notare fortemente questo fatto cruciale, che le distanze tra giorni, le durate temporali, sono indipendenti dalla scelta del calendario ‒ ma qui non saprei proprio che dire sulla validità del topos ora menzionato e non vedo neppure un grande interesse ad approfondire (altra data notevole: nel 1879 moriva James Clerk Maxwell e nasceva Albert Einstein).

È forse più utile sottolineare quale differenza grande corra tra i due grandi scienziati, a prescindere naturalmente dalle loro caratteristiche personali e dalle fortune che segnarono le loro così diverse vite. Galileo, ancora sostanzialmente platonico, crede a un mondo fatto di cose perfette, circonferenze, non ellissi, di geometrie, triangoli, quadrati ecc. e alla conformità della realtà a un ideale di bellezza matematico-geometrica e di mirabile semplicità. Non scrive formule, Galileo, o comunque poche e semplicissime. Caduta dei gravi e moti sublunari (Qui ad esempio molto di più su Galileo).

La visione di Newton fu indubbiamente universale, da questo punto di vista più affine a quella di Giordano Bruno, unificare la Terra e il cielo, descrivere i moti dei pianeti, e, soprattutto, possedere formule per calcolarli, per predire tempi e distanze. Fu colui che per primo cominciò a ritenere più importante la descrizione della spiegazione. Un salto epocale rispetto al suo predecessore, come anche rispetto a Cartesio. Condensò così il grande matematico René Thom la sua posizione: «Cartesio spiegava tutto e non calcolava nulla, Newton calcolava tutto e non spiegava nulla».
Con Newton, che pure fu una personalità estremamente complessa anche dal punto di vista scientifico ‒ il suo interesse per l’alchimia non venne mai meno e lo ispirò per tutta la vita ‒ si entra davvero nell’era moderna, quella nella quale la parola stessa “capire” assume un po’ alla volta uno spessore diverso; il verbo viene comunque usato, ma capire un fenomeno scientifico comincia a denotare un atteggiamento mentale differente, non più ricondurre anzitutto a cause prime, indagare intimi meccanismi che “rendano ragione” del fenomeno, ma più invece una comprensione formale, possibilmente esprimibile in formule, collocabile in una rete di concetti e di postulati che abbiano soprattutto una forte coerenza interna. Questa fu la vera rivoluzione, newtoniana molto più che copernicana. E contro Newton piuttosto che contro Galileo avrebbe dovuto lanciare i suoi sarcastici strali Robert Musil nel famoso passo dell’Uomo senza qualità in cui rimproverava la chiesa cattolica di non aver messo al rogo Galileo senza tanti complimenti («La Chiesa cattolica ha commesso un grave errore minacciando di morte un tal uomo e costringendolo alla ritrattazione invece di ammazzarlo senza tanti complimenti; perché il suo modo, e quello dei suoi simili, di considerare le cose, ha poi dato origine — in brevissimo tempo, se usiamo le misure della storia — agli orari ferroviari, alle macchine utensili, alla psicologia fisiologica e alla corruzione morale del tempo presente, e ormai non può più porvi rimedio.», Einaudi 1957, pp. 291-92).

1 COMMENT

  1. E, tanto per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, ricordiamo che la Rivoluzione d’ottobre “prese il via la sera del 6 novembre (24 ottobre del calendario giuliano in uso al tempo)”, come spiega Wikipedia (qui), dimenticando peraltro di precisare che il calendario giuliano era in uso non solo “al tempo” ma anche “al luogo”, cioè nell’impero russo. (Ora Wikipedia lo precisa: ho corretto io).

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato anche due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia, pubblicato presso Mimesis. Ha curato anche il carteggio tra W. Pauli e Carl Gustav Jung, pubblicato da Moretti & Vitali nel 2016. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.