Al cor gentil rempaira sempre amore

di Antonio Sparzani

Sarà che ogni tanto, complice l’estate, il caldo, la pigrizia, smetti di aver voglia di occuparti delle mille cose fondamentali che ti circondano, il governo, la manovra, il verde pubblico, i disastri ambientali, l’anno internazionale della foresta, i guai piccoli e grandi tuoi o dei tuoi amici e vuoi riposare la mente su qualche cosa di molto bello e di non immediatamente urgente e vitale per la sopravvivenza tua o dei tuoi simili, e allora ti attacchi a un appiglio intravisto, a uno sguardo diverso dal solito, a una frase inaspettata detta da un’amica cui tieni, guardi fuori dalla finestra, scorri le dita sui dorsi dei libri della libreria in camera da letto, guardi meglio, l’edizione curata da Contini dei poeti del Duecento, mirabile edizione Ricciardi‒Mondadori del 1995 (ripresa dall’originale Ricciardi del 1960) e improvvisamente ti suona nella testa quel titolo letto pochi giorni fa qui su NI che echeggia certo un poeta di quel periodo, estrai il volume, cerchi con tutta la calma del mondo, è estate, e trovi quasi subito, Guido Guinizzelli, Al cor gentil rempaira sempre amore, eccolo lì l’incipit cercato, e insieme l’incipit dello stil novo, portato da Dante a grande altezza, e allora ti viene proprio voglia di riimmergerti per qualche ora in quel mondo così lontano ormai, apparentemente così ingenuo e primitivo, e invece, a guardar meglio, te l’hanno spiegato a scuola vari anni fa, così complesso e articolato, un mondo così dettagliatamente descritto nella Vita nuova, che proprio è un titolo che la dice giusta, la Vita nuova, un mondo e un modo nuovo di sentire, di guardare se stessi e gli altri, una nuova percezione dell’amore. Credo sia un esercizio benefico e pacificante rileggere ogni tanto le pagine di Dante e le canzoni degli autori dello Stil novo. Ricordate i versi del XXIV del Purgatorio, tra i golosi c’è Bonagiunta Orbicciani, poeta dell’epoca di Dante, non stilnovista:

Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
Donne ch’avete intelletto d’amore’.»

E io a lui: «I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro vo significando».

«O frate, issa vegg’ io», diss’elli, «il nodo
che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!

La relazione, assai simmetrica, tra amore e gentil core non è niente di sdolcinato e convenzionale, è invece governata da regole ben precise. Così dunque tratta l’argomento Guinizzelli:

Al cor gentil rempaira sempre amore
come l’ausello in selva a la verdura;
né fe’ amor anti che gentil core,
né gentil core anti ch’amor, natura:
ch’adesso con’ fu ‘l sole,
sì tosto lo splendore fu lucente,
né fu davanti ‘l sole;
e prende amore in gentilezza loco
così propïamente
come calore in clarità di foco.

Foco d’amore in gentil cor s’aprende
come vertute in petra prezïosa,
che da la stella valor no i discende
anti che ‘l sol la faccia gentil cosa;
poi che n’ha tratto fòre
per sua forza lo sol ciò che li è vile,
stella li dà valore:
così lo cor ch’è fatto da natura
asletto, pur, gentile,
donna a guisa di stella lo ‘nnamora.

Amor per tal ragion sta ‘n cor gentile
per qual lo foco in cima del doplero:
splendeli al su’ diletto, clar, sottile;
no li stari’ altra guisa, tant’è fero.
Così prava natura
recontra amor come fa l’aigua il foco
caldo, per la freddura.
Amore in gentil cor prende rivera
per suo consimel loco
com’adamàs del ferro in la minera.

Fere lo sol lo fango tutto ‘l giorno:
vile reman, né ‘l sol perde calore;
dis’omo alter: « Gentil per sclatta torno »;
lui semblo al fango, al sol gentil valore:
ché non dé dar om fé
che gentilezza sia fòr di coraggio
in degnità d’ere’
sed a vertute non ha gentil core,
com’aigua porta raggio
e ‘l ciel riten le stelle e lo splendore.

Splende ‘n la ‘ntelligenzïa del cielo
Deo crïator più che [‘n] nostr’occhi ‘l sole:
ella intende suo fattor oltra ‘l cielo,
e ‘l ciel volgiando, a Lui obedir tole;
e con’ segue, al primero,
del giusto Deo beato compimento,
così dar dovria, al vero,
la bella donna, poi che [‘n] gli occhi splende
del suo gentil, talento
che mai di lei obedir non si disprende.

Donna, Deo mi dirà: « Che presomisti? »,
sïando l’alma mia a lui davanti.
« Lo ciel passasti e ‘nfin a Me venisti
e desti in vano amor Me per semblanti:
ch’a Me conven le laude
e a la reina del regname degno,
per cui cessa onne fraude ».
Dir Li porò: « Tenne d’angel sembianza
che fosse del Tuo regno;
non me fu fallo, s’in lei posi amanza ».

Non starò qui a copiarvi le note esegetiche, non così necessarie per un testo chiaro per lo meno nei suoi rapporti essenziali. Guinizzelli morì quando Dante aveva undici anni e il poeta lo incontra nel XXVI del Purgatorio tra i lussuriosi, ma, lungi dall’avere parole dure per il suo peccato ‒ del resto Dante non è mai feroce con questo tipo di peccatori, valga per tutti l’esempio di Paolo e Francesca, V dell’Inferno, trasportati dalla «bufera infernal, che mai non resta», ma che «paion sì al vento esser leggieri», e comunque sempre abbracciati, insomma, il contrappasso dov’è andato a finire? ‒ vorrebbe correre ad abbracciarlo, se non fosse per le fiamme e comunque conversa con grande amichevolezza con quello che considera maestro e iniziatore della nuova poetica di cui fu egli grandissimo interprete:

Poi che di riguardar pasciuto fui,
tutto m’offersi pronto al suo servigio

[… … …]

Ma se le tue parole or ver giuraro,
dimmi che è cagion per che dimostri
nel dire e nel guardar d’avermi caro».

E io a lui: «Li dolci detti vostri,
che, quanto durerà l’uso moderno,
faranno cari ancora i loro incostri».

«O frate», disse, «questi ch’io ti cerno
col dito», e additò un spirto innanzi,
«fu miglior fabbro del parlar materno.

Versi d’amore e prose di romanzi
soverchiò tutti …

Guinizzelli indica l’ombra di Arnaut Daniel, trovatore provenzale, maestro del trobar clus, punito nello stesso girone, ma tutt’altra poetica, gusto dell’ermetico, della rima difficile, della parola rara.

Vedete come ci si perde piacevolmente tra questi maestri nostri, abbandonatevi al loro abbraccio, abbandonatevi …

9 COMMENTS

  1. Molto bello. Un tempo di lettura lento, coincide il tempo dell’amore lento, codici poetichi, vista del mondo eterno, immobile. L’amore in frontespizio.
    La nostra letteratura vitale, sempre in movimento, non ha una linea regolare, sono fuochi, luci in intermittenza, faglia, terremoto: mette sotto luce non l’eternità, ma il chaos. Non c’è più letteratura appagata.

  2. lettura lenta – mi scuso ho sempre un tempo in anticipo- pensavo già a tempo dell’amore, non tempo di lettura, era già superato.

  3. Un’altra poetica, un altro tono: sarà perché è luglio, ma per restare nell’ambito di cose belle (e questo altro non è che un accumulo di piaceri, un vero e proprio plazer), nell’abbraccio dei nostri maestri, mi è tornato alla mente questo sonetto di Folgore da San Gimignano:

    Di luglio in Siena, su la saliciata,
    con piene le ’nghistare di trebbiani;
    ne le cantine li ghiacci vaiani,
    e man e sera mangiar in brigata

    di quella gelatina ismisurata,
    istarne roste, gioveni fagiani,
    lessi capponi, capretti sovrani
    e, cui piacesse, la manza e l’agliata.

    Ed ivi trar buon tempo e buona vita,
    e non andar di fuor per questo caldo;
    vestir zendadi di bella partita;

    e, quando godi, star pur fermo e saldo,
    e sempre aver la tavola fornita:
    e non voler la moglie per gastaldo.

  4. Bravo, una bellissima lettura in questa fresca sera, qui sul lago, di mezza estate.
    Mi unisco con uno dei 3 sonetti lasciati dalla prima poetessa della letteratura italiana:

    A la stagion che ‘l mondo foglia e flora

    A la stagion che ‘l mondo foglia e fiora
    acresce gioia a tut[t]i fin’ amanti:
    vanno insieme a li giardini alora
    che gli auscelletti fanno dolzi canti;

    la franca gente tutta s’inamora,
    e di servir ciascun trag[g es ‘ inanti,
    ed ogni damigella in gioia dimora;
    e me, n’abondan mar[r]imenti e pianti.

    Ca lo mio padre m’ ha messa ‘n er[r]ore,
    e tenemi sovente in forte doglia:
    donar mi vole a mia forza segnore,

    ed io di ciò non ho disìo né voglia,
    e ‘n gran tormento vivo a tutte l’ore;
    però non mi ralegra fior né foglia.

    (Compiuta Donzella)


  5.  

    Altri canti d’Amor, tenero arciero,
    i dolci vezzi, e i sospirati baci;
    narri gli sdegni e le bramate paci
    quand’unisce due alme un sol pensiero.

    Di Marte io canto, furibondo e fiero,
    i duri incontri, e le battaglie audaci;
    strider le spade, e bombeggiar le faci,
    fo nel mio canto bellicoso e fiero.

    Tu cui tessuta han di cesareo alloro
    la corona immortal Marte e Bellona,
    gradisci il verde ancor novo lavoro,

    che mentre guerre canta e guerre sona,
    oh gran Fernando, l’orgoglioso choro,
    del tuo sommo valor canta e ragiona.

  6. Hai ragione Sparz, era un altro dei tuoi ottimi post. Come vedi li seguo sempre con ammirazione e affetto. (Come del resto con quelli di tutti gli Indiani. Roba di gran qualità)

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato anche due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia, pubblicato presso Mimesis. Ha curato anche il carteggio tra W. Pauli e Carl Gustav Jung, pubblicato da Moretti & Vitali nel 2016. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.