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Le polveri


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di Helena Janeczek

Cosa ci fa una pubblicità in polacco nella metropolitana newyorchese? Non ho pazienza per decifrare il testo che accompagna la foto di un uomo con la faccia da operaio, però scorrendo sopra le teste dei viaggiatori, l’occhio trova un cartello in spagnolo e infine una donna di colore con scritta in inglese. Il fatto che sia vagato fin lassù è prova che sto cercando di distrarmi da quel che accadrà domani: trasporti fermi dalle 12, evacuazioni entro le 17, arrivo dell’uragano Irene previsto per la sera del 27 agosto, quando avrei dovuto essere sull’aereo per Milano. Per contro: volo non ancora annullato, incertezza se l’albergo verrà incluso nelle zone da evacuare. Credo di riconoscere nei volti multietnici i testimonial di qualche “money transfer”, comincio a leggere per protrarre lo svago benefico. La donna di colore aveva un impiego nei pressi delle Torri Gemelle, da anni soffre di ansia e tosse cronica. Le polveri! I due più alti grattacieli finiti nei polmoni di un numero incalcolabile di persone che lavoravano, abitavano, passavano nelle vicinanze. Si è pregati di contattare un numero verde, nel caso ci si riconoscesse nel profilo riportato. Insonnia, depressione e altre manifestazioni da sindrome post traumatica. Ma anche, reiterato di cartello in cartello, il richiamo a quella polvere che ha invaso i corpi dei broker e dei turisti, degli sguatteri e dei rampolli miliardari, causando problemi alla respirazione o allo stomaco come dopo una vita di lavoro in certe fabbriche. All’indomani di un’altra minaccia che si rivelerà innocua, quando null’altro rimanda ancora al decennale dell’11 settembre, scopro una fabbrica a cielo aperto, vasta come il mondo che vi transita, nel corpo fantasma di New York City. Mentre dalla borsa e dalle banche intorno a Ground Zero continua a propagarsi uno spostamento d’aria impercettibile – ovunque, e non sembra un caso.

pubblicato su L’Unità, 13 settembre 2011.

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