Roma, 15 ottobre. La violenza o le pratiche?

di Marco Rovelli

Eravamo tanti. La narrazione comincia da qui. Di questo dobbiamo far memoria. Eravamo tanti, un fiume in piena . E dobbiamo andare oltre, e prendere lezione, e costruire pratiche di movimento che adesso non ci sono.
Non è questione di violenza e non violenza, non è questa la questione. (Che poi, nulla è più violento del “sistema”, oggi, che ci sta portando via presente e futuro, nostro e del pianeta: ogni altra violenza, oggi, è in scala inferiore rispetto a questa). La violenza accade, può accadere, la Storia ce lo insegna che a volta deve accadere. A certe condizioni: se è razionale rispetto al scopo, dunque sensata e può produrre effetti reali in un contesto di strategia; se non vi sono altri mezzi possibili (e questo, per dire, esclude le autolegittimazioni di quella parte di movimento che rivendica gli scontri paragonando le pratiche della piazza romana a quelle di piazza Tahrir). Non siamo in presenza di queste condizioni. Ben miope è la mistica degli scontri di piazza. Che non si inseriscono in alcuna strategia politica, che non producono alcun effetto positivo, che contribuiscono a distruggere un movimento e non a costruirlo. In che cosa oggi siamo più vicini alla demolizione del sistema? In nulla.
E ancora – rispetto alla “narrazione” ufficiale dei media – non si parli di black bloc, con la retorica buoni indignati/cattivi venuti da fuori. E’ ovvio che i “caschi neri” sono parte del movimento, vengono da dentro: molti di quelli che ho visto a piazza S. Giovanni erano giovanissimi – loro erano gran parte delle falangi, e in questo – da un punto di vista sociologico, di composizione sociale – intravedo un’analogia con i riots londinesi (del resto non è un caso che Gran Bretagna e Italia condividano l’indice di diseguaglianza più alta d’Europa – e Roma ha la sua storia politica, ciò che si fa fisicamente presente in quei “più vecchi” che hanno preso parte agli scontri). Non si parli, perciò, neppure di infiltrati, ciò che costituisce per molti del movimento un bell’alibi.
La questione principale è un’altra. E’ la questione delle pratiche. Che devono essere condivise. Non si parassita un corteo che ha altri obiettivi e convocato con altre pratiche, non gli si impone la propria minoritaria presenza. Questa è la violenza peggiore. Imporre agli altri le proprie pratiche. Prendendo la testa in 300 di una manifestazione di 300mila persone e segnando il destino di quella manifestazione. E’ una questione di democrazia. Sommamente significativo che il grosso dei No Tav – i temibili valsusini! – li hanno contestati. In Val di Susa, per dire, nessuno era andato a dire che queste erano la pratiche della giornata. Eppure lassù sono abituati anche a certe pratiche conflittuali – solo, però (e si torna al primo punto), se sono sensate, “razionali rispetto allo scopo”.
La violenza di quei caschi neri si è esercitata anzitutto nei confronti di un movimento nel suo insieme. Un movimento che poteva iniziare da oggi, prendendosi le piazze. Come era stato fatto in piazza Tahrir, alla Puerta del Sol, a New York. L’anomalia italica continua.
PS Poi senti i Draghi e i Letta, e capisci molto di questa anomalia: dicono che le ragioni della manifestazione sono giuste, peccato per i violenti che non c’entrano nulla. Ma come? Noi eravamo lì contro di voi! Ma allora non ci ascoltate. Ed è noto che è il non-ascolto a produrre violenza.

179 COMMENTS

  1. Se non c’è una regia precisa alle spalle………ciò che mi chiedo è perché solo a Roma ????

  2. Io a Roma non ci sono stato. Ho seguito con molta disattenzione lo svolgersi degli eventi. Ho seguito con molta attenzione le reazioni del giorno dopo. Sono spaventato. Nient’affatto dalle auto bruciate e dai sampietrini volanti, come ho detto io non c’ero. Sono spaventato da un’assenza per quanto semplice inquietante: manca una domanda “perchè?”. Non certo perchè la polizia ha permesso questo e tutta la serie di domande sorelle o sorelline. Manca “Perchè alcune persone hanno sentito l’esigenza di ricorrere alla violenza?”. La risposta, al dilà di banalità come “alcuni vengono qui solo per fare casino” etc non è affatto facile, forse non è facile da accettare, ma è necessario discuterci.
    Le basi della nostra società democratica, le radici del nostro modo di pensare, sono bagnate dal sangue, giusto o inguisto che sia poco m’importa. Il giusto e lo sbagliato lasciano il tempo che trovano, cambiano nel tempo. Ma la democrazia ha bevuto questo sangue, fino a riempirsi lo stomaco, per diventare adulta. Continuamente. Ma come potrebbe essere altrimenti? Come si può pensare all’essere umano senza la componente fisica: le mani creano e distruggono, è sempre stato così e sempre sarà. Questo non cambia.
    Ciò che mi terrorizza è il pensiero unico, ai due lati della barricata, il diktat unico ed assoluto: la violenza è sbagliata. L’atto violento, senza domande per il fine, o per la spinta diventa sbagliato.
    Ma allora perchè le rivolte magrebine sono state salutate con gioia, spesso dalle stesse persone che ora dicono è sbagliato tirare un sanpietrino. Là sparano. Hanno sparato pure in Iraq. Per la democrazia, noi siamo i buoni. Quando la violenza invece è a casa tua, allora anche tirare una ciabattata alla zanzara sul muro diventa errore, sbaglio, con tutte le lettere maiuscole. L’ipocrisia di questo pensiero mi lascia disarmato. È l’assenza di criticità di tutta la nostra società, costruita per pensieri semplici, ma stupidi. Questo è bene questo è male. Il perchè non ha spazio, perchè una delle parole più spaventose, della nostra e di una lingua qualsiasi: siamo come genitori che hanno paura delle domande dei bambini “Perchè quel signore dorme perterra?” “Perchè quel bambino è così strano?” “Perchè le persone muoiono?”.
    Ci vorrebbe un grosso bambino dalle dimensioni di un palazzo che faccia sentire la sua voce a tutti, che chieda costantemente perchè. Vedreste tremare i palazzi per i suoi passi ed i cuori alla sua voce. Ma non c’è questo coraggio. E allora la dominazione cattiva che si tenta di combattere è un’illusione, peggiore di quella della ribellione.
    La ribellione è un modo del sistema combattuto per preservare se stesso. Il gattopardo ha sempre avuto ragione. Qualcuno comanda e qualcuno è comandato. Perchè?
    Perchè gli uomini sono fatti così, come tutti gli animali, gruppo del quale fanno parte: perchè è necessario un capobranco, perchè qualcuno sa fare meglio una cosa di un’altra, perchè qualcuno non sa fare niente. Darwin insegna. Perchè tra vittima e carnefice c’è una necessità reciproca. Perchè? Perchè? In quest’età che spesso percepiamo come quella della consapevolezza, in cui non sappiamo tutto, ma pensiamo di conoscere il metodo per poterlo fare, non ci fermiamo e proviamo a vedere se il metodo è quello giusto? Perchè è comodo così.
    Si illudono di combattere per il miglioramento, ma in realtà hanno la chiave in tasca per la porta che tentano di scassinare, solo che credono non sia quella giusta.
    Allora io ho paura, perchè mi accorgo che nessuno sta pensando, tutti corrono in una qualche direzione, ma la barca su cui lo fanno è la stessa, quella fatta di questi pensieri unici, convinti di se stessi ed immobili, contraddittori, ma corretti comunque e non in quanto alla ricerca di un nuovo sistema di pensiero che esuli dalla logica tradizionale, ma in quanto mai discusso. È terrificante che chi crede di se stesso intelligenza poi non sia altro che una mosca che sbatacchia sul muro credendo che questo sia pensiero libero; dall’altra parte del muro la mosca che odiate sbatacchia allo stesso modo, ma non ve ne accorgete.
    Non volete cambiare, volete che tutto ritorni ad essere come prima. Draghi ne è testimone.

  3. Questa visione possibilista della violenza è spesso condivisa da chi non l’ha subita o comunque da chi l’assume come accettabile, a patto di alcune condizioni. Il fatto che in passato la violenza sia accaduta non giustifica il suo ripresentarsi. Se partissimo da questo assunto, ogni volta che si tenta un progresso sociale, raggiungeremmo automaticamente un’intrinseca contraddizione. Finché si continua a credere che esista la violenza “razionale rispetto allo scopo”, continueranno ad esisterne le relative vittime, nei casi peggiori magari anche innocenti, più o meno gravi. Cominciamo a non tollerarla categoricamente, visto che tra l’altro non può che generarne altra, entrando in un loop da cui diventa poi sempre più complicato uscire. Contemporaneamente si può parlare anche dell’oggetto della manifestazione. Si potrebbe imparare a masticare un chewing gum e nel frattempo camminare.

  4. Indignati? Indignato io.

    Ancora una volta un bluff. Radunare una massa di insoddisfatti e manipolarli per i propri tornaconti.
    Ancora “gli indignati” non hanno capito che il problema non è il debito, ma è la moneta. La moneta che dovrebbe appartenere allo stato, non a banche private, oppure dovrebbe essere sottomessa agli orientamenti statali, e non viceversa.

    Il problema della banche è il signoraggio bancario (come aveva già profetizzato Pound e Auriti) ma, a chi tiene le redini della protesta, ha fatto comodo tacere il vero problema e parlare di “cancellazione del debito”.

    Ovvio, “cancellazione del debito” lo capiscono tutti, è molto “televisivo” come spot, e riesce ad attirare una serie di istintivi malcontenti, facili da gestire, da strumentalizzare.
    La regola è vecchia quando il mondo: creare disordine per agire di soppiatto.

    Cito:

    #
    Il movimento Occupy Wall Street, gli indignados che in USA dimostrano contro la Borsa di New York e che si espande velocemente in altre città, non è poi tanto spontaneo.
    Ad affermarlo sono due amici stimati e studiosi attenti dei poteri oligarchici americani: Wayne Madsen e Webster Tarpley.
    Madsen è il più esplicito ad indicare in George Soros il manipolatore del movimento: Occupy The Wall Street.
    Il miliardario ebreo-ungherese, attraverso la sua fondazione culturale Open Society Institute, ha notoriamente promosso e finanziato innumerevoli rivoluzioni colorate nell’Est.
    […]
    Quell’1% – contro cui i manifestanti gridano di rappresentare il 99% – «quell’1% ama la crisi… per loro, [per i potenti] è il momento ideale per far avanzare le loro politiche: privatizzare l’istruzione e la sicurezza sociale, tagliare i servizi pubblici, togliersi di torno gli ultimi lacci al potere delle corporation».
    (Di Maurizio Blondet, Effedieffe.com, 13 Ottobre 2011)
    #

    [qui un sunto della vicenda:
    http://www.esteriblog.it/2011/10/16/i-banchieri-sostengono-gli-indignati-anche-economicamente/%5D

  5. Concordo con Marco… io c’ero e concordo con MR… e per praticità faccio un copia incolla di ciò che dico su FB

    “Lorsignori hanno pensato a difendere solo se stessi. Dobbiamo diventare adulti e pensare noi a difendere noi stessi. Dal delirio di chi crede di cambiare bruciando qualche auto e da chi reagisce picchiando i miti. Ed anche da chi minimizzando ciò che bolle, non fa che metterci su il coperchio in attesa del botto. Il tempo stringe….

    Il capo della polizia Manganelli cerca di difendere le scelte di OP di questore e prefetto dicendo che quelli che hanno messo a ferro e fuoco Roma erano “delinquenti”… Foss’anche così semplice, lui per cosa è pagato se non per difenderci dai “deliquenti”? E cosa ha fatto ieri per garantire il diritto di tutti di manifestare pacificamente? Mentre parte di Roma bruciava, a Pzza S.Silvestro Lorsignori sorseggiavano pacificamente un buon cappuccino… Ottimo risultato!

    500.000 persone pacifiche sono una massa di pressione enorme, che se fosse stata organizzata, avrebbe potuto fare molto, molto… Invece è stata dissipata, sprecata, abbiamo lasciato che fosse strumentalizzata da qualche centinaio di adoloscenti che conoscono solo il linguaggio della violenza, perché è l’unico che sinora si è usato per parlare con loro. Questo è, imho, il nucleo della nostra necessaria autocritica (voglio servizi d’ordine, datemi i Katanga!, voglio organizzazione, progetto, ecc..). Poi ci sono loro, Lorsignori e chi fa la guardia a nome loro. E dico che dovunque anche in Boswana (absitiniuria verbis) dopo fatti come quelli di ieri il Ministro dell’Interno avrebbe destituito questore e prefetto. e poi avrebbe rassegnato le dimissioni. Le avrei festeggiate con piacere, insieme a quelle di certi pressapochisti alla testa del Movimento e che affidanouna cosa enorme come la mobilitazione di ieri alle dinamiche di FB… FB può far arrivare migliaia di persone al compleanno di una sconosciuta, o centinaia di migliaia in Pzza della repubblica… Ok, e dopo?

    [e a chi sostiene che erano ‘infiltrati’ o che non erano disperati perchè ‘organizzati’]
    PS: non credo che ieir quei 4 o 500 fuori di testa fossero stranieri, né che fossero infiltrati, né che avessero gran che a che fare con quella che si chiama ‘la strategia del BB” Per chiarezza…

    @ Roberto e Paola: sorry, ma come detto prima, non sono d’accordo: quelli che hanno spaccato, imho, non erano infiltrati, poliziotti travestiti, o gente pagata da qualcuno: erano disperati e la disperazione si esprime aggratis… Leggere i commenti delle fonti dei Servizi Segreti fa impressione al proposito, non posso che concordare anch’essi sul fatto che ieri si è, sì, protetto l’utilizzatore finale e i suoi famigli, ma nello stesso tempo si è clamorosamente fallita la strategia complessiva. i romani hanno occhi per vedere e hanno visto, hanno visto dove si è lasciato distruggere e ciò che si è protetto ad ogni costo… Chiedono anche loro, tra le righe, le dimessioni dei vertici di OP. detto questo, torniamo a noi, anche dopo i primi incidenti, c’era ancora tempo per rimediare. Centinaia di migliaia di persone hanno sostato sotto il Colosseo e a nessuno è venuto in mente di entrarci dentro, pacificamente, e chiudere lì i conti. No, tutti intestarditi ad arrivare a San Giovanni. Non si fanno le Rivoluzioni scambiando le strategie politiche con quelle dei war games, no no… Così si perde, anche quando si gioca ai war games, imho.. almeno nei war games di ultima generazione….

    La disperazione si organizza sì, amica mia, a modo suo, si organizza lasciando spranghe sul corteo del percorso, stabilendo come cambiarsi d’abito al momento giusto, riconoscendosi a fiuto, com’è accaduto ieri. Organizzazioni elementari se vuoi, come quelle delle strategie per copiare i compiti a scuola, elementari, ma efficaci, almeno fino a quando a fronteggiarle ci saranno maestrine arteriosclerotiche. Le nostre forze di polizia, intendo chi era fisicamente in piazza, obbediva a degli ordini, e lasciamo perdere se si divertisse o meno a giocare alla guerra, il problema è chi ha dato quegli ordini e perché… Quegli ordini erano stupidi: tentare di proteggere la zona ‘sensibile’ e lasciare il resto della città sguarnito e la stupidità crea danni e tragedie, ma non solo la stupidità di chi doveva vigilare, anche quella di chi non è meno stupido di chi stupidamente lo controlla. Potevamo entrare pacificamente nel Colosseo, alcuni hanno provato ad invadere i Fori, ma tutto è stato dissipato dalll’evanescenza di un’organizzazione superficiale e arraffazzonata. Chiunque avesse una minima esperienza di ‘conflitti sociali’ avrebbe visto che ieri non c’era un ‘corteo’, ma un fiume in piena, senza argini, chi doveva arginarne i possibili danni (i funzionari di OP) ha preferito farlo tracimare e far danni, chi ci navigava sopra non ha saputo sfruttarne adeguatamente l’immensa forza. Per me questo è un punto di svolta, se scendo in piazza voglio sapere con chi, con quale organizzazione e con quali obbiettivo. Altrimenti sto a casa e posto poesie su FB. Katanga mon amour…

  6. sul discorso infiltrati e uso della violenza rimando al commento che ho incollato sotto il post di helena.

    aggiungo solo che secondo me dare alla piazza una lettura di più ampia portata è sempre rischioso. la piazza è una cosa, i movimenti un’altra: se un movimento è in grado di intercettare discorsi e bisogni che la società cerca di esprimere non sono certo gli scontri di piazza a impedirglielo (in ciò possono rallentarlo ma, in effetti, anche dargli una spinta ulteriore).

    giusto per dire, e spero di tornarci sopra con argomenti un po’ più articolari, che tutti questi “ah, che peccato!”, “un movimento ucciso sul nascere”, “solo in italia è successo” che vedo in giro mi sembrano comprensibili ma forse non del tutto calzanti. mi sembra più urgente seguire con attenzione la revanche in corso da parte dei soliti noti (che agitano addirittura la madonnina fatta a pezzi!!)

  7. Evito la lenzuolata che la vicenda meriterebbe.

    Come non sottoscrivere lo slogan scelto dai Black Bloc: ‘Non chiediamo il futuro ci prendiamo il presente’?

  8. Come al solito, su questi discorsi sono d’accordo con Marco su tutto, tranne che sul modo di considerare la violenza. Su questo tema, non è che sia del tutto in disaccordo, perché anche secondo me il tema principale non è la violenza o la nonviolenza. Questo tema è, con altri, tra i principali per chi vuole manifestare, data la sua risultante mediatica – e quindi i suoi riscontri concreti. Ed è appunto su questo, sull’efficacia e sulla necessità storica della violenza, che non do la stessa lettura di Marco. Che la violenza accada, accade. Che debba accadere, non lo direi, anche se so che ci sono condizioni in cui è prevedibile accada. Che sia razionale e strategica, oggi, anche questo non lo direi. Che lo sia stata storicamente, in certi contesti, lo ammetto: è che per me i tempi nostri, con mondo globalizzato a livello mediatico, rappresentano uno spartiacque.

    Segnalo questo articolo, che propone una analisi su violenza e nonviolenza che condivido al 100%.

    Di Carlo Gubitosa.
    1) In Italia e nel mondo esiste una violenza economica, finanziaria, politica culturale e sociale che si alimenta di guerre, sfruttamento, negazione dei diritti umani, oppressione delle minoranze e repressione del dissenso. Questo è il dato di base da cui partire, il nodo politico da sciogliere, la sfida che i popoli si trovano ad affrontare in una precarietà che per la prima volta accomuna il terzo mondo a Roma, Pechino, New York e Parigi.

    2) Questa violenza sta togliendo futuro, speranza, lavoro e dignità di vita a milioni di persone, e per questo moltissime persone lottano con cuore puro e onestà di intenzioni affinché questo non avvenga.

    3) La lotta nonviolenta è lo strumento più evoluto che abbiamo a disposizione per combattere questa violenza. Quello più primitivo è la lotta violenta. Quello più inutile sono le chiacchiere di chi non lotta ma critica la lotta degli altri.

    4) Che la reazione violenta alle ingiustizie sia preferibile all’inazione impotente quando non c’è la possibilità di lottare in modo nonviolento è un principio sostenuto dallo stesso Gandhi: “It is better to be violent, if there is violence in our hearts, than to put on the cloak of non-violence to cover impotence. Violence is any day preferable to impotence. There is hope for a violent man to become non-violent. There is no such hope for the impotent”. In sintesi: chi è impotente e non lotta non deve travestirsi da nonviolento per nascondere la sua inazione puntando il dito contro gli altri. Chi lotta in modo violento deve sapere che esiste una forma di lotta migliore.

    5) In ogni caso la violenza di strada che abbiamo visto in azione a Roma non c’entra nulla con la lotta alle ingiustizie di cui parlava Gandhi. Può essere considerata come uno sfogo sociale, come un termometro di un disagio che la politica ha il dovere di intercettare rispondendo ai bisogni delle persone prima che alle sollecitazioni dei “mercati”, sarebbe meglio capirla che demonizzarla, ma in nessun caso può essere elevata al rango di lotta violenta contro l’oppressione del sistema politico/economico/militare. Infatti questa violenza non produce risultati efficaci sul piano concreto e fornisce al sistema strumenti culturali e simbolici per legittimare la propria violenza. Una madonna di gesso spaccata è una foglia di fico per fetta per nascondere le vite spaccate dalle “guerre umanitarie” e dallo sfruttamento.

    6) Anche di fronte ad una violenza di strada discutibile sotto molti aspetti, la critica all’inutilità, all’inefficacia o all’ingiustizia di questa violenza non è accettabile se priva di coerenza e onestà intellettuale. Ci vuole infatti coerenza e onestà intellettuale per dare la giusta proporzione tra il sasso lanciato a Roma e la bomba lanciata a Kabul, e per affermare senza ipocrisia che peggio della violenza individuale a mani nude c’è la violenza armata di stato contro i cittadini, e peggio di questa c’è la guerra, violenza armata degli eserciti e dei governanti contro popolazioni che non li hanno eletti.

    7) Purtroppo le voci dei movimenti nonviolenti sono censurate, così come il pensiero anarchico libertario, quello a cui si riferiva Gandhi quando diceva “The ideally non-violent state will be an ordered anarchy. That State is the best governed which is governed the least”. Per questa ragione il discorso su etica e violenza rimane prerogativa di una classe intellettuale e mediatica zeppa di ipocriti dalla doppia morale, forti contro le violenze dei deboli e muti contro le guerre dei forti. Gente che magari nel ’68 non lanciava sassi, ma si portava le P38 da casa, e oggi si straccia le vesti sdegnate contro la violenza dei cittadini tappandosi gli occhi di fronte alle guerre degli stati.

    8) Per questa ragione condividerò e farò mia ogni critica alle azioni violente di Roma che arrivi da persone stimabili e impegnate in azioni dirette nonviolente che lottano da sempre contro ogni forma di violenza, appoggiando ogni forma di resistenza nonviolenta al potere che sta schiacciando i popoli come mai era capitato nella storia recente. Guarderò con diffidenza alle critiche della gente che sta con le mani in mano a casa propria, e pretenderò che oltre alle critiche suggeriscano anche delle alternative praticabili di lotta nonviolenta, impegnandosi a realzzarle in prima persona anche rischiando manganelli e carcere come chi fa violenza di strada oggi e come chi ha fatto lotta nonviolenta ieri ai tempi di Gandhi e Martin Luther King. Respingerò al mittente le critiche dei guerrafondai perbenisti e ipocriti che si mettono la “maschera della nonviolenza” per riempirsi la bocca di grandi principi, quando in realtà sono complici sul piano culturale, morale, politico e giornalistico di una violenza ben superiore a quella che criticano.

    Da qui
    http://www.giornalismi.info/gubi/articoli/art_9148.html

  9. D’accordo sul falso dilemma violenza – non violenza, la violenza del 14 dicembre è tut’altra cosa rispetto a quella di ieri, che si è sovrapposta a un comportamento maggioritario del tutto pacifico.
    Mi pare però che manchi nell’articolo ogni attenzione a quello che dovrebbe essere l’oggetto principale della riflessione, e cioè lo stesso movimento degli indignados.
    Che poi è di fatto un movimento composito, in cui convergono ispirazioni del tutto differenti, e in cui apparentemente c’è uno iato tra organizzatori e semplici manifestanti, almeno da quello che ho potuto vedere nell’odierno programma dell’Annunziata.
    Chi organizza un corteo come questo deve predisporre un servizio d’ordine, questo mito della spontaneità dovrebbe piuttosto esser considerato per quello che è, un limite e non un merito. Poi esce il Draghi di turno per dire che è d’accordo, quello stesso Draghi che a giorni siederà nello scranno più alto della BCE e che in agosto inponeva all’Italia misure che gli indignados non potrebbero mai approvare.
    Lo può fare perchè gli indignados di fatto non esistono, non sono in grado di dare uno sbocco politico all’indignazione su cui si basano, e quindi sono soggetti ai vari cappelli che tutti, nessuno escluso, possono mettere sul groppone del movimento. Del resto, cosa ha detto Bersani? Che il PD è impegnato a dare una risposta politica a questo movimento, ognuno pronto ad interpretare e ad incamerare questo appoggio popolare, utilizzandolo a modo proprio.
    Se agli indignados va bene di essere strumentalizzati e di subire la distruzione delle loro manifestazioni, allora che si crogiolino ancora con questo spontaneismo masochista.

  10. Concordo con J. Galimberti: come non condividere lo slogan dei Black Bloc “Non chiediamo il futuro, ci prendiamo il presente”? Soltanto che, se la loro azione è un semplice sfogo di rabbia, non approda a nulla esattamente come un corteo arcobaleno contro la guerra (che non ferma nessuna guerra). Forse i manifestanti vestiti di nero così come quelli colorati rappresentano le due facce di una stessa medaglia, pur con tutte le migliori intenzioni: un programma politico alternativo lacunoso, al momento inefficace, tutto da sviluppare.

  11. ciò che mi chiedo è perché solo a Roma ????

    @rita, forse perchè solo in Italia c’è stato e c’è berlusconi, cioè un governo cialtrone e di estrema destra (anche se per ora soprattutto con armi mediatiche) e, se non bastasse, pure colluso con mafia ecc. ecc. con un parlamento ormai poco credibile e pieno di corrotti/e e che andrebbe sciolto il prima possibile.
    Sono cose che, anche se sembriamo essercene dimenticati, fanno la loro differenza ;-)

    E poi altrove le manifestazioni si sono anche svolte in maniera diciamo nuova (e pure con nuovi regolamenti da parte della polizia) qui invece è stato tutto identico a quelle passate (compreso le reazioni e i commenti che sento in giro), qui le le stesse ingenuità e gli stessi giochetti (come le provocazioni di triste memoria). Siamo un paese arretrato con un governo fascista e con vecchi arnesi di tutti i tipi.
    Va beh … creare veri anticorpi alla globalizzazione, creare serie organizzazioni antagoniste alla globalizzazione capitalista non è certo una passeggiata e tutto non può succedere in poco tempo. Quello che è successo ieri nel mondo è solo l’inizio e non è poco.
    Io direi che ci sia da brindare che tutto sia iniziato, era l’ora

    @ marco correggi il refuso, si scrive black bloc (e non block)

  12. Forse non ho capito niente di quello che dice Georgia.
    Georgia forse dice che la presenza di Berlusconi giustifica la violenza di piazza contro cose (rigorosamente altrui), spazi comuni (spazi di cui questi violenti si appropriano deturpandoli; il loro ripristino viene ripagato dalle tasche di tutti i romani), lavoratori (giornalisti, poliziotti etc), altri manifestanti. Poi georgia dice che le manifestazioni spontaneee, disorganizzate, senza una presa di responsabilità di un gruppo che cerca di gestirle o da chi le fomenta (della serie: “annamo tutti a Roma che poi se vede”) finiscono così, ed io sono d’accordo. Ma allora Berlusconi come alibi cade.
    Comunque sia la colpa delle violenze di ieri è di Berlusconi che è ancora lì, non se ne vuole andare, non vuole cadere sotto i colpi di una magistratura con schegge fuori controllo (il secondo governo Prodi cadde per questo, chi se lo ricorda?). Io spero che Berlusconi se ne vada presto, anche per vedere quale sarà il prossimo alibi che le persone che la pensano come georgia tireranno fuori per giustificare le ricorrenti violenze di piazza (violenze a cose e persone altrui, ovviamente). Questa violenza è solo uno svagosottoculturale: io non ci trovo niente di diverso da quella ragazzina inglese benestante che è stata arrestata mentre svuotava un negozio di cose che la sua famiglia e lei stessa avrebbero potuto permettersi senza alcun problema.

  13. Guardate l’idiota mistica della jacquerie che verosimilmente anima gli autori di questi gesti è oggettivamente un problema, ma, come è stato detto, un movimento che è veramente nella società è in grado di circoscrivere questi problemi. Certo un movimento del genere non può limitare le sue pratiche a grandi manifestazioni, non può esistere insomma solo nei giorni delle scadenze mediatiche. A questo proposito mi sembra che ci sia molto da fare: se escludiamo Roma e Madrid, di New York non ho capito bene, non ci sono state manifestazioni di massa, nonostante l’atteggiamento benevolo dei media. E’ divertente il dibattito su Draghi, ma testimonia solo la nostra cattiva memoria: a Genova dieci anni fa l’allora ministro degli esteri Ruggiero rilasciava dichiarazioni di analoga simpatia proprio nelle stesse ore in cui l’impianto per le opportunità delle giovani generazioni di Bolzaneto apriva i battenti. Dimostra anche la nostra disattenzione nel leggere le dichiarazioni: Draghi non ha detto nulla che non sia in linea con le idee del liberismo, una delle motivazioni neoliberiste nell’attacco allo stato sociale era che non dava oppurtunità ai giovani, dunque esistendo ancora pezzi di stato sociale i giovani hanno tutte le ragioni di arrabbiarsi solo che indirizzano la loro energia verso obiettivi sbagliati. Poi ha perdonato con la clemenza che è propria di uno degli abitanti dell’Olimpo quale lui è la loro ignoranza nel cercare nella finanza, che secondo lui non c’entra nulla con la crisi, un facile capro espiatorio.

  14. Georgia forse dice che la presenza di Berlusconi giustifica la violenza di piazza contro cose

    no, non ho mai detto una cosa del genere. Io NON giustifico nessuna violenza, anzi sono contro ogni violenza, che detesto con tutta me stessa, sempre e comunque, e detto questo è chiaro che non ho alcuna simpatia per i casseurs (infiltrati o meno che siano), ma quello che io giustifico o meno, lascia il tempo che trova. Dico solo che se quello che è successo ieri a roma, non è successo a londra o in altri posti è dovuto alla situazione anomala italiana, sia politica che di organizzazione delle forze dell’ordine.
    Nello stesso tempo, violenza o meno, guardo con speranza che qualcosa in europa sta nascendo. Sta nascendo una forza antagonista contro la globalizzazione liberista senza lacci e lacciuoli, globalizzazione che ci sta strangolando tutti (in maniera interclassista) a parte pochi mandarini che si stanno arricchendo in maniera abnorme.

  15. Per me, sabato 15 è stata una giornata importante. Io non ho visto tutto quel negativo di cui tutti, anche qui, parlano (spesso a sproposito); ho visto migliaia di giovani, senza alcuna tradizione politica e al di fuori di ogni compatibilità o disciplina, che si sono buttati nella mischia disposti a tutto. Hanno obbedito a una spinta “istintiva”, che non nasce dal nulla ma dalla situazione di merda che sono costretti a vivere. Io, francamente, in questa irruenza, in questa voglia di esserci, quand’anche solo distruggendo, non riesco a vederci niente di negativo. Per me, quei giovani hanno aperto una situazione nuova, che può essere ricca di sviluppi; basta volerlo. Chi vuole che davvero la situazione cambi, chi lo vuole davvero, non può ripetere il solito rito della “presa di distanza” o dei distinguo (psuedo) politici o, peggio, della denuncia poliziesca; deve porsi il problema di come far diventare quella carica esplosiva una prospettiva di futuro. Oggi, davvero, non me ne frega nulla di entrare nei discorsi; oggi riesco solo a dire: SONO UNO DI LORO.

    Nevio Gàmbula

  16. Il movimento bisogna(va) costruirlo e penso anch’io che sia stato un errore partire con una sola megamanifestazione nella Capitale. In ogni caso, lì non si è riusciti a raggiungere la fine del traguardo e tantomeno piazzare le tende in pianta stabile. Come dimostra la Spagna che per molti aspetti ci somiglia, per altri no, questo movimento avrebbe le potenzialità per allargarsi e radicarsi, diventare- in altre parole – popolare: per quelli che sono i suoi contenuti, perché una parte sempre maggiore di persone sta vivendo sulla propria pelle ciò che viene da esso denunciato. Quel che è successo ieri rende questo molto ma molto difficile.
    Temo che quelli che hanno preferito usare il resto dei manifestanti come comparse di un teatro di guerra, abbiano un certo disprezzo di chi scende in piazza come per fare una passeggiata con figli e parenti, per non parlare della possibilità di trovare terreno comune con la base del Pd (orrore!) o il mondo del volontariato cattolico.

  17. @ Marco Rovelli
    tu scrivi che è “sommamente significativo che il grosso dei No Tav – i temibili valsusini! – li hanno contestati” … Sarà, ma io ho colto tutt’altro!

    Posto qui di seguito il comunicato “ufficiale” dei No Tav. Mi pare che ci sia ben altro che una presa di distanza o una “contestazione” …

    ***

    Il 15 ottobre è stata una giornata intensa per tutto il nostro paese, giornata che rimarrà impressa nella memoria, una giornata che fa paura, a tanti, a molti. Il movimento no tav era a Roma, non per la prima volta, neanche per l’ultima, fiero, con le sue bandiere, con la sua lotta. Un forte appello da queste pagine era partito una settimana prima “Valsusa chiama Italia”, come un grido, da una valle che resiste, da una valle che lotta, un grido di aiuto e un grido di speranza. Roma è il centro politico da cui vengono prese le decisioni, lì le sorti del nostro territorio vengono discusse, lì il nostro futuro deciso. Se da un lato con caparbietà e coraggio la val di Susa resiste a Chiomonte impedendo l’avvio dei lavori dall’altro il movimento no tav ha bisogno di far cadere il mandato politico che regge e legittima l’occupazione militare. Il no tav tour,la partecipazione alle manifestazioni degli indignati , alle lotte studentesche sono quindi la risposta che il movimento dà al secondo pezzo del problema. Per questi motivi a Roma il movimento no tav ha sfilato e lottato. Il giorno dopo come sempre le condanne arrivano unanimi, come quando in val di Susa le giornate di lotta diventano reali, incidono e fanno male, a chi questa valle la vuole devastare. Da un lato una casta, fatta di pochi “politici” e banchieri che tragicamente stanno impoverendo il mondo e i popoli, dall’altra centinaia di migliaia di persone che si battono per fermarli.
    Qui iniziano i problemi della giornata del 15 ottobre. C’è voglia di lottare, di manifestare, di esserci, c’è spazio per tutti ma il mandato non è chiaro, l’obiettivo è appannato. In tutto il mondo i centri dei poteri bancari e politici sono paralizzati. Lo stesso slogan occupywallstreet diventa pratica e con tanto coraggio, consapevoli di rischiare l’arresto i manifestanti newyorkesi e poi quelli londinesi sfilano e occupano le strade sotto le borse. A Roma non è così, il corteo è enorme ma nessuno ha avuto il coraggio di imporsi, di pretendere o praticare un percorso che vada diretto al centro cittadino, al parlamento alla banca centrale. Prima anomalia tutta italiana quindi, un corteo che nonostante le parole d’ordine chiare di blocco, accampada o altro ancora, dette nei giorni precedenti, sfila diretto verso la periferia, verso un improbabile comizio finale ed un palco che da subito imbarazza. Sarebbe stato un po’ come se il tre luglio a Chiomonte invece che partire da Exilles verso il fortino della Maddalena ci fossimo diretti in direzione opposta verso la Francia. Cosa avremmo detto a fine giornata? Non ce l’abbiamo fatta ma eravamo tantissimi? Quanti avrebbero ascoltato il comizio finale? Quanti di noi avrebbero creduto ancora nella lotta no tav? Iniziano quindi i problemi, la polizia dopo poco carica dalla coda il corteo, in una via insensata, residenziale e da lì iniziano scontri che si protraggono fino a tarda sera in ogni parte della città. Per lo spezzone no tav non è facile proseguire ma con forza e soprattutto insieme si va avanti. Un fronteggiamento pesante inizia con chi in quella giornata difende o pensa di difendere lo stato, di cosa e di chi sarebbe poi interessante iniziare a riflettere. Il giorno dopo le parole si sprecano ma un forte imbarazzo e una latente paura attraversa tutti, soprattutto i politici. Migliaia di ragazzi hanno messo a ferro e fuoco Roma. Una visione riduttiva e semplificante vede nel mostro black bloc la risposta. Facile, troppo facile. Per chi invece aveva voglia di capire qualcosa e aveva coraggio di farlo bastava andare in piazza san Giovanni, lì avrebbe trovato un pezzo di Italia, di Roma. Tanti ragazzi che lottavano, a modo loro, contro quello che avevano davanti, sfogando rabbia in maniera confusa ma con un messaggio chiaro e con la forza di chi davanti a sé non vede un futuro. Negare questo significa non avere poi i mezzi per interpretare e costruire un cammino che sappia andare oltre quella giornata e che inevitabilmente sarà capace di produrne nel migliore dei casi altre uguali. Non darsi degli obiettivi da praticare e non praticarli significa non avere poi i mezzi per iniziare delle discussioni sul come praticarli. Se l’obiettivo è fermare la casta e la crisi finanziaria non si può non andare insieme tutti e in modo chiaro dove questa casta vive, si riproduce e decide. Se vogliamo farlo insieme dobbiamo avere il coraggio e la forza di provarci e solo dopo decidere come. Inutile oggi prendere le distanze o dire così non va bene così non si fa o ancora peggio pensare che i giovani che erano a Roma a piazza san Govanni sono un problema per il movimento. Il problema italiano sono e restano i politici, le banche, i finanzieri che in maniera mostruosa risucchiano ricchezza e impoveriscono il mondo. Quando avremo la forza di affrontare questo problema in maniera chiara forse riusciremo a capirci e a fermarli. Se nel movimento no tav si vive e si lotta da oltre venti anni insieme è grazie alla bontà e alla semplicità dei suoi obiettivi. Se da oltre venti anni il movimento riesce a ripensarsi e a discutere è perchè una rottura e una distanza netta viene posta tra chi vuole costruire il tav e chi vuole invece fermarli. Le reti di del fortino di Chiomonte sicuramente aiutano a capire da che parte stare, se però a quelle reti non ci fossimo andati non sarebbe stato così facile per tutti capire cosa si combatte e soprattutto dove. E’ possibile fermare il tav come è possibile fermare la casta, basta volerlo e farlo insieme.

  18. Temo che quelli che hanno preferito usare il resto dei manifestanti come comparse di un teatro di guerra, abbiano un certo disprezzo di chi scende in piazza come per fare una passeggiata con figli e parenti

    questo è scontato, non possono certo essere considerati civili e democratici quelli che usano un corteo pacifico per nascondersi dentro e mimetizzarsi dopo aver scassato e dato macchine e altro alle fiamme e mettendo a rischio la sicurezza di tutti.
    Però una cosa va detto che chi è andato ieri alla manifestazione, a parte forse una minoranza ingenua, sapeva benissimo che sarebbe degenerata e che anche i più pacifisti e democratici sarebbero stati coinvolti nella violenza dei pochi. Senza un servizio d’ordine è il minimo che possa succedere. Lo sapevano e sono andati lo stesso perché la situazione è talmente tragica che era necessario rischiare e manifestare ugualmente.
    Che in molti fossero consapevoli di quello che stavano rischiando è testimoniato dal fatto che molti avevano mascherine e limoni per difendersi alla meno peggio dai lacrimogeni.
    Quello che pensavano i 300 balordi nerovestiti ha poca importanza, a me interessa molto il coraggio dei 300.000 mila cittadini comuni che hanno ugualmente tentato di sfilare e che hanno anche tentato di isolare i violenti.

  19. Posto qui di seguito il comunicato “ufficiale” dei No Tav

    maronna, ma perchè ‘sti movimenti sono così logorroici? non bastavano due righe di comunicato?

  20. @ng
    Non so, io ho assistito a parte della diretta di Sky degli avvenimenti in piazza San Giovanni, e vedevo soltanto un gruppo di gente incappucciata che giocava con i cellulari della polizia, di fronte a un gran numero di manifestanti che stava a guardarli sgomenti.
    Siccome sono abitutato a credere ai miei occhi, ne traggo due conclusioni. La prima è che costoro facevano gruppo a parte, e devo dedurre che fossero a parte da ben prima dell’inizio della manifestazione, che avessero preorganizzato gli scontri a cui poi abbiamo dovuto assistere.
    Il secondo è che davvero non si capisce cosa ci sia di produttivo in queste pratiche. Nion so, c’è davvero qualcuno che possa ragionevolmente ritenere che ci sia in ciò qua,lcosa di rivolzionario, o forse di insurrezionale?
    Nel mio blog, dicevo appunto che l’unica motivazione che riesco a rintracciare in simili pratiche è quella di dimostrare a sè stessi di essere vivi, in fondo una forma particolare di onanismo politico.
    Non si tratta di schierarsi sul tema della violenza che mi pare un falso problema. Non direi mai le stesse cose dei fatti del 14 dicembre, perchè allora l’insieme dei manifestanti scelsero quel pizzico di violenza contro le cose che allora sembrava potere essere utile e produttiva.
    Ieri, l’unico risultato che pare costoro abbiano conseguito è stato quello di fare parlare delle loro azioni piuttosto che dei temi della manifestazione. Naturalmente, hanno fatto il loro gioco, ma mi chiedo se ci sono altri che invece ne escono a pezzi. Forse gli organizzatori, o forse i semplici manifestanti, ma in ogni caso ogni trionfalismo mi pare davvero fuori posto: a me francamente pare piuttosto una bella sconfitta.

  21. Ng, è un fatto che dallo spezzone dei notav, ieri, sono partite grida “fuori dal corteo” rivolte ai caschi neri. Ed è un fatto che hanno preso fisicamente le distanze da loro. Poi anche tra i notav ci saranno delle differenze. Il comunicato in oggetto non prende distanze né aderisce, però: cosnidera la questione da un punto di vista più generale (una comprensione dell’inevitabile, il contesto) e da uno più dettagliato (l’organizzazione, la gestione della piazza). Su questo, come movimento, dovremo discutere. Perché è facile – e anche, soprattutto, bello – dire Io sono uno di loro. Perché sai che quella rabbia può essere affine alla tua. (Ma lo è davvero? I sentimenti sono simili per tutti? Il tuo di intellettuale del nord italia sarà davvero simile a un ragazzino di pietralata che si è fatto le ossa la domenica in curva? Non provoco né disprezzo chicchessia, anzi. Prendi la questione come divagazione etica e ontologica…) Ma anche se quella rabbia la riconosci – anche nella sua differenza – occorre però passare alla politica – e il mio giudizio, come avrai capito, non è etico, ma politico: le azioni politiche devono essere produttive. Altrimenti sono un gioco. Fine a se stesso. Anzi, quel che è peggio: fine a se stessi. Un bel videogame incarnato, finalmente, da giocare in strada. Un bello sfogatoio che però non risolve niente, ma peggiora le cose. E una prospettiva politica non si costruisce in questo modo.

  22. Mi scuso ma non ho avuto tempo di leggere i commenti, ma solo il pezzo di Marco, che ringrazio del tempestivo intervento.
    Aggiungo solo una cosa: siamo ancora al problema irrisolto che si presentò a genova e parlo dell’azione dei black blok di venerdì mattina (il pomeriggio Giuliani fu ucciso), Questo problema deve essere ora risolto. Innanzitutto facendo in modo che di questa faccenda si faccia carico il movimento, prima che se ne faccia carico a suo modo e per i suoi fini la stampa, e poi la politica istituzionale.
    E farsene carico vuol dire discuterne assieme e approntare soluzioni pratiche. Anche se poi, in definitiva, mi sembra una sola la soluzione concreta: un servizio d’ordine coi controcazzi, fatto da gente esperta e che non ha paura di menare se deve menare, per difendere il corteo.

    Siamo tornati al punto

  23. Sono appena passato davanti a Saint Paul a Londra. Ci saranno almeno una quarantina di tende, ma altrettanti poliziotti con la pettorina gialla nei punti strategici a fare la notte in piedi.

    Ovviamente quoto Georgia. Le manifestazioni in Italia degenerano perche’ il servizo d’ordine di solito fa cagare, gestito dai fascisti al governo. Tutto il resto e’ la solita messa in scena mediatica. Due balle.

  24. Per me poi resta un mistero la partecipazione di Pannella al corteo. Qualcuno saprebbe dirmi cosa ci sarebbe andato a fare? Boh!

  25. Condivido quanto detto da Vincenzo, sono pure convinto che molti dei circa cinquemila manifestanti che hanno “tenuto” piazza S.Giovanni, più altrettanti schiacciati contro la basilica, si siano trovati lì ignari del fatto di essere stati strumentalizzati a priori. In una manifestazione così vasta è chiaro che in molti siano arrivati a Roma muniti di attrezzature atte a difendersi dalle cariche, che sarebbero potute avvenire ovunque. Quello che è successo è stato molto differente, qualcuno ha giocato sulla difficoltà organzzativa della manifestazione facendo confluire la parte dura dei movimenti in un teatrino innescato ad hoc. Non c’erano zone rosse da violare, quei centocinquanta che hanno dato via allo scontro in piazza avevano metodi quasi simili, una strategia tutta personale (tagliando gli spezzoni del corteo come ferro caldo in un panetto di burro), intenzioni contrarie ai movimenti e a tutto il resto dei manifestanti. Una volta innescato lo scontro poi è chiaro che questo abbia dilagato, con la pronta risposta dei celerini in un carosello di cellulari e trecentomila manifestanti che stavano confluendo in piazza senza sapere bene che cosa fosse successo. E’ vero che si siano uniti ai tafferugli tanti dai movimenti, ma come cani sciolti, che non sono affatto un problema per i manifestanti, a meno che qualcuno non trovi il modo di farceli diventare.

  26. teppisti:
    non gli pare vero di far casino rompere e spaccare tutto, mettere a rischio la vita di coloro che avevano organizzato aderito partecipato alla manifestazione.

    parassiti e vigliacchi
    utilizzano le manifetsazioni e si anscondon odietro di esse per sputare la loro stupida e cieca violenza. Con cinica e stupida premeditazione si organizzano con bastoni, maschere, petardi per fare del male ai manifestanti (l’attivista di SEL quasi ci perdeva una mano) e alle forze dell’ordine e ad ogni cosa che incontrano

    hanno inquinato la manifestazione (sulla cui piattaforma rivendicativa ci sarebbe molto da dire e criticare) sono il brodo di coltura dei pruriti fascisti.

    Se nelle loro azioni ci fosse un minimo di consapevolezza politica, si organizzerebebro e manifesterebbero da soli, a viso aperto, assumendosi le responsabilità.

    Il rischio più grave è che oltre a questi teppistelli vigliacchi e stupidi, si infiltrino anche dei fascisti e perfino delle forze dell’ordine.

    Qualsiasi movimento dovrebbe aver imparato dopo i fatti di genoa che contro questi stronzi non si puo’ contare sulle forze dell’ordine, bisogna difendersi e organizzarsi per isolarlie ed espellerli.

  27. “Per me, quei giovani hanno aperto una situazione nuova, che può essere ricca di sviluppi; basta volerlo. Chi vuole che davvero la situazione cambi, chi lo vuole davvero, non può ripetere il solito rito della “presa di distanza” o dei distinguo (psuedo) politici o, peggio, della denuncia poliziesca; deve porsi il problema di come far diventare quella carica esplosiva una prospettiva di futuro. Oggi, davvero, non me ne frega nulla di entrare nei discorsi; oggi riesco solo a dire: SONO UNO DI LORO.”

    parole sacrosante

  28. Non ho potuto leggere tutti i commenti per mancanza di tempo. Ma mi riprometto di farlo al più presto. Per ora volevo solo ringraziare Marco, come hai giustamente detto, nessuno in questi giorni ha posto l’unica domanda sensata da porre, cioè “perché?”. Erano esattamente le parole che avrei voluto leggere, e ne sottoscrivo ogni virgola. Spero di vedere presto quel bambino gigante.

  29. @ Marco Rovelli
    dimentichi di citare i tanti No Tav che erano nella mischia, quelli dietro le prime fila, gli altri che … Ma non importa. Io non ho davvero voglia di discutere di sabato. E, soprattutto, di farlo con chi, per quanto problematicamente, ripete un discorso vecchio come il mondo: da una parte i manifestanti cattivi, dall’altra i buoni. Certo che la questione è politica; ho detto qualcosa di diverso nel mio primo commento? Solo che qui e altrove e nelle mille discussioni in rete, più che tentativi politici di “includere” quei ragazzi, vedo molta foga stalinista, da Katanga appunto. Mi dispiace, preferisco continuare a considerarmi uno di loro. E dire ciò non è fare facile retorica (!); vuol semplicemente provare a cogliere i potenziali risvolti positivi di quella rabbia. Sarà compito di tutti (di chi vuole davvero cambiare la situazione) raccoglierla e provare a “incalanarla” politicamente.

    Un’altra cosa, poi mi dileguo. L’unanimità rispetto a quanto successo sabato non esiste; non esiste quella differenza così marcata tra i “300” (300?!) e i 300mila. In molti, in queste ore, stanno dicendo cose simili alle mie. Non nascondetevelo.

    ***

    “Il Pci è colto di sorpresa da questa radicalità che non riesce a controllare, e l’Unità del 9 luglio definirà la rivolta “tentativi teppistici e provocatori”, ed i manifestanti “elementi incontrollati ed esasperati”, “piccoli gruppi di irresponsabili”, “giovani scalmanati”, “anarchici, internazionalisti”. I Quaderni Rossi (Panzieri, Tronti, Negri), dal canto loro, giudicano gli scontri di piazza una “squallida degenerazione” di una manifestazione di protesta operaia, ma si guardano bene dal tacciare i manifestanti come “provocatori e fascisti”, così come li aveva presentati la sinistra ufficiale. 

    D. Lanzardo, “La rivolta di Piazza Statuto”

  30. La situazione comunque non è nuova: è odio di classe. Ciò che a livello borghese è indignazione, a un livello di contraddizione sociale più forte diventa odio. A noi forse fa schifo perché viviamo a un livello di esistenza meno esposto. Il punto è che la maggioranza di noi, e del movimento occidentale degli indignati, è ancora, per il momento, borghese, non è ancora precipitato nel proletariato. Il blocco nero, finché minoritario, è destinato alla repressione e alla condanna. Per adesso è così ma la mia impressione è che la storia si sia messa a correre e che questa crisi internazionale possa peggiorare drammaticamente. Questo, in assenza di un progetto politico alternativo ampio, coinvolgente, consapevole e articolato.

  31. È così, Roberta, è odio di classe. Come testimoniato ad esempio dalla prima macchina bruciata in via Cavour, un’Audi, che non è una Ferrari – indice preciso di una voragine di diseguaglianze. E in quanto tale – come dicevo nel pezzo – è valutabile. È sintomo di qualcosa che si espande a macchia d’olio. E dunque si tratta di dargli appunto una prospettiva politica. Questa che avevamo di fronte poteva esserlo: non la solita manifestazione che finisce lì, organizzata da partiti e da gruppi, ma l’inizio di una presa delle piazze in stile spagnolo. Era un inizio possibile, di lì potevano dipartirsi altre ipotesi, un ventaglio di altre possibilità. Non per buonismo dunque, ma per efficacia politica reputo che abbiamo perso un’occasione. Rispetto alla serata di sabato, a mente più fredda, credo che sia ancora possibile arrivare a costruire un’ipotesi del genere, anche se più difficile. E per costruire il movimento non basta il servizio d’ordine, occorre lavorare prima. Ci vorrebbero acampadas in tutte le città. E a quel punto, anche l’ipotesi di presa dei palazzi assumerebbe un altro senso. A quel punto sarebbe davvero “autonomia delle pratiche”: dove invece sabato non c’è stata autonomia, ma prevaricazione.

  32. Va bene, ma non guardiamoli con disprezzo. In una prossima manifestazione potrebbero anche rimetterci di persona (Carlo Giuliani era uno di loro). E’ da prevedere che in una prossima manifestazione le forze dell’ordine si sentiranno autorizzate ad agire in maniera più dura: non di contenimento ma di offensiva. Loro potrebbero essere le prime vittime di una violenza conservatrice agita non contro le cose ma contro le persone. A meno che non si riesca a costruire pazientemente un discorso diverso, più ricco di contenuti, che però nemmeno io saprei dire qual è. Quanto all’occupazione delle piazze in stile spagnolo e americano, rimane nel campo dei gesti simbolici, come le manifestazioni e le feste: è molto bella, io vorrei crederci, ma bisogna anche prendere atto che il sindaco di New York ci ha messo poco a sgomberare Wall Street.

  33. scusa nevio, affrontiamola pure laicamente la questione dello scontro e lasciamo da parte, per fortuna, la distinzione tra manifestanti buoni e manifestanti cattivi. pendiamoci però le nostre responsabilità.

    sull’uso della violenza, che resta una scelta da disperati (in senso “tecnico”, e val di susa lo dimostra), bisogna mettersi d’accordo: non la si può invocare in modo avanguardistico o autonomo, senza cercare di coinvolgere il resto del corteo (che quando ha dovuto difendersi in p.zza s. giovanni non ha certo aspettato i caschi neri). i gruppi che decidono di investire la propria presenza in piazza e quindi tutto l’impatto del corteo (e possiamo discutere sull’utilità, adesso, dei cortei) sugli scontri non possono parassitare il resto del corteo, usandolo come rifugio e copertura. cioè: lo possono fare ma allora è chiaro il rapporto che instaurano con gli altri soggetti. e francamente non è un rapporto che considero da “compagni” o che mi spinge a considerarmi uno di loro.

    ed è proprio questo il nodo politico, non altri: l’inclusione inizia da un riconoscimento reciproco mentre la “mistica della jacquerie”, come la chiama giustamente più sopra mascitelli, rifiuta qualunque luogo di riconoscimento. intendo: io e altri possiamo vedere che questi ragazzi condividono più o meno le nostre condizioni di vita ma se loro non vedono che anche noi condividiamo in tutto o in parte le loro e ci considerano parte del problema o mero contesto da sfruttare, non andiamo lontano. o meglio, io e gli altri qualcosa faremo: saranno loro a rimanere nella condizione di teppisti.

    cmq devo dire che vedo una svolta sorprendente (ma mi rendo conto che non dovrei sorprendermi), nel dibattitto ufficiale sugli scontri, nell’editoriale odierno di rusconi sulla stampa:

    http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9329

  34. Concordo, Gherardo, è ció che dicevo anch’io su fb: e quella che descrivi è la sensazione che io e molti altri abbiamo avuto in quelle ore in piazza. L’imposizione del fattore mistico (mistica dello scontro di piazza dicevo io, della jacquerie dice Giorgio) al resto della piazza. È questo il punto.

  35. Continuo comunque a ritenere strano, direi perfino stravagante, occuparci del ruolo dei trecento (secondo me erano quasi mille in realtà), mentre non si dice nulla del movimento degli indignados in quanto tale, che si vorrebbe grande in adesioni e che dovrebbe aprire chissà che prospettive politiche.
    Il punto più importante è proprio questo, che l’esordio di sabato è stato disastroso per le ragioni che io ed altri dicevamo. La cosa mi appare ancora più grave dopo avere ascoltato il Francesco ricercatore universitario intervistato dall’Annunziata, che sembra o non rendersi conto della gravità dei fatti per la sorte del movimento, o fa finta di nulla, minimizza in pieno stile politichese (o forse l’uno e l’altro).
    C’è un problema forse contingente relativo al modo di condurre le manifestazioni, ma ce n’è uno di fondo che appunto riguarda la spontaneità del movimento e come questo possa garantire la propria autonomia, se ce l’ha e se ci crede.

  36. Insomma, se nelle altre nazioni si cercano di bloccare i centri del potere, facendosi anche arrestare, in Italia si accettano i diktat della questura sul percorso del corteo e si appronta la solita farsa del comizietto finale. Gli “incappucciati” hanno espresso la loro contrarietà a questa farsa. Hanno cominciato in pochi, ma hanno raccolto più consenso di quanto voi stessi siate disposti ad ammettere. Fate i conti con questo consenso, che è reale. Qui non c’è nessuna “mistica della jaquerie” (quanto è consolante questa frase!), ma una precisa volontà di rompere con le compatibilità: una volontà politica, che solo in seconda istanza è diventata “militare”. Screditare quanto successo mettendolo sul piano solo “formale” (l’estetica della rivolta), non agevola la comprensione. Come bene dice la Salardi, si è trattato di un odio di classe che non ha accettato nessun compromesso. Come ca**o fate a leggerlo negativamente? Quando un odio di classe si esprime, in qualsiasi modo lo faccia, non è solo da comprendere, ma è da sostenere, sempre e comunque; da sostenere perché è sulla base di quell’odio che si può cominciare a costruire un altro discorso. Forse non vi rendete conto, ma non state facendo discorsi molto diversi da quelli che in queste ore stanno facendo i vari “pompieri” dei conflitti sociali; state ripetendo lo stesso schema. Certo, non parlate esplicitamente di “cattivi”, ma scrivete di persone che hanno “parassitato il corteo”: un parassita, potete girarla come volete, resta un parassita, una cosa cattiva da eliminare. No! Non è quello il marcio! Io sono con loro, darò la mia solidarietà agli arrestati, senza nascondermi in frasi di comodo. A differenza di quanto scrive Rusconi nel suo articolo (un articolo di merda, per quanto mi riguarda; il solito sguardo del borghese “illuminato” che non può che esaltare l’associazionismo cattolico), i “violenti” NON sono esterni al movimento. Sono anche loro il movimento. La loro istanza è stata discussa apertamente, sino alla rottura tra le due anime che è avvenuta PRIMA di sabato 15: nelle assemblee dove c’era chi voleva andare verso i “centri del potere”, così come accade nelle altre nazioni, e chi, invece, appunto accettando i diktat della Questura (lo illustrano molto bene i No Tav), verso la “periferia”. Smettiamola di pensare che la rottura sia avvenuta in piazza; non è vero! Tutti sapevamo che sarebbe finita così: tutti! Certo, magari, anche chi non lo voleva, ben sapendo di quella eventualità, pensava che quell’istanza non avrebbe raccolto così tanti consensi e che fosse in grado di mettere in gioco una tale forza; ma qui il problema è di chi non riesce a cogliere le tensioni, ciò che cova sottobrace. L’esasperazione è forte, non nascondiamoci. La rabbia, la rivolta, lo scontro di quelle dimensioni, con migliaia di giovani (migliaia!, altro che 300!!, e tutti tra i 17 e i 25 anni), hanno una valenza positiva: ci sbattono in faccia la nostra inadeguatezza. Perché non facciamo diventare il 15 ottobre il nostro grande specchio di riferimento? Guardiamoci in faccia e chiediamoci: che cosa abbiamo fatto, in questi anni, noi come “sinistra”, per evitare la loro precarietà totale? Se il movimento “non inizia” a causa di quella “violenza” è un movimento che non deve iniziare. Ripetere il rito dei discorsi sull’opportunità di arrivare a quella esplosione non giova; in fondo, si sta ripetendo il solito schemino, cominciato con gli scontri di Piazza Statuto nel 1962 e ripreso nel biennio 68-69, sino alla scacciata di Lama dall’Università, per giungere ai giorni nostri passando dalle manifestazioni per la pace degli anni ’80 e a quelle contro il nucleare, e poi a Genova 2001: da una parte ci sono “i teppisti”, quelli che “parassitano i cortei”, d’altra ci sono gli “altri” manifestanti, quelli politicamente più avveduti … No! No! No! Discutiamo delle pratiche, della loro opportunità, di quanto sia più o meno sensato rompere … Ma se continuiamo a farlo “escludendo” – perché questo è quello che passa dai vostri discorsi, lo vogliate o no – resteremo al punto in cui siamo: la peggiore “sinistra” che mai abbia calcano la scena della politica! Vi piace il teratrino odierno? Bene, continuate a sparare merda sui violenti; non vi piace? E allora, “abbracciateli”* come fratelli. Un fratello si ascolta; magari poi lo si prende a sberle, ma lo si ascolta e lo si accoglie. Qui, con i vostri distinguo, con le vostre precisazioni di correttezza politica, con le vostre prese di distanza, mi sembrate più propensi a stritolarli.

    NeGa

    ***

    * “Abbiamo ieri partecipato alla immensa manifestazione. Eravamo interni al grandissimo spezzone «Noi il debito non lo paghiamo», costituitosi il 1 ottobre scorso. Avremmo dovuto essere a ridosso della testa del corteo. L’enorme partecipazione di popolo ha fatto tuttavia saltare ogni ordine di posizionamento, relegandoci molto indietro. Non abbiamo dunque partecipato alla rivolta di strada. Ciò che non ci impedisce, non solo di comprenderla, ma per certi versi, di abbracciarla, in barba a tutta la retorica condannista dei “teppisti”, dei “provocatori”, dei “violenti”.”

  37. ero nello spezzone di corteo che è riuscito a raggiungere san giovanni.
    non avevo la minima intenzione di partecipare a scontri di piazza.
    purtroppo le “forze dell’ordine” hanno scatenato lo scontro proprio nella “nostra” piazza (quella che già era considerata un “ripiego”, come sottolineano con chiarezza i NOTAV).
    tra i cellulari blindati che corrono impazziti nella piazza ancora gremita di gente, colpendo tra l’altro il tir dei cobas rimasto incastrato tra gli scontri, e gli indiani che corrono urlando usando quasi solo i loro corpi (sono migliaia, capiamoci subito su questo, uno su dieci ha il casco, uno su dieci è vestito di nero, quasi nessuno è armato se non di materiali di risulta), non è la politica che mi fa schierare, ma l’istinto: sto con gli indiani, con le migliaia di indiani che a rischio della pelle (e facendola rischiare anche a me) ripiegano e attaccano, usando il corteo – quel che ne è rimasto, schiacciato sui lati della piazza – come scudo e come difesa.
    gli indiani, diciamolo, ottengono una vittoria militare (e lo dico senza orgoglio, perché l’aspetto militare non mi interessa), che sarebbe stata clamorosa se dietro il corteo avesse “retto” e fosse entrato nella piazza.
    ma dietro non c’era più alcun corteo.
    manca il “raccordo”, politico, organizzativo, forse anche esistenziale.
    ma se abbiamo delle energie, lavoriamo su questo, non facciamoci del male cercando colpevoli e aggravando le differenze e isolando questi nostri fratellini ancora di più.
    loro non hanno coinvolto me, ma forse io ho fatto altrettanto con loro.
    è una bella sfida, vale la pena partecipare.

    p.s. per me oggi siamo più forti di ieri, a patto di saper utilizzare la conoscenza che il 15 ottobre ci ha dato, a patto di non lasciare fuori nessuno, di adoperare strategie politiche inclusive, e tattiche un po’ meno rassegnate.

  38. no guarda nevio che non ci stiamo capendo. come al solito è chi militarizza la politica che si esclude, perché usa il movimento e in subordine il corteo come terreno da attraversare e non come insieme di soggetti con cui interloquire. ed è esatto: un parassita, anche se esprime odio di classe, rimane un parassita. e purtroppo non posso costruirgliela io una soggettività diversa: se a lui/lei basta quella del guerrigliero nascosto tra gli “imbelli” e le loro “carnevalate”, è lui/lei che rifiuta il movimento ed il corteo non viceversa. quindi prendiamoli davvero sul serio: non sono degli esclusi; sono degli individualisti con un’idea conseguente dell’azione politica. a me quell’idea non solo non interessa e non la condivido (e inoltre non ha strutturalmente bisogno di solidarietà) ma, per di più, mi costringe in angoli non meno alienanti di quelli in cui mi mette il capitale.

  39. Avrei risposto esattamente come Gherardo. Aggiungo che certo, si tratta di includere e non di escludere, di riconoscere e non disconoscere. Per ne i caschi neri non sono né nemici né alieni. Ma il riconoscimento dev’essere reciproco, e per adesso non abbiamo iniziato bene. (e aggiungo ancora: neppure dal punto di vista di uno scontro generalizzato l’azione di sabato ha senso)

  40. Insomma, se nelle altre nazioni si cercano di bloccare i centri del potere, facendosi anche arrestare, in Italia si accettano i diktat della questura

    @ng ma veramente gli occupy wall sreet che sfilavano non potevano neppure scendere dal marciapiede, come mettevano un piede giù venivano arrestati ;-)
    Altro che diktat della questura sul percorso del corteo ;-)

    Il passato serve e se ne deve fare tesoro, ma bisogna anche usarlo con cautela, ad esempio la rivolta di piazza dello statuto non ha più nulla a che vedere con quello che succede oggi o per lo meno non più di quanto la rivolta dei ciompi avesse a che vedere con piazza dello statuto.
    Qui si stanno (si tenta almeno) costruendo le strutture antagoniste al capitalismo globale, i sindacati globali e le varie protezioni per quel 99% che non le ha più, è la prima volta che succede ed è un processo enorme, rischioso e pericoloso. Certo che esistono le differenze di classe, viste da vicino (anche se non è certo che i BB siano più proletari dei giovani pacifisti, anzi), ma esistono molto meno nel fenomeno visto nel suo insieme.
    La posta in gioco è enorme e quel 1% (che detiene il potere) reagirà con sempre più violenza (altro che BB) e si è visto a genova nel 2001 dove furono fatte le prove generali … forse non è un caso se dopo poco c’è stato l’11 settembre che ha annichilito e cambiato il mondo (ma sull’11 settembre sappiamo ancora troppo poco).
    Alcuni di voi dicono che sarebbero state meglio le tende che fare il corteo, forse, ma ho anche il dubbio che con le forze dell’ordine sotto un governo di destra non sia molto prudente restare a dormire (non autorizzati) nelle tende dopo un così vasto arrivo di persone (che in fondo non avevano nè proposte nè richieste politiche precise), meglio sfilare e sfidare il rischio dei soliti bischeri che scassano e che tutti sapevano che ci sarebbero stati compreso la polizia che non è tonta come appare.
    Isolare i violenti “‘ndo cojo cojo” (che fanno sempre e comunque il gioco dell’1%) che sono infiltrabili e strumentalizzabili sarebbe meglio, ma per ora non è possibile, per farlo ci vuole la Politica e per ora NON c’è, nè dentro nè fuori al movimento.

  41. Per capire i rapporti tra Black Bloc e indignati:

    ROMA – «Fuori, fuori, fuori». Bastardi, urlano i manifestanti a chi sta sfasciando il corteo e la città, fascisti, violenti, vigliacchi. Non hanno che la forza delle loro voci e li sfidano senza aver paura dei caschi, dei bastoni e dei martelli. Li inseguono, cercano di bloccarli più volte, a via Cavour, in via Labicana e a San Giovanni. Arrivano ad attaccarli, a prenderli a calci, a lanciare bottiglie, ingaggiano una lunghissima lotta che non si ferma nemmeno di fronte alle fiamme. La rabbia disarmata contro la violenza programmata, gli indignati pacifici contro i guerriglieri e viceversa. E gli applausi per le cariche della polizia, «vergogna, vergogna» grida la folla bloccata nella piazza mentre i «neri» lanciano sampietrini e incita le forze dell’ordine a disperderli. Scene mai viste: chi sorregge cartelli e sfila per esprimere l’indignazione di un lavoro precario, di un futuro che non c’è, di una crisi che rende incerto il domani si coalizza con quelli che indossano la divisa, li aiuta, fa il tifo per i blindati. E lottano come possono, i manifestanti, per fermare quei violenti dal volto coperto che li privano del diritto di farsi sentire, che gli tolgono la strada e ne fanno teatro di guerra. Ma i duri reagiscono e caricano chiunque tenti di bloccarli. C’è chi lascia il corteo spezzato in lacrime, «è stata una sconfitta».

    Un gruppo di incappucciati si piazza davanti a uno striscione giallo a metà di via Cavour, rallenta il corteo. Chi è dietro spinge, cerca di strappare i bastoni dalle mani, insulta, ha già intuito che si sta preparando un’azione. Si arriva quasi allo scontro tra i due gruppi. Alcuni sostenitori di Legambiente escono dal corteo e provano a creare un cordone intorno ai black bloc. Non ce la fanno, «quelli con il passamontagna hanno caricato i ragazzi di Sel», raccontano alcuni testimoni e mostrano le immagini sul cellulare. Poco dopo i «neri» si allontanano coperti dal fumo di due auto in fiamme e inseguiti dall’urlo della folla «via, via, scemi». La gente grida sempre più forte, «bastardi, fuori dal corteo», cresce la rabbia e la paura. Un militante dei Cobas che cerca di far allontanare la folla dalle fiamme è colpito in testa da una bottiglia. Un sostenitore di Sinistra e libertà viene aggredito mentre tenta di fermare un lancio di bottiglie contro i vigili del fuoco, rischia di perdere due dita di una mano.

    In via Labicana, davanti all’agenzia interinale Manpower, c’è ancora l’aria carica dei fumogeni accesi dai teppisti che hanno appena devastato gli uffici. Uno dei violenti si attarda, sta per raggiungere il gruppo quando un anziano lo afferra per un braccio e gli sferra un calcio nel sedere, «e adesso vai via bastardo». E sulla stessa strada, quando i black assaltano un’edicola sacra e rompono un vaso di fiori per la Madonnina, scoppia la rissa: i pacifici li inseguono e li spintonano, cercano di scacciarli dal corteo, ma quelli proseguono la loro marcia violenta. Non ha timori un fotografo milanese ad affrontare alcuni dei ribelli, «siete dei vigliacchi, a Genova giravano con il volto scoperto». E in largo Visconti Venosta una parte del corteo corre dietro agli incappucciati per impedire che usino le mazze.

    Duecento manifestanti, a piazza San Giovanni, sotto la statua di San Francesco urlano «no violenza» con le braccia alzate. Gli altoparlanti che dovevano servire per lanciare slogan diffondono un invito alla resa: «Ragazzetti con i caschi, fatela finita. Uscite dal corteo e tornate a casa». Partono gli applausi della folla quando la violenza degli idranti cerca di disperdere i gruppi, si grida «vergogna» per incitare a cariche più decise. Un lungo, liberatorio applauso alle ultime cariche della polizia. I manifestanti aiutano la polizia a bloccare i «neri», indicano la direzione verso cui fuggono.

    L’indignazione inespressa, sotto un cielo pesante di fumo, diventa paura e poi rabbia. «Abbiamo fatto seicento chilometri da Brescia, tutto rovinato da un gruppo di cretini», Mauro s’allontana da via Cavour più indignato di prima, spinto dalla folla in fuga verso le scale di San Pietro in Vincoli. Silvia, 24 anni torinese, piange: «E’ una sconfitta per la libertà di manifestare, ci hanno tolto anche questo diritto. E adesso che ci resta?». Una sindacalista romana di 57 anni mette sotto accusa le manifestazioni ai tempi dei social-network, «sono pericolose, troppe spontanee. Con il tam-tam della rete raccogli di tutto, non c’è più controllo. Perché non sono state impedite queste infiltrazioni?».

    Arrabbiati, più che mai, perché «tutto era tristemente prevedibile», Michel, venuto da Avezzano, li aveva visti «e come me tutti gli altri. Erano ovunque, a piazza Esedra, con le spranghe e i passamontagna». Perché non li hanno fermati?, si chiedono adesso in tanti. Dov’era la polizia? «Si capiva da subito che c’era una brutta aria. Io e la mia amica», racconta Laura, «eravamo guardinghe, ma mai e poi mai potevamo immaginare di assistere a queste scene di violenza inaudita. La gente cercava di contrastarli e loro reagivano. Ma quando ci sono le mazze da baseball c’è poco da fare, quelli erano in tenuta paramilitare».

    Da Il Messaggero

  42. Sarà bene anche riportare per esteso il contenuto del link di Alcor, che descrive bene con chi abbiamo a che fare, quando si parla di Black Bloc:
    Vorrei far notare l’arroganza e la disonestà dell’intervistato quando dice che il Movimento sa chi sono e cosa vogliono fare ma fanno finta di non conoscerli: cosa cazzo dovrebbero fare, rinunciare a manifestare perchè sanno che ci sono anche loro? Denunciarli? Lo hanno fatto, alcuni: hanno portato i video degli sfasci in procura, lo posto dopo.

    ROMA – E’ un “nero”. F. è pugliese, ha 30 anni all’anagrafe, una laurea, un lavoro precario e tutta la rabbia del mondo in corpo. Sabato le sue mani hanno devastato Roma.

    E lui, ora, ne sorride compiaciuto. “Poteva esserci il morto in piazza? Perché, quanti morti fa ogni giorno questo Sistema? Chi sono gli assassini delle operaie di Barletta?”.

    Non i poliziotti o i carabinieri a 1.300 euro al mese su cui vi siete avventati, magari. Non quelli che pagano a rate le macchine che avete bruciato. Non il Movimento in cui vi siete nascosti.
    “Noi non ci siamo nascosti. Il Movimento finge di non conoscerci. Ma sa benissimo chi siamo. E sapeva quello che intendevamo fare. Come lo sapevano gli sbirri. Lo abbiamo annunciato pubblicamente cosa sarebbe stato il nostro 15 ottobre. Ora i “capetti” del Movimento fanno le anime belle. Ma è una favola. Mettiamola così: forse ora saranno costretti finalmente a dire da che parte stanno. Ripeto: tutti sapevano cosa volevamo fare. E sapevano che lo sappiamo fare. Perché ci prepariamo da un anno”.

    Vi preparate?
    F. sorride di nuovo. “Abbiamo fatto il “master” in Grecia”.

    Quale “master”?
    “Per un anno, una volta al mese, siamo partiti in traghetto da Brindisi con biglietti di posto ponte, perché non si sa mai che a qualcuno viene voglia di controllare. E i compagni ateniesi ci hanno fatto capire che la guerriglia

    urbana è un’arte in cui vince l’organizzazione. Un anno fa, avevamo solo una gran voglia di sfasciare tutto. Ora sappiamo come sfasciare. A Roma, abbiamo vinto perché avevamo un piano, un’organizzazione”.

    Quale organizzazione avevate?
    “Eravamo divisi in due “falangi”. I primi 500 si sono armati a inizio manifestazione e avevano il compito di devastare via Cavour. Altri 300 li proteggevano alle spalle, per evitare che il corteo potesse isolarli. L’ordine che avevano i 300 era di non tirare fuori né caschi, né maschere antigas, né biglie, né molotov, né mazzette fino a quando il corteo non avesse girato largo Corrado Ricci. Non volevamo scoprire con gli sbirri i nostri veri numeri. E volevamo convincerli che ci saremmo accontentati di sfasciare via Cavour. Ci sono cascati. Hanno fatto quello che prevedevamo. Ci hanno lasciato sfilare in via Labicana e quando ci hanno attaccato lì, anche la seconda falange dei 300 ha cominciato a combattere. E così hanno scoperto quanti eravamo davvero. A quel punto, avevamo vinto la battaglia. Anche se loro, gli sbirri, per capirlo hanno dovuto aspettare di arrivare in piazza San Giovanni, dove abbiamo giocato l’ultima sorpresa”.

    Quale?
    “La sera di venerdì avevamo lasciato un Ducato bianco all’altezza degli archi che portano in via Sannio. Dentro quel Ducato avevamo armi per vincere non una battaglia, ma la guerra. Il resto delle mazze e dei sassi lo abbiamo recuperato nel cantiere della metropolitana in via Emanuele Filiberto”.

    Sarebbe andata diversamente se avessero caricato subito il corteo in largo Corrado Ricci e vi avessero isolati.
    “Non lo hanno fatto perché, come ci hanno insegnato a fare i compagni greci, sono stati confusi dal modo in cui funzionano le nostre “falangi””.

    Come funzionano?
    “Siamo divisi in batterie da 12, 15. E ogni batteria è divisa in tre gruppi di specialisti. C’è chi arma, recuperando in strada sassi, bastoni, spranghe, fioriere. C’è chi lancia o usa le armi che quel gruppo ha recuperato. E infine ci sono gli specialisti delle bombe carta. Organizzati in questo modo, siamo in grado di assicurare un volume di fuoco continuo. E soprattutto siamo molto snelli. Ci muoviamo con grande rapidità e sembriamo meno di quanti in realtà siamo”.

    È la stessa organizzazione con cui funzionano i reparti celere.
    “Esatto. Peccato che se lo siano dimenticato. Dal G8 di Genova in poi si muovono sempre più lentamente. Quei loro blindati sono bersagli straordinari. Soprattutto quando devono arretrare dopo una carica di alleggerimento. Prenderli ai fianchi è uno scherzo. Squarci due ruote, infili un fumogeno o una bomba carta vicino al serbatoio ed è fatta”.

    Parli come un militare.
    “Parlo come uno che è in guerra”.

    Ma di quale guerra parli?
    “Non l’ho dichiarata io. L’hanno dichiarata loro”.

    Loro chi?
    “Non discuto di politica con due giornalisti”.

    E con chi ne discuti, ammesso che tu faccia politica?
    “Ne discuto volentieri con i compagni della Val di Susa”.

    Sei stato in val di Susa?
    “Ero lì a luglio”.

    A fare la guerra.
    “Si. E vi do una notizia. Non è finita”.
    Repubblica, 17 ottobre 2011.

  43. I manifestanti consegnano in procura video per identificare i violenti:

    INDIGNATI: DA CITTADINI VIDEO PER IDENTIFICARE TEPPISTI

    A prima vista è un fatto inedito. I manifestanti consegnano agli inquirenti video amatoriali per cercare di identificare i teppisti che ieri hanno devastato la città e il corteo degli Indignati con atti di vandalismo. I video, girati con telecamere amatoriali e cellulari, vengono forniti spontaneamente e sono al vaglio della Digos e della polizia scientifica. Gli investigatori stanno visionando anche le tantissime immagini delle telecamere in strada e quelle della scientifica.

    Da qui http://www.unita.it/italia/indignati-video-sui-black-bloc-a-polizia-1.342675

  44. (è ridicolo che un “black bloc”, come lo chiamano ovviamente, vada a raccontare questo a un “giornalista” – e qui ci vogliono molte più virgolette. Cioè, gli svela le tattiche e però non ci parla di politica. Ahahah. Ma ci prendono tutti per scemi?)

  45. L’intervista al black bloc, se vera, e’ tragicomica. Il giornalista gli fa domande quasi solo sull’aspetto militare e il precario dice che con il giornalista di politica non vuole parlare.

    I media vanno usati, e non solo per farsi pagare qualche centinaia di euro un’ intervista. Durante il master in Grecia queste cose non le hanno spiegate?

  46. Che intervista maldestra, troppo telefonata, che rasenta l’idiozia.
    Vanno in grecia ad addestrarsi, comprano biglietti di posto ponte – per non farsi rintracciare – e poi svelano il trucco. Ma cercate di trovare un black bloc vero. Hahahahaha, ma quanto siete pirla !!!

  47. io non lo so se è vera, falsa, taroccata, non ho visto neppure la tv italiana, perciò prendo tutto con le molle e non esprimo pareri, salvo una perplessità, c’è odio, è vero, ma sarà odio “di classe”? di fronte a tutto questo mi pare una categoria vecchia, o almeno un po’ troppo semplice

  48. l’odio per la classe politica non è necessariamente odio “di classe” , questa classe politica è odiata profondamente anche da gente che un bancomat non lo striscerebbe neppure alla lontana, persino da gente che l’ha votata

  49. Impostare il discorso in termini di: il problema è come i media, o la polizia, o la politica, utilizzano questo scontri, e dunque cerchiamo argomenti di precisazione, di bilanciamento, di controinformazione, è ovviamente un modo per evitare di porsi, ognuno, in proprio, la questione politica della violenza all’interno di un movimento di cui sente di far parte.
    Possiamo parlare della manipolazione mediatica. E’ il discorso più facile.
    Possiamo parlare degli abusi della polizia. (C’è sempre materiale.)
    Della lotta di classe gestita dalla politica di governo.
    Possiamo parlare delle ragioni sociologiche e umane di questi atti.
    Ad un certo punto dovremmo parlare, pero’, del loro significato politico, del loro uso politico, per noi. In prima persona, dal momento che io non delego a nessun avanguardia magicamente autoinvestitasi di scegliere le modalità di lotta al mio posto, durante una manifestazione che coinvolge una stragrande maggioranza di persone contrarie a quel metodo.
    I servizi d’ordine non so se siano l’unica o la migliore situazione praticabile, ma ne sono una concreta.

  50. Certo che è lotta di classe Alcor:
    In alto ci sono i mercanti(di denaro) e i banchieri(che sono uomini e donne appartenenti a una classe sociale ben precisa), e la politica serve loro per costringe il resto della popolazione all’acquiescenza. Le politiche per che inducono all’acquiescenza impoveriscono le classi più povere(dei loro diritti, ma anche delle loro ricchezze); queste hanno resistito finché anno potuto farlo: finché circolava un quota di denaro sufficiente che permetteva di intaccare in modo minimo(anche se progressivo) i risparmi delle generazione precedente, che di fatto mantengono(vano) le l’attuali. Si sta rompendo l’equilibrio e i primi ad accorgersene sono coloro che non possono contare più sul contributo della generazione precedente(genitori), ne possono contare su se stessi, perché a loro il futuro è stato negato a tavolino dalle politiche del consumo promosse dai mercati e dai banchieri, che della politica si servono per proteggere i loro interessi a spese dei più poveri. I black bloc sono, secondo me, l’espressione “armata” di quest’ultimi. In Italia si è aspettato troppo a ribellarsi e i black bloc sono la conseguenza, che dobbiamo accettare e dobbiamo risolvere. L’atteggiamento più sbagliato è tentare di sopprimere questa manifestazione di sofferenza arrivata, evidentemente, ai limiti sopportabili. I soggetti che hanno preteso di fermare la violenza a mani nude (gridando andatevene) e che in queste ore forniscono il proprio materiale audiovisivo per agevolare le identificazioni, evidentemente, non hanno ancora raggiunto i limiti di sopportazione dei primi, per privilegio sociale o culturale.

  51. Non ho partecipato alla manifestazione di Roma. Scelta meditata. Per le seguenti ragioni:

    1. Movimento eterogeneo a cui non era riuscita, in partenza, una sintesi tematica e di pratiche.

    2. Modalità di mobilitazione vetusta. Come faceva notare ieri Wu Ming. Possibile che non si riesca ad uscire dall’idea dell’evento? Si sono importati slogan e denomimazioni da fuori (Spagna/USA) ma non è stato possibile introiettare pratiche diverse dal solito ingestibile corteo.

    3. Nessun tentativo di elaborare contenuti politici. L’idea era l’assedio? L’inizio di una mobilitazione permanente? allora perchè non creare diversi “focolai” di protesta? Armiamoci e contiamoci? siamo sempre fermi lì.

    Nelle mobilitazioni in USA, Spagna e Israele ci si è dati tempo. Tel Aviv è cominciata con una sola tenda (una non 10 o 20). Il progetto era ed è quello di durare e non di bruciare. Pretendere ascolto limitandosi al boato non funziona. In Italia soprattutto. L’impito va sostituito con la perseveranza. Dobbiamo liberarci della sindrome di Genova.

    Se al movimento non riesce un ripensamento di se stesso prima di tutto. Non vedo come possa cominciare qualcosa di nuovo.

  52. NeGa, scusa se te lo dico, ma provo il massimo disgusto a leggere quello che scrivi. Ieri molti hanno rischiato di rimetterci la pelle per colpa vostra (non so se eri tra loto, ma visto che ti proclami “uno di loro” sparo nel mucchio, scusami ma la mia reazione è proprio di pancia).

    Ci avete usato come scudi umani, entrando e uscendo dal corteo e provocando la polizia perché attaccasse il corteo. Avete cercato di bloccare le persone a Via Labicana scassando tutto, dando fuoco alla caserma e chiamando le cariche. Se non c’è stato il morto è stato solo un caso. Non ci sarebbe voluto niente perché si rimanesse schiacciati da quella folla immensa atterrita e incapace di muoversi in uno spazio angusto. Le scene che si vedevano ai margini degli scontri erano disastrose: ragazzi che piangevano, vomitavano, terrorizzati.

    Pensa che avevo persino detto ai miei studenti di venire alla manifestazione, spiegando loro le ragione giuste della protesta. Se solo penso che avrebbero potuto farsi del male per colpa delle vostre azioni terroristiche, mi sale una rabbia immensa, peggiore di quella che potrei mai avere contro lo Stato il Potere e tutte le fesserie che hai scritto.

    Non c’è nessuna consequenzialità intrinseca tra la condizione di malessere e le pratiche fasciste che avete messo in campo (compreso il ferire, intimorire e minacciare i compagni e le compagne). Questo storicismo d’accatto è veramente il giusto orpello all’idiozia dei tuoi ragionamenti allucinati.

    Siete la solita sedicente avanguardia di stolidi puntellatori del potere. Potevamo incominciare a guardare avanti mettendoci da parte potere, polizia e Stato invece avete richiamato l’apparato polizesco a fare il suo dovere. Ah, scusa ACAB sempre e comunque. Ci vediamo in curva Sud a discutere il prossimo Vast Programme dell’illuminata oclocrazia del sanpietrino.

    Invece di proteggere il corteo, lo avete esposto alla violenza diretta e indiretta. Vigliacchi e codardi.

    Non ti sprecare a fare lezioni di storia, perché non ti si addicono, visto il profilo etico con il quale palesi il tuo essere nella società. Nemmeno le Br dicevano le minchiate che hai scritto tu. E almeno loro non usavano i corpi di persone innocenti per farne carne da macello per la PS.

    Da ora in poi so che alle manifestazioni dovrò guardarmi non solo dai poliziotti, ma anche da gente come te. Da ora in poi dovremo militarizzare i cortei ed è una cosa odiosa. Da ora in poi i miei ragazzi non potranno più venire ad esprimere il loro diritto democratico al dissenso.

    Ti disprezzo.

    Carlo Antonicelli.

  53. concordo in pieno con quanto dice Andrea Inglese che non si puo’ non fare una valutazione politica dell’uso e abuso della violenza esercitata in modo assolutamente gratuito e inconsapevole.
    Ma non è questo il caso.
    Ci troviamo di fronte a frange piccolissimo-borghesi, cresciute con la tv in mezzo al crollo delle ideologie e al trionfo del mito consumistico.

    Negli ultimi decenni, di fornte all’avanzare della crisi sistemica dell’economica di mercato, l’unica ricetta che i paesi occidentali hanno saputo dare per risolvere i profondi squilibri sociali (crescita dei profitti a danno dei salari operai e della classe media) ed economici (crescita della disoccupazione strutturale e utilizzo degli immigrati per i lavori piu’ degradanti) è stata quella di spingere i consumi (prestiti al consumo e mutui prima casa) attraverso il credito bancario. E’ stata oinsomma creata una montagna di moneta/richhezza viortuale finchè la bolla non ha cominciato a scoppiare e gli investitori si sono cominciati a chiedere se l’enorme debito era sostenibile ( il debito USA da solo è più grosso di di quello europeo).
    Quindi a questo punto si delineano due strade.
    Chi rivendica lo stile di vita del passato
    chi rivendica invece nuovi modelli di economia basati sul principio/etica del bene comune.

    La seconda strada non può certo essere percorsa a colpi di ignoranza di e di violenza indiscriminata.
    Per cambiare le cose ci vuole passione, metodo, rigore, studio.

  54. è proprio sull’appartenenza a una “classe sociale ben precisa” che ho dubbi, la rozza (absit iniuria) contrapposizione tra mercanti di denaro e banchieri da una parte e tutto il resto dall’altra, un tutto il resto che all’improvviso diventa una sola classe, non mi convince, l’altra parte comprenderebbe allora anche quei borghesi illuminati che per esempio l’intervento di NeGa tende a respingere ai margini.

    Anch’io penso che la violenza bisogna capirla, ma non mi pare che la si capisca dicendo, è il braccio armato del movimento; anzi, la si mette sullo scaffale, pronti a riprenderla in mano alla prima occasione, sterilmente, a mio avviso.

    Possono sembrare questioni di lana caprina, ma non lo sono, secondo me, per capire e capirsi.

    Ho visto stupore, per esempio, sull’intervista al black bloc vero o presunto; ma come, ho letto qua e là, un cretino simile non può che essere falso. ma davvero? tanto per ricordare quanto siano confuse e permeabili le cose – mentre il concetto di classe tanto permeabile non era – ricordo che l’appartenenza di classe dei rivoltosi inglesi di poco tempo fa, non era una appartenenza “di classe”, ma una pulsione trasversale, e trasversale è stata la reazione di chi ha cercato di contrastarli.

    Cioè, parliamoci chiaro, rubavano anche i ricchi.

    Perciò, io mi chiedo, sappiamo? e chi dice di sentirsi contiguo a loro sa davvero chi siano?

    Il dubbio che il black bloc cretino si sia rifiutato di parlare di politica con i due giornalisti perché non avrebbe saputo cosa dire, salvo il programma delle due ore successive, scusatemi, è forte.

  55. NeGa un black bloc ?!?!?! °_° … ma che state dicendo ?

    .. e poi tu Carlo Antonicelli, sei impazzito ad invitare 16/18 enni alle manifestazioni di questi anni??? .. ma dove vivi ?.. in quale comodità esistenziale sogni?. Il delinquente sei tu !!!

  56. Alcor, il resto non è una sola classe ovviamente, i black bloc sono infatti la manifestazione del gradinio piu’ basso, o meglio, più impotente.

  57. Ares, falli tu gli inviti la prossima volta. E annunciamo pubblicamente che vietiamo le manifestazioni ai ragazzi di dai 18 in giù. Anzi sciogliamo l’uds e le altre organizzazioni studentesche che potrebbero azzardarsi a venire a manifestazioni dove per protocollo bisogna portarsi un sanpietrino da casa.

  58. per essere più chiara, penso che questa violenza sia il sintomo di una grave malattia sociale, che la responsabilità sia anche, ma non solo, della politica istituzionale, penso che ci sia troppa indulgenza per le manifestazioni di violenza intese come “necessarie” “sane” “inevitabili” anche da parte di chi non la pratica personalmente, penso che la violenza possa essere un eccitante, soprattutto per i molto giovani, e lo penso perché da molto giovane ho preso parte a molte manifestazioni e non ho perso la memoria, penso che quando è un eccitante sia para-fascista, anche quando pensa di essere il contrario.

  59. Ha ragione Alcor
    questo modo un po’ ingenuo e semplicistico di vedere l’economica non porta molto lontano.

    Negli ultimi decenni il debito privato (soprattutto negli uSA in Inghilterra e negli altri paesi europei è cresciuto a dismisura. In Italia è cresciuto soprattutto il debito pubblico.

    La banche hanno spinto il credito al consumo per la gioia dei consumatori (chi di voi non si è comprato un auto tramite un prestito bancario e/o delle finanziarie delle case automobilistiche ? ) che ne hanno goduto e abusato quasi orgiatsicamente. Il credito al consumo in qualche modo compensava la diminuzione del potere d’acquisto dei salari/stipendi (a beneficio dei profitti, le statistiche sono chiarissime)
    e viene concesso confidando nella crescita dell’economia e della ricchezza.
    Lo stesso dicasi per il debito pubblico. Le banche e le istituzioni finanziarie prestavano soldi all’italia confidando nella sua capacità di rimborso, In italia questo denaro pubblico prestato è stato sprecato rubato diustribuito in modo inefficiente, clientelare etc etc.

    In Europa c’e’ una banca centrale che governa la politica monetaria ma non c’e’ un governo centrale che governa la politica fiscale.

    Da qui a dire che nel nostro paese il peso del debito grava quasi esclusivamente sui redditi dipendenti che stringino la cinghia mentre le rendite e le classi parassitarie sperperanoe distruggono ricchezza ce ne vuole poco.

    Quindi i primi responsabili sono i governi nazionali. La nostra classe dirigente non ha mai voluto affrontare i nodi dell’arretratezza della nostra economia semi-feudale, corporativa e stracciona. E quindi ci ritroviamo con una crisi tutta nostra nel mezzo di una crisi strtutturale che interessa tutto l’occidente.
    il che è poco da ridere

  60. 1) Quando parlo di impotenza mi riferisco all’impotenza sociale, non di crear danno o offesa.. e i fatti purtroppo lo dimostrano.

    2)Mai affermato che la violenza sia “sana”, “necessaria”, “inevitabile”. Dico che è la manifestazione di un malessere grave. E la politica è il mandante, più o meno consapevole, di questa violenza.

    3) Antoniceli, invitare adolescenti alle manifestazioni di questi anni trovo sia un atto incoscente: spetta a noi, non più adolescenti, la lotta. Senza cercare solidarismi con creature che dovrebbero pensare ad altro.

  61. putroppo non ho tempo per leggere tutti i contributi.Ma senz’altro avrete trovato lo spazio per stigmatizzare il clima di intimidazione che pervadeva i media quasi costretti a trovare un linguaggio comune e un massimo comun divisore al solo scopo di travisare le ragioni dei manifestanti e creare complessi di colpa atti a giustificare un’agognata futura rassegnazione silenziosa.Più o meno quello che in scala diversa fanno nelle varie gomorra

  62. Spegnete la messa in scena mediatica per favore e accendete la mente.

    Cosa ci voleva a fermare i facinorosi? Poco! Bastavano piu’ poliziotti – in pettorina gialla magari – ai bordi del corteo pronti ad intervenire pre.ven.ti.va.men.te in caso di bisogno. Non e’ stato fatto. Perche’?

    Mi sembrate degli alienati. Ieri a Saint Paul ho visto molti manifestanti seduti a terra col laptop in mano a vedere se quello che stavano facendo accadeva per davvero in quanto raccontato dai media.

    Il problema resta proprio la gestione da parte delle forze dell’ordine delle grandi manifestazioni pubbliche. In Italia mi sembra che ci sia quasi una volonta’ politica di facilitare la degenerazione in violenza.

  63. > Sull’intervista.
    Si tratta di un evidente falso. E comunque, anche se fosse vera non sposterebbe di una virgola la questione che è alla base degli scontri: la reazione alla situazione di merda che quei giovani sono costretti a vivere. Questo è l’aspetto politico che quanti si indignano per le violenze tendono a mettere in secondo piano. Sì, lo scontro non porta a nulla (come se il comizio o la sfilata composta portassero a qualcosa!), però segnala un problema: un problema che è, prima di tutto, della “sinistra”, co-responsabile della loro precarizzazione e incapace di rappresentare le loro istanze. Io non voglio lasciarli soli. Come dice Michele, scelgo gli indiani. Poi, da parte, in assemblea o nel vis-a-vis, posso anche criticarne la scelta di assaltare fattorie isolate; mai, però, li esporrò, coi miei distinguo pelosi, alla solitudine sociale e, ancora peggio, alla repressione del generale Custer.

    > Sull’invito alla delazione.
    Un invito squallido, tragicamente squallido. E poi, nessuno si è accorto che l’invito, poi ripreso da tutti i media, L’Unità compresa (!), è partito da un blog fascista (ilfaziosoblog)? Ma sì, accodiamoci!

    > Sul servizio d’ordine.
    Quale servizio d’ordine può controllare una manifestazione così grande? Trecento Superman, forse; e con neanche la certezza di riuscirci. Bisognava esserci per capirlo.

    > Sulla repressione.
    Stamane hanno perquisito centinaia di appartamenti, anche di gente che a Roma neppure c’era. Non hanno trovato nulla di rilevante (qualche canna e poco altro) e nessuno è stato arrestato. Quanti non violenti o sinceri democratici si indigneranno per questa che è una vera e propria azione di intimidazione?

    > Su Di Pietro.
    Pensare, come fa Illuminati, che è colpa dei “violenti” se c’è chi invoca una nuova Legge Reale, è – come dire? – ecco, direi che è … diciamo che è … [mi vengono solo termini cattivi; mi autocensuro]. Di Pietro è da sempre un “giustistialista”, e non da sabato 15 ottobre! Ed ha sempre – sempre! – avversato i movimenti. Ma continuiamo a inchiodarci da soli alla croce.

    > Sul Coro Anti Violenza.
    Un’interessante unità trasversale sta condannando i “violenti”. Una finalmente realizzata Unità Nazionale. Evviva la diserzione!

    > Carlo Antonicelli
    Ti consiglio di indirizzare il tuo dispresso da un’altra parte. Con me perdi solo tempo e non arrivi da nessuna parte: sono un bersaglio facile, però anche inutile. In ogni caso, Achab sempre e comunque, in barba a ogni Moby Dick.

    NeGa

  64. @Ares… che bella idea: la Rivoluzione la facciamo noi 50enni che abbiamo già dato esempio di essere davvero affidabili, poi gliela ammolliamo a questi ragazzi… questa sì che è un’idea!
    Guarda quando sento gente dire queste cose, inizio a capire la rabbia di quei sedicenni neri in piazza. Ma tu che li difendi dovresti essere l’obiettivo della loro rabbia… In un paese civile manifestano tutti, o diciamoci che siamo in guerra civile. La rozzezza di certe analisi è davvero impressionante… Mi domando: perché certi “”””””compagni””””” non vanno a spaccare quando manidfesta il PD, o l’IDV del buon Di Pietro che ora vuole la legge Reale bis, ma invece sono puntualissimi a tutti gli appuntamenti di base? Nessun problema atirare sampietrini, l’ho fatto e posso rifarlo, ma voglio essere io a decidere se e come e quando si fanno azioni come quelle di Roma mi si priva proprio di questa libertà. Non credo affatto che basti il solito ‘evento’ colorato con bandiere e putipù a cambiare le cose, mi sarei augurato che quel corteo, pacificamente, ma ineluttabilmente, girasse a destra, o invadesse il Colosseo, ma non credo che ciò che è stato provocato a Roma sabato sia la soluzione alla timidezza ormai desolante di certe aree del ‘movimento’…
    A Roma dicevamo di voler restare, siamo dovuti scappar via tutti, con la coda tra le gambe. Confondete la politica con una misticheggiante etica del rivoluzionario duro e puro… Che malinconia… Mi meritate FB, Di pietro, Maroni, Pannella, Bersani e pure peggio… E te lo dice uno che non si è mai tirato indietro, da Genova ad Istrana, e che ha difesop a spada tratta i giovani che hanno fatto ‘zizza’ a Roma il 14 dicembre… Ma quei giovani hanno zizza per arrivare sino al parlarmento, non per spaccare vetrine o incendiare qualche utilitaria… C’è una bella differenza.. Che roba, che roba… Se l’alternativa è il delirio di un quindicenne, giochiamo pure a questo videogioco, poi vediamo che ne verrà fuori… E poi perché non si doveva fare una sola manifestazione? Non va più di moda, all’estero fanno altro? e allora? Avranno altri contesti… Negli USA hanno occupato Wall Street, in Spagna stavano nel centro di Madrid, mica sugli appalacchi o alle pendici delle Asturie…
    A Roma c’era una massa critica enorme, che avrebbe potuto fare molto, praticamente e simbolicamente. Dissipata… Noi dobbiamo fare autocritica, ma certi guerriglieri in corpo 8, farebbero bene a fare altrettanto, e che cazzo!

  65. Certo è lecito farsi domande, valutare e discutere. Ma è incredibile il grado di asservimento che serpeggia in gran parte dei commenti. Il 15 è successa una sola cosa: DIVIETO DI MANIFESTARE punto. Invece di incazzarci con il governo che si dice “della sicurezza” ci spertichiamo in analisi infinite. Trovo incredibile anche il doc. dei No Tav quando la mattina un loro portavoce a rai3 diceva tutt’altro ” ci hanno preso le bandiere e madiaticamente coinvolto in azioni di violenza da cui ci dissociamo”. Violenti: ascoltare la voce di chi non ascolta è pura perdita di tempo, masochismo conclamato, i blackbloc o chi per loro il presente se lo costruiscano nelle loro manifestazioni, e facciano vedere quanto sono coraggiosi. Io non sopporto la codardia tipicamente maschilista di chi si nasconde, di chi ruba ore tempo e sogni scemi che siano, e poi ha pure la faccia tosta di parlare.

  66. @Nevio
    1) non trovi che analizzare una realtà sociale così complessa in termini di indiani e cowboy, non sia solo terribilmente riduttivo ma persin manzoniano? Da uno sperimentatore come te mi aspetto altro
    2) L’invito alla delazione è roba antipatica, anche se ci si aspetta da un amico di un assasino che denunci l’assasino, insomma ogni cosa va giudicata con le sue proporzioni. Detto questo se ci riprovano e solo posso dò loro una dimostrazione pratica del ‘metodo Katanga’. Nessun bisogno di sbirri, ci penso io, credimi
    3) i servizi d’ordini si sono sempre fatti e funzionano, anche per 300.000 persone. Anzi più c’è gente e più i SO sono necessari altrimenti si espone la gente alla casuale tempesta evenemenziale che nel nostro caso sono i blindati che fanno caroselli e gli ex colleghi di Di Pietro che manganellano la prima povera crista che passa..
    4) Di Pietro? e che c’entra il movimento con Di Pietro? Queste cose valle dire a Bersani, non a noi, please, un po’ di distinguo, sei un intellettuale, non un avventore del Bar Sport
    5)Diserzione? da che? dal delirio di qualche quindicenne incazzato o di qualche vecchio arnese dei CARC con andropausa nostalgica? e poi sì, la nostra è tradizione di ‘disertori’, quelli che vogliono fare i soldatini ci sono sempre stati sulle palle. A te no? Ma se nemmeno i Katanga ti stan bene…
    6) ACAB: allora caro nevio, come sai ero a Genova, in Piazza alimonda e su via Tolemaide e non contavo i passerotti, come sai ho sempre denunciato le vilenze della polizia e l’ho fatto anche per Piazza San Giovanni, non credo che sia possibile nascondersi la realtà di una fascistizzazione integrale dei nostri corpi di OP, ecc… Ciò non toglie che questa è una patologia, non si nasce sbirri, sbirri si diventa, ma si può anche essere semplicemente poliziotti, io ne conosco… Non mi piace generalizzare, ACAB? va bene ACAB, ma lo dobbiamo urlare tutti assieme, quando tutti decideremo di farlo, magari anche qualcuno che si toglie la divisa e capisce davvero da che parte deve starenon un’avanguardia di fuori di testa, come il 15enne che rilascia interviste steso su un comodo puf di casa, con alle spalle una libreria zeppa di cartoni Disney e videogiochi… E se studiasse un po’ meglio Machiavelli a scuola? a dimenticavo, noi insegnanti, che invitiamo i nostri ragazzi alle manifestazioni (sì l’ho fatto anch’io) siamo i peggiori, dopo ACAb ci sarà ATAB? C’è da stare davvero allegri, non c’è che dire…
    State confondendo l’ODIO di CLASSE con l’ODIO di CASTA, i rivoluzionari con i consumatori compulsivi delusi… Poveri noi…

  67. @all
    scusate i refusi, ma sono evidentemente furioso e scrivo di getto… Confido nella ‘legge di ridondanza del linguaggio’ …
    PS: a Roma c’ero anch’io, anche sabato scorso…

  68. @marco
    @NG:

    e sulla base di che cosa dite che quella intervista è una bufala, un falso?
    Perché l’ha pubblicata Repubblica? O perché non corrisponde alla idea che vi siete fatti voi dei Black Bloc?

    Io mi limito a dire che per quel che si è visto in tv su Rainews per quasi tutto il pomeriggio, quel che dice l’intervistato è una spiegazione esauriente di quel che è successo. Che vi fossero “batterie” di una dozzina di ragazzi coi caschi che agivano fin dal primo pomeriggio in via Cavour lo si è visto anche da alcuni filmati. Che vi sia stata una organizzazione e una pianificazione della guerriglia (un anno fa e in Grecia poco importa) è un’ipotesi del tutto verosimile e che ben si allaccia anche al fatto che a questi gruppi si siano uniti, in modo più o meno spontaneo, altri gruppi di ragazzi che non erano partiti con casco e armi.

    Per il resto, concordo con
    @Andrea Inglese
    un punto ineludibile, per una manifestazione di massa è la formazione di un servizio di sicurezza.
    Il punto è che, per quanto ci capisco io, questo negli anni Settanta e Ottanta era possibile grazie ai sindacati, ad associazioni molto grandi e organizzate, ora, con la frammentazione delle associazioni e dell’appartenenza dei manifestanti (che è molto maggiore di quella di Genova 2001) mi chiedo come sia possibile fare un coordinamento tra tutti i gruppi partecipanti.

    Per quanto riguarda GLI INDIGNATI CHE, ON LINE, FORNISCONO FILMATI E FOTOGRAFIE DEI BLACK BLOC:

    Caccia ai black bloc, il web si mobilita

    Mobilitazione sui social network:
    “Adesso smascheriamo i violenti”
    TORINO
    La caccia ai black bloc che hanno messo a ferro e a fuoco Roma si avvale anche di contributi “dal basso”, attraverso Internet e la multimedialità: alle immagini amatoriali che in queste ore manifestanti e cittadini consegnano spontaneamente agli inquirenti si aggiungono infatti iniziative della rete web nel tentativo di smascherare i violenti.

    Sui social network esplode la protesta degli Indignati che chiedono con una sola voce di arrestare i teppisti. Molti utenti pubblicano invece le immagini dei manifestanti “neri”. Dal web è partita anche un’altra iniziativa, che ha ricevuto anche alcune critiche. Sul blog “Il Fazioso” è nata sabato l’operazione “Smascheriamo i violenti”, con la quale si chiede a chi era in piazza di segnalare i protagonisti dei blitz di Roma, inviando le immagini dei teppisti.

    Sono già molte le foto pubblicate, amatoriali e non, in cui si vedono black bloc alle prese con le violenze. Sul blog si legge l’appello: «Mandate tutte le foto in cui si vedono o intravedono presunti ’indignatì mentre lanciano oggetti o attaccano la polizia, soprattutto quelle in cui più o meno si possono riconoscere i violenti. Dobbiamo segnalarli e aiutare le forze di polizia a poterli rintracciare». Anche Lettera Viola, il magazine online del Popolo viola, come altri blog pubblica alcune foto dei black bloc. In queste ore YouTube è ormai invaso da filmati amatoriali, testimonianze raccolte sul campo sabato pomeriggio dalla gente comune. Molti manifestanti, infatti, sono andati in piazza con macchina fotografica e videocamera per registrare quella che doveva essere una protesta colorata e pacifica, come nel resto del mondo. Ed invece si sono trasformati in testimoni delle violenze e potrebbero addirittura avere in mano tasselli utili agli inquirenti per l’identificazione dei black bloc.

  69. Lello, sottoscrivo tutto il senso della tua furiosa analisi (tranne la nostalgia dei katanga – servizio d’ordine, certo, ma come frutto di un’organizzazione: ma credo che fosse implicito)

  70. Lorenzo, conosco qualcuno di quei ragazzi. Ma anche a non conoscerli, non ci vuole molto a capire che uno di quel gruppo non va a spiattellare le questioni strategiche (che sono un po’ il core business esoterico) ai giornalisti di repubblica – che odiano con tutte le loro forze. Per poi non parlargli di politica, essù.

  71. Signor Lello

    Io non ho 50 anni °-°, pero’ non ne ho nemmeno 16 o 18 e alle manifestazioni ci vado, ma non mi sognerei mai di mandarci mio fratello 16 enne, ne tantomeno mio nonno 50 enne.. che si sà.. ormai ha dato e non hanno piu’ la forza e la voglia di fare un cazzo.

    E’ stato bello partecipare alle contestazioni studentesche, quando erano solo studentesche, a quelle dei grandi io non ci ho mai partecipato perché si sa che sono piu’ violente !!!

    Buona serata.

    p.s la invito a fare un’analisi più dettagliata, lei che ne è capace.

  72. cito dal pezzo di Leogrande:

    “La seconda cosa che mi viene in mente è che siamo qui a dire e ridire cose che diciamo da dieci anni. Basta con la spirale “violenza di pochi-repressione per tutti”. Basta con i soliti vicoli ciechi. Basta con la coreografica messa in scena di chi organizza la propria violenza, in molto talmente coreografico, nel suo gioco delle parti con le forze di polizia, da non avere niente di spontaneo. Neanche la minima traccia di spontaneità…”

    Ne abbiamo piene le palle noi maggioranza di prenderla in culo dalle minoranze – così io riassumerei la faccenda.
    Alcune migliaia di individui hanno portato a termine la crisi finanziaria, e gli architetti di questo sfascio sono ancora molti di meno. Ma la crisi la paga una maggioranza di lavoratori, disoccupati ecc.
    Quando finalmente una fetta importante di questa maggioranza pagante per i pochi decide di andare in piazza, si trova accanto una minoranza di assatanati, che gli fottono tutto quanto stanno costruendo per la soddisfazione narcisistico-eroica-sacrificale di dare fuoco a una camionetta di caramba.
    Ci sarà pure un momento in cui la maggioranza saprà far valere il suo peso in termini di rapporti di forza: costringendo al congedo i burocrati della finanza e mandando gli assatanti a fare la loro manifestazione privata da un’altra parte.
    Se qualcuno vuole fare la rivoluzione a colpi di suv in fiamme, si accomodi. Ma non tenga in ostaggio una maggioranza di manifestanti che hanno una visione un poò meno australopiteca della politica.

  73. @ Lello
    stai facendo non poca confusione. Ormai paziente, soprattutto con gli amici, ti rispondo su qualche punto:
    1) “indiani” non l’ho usato io, bensì Michele nel commento delle 10:40. Commento a cui nessuno ha risposto, perché in tutta evidenza, nella sua semplicità, spiazza i discorsi fin qui uditi;
    2) la delazione è delazione. Come tu possa anche solo ammetterla in un contesto di conflitti sociali mi sfugge, e proprio per il tuo percorso;
    3) Di Pietro non l’ho tirato in ballo io, bensì Marco Rovelli in un link proposto alle 12:57. Come nel caso di “indiani”, è un nome che uso rispondendo;
    4) Diserzione da questa Unità Nazionale che condanna i “violenti”; preferisco non partecipare al gioco;
    5) Guarda che ho scritto Ac-H-ab, con l’H, come il Capitano Achab, quell’ometto simpatico e zoppo che dava la caccia alla balena bianca. Nessun richiamo alla sigla Acab degli ultras, ma solo rovesciamento ironico di una frase di certo Carlo Antonicelli.

    @ Lorenzo
    l’intervista è una bufala perché: 1) perché è illogico che il “nero” dica di non voler parlare di politica coi giornalisti e poi racconti, per filo e per segno, cose ben più compromettenti; 2) perché per apprendere le tattiche della guerriglia non c’è bisogno di andare in Grecia; 3) perché la dinamica della manifestazione di sabato e la sequenza degli scontri smentiscono la ricostruzione del “nero”; 4) perché la guerriglia in Valle di Susa ha caratteristiche del tutto differenti da quelli di sabato, anche solo dal punto di vista della conformazione del terreno; 5) perché un anno fa nessuno aveva idea di questa manifestazione; 5) perché è un evidente falso. Ma a me, come ho già detto, che sia vera o falsa importa ben poco …

    Ecco, se c’è un riscolto negativo di tutta questa faccenda, è proprio quello dell’invito alla delazione. A me preoccupa, e non poco. E ribadisco che il blog “Il fazioso” da cui è partita l’iniziativa è un sito fascista! Ca**o! Andatevelo a leggere!

    NeGa

  74. In effetti si sta parlando dell’anomalia italiana.
    I rappresentanti politici non sono affatto vicini alle esigenze del popolo, fanno i loro porci comodi, rattoppando le richieste degli organi internazionali e scaricando le conseguenze solo sul popolo appunto, con violenza.
    Quest’ultimo sta a guardare, s’indigna ma non ha idee, fantasie, volontà e senso di responsabilità nell’agire.
    Una manifestazione di massa rappresenta il solito teatrino: violenza di pochi, sbigottimento, livore della moltitudine ma incapacità di cambiare il corso delle cose.
    Questa è la crisi, non ci son idee chiare ma stati d’animo in subbuglio.
    E chi, tra i più rassennati e volenterosi (anche chi per dati anagrafici ha intorbidito i ribelli spiriti) non riesce a raccapezzarsi, di cosa parla? della violenza dei pochi, dell’operato delle forze dell’ordine…
    Rappresentazione della società dello spettacolo con gli attori tutti a recitare la propria parte.
    Manca il cuore e la volontà di cambiare noi stessi in primis, ahimè!

  75. Non li difendo, ma non riesco a vedere quella minoranza come una minoranza di “assatanati”. Definirli cos^ vuol dire non voler capire un cazzo e continuare cola la solita strategia; fallimentare.

  76. Nel frattempo, “I NO TAV ritornano il 23 ottobre con una iniziativa che lascerà il segno. Diamoci un taglio sarà la risposta del movimento della Val di Susa ai tagli allo stato sociale e, per estensione , anche alle reti abusive che cingono il cantiere che non c’è ; e a mani nude, a volto scoperto, a testa alta .”

  77. Sulla pagine facebook di Antifascismo Militante Italiano è uscito questo testo, titolato “L’opinione dei “Black Block”, se cosi volete chiamarci”. Se fosse autentico, sarebbe molto interessante. Ponendo ancor più l’accento sull’aspetto riot e totalmente impolitico.

    Bene. Si è concluso questo weekend dove i giornalisti sentono ancora i postumi della sbronza, ubriaci ingordi pronti ad enfatizzare ogni singola goccia di rum concorrenti in una gara di fantasia. Rimane tanta amarezza tra tutti gli indignati, pacifici e non. Gli unici a festeggiare coloro che la violenza la vedono come un fine e non un mezzo.

    Non vogliamo prendere parola per descrivere il disagio che sicuramente gli indignati “pacifici” hanno subito, non rientrando tra questi, ma pretendiamo di prendere parola per il disagio che abbiamo e stiamo subendo noi, razza mista o bastarda che condivide ideali degli uni e mezzi degli altri.

    Mi spiace esplicitare le intenzioni di sabato rubando e restringendo lo spazio a disposizione della fantasia giornalistica ormai divenuta una disciplina candidata al premio Nobel, ma sentire cazzate al telegiornale mi ferisce, e mi ferisce ancor più vedere il popolo dissetarsi con lo stesso rum di cui hanno abusato i giornalisti.

    Sabato il corteo doveva dividersi in “via dei Fori imperiali”, lasciando agli antagonisti più decisi l’opportunità di provare ad arrivare al parlamento occupando la piazza antistante per poi dedicarla all’accampamento degli indignati “pacifici”.

    Ciò non è stato neanche provato per colpa di quei 15enni teppisti amanti della violenza per la violenza. Con ciò voglio delucidarvi, cari indignati, sul fatto che il fine è sempre stato considerato lo stesso, che siamo vostri compagni e non vostri nemici, che seppur non abbiamo bandiere abbiamo un’identità propria e una dignità personale, la quale sabato ci è stata tolta doppiamente: in primis dai decelebrati fautori del bordello; sucessivamente da voi che ci avete accumunato a loro.

    Voglio informare voi cari che chi ha bruciato macchine, spaccato vetrine, distrutto santini, non era tra quelli che il 3 luglio in Val di Susa hanno cercato di riappropriarsi del cantiere ne tra quelli che il 14 dicembre a Roma hanno cercato di arrivare al parlamento. E seppur ora siete dominati da odio, incomprensione e sfiducia, vi preghiamo di non generalizzare, di non chiederci “Cosa cazzo avete fatto?!” perchè non abbiamo fatto nulla che abbia mai potuto ledervi e da quelle vandale rappresaglie ci vogliamo dissociare.

    Invece si c’eravamo in piazza S.Giovanni, non per odio ne per sete di guerra, ma per semplice difesa di un punto d’arrivo.
    Non eravamo in 500, ma in 5.000. E saremo sempre di più contro un sistema che ha solo da togliere.

    Per voi invece, cari giornalisti, cara Digos e quant’altro, mi spiace dirvelo ma a differenza di quanto pensiate non eravamo organizzati per niente. Se solo lo fossimo stati non saremmo qui a parlare di macchine bruciate o di vetrine distrutte, ma di occupazione del parlamento, di sabotaggio della Banca d’Italia e di sovversione ad un sistema che rimane mafioso e corrotto.

    Per voi altri “pacifisti” che alla prima notizia di macchine bruciate avete accusato i nostri compagni presenti e indignati come voi, che come voi erano nel corteo vi dedichiamo un bel “vaffanculo”.

    Un “vaffanculo” per non sapere ma voler giudicare.
    Un “vaffanculo” perchè in Val di Susa ci incitavate a non demordere, ringraziandoci di essre venuti.
    Un “vaffanculo” perchè sabato quando ne avevate bisogno ci avete chieste aiuto, limoni e malox

    E infine per voi luridi teppisti 15enni che avete trasformato Roma in un teatro dove siete stati attori della vostra stessa rabbia repressa, a voi che avete rovinato una grande opportunità, vi diciamo “arrivederci”, “arrivederci” a presto. La prossima volta non ci saranno i Cobas, la CGIL o i viola a urlarvi “VIA, VIA, VIA!”, ma ci saremo noi, e non saremo cosi clementi.

    Si, siamo d’accordo con la sfasciatura simbolica delle banche;
    si, non neghiamo l’uso della violenza per fini più nobili;
    si, c’eravamo in piazza S.Giovanni;
    no, i carabinieri sulla camionetta non sono scesi da soli ma li abbiamo fatti scendere;
    no, seppur non cattolici non ci saremmo mai permessi di distruggere sampietrini offendendo credenze altrui.
    no, ci dissociamo dall’assalto alle macchine di precari come noi;
    no, non ci siamo mai permessi di rovinare cortei che non ci appartenessero.

    NON GENERALIZZATE!
    Cordialmente,
    Quello che chiamate “Blocco Nero”

  78. @Marco – come volevasi dimostrare, altro che Black blok… altro, ben altro…
    I Katanga: si allegorizza, ma poi nemmeno tanto.
    ancora: a Piazza San Giovanni è accaduto altro, gente inerme è stata aggredita e si è difesa, altro discorso.
    Di questi accordi di cui parla ilBB sinceramente non se ne sapeva un bel nulla, era tutto estremamente confuso, tutti eravamo pronti ad appoggiare azioni che avessero senso, ma nessuno sapeva con chiarezza se e quando sarebbero successe. Infine, come tutti sappiamo, è successo ben altro
    @Nevio, a citar parole d’altri, senza distinguo, si assume la lingua d’altri, altro che. Mai detto che voglio la delazione, ho detto la stessa cosa che dice il BB citato da Marco, se ci riprovano, ci pensiamo noi, direttamente ed autonomamente..
    hai scritto Achab, il simpatico vecchietto, ecc… sì lo so, ma pensavo svelassi il gioco di parole, allora fa chiarezza tu : ACAb sì o no?
    basta nascondersi dietro il dito del sofisma…

  79. @Ares: io ho 54 anni e non sono affatto tuo nonno. Io ti prometto che farò analisi molto approfondite, tu mi giuri che studi e provi a capirle..? Altro che grandi e piccoli, non siamo mica al parco giochi… Sei sicuro di star bene?

  80. io capisco i cosiddetti violenti, ma non capisco la processione rituale degli altri 300.000, fossero tutti ugualmente capaci di battersi si potrebbe raddrizzare il timone in un attimo…
    ma geneticamente siamo figli di un migliaio di generazioni di animali sociali e pavidi…
    …nella società di riproduce e si moltiplica l’opportunista, il corrotto, il traditore…
    il melenso

  81. Poco fa, al tg3, un servizio che, senza dirlo, ha riproposto, fase per fase, la ricostruzione di quanto accaduto ieri fatta dall’intervistato di La Repubblica, con tanto di immagini del blocco nero con casco compatto prima di dividersi in batterie, e del secondo gruppo che è entrato in azione dopo.

    Ovviamente, si può credere o non credere a quella intervista. Tuttavia mi pare che le cose che diciate,

    @Marco e Nevio,

    non la intacchino minimamente.
    Mi stupisce poi che vi concentriate su quanto avrebbe svelato in fatto di tattiche militare l’intervistato: non ha detto nulla di particolarmente segreto, nulla che possa pregiudicare una nuova guerriglia alla prossima manifestazione. L’intento di quella intervista è svelare la presenza di una organizzazione, di un interlocutore paramilitare, e fare una dichiarazione di guerra. In questo senso, si spiega il perché a Repubblica (andava bene qualunque grande quotidiano) e il perché non ha voluto parlare di politica. Sul fatto poi che non occorra andare in Grecia, ok, ma questo non toglie che il gruppo possa essere internazionale, sul fatto che si sia preparato un anno prima, questo è un dato oscuro, effettivamente, ma può essere che si stavano preparando da tempo senza sapere quando sarebbe stata la manifestazione in cui mettere in pratica quanto si voleva. Non capisco invece, Nevio, dove la ricostruzione sarebbe diversa da quel che è avvenuto.

    Per quanto riguarda L’opinione dei Black Block riportata da Marco, mi pare che non faccia altro che confermare quanto detto dall’intervistato. Ossia che c’era ieri una parte organizzata per sfasciare Roma in modo programmato (ed erano neri e con caschi: che nome occorre dar loro?) a cui si è unita a piazza san Giovanni un’altra fazione, quella che pretende, in modo abbastanza assurdo, di rappresentare da sola i Black Bloc, e che si vanta di mandare affanculo i “pacifisti” (che in verità non c’entrano molto con gli indignati, erano solo piccoli e sparuti gruppi: ma ormai basta non essere violenti per essere catalogati, in modo dispregiativo, come pacifisti) e di aver costretto i poliziotti ad uscire dalla camionetta, evidentemente il dar fuoco a un auto con a bordo degli esseri umani e per loro è azione violenta degna di “fini più nobili”, come hanno scritto. I partigiani anziani che conosco io, credo li prenderebbero a calci in culo, questi presunti antifascisti.

    In ogni caso, sia l’intervistato di Repubblica, sia questo gruppo di presunti antifascisti hanno fatto rivendicazioni su quanto accaduto e hanno dichiarato future azioni alla prossima occasione. Il tempo dirà la consistenza di queste testimonianze.

    PS Non ho controllato Nevio, l’origine del blog Fazioso, che sembra effettivamente essere similfascista. Ma mi sembra che sia pratica diffusa da molti indignati quella di fornire filmati e immagini dei violenti che sfasciano la città: cosa che peraltro non chiamerei delazione, mi chiedo se la chiameresti così anche se l’auto data alle fiamme su una strada di Roma da un ragazzo vestito di nero fosse la tua o quella di un precario da quasi 20 anni come me.

  82. Il commento di Carlo Antonicelli mi fa tornare su un aspetto secondo me essenziale della questione. Chi è chiamato a partecipare a questo movimento, a chi potrebbe o dovrebbe appartenere? Secondo me a moltissimi, perché le istanze che pone toccano le vite del famoso 99%, perché se ce ne uno che sta nascendo per necessità storica è proprio questo. Dovrebbero poterne fare parte gli studenti, le donne e i bambini, i pensionati – tutti coloro che in un’ottica maschia da guerra rivoluzionaria (al quale possono partecipare anche donne, ma non è questo il punto) ne vengono esclusi.
    Per questo la violenza è stata soprattutto quella di ostacolare il formarsi di un movimento popolare.
    Ci possono essere forme di lotta più dure in altri contesti che le rendono sensate e indispensabili, ma per quel che concerne, in questo momento, la denuncia dell’ingiustizia sociale creata dalla gestione dell’economia mondiale credo che non possa, per la sua stessa natura politica, che cercare di includere, formare una diversa consapevolezza, strappare una buona parte degli italiani dalla passività depressiva del popolo-spettatore o dalla focalizzazione ormai inutile su Berlusconi.
    Malgrado lo schifo dei partiti di sinstra, persino persone che non hanno mai votato a sinistra oggi lo farebbero – persone di diversa età, formazione, cultura, reddito. Temo che molti di voi semplicemente non ve ne stiate resi conto.

  83. “…oppure facciamo la rivoluzione, ma la rivoluzione vera… Portiamo in piazza milioni di persone, facciamo fuori il palazzo di Giustizia di Milano, assediamo Repubblica: cose di questo genere, non c’è un’alternativa…» Un black bloc? No, lo psiconano.

    http://video.unita.it/media/Politica/Berlusconi_e_Lavitola_l_intercettazione_3439.html

    Un parlamento composto da tanti mafiosi indagati non ha credenziali per sputare sentenze. La peggior violenza è quella di questa classe dirigente.

  84. Sulla pagine facebook di Antifascismo Militante Italiano è uscito questo testo, titolato “L’opinione dei “Black Block”, se cosi volete chiamarci”. Se fosse autentico, sarebbe molto interessante

    ma se davvero fosse l’opinione dei black bloc come minimo saprebbero scrivere correttamente il loro nome ;-)
    Sinceramente è meglio che si chiamino blocco nero.

  85. Quello in realtà era il titolo che aveva messo la pagina di fb al testo, non so. In ogni caso di certo non è alcun tipo di rivendicazione da parte di quello spezzone – che per definizione non ha centro né portavoci… quello che mi chiedevo era solo questo: se chi l’ha scritto è un millantatore totale, oppure uno che in effetti sente di appartenere a quell’area. Ma poi, non è così importante. E’ più importante la pratica prossima dei No Tav – che con quella precisazione – A mani nude, a volto scoperto, a testa alta – dicono parecchie cose.

  86. I demolitori del 15 ottobre e il futuro del movimento. Intervista a Emiliano Brancaccio

    Dalle piazze di Madrid, dove tutto è cominciato lo scorso 15 maggio, la protesta si è estesa nel resto del mondo. Sabato 15 ottobre gli “indignati” hanno sfilato per le strade di 950 città – da Honk Kong a Boston, da San Paolo a Kuala Lumpur, da Sidney a Tokyo – denunciando i drammatici effetti sociali della crisi economica scoppiata nel 2007/2008 e l’assenza di risposte all’altezza della gravità della situazione da parte della politica e dei governi. Non è un caso se le file di “indignados” sono composte sopratutto da giovani, i più colpiti dalla disoccupazione di massa legata alla brusca contrazione di produzione e reddito che si è registrata quando la crisi finanziaria si è scaricata sull’economia reale.
    A Roma una grande manifestazione cui hanno preso parte oltre centomila persone è degenerata in violentissimi scontri. Il bilancio provvisorio è di 70 feriti (tre gravi), 12 arrestati, una città messa a ferro e fuoco per diverse ore e il solito, inevitabile, strascico di polemiche. Ancora una volta queste discussioni hanno oscurato le ragioni di una protesta che, come ha scritto Guido Rossi sul Sole 24 Ore, “nasce da mille, troppi disagi e merita di essere esplorata con spirito analitico”. Ne abbiamo parlato con Emiliano Brancaccio, economista dell’Università del Sannio assai critico con quelle politiche di austerità varate dai governi europei che, insieme alla Bce e al mondo della finanza, erano il bersaglio privilegiato degli slogan dei cortei di sabato. Brancaccio segue da anni le vicende dei movimenti e nel 2002 è stato relatore della proposta di legge di iniziativa popolare promossa da Attac per l’istituzione della Tobin tax.

    Partiamo dalla giornata di sabato. Che idea si è fatto di ciò che è accaduto a Roma?

    In tutta franchezza non intendo accodarmi alla consueta discussione etico-normativa su “violenza” e “non violenza”. Se ne sono fatte tante, in passato, e mi pare che non abbiano mai inciso sul corso effettivo degli eventi. Preferisco analizzare le dinamiche del processo storico, di cui gli scontri di Roma, così come quelli di Atene, indubbiamente fanno parte, che ci piaccia o meno.
    Rilevo nei “demolitori” di piazza san Giovanni una qualità superficiale e un limite di fondo. La qualità sta nella rapidità. L’onda di una rivolta distruttiva cresce in Europa ogni giorno, con accelerazioni improvvise. E’ interessante notare che, sul piano strettamente visivo, questi “riots”, queste azioni rivoltose, sembrano le uniche in grado di colpire alla stessa velocità dei famigerati mercati finanziari. In termini puramente simbolici, le fulminee azioni della guerriglia urbana danno cioè l’illusione di essere le uniche capaci di tener testa al ritmo forsennato della speculazione finanziaria, che abbatte i prezzi dei titoli, aumenta i tassi d’interesse e offre un alibi ai governi che colpiscono il welfare e il lavoro. Potremmo dire, insomma, che a un primo sguardo i “demolitori” sembrano i soli in grado di “colpire veloci” come gli speculatori.

    Ma anche prescindendo da considerazioni di carattere – come lei le ha definite – “etico-normativo”, non pare che queste azioni abbiano alcuna efficacia politica al di là dello sfogo di un pomeriggio…

    Infatti la qualità cui ho fatto cenno è apparente, del tutto illusoria, puramente coreografica. Tuttavia, bisogna anche riconoscere che essa risalta di fronte all’affanno dei tradizionali movimenti di massa e ancor più delle istituzioni politiche. Quando i “demolitori” dichiarano: «volevano farsi il solito, inutile comizio e invece hanno avuto una bella sorpresa», è chiaro che intendono sfidare una politica tradizionale che arranca paurosamente, che giunge sempre in ritardo sui luoghi in cui si consumano i delitti politici del nostro tempo. E’ questo spaventoso ritardo che spiega le simpatie, più o meno nascoste, che un numero non trascurabile di persone, e di lavoratori, esprime oggi nei confronti dei “demolitori” di piazza San Giovanni.

    E quale sarebbe invece il limite dei “demolitori”?

    Un limite gigantesco. Essi sono palesemente incapaci di cogliere il senso profondo delle dinamiche in corso, e sono per questo totalmente privi di una piattaforma politica. Nella migliore delle ipotesi, senza esserne nemmeno consapevoli, i “demolitori” attingono da un miscuglio di vecchie parole d’ordine del più ingenuo proudhonismo e da un’apologia dell’azione in sé che ha molti padri spirituali, ad esempio nel dadaismo ma anche nel primissimo fascismo. Definirli anarchici è già alquanto lusinghiero. Il problema è che i verdetti della Storia su questo tipo di movimenti sono inequivocabili. Le forme ingenue di ribellione possono condurre alla distruzione di macchine e di simboli, religiosi e non, possono mandare all’ospedale qualche malcapitato agente di polizia, e possono anche arrivare a lasciare dei morti ammazzati per strada. In questo modo riescono facilmente a conquistare le scene di un mondo mediatizzato. Ma, restando confinate nell’ambito effimero della coreografia, sia pure magari insanguinata, esse risultano politicamente insulse. La mera rivolta, il cosiddetto “riot”, se rimangono tali sono classificabili come eventi di fatto innocui, che si verificano molto più spesso di quanto si immagini e che non scalfiscono mai il potere. Anzi, in genere creano le tipiche condizioni per la più agevole delle reazioni da parte degli apparati repressivi dello stato e offrono l’occasione per una svolta di tipo più o meno surrettiziamente autoritario.

    E’ quello a cui stiamo assistendo in queste ore. Peraltro le polemiche sugli scontri hanno completamente oscurato tutto il resto, compreso il dibattito sulla piattaforma politica del movimento nel suo complesso. Ma è possibile definire almeno quella proveniente dalla “parte pacifica”?

    Occorre ammettere che, sul piano dell’analisi e della proposta politica, anche la parte cosiddetta “pacifica” del movimento appare in enorme difficoltà. Consideriamo ad esempio la declamata categoria dei “beni comuni”, che dovrebbero caratterizzarsi per il fatto di poter esser gestiti collettivamente senza la mediazione né mercato né dello stato. Nella definizione scientifica originaria il concetto descrive una forma di organizzazione delle relazioni economiche precisa ma con applicazioni decisamente limitate. Invece, nel senso in cui viene adoperata all’interno dei movimenti, l’espressione “beni comuni” costituisce una espressione equivoca, che in quanto tale significa tutto e niente. La sua ambiguità, si badi, non è casuale. Essa deriva dal fatto che alcune teste pensanti del movimento si illudono, attraverso di essa, di promuovere la nascita di un modo generale di produzione sociale che sia immediatamente “altro” rispetto allo stato e al mercato. Letti in quest’ottica i “beni comuni” rischiano dunque di assumere i tratti di una chimera inutile e fuorviante. Non è un caso che i marxisti e i veri protagonisti del movimento operaio novecentesco non si sono mai lasciati sedurre da simili illusioni: per loro, il primo problema è sempre consistito nella presa – graduale o rivoluzionaria – del potere statale, nell’uso delle leve dello stato per la socializzazione della produzione e nella progressiva democratizzazione delle decisioni economiche. Ed anche oggi, quello della presa delle “casematte” dello stato resta la questione chiave. Il resto è solo fuffa.

    Il movimento però invoca anche il “ripudio del debito”.

    Qui la questione è un po’ diversa. Contrariamente a quel che si pensa, non si tratta di una proposta utopica: la stessa storia del capitalismo è costellata di fallimenti di stati sovrani. Il problema è che bisognerebbe poi avere ben presenti le conseguenze di un simile atto.

    Infatti l’obiezione più comune è che un “ripudio del debito” implicherebbe un crollo dell’intero sistema finanziario, con ripercussioni sociali peggiori di quelle che già si registrano.
    In realtà la questione preliminare è un altra. Rifiutarsi unilateralmente di pagare il debito implica poi la capacità, da parte di un paese o di un aggregato di paesi, di fare a meno dei prestiti esteri per un lungo periodo. E’ chiaro infatti che se si cancella il debito con una mano e poi si chiede un nuovo prestito con l’altra, si subirà la logica rappresaglia di un feroce aumento dei tassi d’interesse e di un fatale razionamento dei finanziamenti da parte dei creditori esteri. Per fare a meno dei prestiti, allora, bisognerebbe pianificare una strategia di politica economica che consenta di diminuire le importazioni e, più in generale, che persegua l’obiettivo di ridurre la dipendenza del paese dai movimenti internazionali di capitali e di merci. Si tratta chiaramente di una linea che affiderebbe di nuovo un ruolo forte allo stato nazionale, o a una comunità di stati che puntino a una politica economica più autonoma rispetto alle leggi impersonali della cosiddetta globalizzazione capitalistica. In questo scenario anche l’instabilità finanziaria che consegue a un default potrebbe essere gestita, sottoponendo la politica monetaria della banca centrale al potere degli organi elettivi, e magari nazionalizzando parte del sistema bancario. Sono queste del resto le soluzioni che in genere hanno tipicamente fatto seguito a un default sovrano.

    Non mi pare che sia questo l’orizzonte entro cui si muovano i sostenitori del ripudio del debito.

    Alcuni promotori del “ripudio del debito” sono in imbarazzo di fronte a queste logiche conseguenze del loro slogan. Il motivo è che essi hanno per anni proclamato la morte degli stati nazionali, lo hanno fatto persino con più veemenza dei cosiddetti liberisti. Per questo tali esponenti del movimento oggi non appaiono in grado di trarre dalla parola d’ordine del ripudio unilaterale del debito una precisa conseguenza sul piano politico: quella del ripristino di una idea di sovranità dello stato, o di un gruppo coeso di stati, rispetto ai meccanismi del mercato globale. Sembra che io stia facendo un discorso troppo alto, ma non lo è: il popolo annusa l’aria, e comprende subito se una proposta abbia un senso logico e conduca a qualcosa, oppure sia intrinsecamente contraddittoria e porti in un vicolo cieco. Anche per queste incertezze, per queste fragilità insite negli slogan della parte cosiddetta “pacifica” del movimento, i “demolitori” prendono agevolmente il sopravvento.

    Al di là della perseguibilità “tecnica” del percorso che lei ha appena delineato, c’è tuttavia un punto politico dal quale non si può prescindere: quali sarebbero gli alleati di un simile progetto?

    Il rifiuto del debito è attualmente una parola d’ordine di poche frange marginali dell’estrema sinistra. E per fare cose tipo “sottoporre la politica monetaria della banca centrale al potere degli organi elettivi” ci vorrebbe di fatto un “governo rivoluzionario continentale”. Sinceramente non mi pare una ipotesi realistica.
    Francamente non scomoderei la parola “rivoluzione”, che oggi mi pare un po’ abusata. Del resto, prima del famigerato “divorzio” dal Tesoro, anche Bankitalia era sottoposta a un controllo di quel tipo, e non mi pare che all’epoca i cosacchi si abbeverassero a San Pietro. Ad ogni modo, qui dobbiamo intenderci su un fatto: l’agenda politica corrente, intorno alla quale le istituzioni europee, i governi e le stesse opposizioni si affannano, è essa stessa auto-contraddittoria. Se in Europa insisteremo con le cosiddette politiche di “austerità”, la domanda di merci, la produzione, l’occupazione, i redditi e quindi anche le entrate fiscali si ridurranno ulteriormente, per cui diventerà sempre più difficile rimborsare i debiti. In questo modo, anziché contrastare la speculazione finanziaria, si finirà per alimentarla. Teniamo presente che proprio a causa di tali politiche la Grecia è già tecnicamente fallita. Proseguendo lungo questa via anche l’Italia, il Portogallo e la Spagna finiranno per incamminarsi verso un inesorabile default. Non solo: il ripudio del debito, in quanto tale, potrebbe rivelarsi persino insufficiente. I paesi in default potrebbero infatti vedersi costretti anche a uscire dalla zona euro e svalutare, per tentare di accrescere la competitività verso l’estero e interrompere il declino della domanda e della produzione. Insomma, gli eventi potrebbero a un certo punto correre più veloci sia dell’agenda politica istituzionale che degli stessi slogan di movimento. Non sarebbe la prima volta.

    L’ipotesi di una uscita dalla zona euro è una prospettiva concreta. Ma ha senso sul piano politico? Lei si limita a prevederne la possibilità o crede che gli stessi movimenti e partiti di sinistra – sopraggiunte determinate condizioni – dovrebbero sostenerla attivamente?

    L’uscita dalla zona euro può risultare a un certo punto una necessità oggettiva. Ma da qui a ritenerla vantaggiosa ce ne passa, soprattutto se esaminiamo il problema dal punto di vista dei lavoratori. Ricordiamo cosa avvenne nel 1992, durante una crisi per più di un verso simile a quella attuale. Sotto l’attacco della speculazione, il governo italiano attuò prima una serie di pesanti politiche di austerità, che non calmarono i mercati. Quindi decise di sganciare la lira dal cambio fisso con il marco. Tuttavia, per impedire che la svalutazione della lira e il conseguente aumento del prezzo delle merci importate scatenassero una rincorsa salariale, i sindacati furono chiamati a firmare un accordo sul costo del lavoro molto vincolante. I lavoratori pagarono così due volte: a causa delle politiche di austerità e poi a seguito del freno imposto ai salari. Ci sono motivi per ritenere che oggi potremmo assistere a una riproposizione di quel copione, con effetti ancor più drammatici sulla stessa funzione del sindacato, che verrebbe ulteriormente compromessa. Gli economisti di sinistra che oggi invocano lo sganciamento dall’euro dovrebbero fare più attenzione a questi rischi.

    Ma allora, quale potrebbe essere un programma politico in grado realisticamente di tutelare il welfare e di difendere gli interessi del lavoro?

    La visione dominante contrappone il salvataggio della zona euro agli interessi dei lavoratori: il messaggio è che se vogliamo la prima occorre sacrificare i secondi. Ma questa è una lettura ideologica dei fatti. E’ necessario quindi mettere preliminarmente in chiaro che la salvezza della unità europea e la salvaguardia degli interessi del lavoro sono obiettivi coincidenti. Il regime di accumulazione del capitale fondato sulla finanza privata è infatti entrato in crisi. Siamo di fronte a una occasione storica per la costruzione di un nuovo e diverso regime di sviluppo. Per edificarlo, occorre in primo luogo che l’autorità pubblica abbandoni il ruolo ancillare di prestatore di ultima istanza del capitale privato, e si faccia invece creatrice di prima istanza di nuova occupazione. Di prima istanza, si badi, e cioè non per mera assistenza, ma per la produzione di quei “beni base” la cui messa in opera risulta fondamentale per il progresso sociale e civile dell’umanità ma le cui implicazioni tipicamente sfuggono alla logica ristretta dell’impresa capitalistica privata. Questa sorta di versione moderna della pianificazione pubblica rappresenta, allo stato dei fatti, il solo modo razionale che abbiamo per attivare un nuovo motore “interno” dello sviluppo economico europeo, senza il quale l’Unione stessa rischia di implodere. In secondo luogo, bisogna introdurre nuovi strumenti di gestione dei rapporti conflittuali tra gli stati membri dell’Unione e tra le classi sociali. Un esempio tra i tanti è lo “standard retributivo europeo”, che consentirebbe di interrompere la competizione salariale in atto tra i paesi dell’Unione. Sia pure in forma blanda e in estremo ritardo, di questi strumenti si inizia a discutere anche in seno ai partiti socialisti europei. Limitarsi però a invocare queste ricette è del tutto inutile se la Germania si mette di traverso.

    Ma i tedeschi non sarebbero essi stessi danneggiati da una crisi della zona euro?

    Un eventuale ripudio del debito e una serie di svalutazioni competitive da parte dei paesi periferici indubbiamente darebbero dei problemi alle banche e alle imprese tedesche. Tuttavia in Germania queste eventualità sono già state ampiamente messe in conto, e non fanno più un grande effetto. Non è questione soltanto di una deriva populista tra i tedeschi. Ci sono anche motivazioni razionali che spiegano questa crescente indifferenza ai destini dell’eurozona. A questo riguardo, mi pare che si dimentichi che, in caso di fallimenti a catena dei debiti sovrani europei, il sistema bancario tedesco ne uscirebbe in ultima istanza comunque meno peggio di altri. Inoltre, le svalutazioni ridurrebbero il valore dei capitali dei paesi periferici, e quindi darebbero ai capitali tedeschi l’occasione per fare shopping a buon mercato. Insomma, l’ipotesi di deflagrazione della zona euro non suscita più grandissimi timori e potrebbe trovare persino delle giustificazioni logiche, in Germania.

    E allora come si possono smuovere i tedeschi dalle loro posizioni?

    Occorre agire dialetticamente. Bisogna mettere in chiaro che se in Germania dovesse prevalere la volontà di abbandonare i paesi periferici al loro destino, allora non sarà soltanto la moneta unica a saltare, ma si finirà per mettere in discussione anche il mercato unico europeo e la relativa libera circolazione dei capitali, e al limite delle stesse merci. I tedeschi debbono cioè comprendere che se intendono assistere indifferenti alla deflagrazione della zona euro, i paesi periferici potrebbero reagire imponendo restrizioni ai movimenti di capitali e di merci. Mi rendo conto che si tratta di una linea difficile da praticare, soprattutto per i partiti e per i movimenti di sinistra, che in questi anni sono stati tra i più subalterni all’ideologia dominante della globalizzazione capitalistica. Ma se in questa fase vuol davvero fare politica, occorre che la sinistra politica e di movimento agisca su due fronti: da un lato proporre soluzioni per rafforzare l’unità europea ma, dall’altro lato, minacciare l’introduzione di vincoli alla libera circolazione dei capitali e delle merci nel caso in cui l’eurozona esplodesse. In fondo, si tratta anche di una linea d’azione uguale e contraria a quella delle destre populiste, che per anni hanno preteso di affrontare le crisi con la rozza ricetta dei vincoli alla libera circolazione dei lavoratori.

    Tornando alla giornata di sabato, c’è dunque una lezione che lei crede si possa trarre da ciò che è avvenuto?

    Direi di sì, una duplice lezione. In primo luogo, se si vuole evitare di cadere nella classica spirale perversa del “riots” e della reazione, occorre che da domani le piattaforme politiche siano più chiare, che la tattica e la strategia siano definite, che i programmi politici siano privi di ambiguità: a partire dalla proposta di restare o meno nella attuale zona euro, sotto quali condizioni, con quali proposte di sviluppo economico e di riequilibrio tra gli stati e tra le classi sociali, e soprattutto a fronte di quali possibili alternative. In secondo luogo, occorre prendere coscienza che la politica non può continuare ad arrancare dietro i mercati finanziari ma deve finalmente anticiparli, prevenirli. La politica, a cominciare dalla politica monetaria della banca centrale, può battere la speculazione. Se non si affrontano a viso aperto questi problemi, di merito e di rapidità dell’azione, ci attenderà una vana sequenza di spettacolari ma inutili azioni di “guerriglia demolitrice” e di immancabili azioni repressive da parte dello stato. E intanto continueremo ad assistere alla scena, un po’ surreale, di banchieri centrali che spediscono lettere di “commissariamento” ai governi e poi maldestramente ammiccano alla protesta giovanile.

    La lettera di Trichet e Draghi cui lei ha appena fatto riferimento è stata una delle micce che qui in Italia hanno innescato le proteste. Criticarla è tanto più opportuno quanto più, anche nella sinistra riformista, cresce la tentazione di farne la piattaforma politica di base di un eventuale governo postberlusconiano. Ma Trichet è anche colui che ha imposto alla Germania – ai suoi governanti come ai suoi rappresentanti nel consiglio direttivo della Bce – la politica di sostegno ai titoli del debito pubblico (inclusi quelli italiani). Quella lettera può essere letta come il certificato di ortodossia da esibire di fronte ai tedeschi per proseguire con queste misure certamente non in linea con la filosofia ispiratrice della Banca centrale europea. Insomma, prendendosela con Trichet e Draghi non si rischia di puntare il dito contro le colombe anziché contro i falchi dell’austerity europea?

    Trichet ha fatto il minimo indispensabile per salvare la zona euro. Se non avesse agito a tutela dei paesi periferici, la moneta unica sarebbe probabilmente già morta e sepolta. Draghi deve ancora dare prova di sé, a questo riguardo. L’occasione per valutarlo non mancherà. Presto potrebbe scoccare la cosiddetta “ora x” sui mercati finanziari, cioè potrebbe essere sferrato un poderoso attacco speculativo alla zona euro. A quel punto tutto dipenderà dalla disponibilità o meno di Draghi e degli altri membri del consiglio direttivo della Bce di rispondere all’attacco con fermezza, in modo da dare alle istituzioni politiche il tempo di attivare il “motore interno” dello sviluppo di cui l’Europa unita ha assoluto bisogno per sopravvivere. La banca centrale ha tutti gli strumenti per dominare la “bestia” della speculazione. Bisognerà capire se ne avrà la volontà. Con il dovuto rispetto, dunque, suggerirei al nuovo Presidente della Bce di rispondere da ora in poi solo con i fatti alle montanti proteste sociali. Del resto, solo per i fatti egli verrà giudicato.

    (17 ottobre 2011)
    http://www.micromega.net

  87. grazie maria e georgia,

    riprendo da Brancaccio questo passaggio sul giudizio politico (si badi, non etico) sulle violenze di Roma:

    “Il problema è che i verdetti della Storia su questo tipo di movimenti sono inequivocabili. Le forme ingenue di ribellione possono condurre alla distruzione di macchine e di simboli, religiosi e non, possono mandare all’ospedale qualche malcapitato agente di polizia, e possono anche arrivare a lasciare dei morti ammazzati per strada. In questo modo riescono facilmente a conquistare le scene di un mondo mediatizzato. Ma, restando confinate nell’ambito effimero della coreografia, sia pure magari insanguinata, esse risultano politicamente insulse. La mera rivolta, il cosiddetto “riot”, se rimangono tali sono classificabili come eventi di fatto innocui, che si verificano molto più spesso di quanto si immagini e che non scalfiscono mai il potere. Anzi, in genere creano le tipiche condizioni per la più agevole delle reazioni da parte degli apparati repressivi dello stato e offrono l’occasione per una svolta di tipo più o meno surrettiziamente autoritario.”

  88. riprendo da Brancaccio questo passaggio sul giudizio politico (si badi, non etico) sulle violenze di Roma:

    “Trichet ha fatto il minimo indispensabile per salvare la zona euro. Se non avesse agito a tutela dei paesi periferici, la moneta unica sarebbe probabilmente già morta e sepolta. Draghi deve ancora dare prova di sé, a questo riguardo. L’occasione per valutarlo non mancherà. Presto potrebbe scoccare la cosiddetta “ora x” sui mercati finanziari, cioè potrebbe essere sferrato un poderoso attacco speculativo alla zona euro. A quel punto tutto dipenderà dalla disponibilità o meno di Draghi e degli altri membri del consiglio direttivo della Bce di rispondere all’attacco con fermezza, in modo da dare alle istituzioni politiche il tempo di attivare il “motore interno” dello sviluppo di cui l’Europa unita ha assoluto bisogno per sopravvivere. La banca centrale ha tutti gli strumenti per dominare la “bestia” della speculazione. Bisognerà capire se ne avrà la volontà. Con il dovuto rispetto, dunque, suggerirei al nuovo Presidente della Bce di rispondere da ora in poi solo con i fatti alle montanti proteste sociali. Del resto, solo per i fatti egli verrà giudicato. ”

    io ho capito questo:
    trichet e draghi sono due brave persone
    la banca centrale potrebbe, se si impegna un po’, dominare la bestia
    le istituzioni politiche, dandosi una mossa, potrebbero attivare il motore interno
    io sono piena di speranze
    non ci resta che sperare

    e con il dovuto rispetto porgo i miei baci
    la fu

  89. chiedo venia per l’involontario doppio invio dell’intervista di brancaccio, georgia ed io evidentemente ci siamo incrociate:-)

  90. Il punto più interessante dell’intervista è la focalizzazione sul ripudio del debito, perché è proprio sulla valutazione delle conseguenze di tale decisione che a mio avviso manca chiarezza e i timori della gente possono rimanere così alti da scoraggiare questa soluzione. Va bene, rifiutiamo il debito, forse vi saremo addirittura costretti noi ed altri Stati, dice l’economista; ma a quel punto dovremo essere preparati a farcela da soli: niente più prestiti, riduzione delle importazioni, autarchia o quasi. Una volta arrivati a una volontà collettiva in questo senso, l’Italia avrebbe abbastanza risorse per farcela da sola o su chi potrebbe contare? Se uno Stato molto più vasto e ricco di risorse naturali, es. il Brasile, potrebbe anche parlare di perfetta autonomia economica, per gli Stati più piccoli come quelli europei non so se l’autarchia sia auspicabile. Uscita dall’eurozona, va bene, proviamo a pensarci; una delle conseguenze non potrebbe essere una provincializzazione e marginalizzazione ulteriore dell’Italia rispetto al mondo?
    La grande alternativa: la gestione della politica monetaria da parte di “un governo rivoluzionario continentale” o mondiale. Ci si arriverebbe, nella migliore delle ipotesi, in tempi diversi, il che implicherebbe comunque lunghi periodi di autarchia e isolamento degli Stati primi arrivati. La mia sensazione è che gli Stati supersviluppati viziati dal benessere, seppure percorsi da brividi di indignazione (dove tuttavia ci si scandalizza subito di fronte anche solo alla rabbia di un pomeriggio), non siano per nulla pronti a pratiche così radicali come una gestione collettiva delle banche, nazionalizzazioni ecc.
    Manca un discorso teorico più approfondito e diffuso capillarmente fra la popolazione su questi temi di primaria importanza, altrimenti in periodi di crisi più acuta la protesta è allo sbando, come prevede lo stesso economista intervistato.

  91. ROMA – Quelli che chiamate Black Block, i ragazzi e le ragazze, le compagne e i compagni, sorelle e fratelli, non indignati ma estremamente arrabbiati, pronti disposti e agili alla rivolta, quando non veri fasci o sbirri infiltrati, la minoranza o le minoranze che altri manistestanti, quindi con pari dignità a fare e dire dimostrazioni chiamavano assassini e sputavano certe volte usando il termine Fascisti (buono per – ogni e tutte – le minoranze), sono i giovani che in piazza san Giovanni in Laterano i compagni organizzati dei e coi Cobas hanno lasciato alla corsa disastrosa degli autoblindati della polizia che impazzavano a 60 chilometri orari nella stessa piazza: con la scusa di disperdere tutta la folla con l’acqua e sparando transenne sui corpi di chi stava contro. In momenti dove, per fortuna, e non so quindi altri cosa e dove abbiamo potuto vedere e/o sentire, i poliziotti e i carabinieri i finanzieri non erano applauditi durante le cariche, anzi i frati della Basilica accoglievano per esempio le persone che dalle cariche fuggivano, ma raggiunti dalla risposta forte e viva dell’intera piazza in sobillazione – i religiosi mai avevano visto lacrimogeni sulle gradinate della chiesa; ovvero d’ognuna e ognuno, cioé anche e persino dalle proteste e dalla contrapposizione verbale e ideale, quando non fisica e rappresentata essenzialmente dal lancio dei sanpietrini, che avevo fatto e formato il corteo da ogni medium definitivo semplicemente “pacifico” e degli “indignados”. Che è, appunto, il nuovo bollino delle televisioni ecc. inventato per coprire la reale rabbia delle migliaia di disoccupati, operai, studenti e altro ancora che sono le vittime della speculazione delle multinazionali bancarie e non, dell’oppressione della globalizzazione capitalistica e dell’oppressione questa sì fascista quanto permanente. Gruppi organizzati, cani sciolti e ‘gente comune’ che indossava e non indossa caschi e mascherine per abbattere i simboli fisici e dunque ideologici che stanno a ricordare istante per istante lo stato delle cose. Passando, addirittura, per l’abbattimento innocuo d’innocua statuetta della madonna. Prova di culto, oggi pagano di nuovo, che anticamente richiama il volto dell’oppio dei popoli e in questi tempi dice della mercificazione dei valori finanche spirituali. Le immagini che allego, dovete sapere, non le ho sentite e neppure ascoltate da lontano. Ma vissute dall’interno della rivolta. Quando il furgone dei poliziotti, per fare un altr esempio, e inoltre ditemi in che momento avete visto un tutore del disordine colpito dalla pietra della contestazione, è stato finalmente incendiato. Bruciato come dovrebbe bruciare la parte marcia e lurida dello Stato, ora italico, che tiene gli ultimi sempre più sotto e prova a spingere in basso, riuscendoci, quelli che ancora indigenti non sono e presto che lo diventeranno. Io, testimone oculare delle urla liberatorie di migliaia di persone che erano a scontrarsi con carabinieri e poliziotti, divise che tra l’altro in questi giorni si riprenderanno quanto possibile dopo lo smacco atroce dell’impossibile massacro che avrebbero molti voluto, li ho visti abbandonati tramite il tradimento degli irriducibili cobas che appena giunti in piazza con loro camion enorme hanno fatto retromarcia aprendo il varco alla furia dei blindati. Perché da qui, sgommando e correndo, i detentori del controllo così volevano prendere il luogo. Mentre, anche molti manifestanti che il gergo dei medium dice “non violenti” e “buoni” e punto, di certo non incitavano la repressione ma accompagnavano le risposte della rabbia potente. Io, certamente, questa volta non sono d’accordo con la massa. Di nuovo. Che le minoranze sono la mia casa. Posso anzi indignarmi con quei finti indignati e con gli incazzati veri che non rispettano il diritto d’ogni singolo e organizzato di scendere in piazza sempre e comunque come decide di fare. Borghesi e benpentanti, catto-comunisti nuovi e vecchi, militanti dello stalinismo che fu e dovrebbe per loro essere ancora, nuovi democratizi e democristiani e piddini con o senza tessera, hanno gioco facile a sostenere i politici di tutti gli schieramenti e i giornali coi siti di tutte le fazioni economiche e ideologiche buoni a raccontare la calma piatta che continuamente vorrebbero e che li farebbe giorno dopo giorno ancora più potenti. Al servizio, ovviamente, del potere. Sotto il Potere. Consapevolmente. Come inconsapevoli. Schiavi e finti liberi. E ci sarò ancora.

    NUNZIO FESTA

    p.s. questo scritto è per Il Quotidiano della Basilicata

  92. Ho notato che la reazione dei più all’intervista della repubblica è stata di incredulità, liquidandola superficialmente come una bufala, il che può essere benissimo. Non ho assolutamente le vostre competenze per poter affermare che sia vera o falsa.
    Ma Bonini, comunque la si pensi, è un giornalista serio e avrà fatto un minimo di verifiche, quindi io escluderei che faccia passare per vero un falso plateale, questo naturalmente non basta per dire che sia autentica o solo una abile costruzione.
    A voi alcune cose (come il rifiutarsi di parlar di politica con un giornalista) sono sembrate ridicole e incredibili, il che è verissimo ma solo se analizzate in una logica di partecipazione politica (violenta o meno) come quella che siamo abituati a conoscere noi.
    Ma proviamo a staccarci dal nostro quotidiano (che crediamo l’unico esistente) e proviamo ad entrare nel mondo del calcio, degli ultras, dove forse ci sono più “proletari” che nella scuola, nelle riviste ;-) e oggi anche nei partiti.
    E’ un mondo poco simpatico quello degli ultras, un mondo detestabile e anche assurdo per persone come me, ma un mondo che esiste.
    Se si deve dar retta a chi questo mondo, in questi anni, ha seguito, proprio nella sua “evoluzione” (meglio dire involuzione) politica, l’intervista appare subito meno incredibile e meno bufala.
    Sui muri di roma sono apparse scritte come raciti (il giovane ispettore di polizia catanese ucciso dagli ultras catanesi) e acab (che è l’acrostico inglese per dire che “tutti gli sbirri sono bastardi, All Cops Are Bastards).
    Chi conosce il mondo dei violenti del calcio, sa benissimo che simili metodi di guerriglia urbana (che si sono visti sabato a roma e che l’intervistato ha descritto) sono all’ordine del giorno. In questa ottica la frase “non parlo di politica con un giornalista” diventa quasi scontata e banale. Vi siete stupiti che il ragazzo dia invece un sacco di informazioni a un giornale che odia. Ma quel mondo è assetato di media e di visibilità (pur odiano tutti i media). Senza media non esisterebbe e non aumenterebbe.
    Di solito si liquida questo mondo come se fosse del tutto staccato dagli scontri più propriamente “politici”, e un tempo era davvero così, ma purtroppo negli ultimi anni non è più così. Anzi è proprio in quel mondo che nasce la convinzione che fra destra e sinistra non c’è sia più alcuna differenza. Cosa naturalmente del tutto falsa.
    per me e per chi come me percepisce ancora le differenze quegli stronzi sono dei perfetti fascisti. Questo però non deve impedire di cercare di capire cosa sia successo, anzi.
    Non è vero che capire voglia dire giustificare.
    Anzi è chi non vuole capire in profondità che alla fine sarà costretto, contro la sua volonta, a dover giustificare atti indegni.
    Molti di voi parlano sempre teoricamente di conflitto e di lotta di classe, senza approfondire però che è proprio negli stadi che ci sono i veri conflitti violenti e che è allo stadio che va la gran parte dei giovanissimi proletari e soprattutto che non sempre la lotta di una classe, abbandonata a se stessa, va nella direzione sognata.
    Anche la violenza delle tifoserie è passata dall’epoca industriale a quella post-industriale. L’immaginario (tramite media e soprattutto le immagini ad effetto fornite all’interno delle grandi manifestazioni) si allarga ed esce dai lughi deputati ormai troppo stretti (quelli delle tifoserie), come si allarga la necessità di mettere in primo piano l’impotenza delle forze dell’ordine e dello stato. Naturalmente questo spettacolare uso delle grandi manifestazioni (sportive e politiche) viene poi manipolato anche da certe politiche che hanno la logica securitaria come pricipale politica. Ecco perché tutto sommato i media, i violenti organizzati e le politiche securitarie sono tutte complici di questo nuovo processo che ha bisogno uno dell’altro. Un processo che si morde la coda e da cui non sarà facile uscire soprattuto in questo periodo in cui lo stato sembra ormai impotente a poter fornire diritti e servizi.

  93. Vorrei segnalare sul manifesto.it uno scambio di lettere tra Rinaldini/Rivera e Valentino Parlato sull’editoriale di quest’ultimo del 16/10, che incollo qui:

    Quella di ieri a Roma è stata una manifestazione storica, il segno di un possibile cambiamento d’epoca. Una manifestazione enorme, rappresentativa di tutto il paese (camminando nel corteo e in piazza si sentivano gli accenti di tutte le regioni italiane). E ancora, una manifestazione che si realizzava in contemporanea con tante altre nel mondo, in Europa e anche negli Usa, tutte concentrate sul cambiamento del modello di sviluppo, a sancire la crisi del liberalcapitalismo. Per dire che così non si può andare avanti, che la politica di oggi è arrivata a un punto morto e che ci vuole un’inversione di rotta, anche dei partiti politici, oggi ridotti alla sopravvivenza di sé stessi.
    A Roma ci sono stati anche scontri con la polizia e manifestazioni di violenza. Meglio se non ci fossero state, ma nell’attuale contesto, con gli indici di disoccupazione giovanile ai vertici storici, era inevitabile che ci fossero. Aggiungerei: è bene, istruttivo che ci siano stati. Sono segni dell’urgenza di uscire da un presente che è la continuazione di un passato non ripetibile.
    La manifestazione e le pressioni che essa esprime chiedono un rinnovamento della politica. È una sfida positiva agli attuali partiti di sinistra a uscire dal passato e prendere atto di quel che nel mondo è cambiato. La crisi attuale – più pesante, dicono in molti, di quella del 1929 – non può essere superata con i soliti strumenti. Negli Usa fu affrontata con il New Deal e in Italia e Germania, dove lo sbocco fu a destra, non con le privatizzazioni, ma con le nazionalizzazioni di banche e industrie. Ci ricordiamo dell’Iri, fondamentale nell’economia anche dopo la caduta del fascismo?
    Quello che è accaduto ieri deve aprirci gli occhi e la mente. Non si può continuare a fare politica con le vecchie ricette. Ci dovranno essere cambiamenti anche nelle lotte sul lavoro e nel sindacato, e nella politica economica. Per concludere, vorrei ricordare che dopo il discorso di Sarteano anche un banchiere come Mario Draghi ha detto di capire le ragioni degli indignati. Forse siamo all’inizio di una nuova epoca.

    Qui le lettere e la risposta di Parlato:

    http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2011/mese/10/articolo/5551/

    L’editoriale di Parlato secondo me è importante, anche se contiene qualche eccesso di leggerezza, o addirittura di ingenuità (l’accenno a Draghi che avrebbe “capito”): bisogna andare oltre, non essere il lato B del martellamento mediatico che di fatto ha oscurato l’importanza della manifestazione. Nessuna giustificazione di quella forma di violenza, però è indubbio che siamo di fronte a una forma di disperazione pubblica senza precedenti, e credo a una incapacità dei movimenti attuali e passati di farsene davvero carico, oltre che a una caduta di rappresentatività delle forze politiche. Anche per questo sono inverosimili i richiami a servizi d’ordine tipo i katanga: erano gestiti da un movimento di impostazione m-l, oppure direttamente dal PCI con l’ausilio del sindacato. Oggi sono improponibili. Invece è fondamentale portare avanti le parole d‘ordine, le istanze di opposizione a questo sistema globalizzato di vampiri e ladri, tenere vivo non solo il coraggio, ma anche il sacrificio che questo comporta, e quelle derive nella violenza verranno neutralizzate.

    P.S. sconvolto dalla reazione di Di Pietro, che rivela una personalità profondamente reazionaria, che non so quanto appartenga all’insieme del suo partito. Avrei serie difficoltà a votare qualunque coalizione di cui faccia parte Di Pietro.

  94. Sì, però adesso facciamo un passo avanti e proviamo a parlare della pars construens, come accennavo due o tre commenti sopra: l’intervista all’economista E. Brancaccio tratta da Micro-Megas riportata da Maria. Come portare avanti il ripudio del debito e quali sono le conseguenze da affrontare? Se non si aprono prospettive, sono destinati a ripetersi gesti disperati o esasperati.

  95. Ecco la voce di un “parassita”, di uno vero, non di quelli dati in pasto ai media. Da Il Manifesto del 18 ottobre.

    ***

    «L’album di figurine ricostruito da certi media è ridicolo. Gli avvenimenti di sabato rivelano la temperatura sociale del Paese». Parla un militante di Acrobax, uno dei centri sociali additati come cabina di regia degli scontri.

    Sono stati additati dai media mainstream come la macchina organizzativa degli scontri di sabato scorso a Roma. I militanti del centro sociale romano Acrobax, insieme ai torinesi di Askatasuna e ai padovani del Gramigna, sarebbero secondo un «teorema preordinato» – così lo definiscono – la base logistica e di regia della battaglia che ha trasformato per la prima volta da tempo immemore la piazza di arrivo di una manifestazione in un campo di macerie. «È falso». Un confronto con loro deve partire necessariamente da questo assunto. Non vuole avere un nome, il militante di Acrobax con cui parliamo, «per una scelta politica, non giudiziaria: perché una voce senza nome è più ascoltata di tanti personalismi».

    Dunque non siete voi gli artefici degli scontri di sabato?
    L’album di figurine ricostruito da certi media è ridicolo. Noi, i militanti del Gramigna, per esempio, non li abbiamo nemmeno mai visti in una riunione. Con gli attivisti No Tav, invece, come con molte altre realtà italiane ed europee della rete degli Stati generali della precarietà abbiamo costruito insieme un percorso di lotta che continueremo a portare avanti. Un percorso condiviso da un movimento amplissimo, internazionale ed europeo, che sulla base dell’appello del 15 ottobre si è riunito a Barcellona per organizzare la resistenza alla politica di austerity dettata dai poteri finanziari globali. Non a caso, eravamo a pieno titolo nello spezzone iniziale del corteo. Ma il punto che sfugge ai più è che uno spezzone sia pur organizzato e militarizzato di rivoltosi non avrebbe avuto la forza di tenere sotto scacco per ore la polizia e trasformare piazza San Giovanni in un campo di battaglia. La resistenza, lì, è stata diffusa, la guerriglia l’hanno fatta migliaia di manifestanti. E noi con loro. Ma è su questo che si deve riflettere: come mai un piccolo gruppo di «violenti» è riuscito a trascinare con sé tanta gente? Chi erano queste persone?

    È vero. Chi era in piazza quel giorno ha visto crescere il numero di “arruolati” alla guerriglia nel giro di qualche ora. Dapprima solo un “plotone” di miliziani nero vestiti, poi, a San Giovanni, gruppi non più definibili. Dunque tra di voi non c’era un disegno prestabilito per far saltare la manifestazione degli indignati?
    Il comitato 15 ottobre sapeva benissimo che noi non riconoscevamo e contestavamo le loro scelte politiche. Come è avvenuto in tutto il mondo – da New York a Milano – noi volevamo portare la nostra protesta sotto i palazzi del potere. Quando dico «noi» intendo dire le migliaia di persone che hanno partecipato ad un’intera area di corteo. La nostra manifestazione sarebbe dovuta finire altrove, non in piazza San Giovanni. Le nostre azioni erano mirate, politiche. Volevamo sanzionare l’abuso di potere che costruisce zone rosse off-limits. Ma soprattutto mettere in pratica il diritto all’insolvenza, riappropriarci dei beni di consumo, far valere i nostri diritti negati – dalla casa al lavoro, dai saperi alla salute. Su questo tipo di lotte ci mettiamo la faccia e puntiamo alla riproducibilità delle nostre azioni. Non lasceremo soli chi vive sulla propria pelle l’esclusione imposta dalle banche centrali e dalle finanze globali, né li lasceremo alle destre o alla Lega.

    Avete raggiunto i vostri obiettivi, sabato scorso?
    Non abbiamo risolto il problema ma l’abbiamo reso evidente. Anche se non siamo caduti nella trappola della polizia e non abbiamo forzato il muro costruito a difesa del centro trasformato in zona rossa. E non abbiamo nemmeno paura di dire che certe azioni, come bruciare le auto all’interno del corteo o danneggiare la statua della Madonna, sono stupide e irresponsabili. Ma è stata colpa delle cariche della polizia e del modo di gestire le forze dell’ordine se gli scontri sono finiti proprio dentro la piazza dove il corteo avrebbe dovuto approdare. È davanti ai caroselli impazziti della polizia e alle auto lanciate contro la folla, che i manifestanti si sono uniti ai pochi «violenti», come li chiamate voi, iniziali.

    Abbiamo già raccontato ai lettori del manifesto la strana gestione delle forze di polizia in piazza San Giovanni. Ma insomma, non la firmate voi, quella violenza primaria e impulsiva senza grandi doti comunicative che ha devastato Roma?
    Bisogna capire che c’è anche quella, anche se non era affatto nei nostri piani. Dovremmo tutti cercare di leggere i fatti di sabato come un termometro che misura la temperatura sociale di questo Paese.
    Ha spiazzato anche voi, dunque?
    Noi non facciamo le pulci alle varie anime del movimento, ciascuno sceglie la propria pratica politica. Così come non consideriamo nemici nemmeno coloro che scelgono strade di rappresentanza politica. C’è il massimo rispetto per chi sceglie le rappresentanze sindacali e studentesche. La nostra non è antipolitica, ma la consapevolezza dello svuotamento delle rappresentanze politiche. Certo, però, non saremo il capro espiatorio di un Paese – il cui tasso di disoccupazione giovanile sta al 30-35%, che vive in una dittatura mediatica unica al mondo, in assenza totale di tutele per i lavoratori e con un welfare tradizionale azzoppato dai tagli – nel quale è ovvio che il tappo è ormai saltato. Noi non provochiamo la rivolta ma nemmeno faremo i pompieri: meglio che tutto ciò emerga. A questo punto, o le rappresentanze politiche mostrano uno scatto di responsabilità, cercando di comprendere il senso e di dare delle risposte al conflitto, oppure quello che è successo sabato non è che l’inizio. E non è una minaccia, è una constatazione.

    Cosa è cambiato rispetto alla manifestazione del 14 dicembre scorso?
    Quello era solo corpo studentesco, sabato scorso invece in piazza c’era il corpo sociale metropolitano e precario. Allora si puntava alla sfiducia del governo e l’opposizione costituita ancora una sorta di rappresentanza politica parlamentare. Oggi le politiche di austerity sono condivise da tutto l’arco parlamentare. Per questo, senza fare alcuna apologia della violenza, diciamo che se il conflitto non trova altri sbocchi, in qualche modo esplode. È chiaro che si vuole instaurare uno stato d’eccezione per poi gestirlo in emergenza.

    da “il manifesto” del 18 ottobre 2011

  96. Vabbéh, non chiamamoli infiltrati, diciamo che c’erano quelli che portavano avanti iniziative non condivise dall’organizzazione, che si sono trovati lì con intenti contrari al programma della giornata e che hanno posto in essere un azione dispersiva in piazza. I nodi non si sciolgono, fare appello a valori democratici poi, era già il presupposto per quanto è successo. A questo punto l’ostinazione produrrà nuovi mostri? Ecco fatto il gioco di quelli che, interni al movimento ma attualmente defezionati, sperano. Nessuna radicalizzazione interna! No al servizio d’ordine! Non tiene più la favola che giustificazioni democratiche possano limitare la libertà delle persone, è questa la decadenza civile che giustifica l’inasprimento repressivo del potere per un alto ideale verso il quale si vorrebbe progredire, ma che nei fatti ci sta vedendo allontanare. Io sono un pacifista, ho espresso la mia contrarietà a queste azioni, mi posso prendere insulti e rischiare di più, per cosa? Perché, per la megalomania di qualcuno che vorrebbe il controllo totale della piazza. A queste condizioni faccio yoga.

  97. non ho ben capito che cosa dovrebbe aggiungere al dibattito questa che francamente, con tutti i giri di parole del caso, mi sembra solo l’ammissione di un fallimento – che non rinuncia, per altro, a punte di ridicolo involontario (“certe azioni, come bruciare le auto all’interno del corteo o danneggiare la statua della Madonna, sono stupide e irresponsabili”) e di arroganza (“È davanti ai caroselli impazziti della polizia e alle auto lanciate contro la folla, che i manifestanti si sono uniti ai pochi «violenti», come li chiamate voi, iniziali”).

  98. Il debito va prima ridotto, bisogna prima eliminare tutte le opacità che impediscono di individuarne i principali e secondari motivi d’incremento del debito. E ancor prima è necessario eliminare ogni opacità dell’agire delle istituzioni politiche ed economiche. Più in generale bisogna vederci chiaro.

  99. @ Gherardo
    l’intervista voleva solo dimostrare che avevi ragione: sono “parassiti” pre-politici, incapaci di proporre analisi compiute sulla fase del capitalismo e buoni solo a fare casino; a differenza degli altri, dei non violenti, questi sì capaci di illuminarci, in particolare con la grande invenzione concettuale della “delazione di massa”, questi parassiti si mostrano per quello che sono. Risulta evidente, inoltre, l’assoluta distanza, anche intellettuale, tra questa intervista e alcuni grandi concetti scientifici proposti qui, da quello di “assatanati” a quello di “mistica della jacquerie”, senza dimenticare quello – questo sì illuminante – del “parassitare il corteo” … Sai, Gherardo, cosa mi diverte? Ricordare, andando a ritroso nel tempo, come è nato il precedente movimento No Global … Ricordi? A Seattle i “neri” sfasciarono di tutto, al di fuori e contro le pratiche del resto dei manifestanti; eppure, quel movimento fiorì lo stesso, sempre più importante (e senza delazioni, certo; è bene rammentarlo; ben sapendo, insomma, con chi “farsi amici”) e senza escludere nessuno, neppure i “neri”, che infatti si ripresentarono con le mitiche catapulte a Quebec e poi agli altri contro-vertici … Insomma, se questo movimento deve nascere, nascerà lo stesso; se saranno le violenze di sabato a fermarlo, allora non doveva nascere …

    NeGa

  100. va bene, nevio, per conto mio te la stai suonando e cantando da solo (e basta che ti rileggi con attenzione i commenti miei e di altri sotto questo post – o sotto quello sugli scontri del 14/12/10 – per vederlo). cmq ti sottoscrivo quando dici:

    “Insomma, se questo movimento deve nascere, nascerà lo stesso; se saranno le violenze di sabato a fermarlo, allora non doveva nascere”

  101. Sulla giornata del 15 va chiarita innanzitutto la cronaca dei FATTI. E non si capisce Piazza S. Giovanni se non si spiega prima cosa è successo prima. Chi fa i distinguo tra la devastazioni e la “resistenza” di piazza S. Giovanni non sa che le prime sono state la causa principale dell’entrata della polizia sulla piazza. Via Labicana è stata chiusa dai violenti con ogni mezzo (fuoco, fiamme, bidoni incendiati) per “permettere” alla PS di caricare “facilmente” una gran massa di persone inermi, in quel punto. Da lì in poi i violenti hanno fatto di tutto per trascinare la PS in piazza, che ci è cascata in pieno.

    Rimando per la cronaca a quello che ho scritto sul mio profilo (con tempi luoghi strategie e rivendicazioni “implicite”).

    Il punto è che quei 300 che durante il corteo hanno sfasciato, razziato e incendiato i “simboli” hanno preventivamente pensato di portare la PS in piazza con un’azione strategica di provocazione della PS stessa, che si era tenuta lontana dal corteo.

    Chi era a S. Giovanni ha fatto solo il pesce in barile, perché i violenti volevano proprio questa: trasformare S. Giovanni in una “tonnara”: in effetti la piazza si prestava a diventare agone di un massacro, essendo chiusa da tre lati e già piena di gente ignara di quello che era successo prima a via Labicana.

    Molti infatti dicono e hanno ragione: la polizia ha attaccato la gente innocente, hanno lanciato i cellulari in maniera indiscriminata contro le persone (Bernocchi dice giustamente che si stava rischiando l’incidente tra il camion dei COBAS e uno dei cellulari dei CC). è chiaro che allora molte persone hanno reagito, quelle che già sentivano nell’aria che poteva succedere qualcosa.

    Tuttavia è davvero ridicolo parlare di “resistenza” (davvero ridicolo) quando molti di coloro che hanno reagito a S. Giovanni hanno svolto il “compito” di utili idioti per i 300 che avevano programmato tutto da prima del corteo, per sabotarlo (v. i blog di certa area antagonista, v. le scritte sui muri “non piantare tende, pianta grane”, “questa sì che è indignazione”), direttamente e indirettamente.

    Gli allocchi che hanno conteso la piazza alla PS si sono fatti strumentalizzare dagli ultras della violenza che volevano in primis attaccare il corteo e tutti noi, che avevano deciso di non “attaccare i palazzi del potere”. Questi tizi hanno intimorito, minacciato, e menato i partecipanti al corteo. Un uomo ha perso due dita. A via Labicana costoro hanno fatto di tutto perché il corteo venisse caricato. E da lì in poi, attraverso viale Manzoni e Via Emanuele Filiberto hanno continuato ad attaccare la PS finendo, pensa un po’ dove? In piazza S. Giovanni.

    E allora come li dovremmo definire questi qua? Fuoco amico? Danni collaterali? Ci vogliamo scervellare a fare l’analisi sociologica del malessere dei giovani proletari italiani?

    Io mi sono sentito minacciato, ho rischiato di prendere una bottigliata in faccia e quindi mi sono dovuto difendere non dalla PS ma da questi tizi, a cui non interessa evidentemente far parte di un movimento, ma ripetere la trita e idiotica battaglia contro la PS (v. infatti scritte ACAB e CARLO VIVE – sic – sui cellulari in fiamme).

    Parlato, scusate il calembour, non sa di cosa parla. Anzi come dicono i giornali perbenisti, è un irresponsabile.

    Questa gente ci ha per l’ennesima volta scippato di un diritto e di un libertà e io non la riconosco (come loro non riconoscono me d’altronde), per me, è triste dirlo, sono solo un altro avversario da combattere (non certo dando le loro foto alla Digos, sia chiaro).

    Ora di Pietro dice che ci vuole una nuova legge reale, Alemanno ci blinderà roma proibendo la manifestazioni (con dalla sua l’opinione pubblica).

    Quindi che devo dire? Grazie compagni fascisti.

  102. Uno dei tanti “utili idioti” trascinati negli scontri di sabato. Per sua sfortuna era a torso nudo e non ben bardato come chi lo ha strumentalizzato per farne carne da macello per la PS. è già nelle mani della Digos. Sicuramente quando uscirà da questa storia diventerà un compagno pronto alla battaglia finale per il Palazzo d’Inverno.

    “Una famiglia perbene e benestante, conosciuti nel paese del viterbese, Bassano Romano, dove risiedono. E proprio a Bassano Romano stamani è stato fermato dalla Digos Fabrizio Filippi, 24 anni, il ragazzo che in una foto scattata agli scontri di sabato a Roma tira un estintore, definito da parte dei media coma il simbolo dello «sfascismo» di Roma. È stato identificato e fermato in poche ore dagli agenti della Digos della Questura di Roma, guidati dal dr. lamberto Giannini, anche grazie al lavoro della Polizia Scientifica. Alle indagini avrebbero collaborato attivamente i genitori del giovane che lo avrebbero riconosciuto dai tanti scatti di quel gesto e avrebbero aiutato la polizia. I genitori di Fabrizio sono due impiegati. Il ragazzo è iscritto al primo anno di Psicologia all’università Marconi di via Plinio.

    Un ragazzo di buona famiglia, che gioca a tennis, studia e cercava on line ragazze «per relazioni passionali». Questo un primo ritratto di Fabrizio. La foto che lo ritrae su un sito per incontri mostra un ragazzo diverso da quello restituito dagli scatti in cui lancia un estintore contro le forze dell’ordine. Qui sembra angelico, i ricci biondi, esile, una maglietta nera e la didascalia: «Vorrei relazioni passionali con una ragazza». Ma sabato si è trasformato in una furia che a torso nudo, il volto travisato ha imbracciato un estintore come arma per poi irridere i poliziotti col gesto del dito medio. Sul sito, sul quale Fabrizio era on line circa una settimana fa e sul quale era noto col nome di Ravers, si presenta con poche, innocue informazioni. Amante del rap, dell’hard tek, del dnb, ovvero la musica elettronica tipica dei rave party. Come film cita un cult dello ‘sballo’ ovvero “Paura e delirio a Las Vegas”, una pellicola con Johnny Deep e Benicio Del Toro fanno uso smodato di ogni sostanza psicotropa. Il libro preferito è “Quattro anni all’inferno”, la storia di un ragazzino di 14 che fugge da una setta satanica. Per lo sport cita il tennis.

    «Io pensavo che mio figlio stava all’università . Mi dispiace, è un momento troppo pesante per noi: così il padre di Fabrizio a Radio 24. «Non stiamo bene – ha detto il padre, con tono dimesso – mi dispiace, ora aspettiamo e vediamo. Lui sta aspettando che venga interrogato, per adesso è un momento troppo pesante».

    Il 24enne è stato riconosciuto dall’analisi delle numerose immagini e dai video che lo ritraevano mentre lanciava un estintore, a torso nudo, contro un agente. A incastrarlo anche un tatuaggio sul fianco sinistro che è stato immortalato in più foto. Secondo quanto si è appreso, il ragazzo era già conosciuto alle forze dell’ordine per le sue partecipazioni a manifestazioni politiche.”
    18 ottobre 2011
    http://www.unita.it/italia/er-pelliccia-profilo-del-black-bloc-perbene-1.343358

  103. grazie anche a Carlo Antonicelli, che mi lascia sperare che il lume della ragione, anche tra noi, non si è completamente perso.
    Credo, pure, che parecchie persone come lui abbiano una visione non offuscata da meccanismi mentali rugginosi del secolo scorso e da qualche cartone animato su Che Guevara in foresta. Vorrei davvero che queste persone prendessero la parola, perché a sentire certe tiritere è un po’ demotivante. Come scriveva Alberto Fiastrelli – se questi sono i miei compagni, allora bigio e sto a casa a fare yoga.

  104. allora, A. Inglese, puoi benissimo rimanere a fare yoga,

    – e magari cercar/ne persino altri di ‘sti passatempi che noi piccolo-borghesi amiam.

    mentre in strada, scenderà chi riesce.
    chi vuole spaccare il mondo prima di ricostruir(lo): perché gli anni che abbiamo studiato la nonviolenza sono serviti al padrone per mettere altro terreno tra lui e noi.

    pace e amore, pace é amore. Nella battaglia

    b!

    Nunzio Festa

  105. @ Andrea Inglese
    certo, Antonicelli, a differenza di altri, non è prigioniero dei “meccanismi mentali rugginosi del secolo scorso” e non ha perso “il lume della ragione”, però, insomma, se fossi in te un po’ di dubbi sul suo armamentario retorico (e politico) me li porrei. Ma tant’è; sabato 15 ottobre sta sparigliando le carte, e questo non può che essere un bene. In quanto ad “armamentario rugginoso”, in questa discussione tu hai rispolverato uno degli armamentari più retrivi del secolo scorso: il servizio d’ordine. Ti ricordo, qual ora l’avessi scordato, che i servizi d’ordine sono strutture militari che per funzionare devono isolarsi dal corpo del movimento, sino a diventare vere e proprie organizzazioni parallele *senza controllo*. Solo un grande partito può gestirli efficacemente; quando sono i movimenti a gestirli, per loro natura eterogenei in quanto a composizione, il loro risultato è sempre stato deleterio per l’esistenza degli stessi movimenti. In Italia, l’unico momento dove un movimento è riuscito a gestire decentemente il servizio d’ordine sono stati i primi due mesi della rivolta del 1977 (febbraio, marzo); poi, per l’appunto, si sono autonomizzati e sono diventati altro. Questa è la storia. Se mi permetti una battuta, proporre oggi il servizio d’ordine è ideologico, e proprio nel senso di meccanismo mentale rugginoso del secolo scorso. Ogni tanto bisognerebbe guardarsi allo specchio.

    ***

    A questo punto, forse è opportuno raccogliere l’invito della Salardi, quello lanciato alle 11:50: cominciamo a parlare delle prospettive.

    NeGa

  106. Ah, i leoni da tastiera, sono i flanuer del XXI secolo!

    NG, il fatto stesso che si debba parlare di servizio d’ordine (sai, a chi venera il dio sanpietrino non è facile far comprendere un linguaggio razionale e noi vorremmo continuare ad andare in piazza con tanta gente), di chi può venire o non venire alle manifestazioni (allora, solo maschi, tosti, almeno 19 cm, armati e pronti a tutto, possibilmente tra i 22 e i 37 anni alti, astenersi pacifisti, altermondisti, gente che vuole fare politica. è permessa l’entrata a tutti i leoni da tastiera che circolano in rete) ci dice che per colpa degli untori di ieri dovremmo di nuovo continuare a difenderci (da voi, da maroni, da di pietro, da alemanno che sbarra tutto). Bifo dice si alzerà il livello dello scontro e lui che ha visto com’è finito il ’77 (repressione, delazione ed eroina) vede lontano.

    Per dire Carlo Formenti, che del ’77 ha visto ascesa e discesa dice giustamente questo: https://www.facebook.com/notes/carlo-formenti/idiozia-politica/10150352790669165

    E parla di idiozia politica. E non si può dargli ragione.

  107. Mi riferivo – de panza – alla bell’idea di dover spaccare il mondo prima di ricostruirlo….

  108. scusate la foga. Correggo le ultime due frasi:

    1) per dire, Carlo Formenti, he del ’77 ha visto ascesa e discesa dice giustamente questo …

    2) parla di idiozia poltica. E non si può non dargli ragione. basta conoscere un po’ la storia dei movimenti degli anni ’70 per capire che la violenza, di questo genere, fa bene solo allo Stato e al padrone.

    P. S. Sfasciare i supermercati per prendersi la roba da mangiare è una roba vecchia, una pratica assolutamente infantile rispetto a come si è evoluto il potere e l’economia.

    N. B. parlare di prospettive con costoro è semplicemente improbabile. Ma io non ho metto ostacoli al destino. ma se il linguaggio che devo mettere in campo è quello del sanpietrino, mi sa che non parliamo la stessa lingua. Grazie a questi “compagni” la maggior parte delle persone (che non accettano il vostro autoritarismo dall’inconscio fascista, non perché abbiano paura di lanciare un san pietrino) a fare, giustamente, yoga.

  109. Sottoscrivo Antonicelli, e Bifo e Formenti…
    Dai Nevio! diceva Gadda, barocco non è il Gadda è il mondo, e se quando si scende in piazza devo fare i conti con certi idioti, visto che a me piace manifestare e faccio ormai parte della categoria “donne, vecchi e bambini”, allora che Katanga sia…
    Ma mica sono io ad essere ideologico, è il mondo che è ideologico, guarda un po’…

    Sul resto, sulle prospettive, ho commentato in calce al post di Helena di là. se avete voglia di perder tempo, potete leggere lì…
    Ossequi

  110. NG dico te, perché ti sei definito “uno di loro”. Ma ovviamente mi riferisco agli ultras violenti del 15-O (che ripeto, vanno distinti dai “pesciolini” in barile che a piazza s. giovanni hanno fatto le loro “marachelle” e poi sono andati a vedere la Roma)

  111. PS: provo ad aprire il link di Formenti ma è sparito da FB… Ah certamente il futuro dei movimenti è nel crowdsourcing e nella democrazia di base di Facebook, altro che servizi d’ordine… Facebook, è lui (esso) il nuovo soggetto rivoluzionario, sì, sì, altro che Katanga…

  112. @Antonicelli – questo invece (i pesciolini di piazza san giovanni, ecc…) non lo sottoscrivo affatto: a Pzza San Giovanni si è vista la solita solfa di chi fa ordine pubblico come se fosse alla guerra, cariche e caroselli inutili, candelotti, violenza, idranti, scaricati sui miti che per moto inerziale erano andati a finire in quel cul de sac… Preferisco distinguere. la gente, tutta a San Giovanni si è difesa, e non poteva far altro…. E contrattacare è un ottimo modo di difendersi da chi ti aggredisce…

  113. Nevio G, Antonicelli,
    come, non lo sapete?
    Il servizio d’ordine per la prossima dichiarazione è già stato trovato:

    “E infine per voi luridi teppisti 15enni che avete trasformato Roma in un teatro dove siete stati attori della vostra stessa rabbia repressa, a voi che avete rovinato una grande opportunità, vi diciamo “arrivederci”, “arrivederci” a presto. La prossima volta non ci saranno i Cobas, la CGIL o i viola a urlarvi “VIA, VIA, VIA!”, ma ci saremo noi, e non saremo cosi clementi.”

    Parlano gli stessi che scrivono poco sotto:

    “si, non neghiamo l’uso della violenza per fini più nobili;
    si, c’eravamo in piazza S.Giovanni;
    no, i carabinieri sulla camionetta non sono scesi da soli ma li abbiamo fatti scendere;”

    E che si firmano:L’opinione dei “Black Block”, se cosi volete chiamarci”

    Pubblicato 17 ottobre 2011 alle 18:46 | Permalink
    da Marco Rovelli, trovato
    Sulla pagine facebook di Antifascismo Militante Italiano.

    PS La ricostruzione di Antonicelli mi sembra ricalchi abbastanza bene quella fatta dal giovane intervistato da Repubblica.

  114. «Partimmo alla conquista di un nuovo mondo, ma non ci rendevamo conto che, in realtà, aiutavamo a puntellare quello vecchio»

    (Alberto Franceschini, Che cosa sono le Br, Ed BUR, 2004, cit. pag. 3)

  115. a nevio e nunzio

    mi permettete di non prendervi sul serio? Mai più?

    Ma posso consigliare cartoni animati di questo tenore: “Come mettere il capitalismo in ginocchio grazie a quattro celerini col braccio al collo, sei suv tostati, un po’ di pacifisti malmenati, e qualche sassaiola allegra & per il finale un lancia-tutto – e un programma politico siffatto: “ora finalmente le contraddizioni sono emerse e si è capito che c’è tanta rabbia”.
    (Senno’ davvero noi si credeva di vivere nel paesino delle meraviglie.)

    Sigla di coda.

  116. Sui pesciolini: se tu guardi questo video: http://www.youtube.com/watch?v=EjxKdAoTJvg&feature=share

    si vede bene che i neri “portano” in piazza il blindato con l’acqua che prende tutti.

    Bene, io posso capire e la giustifico, anzi avrei partecipato se la polizia così di punto in bianco avesse caricato le persone. Ma la verità è che da via Labicana, per 90′ minuti la PS prendeva sassi e tutto il resto. Non sto dicendo che la PS abbia fatto bene a caricare indiscriminatamente – avevano pochi uomini e hanno usato i caroselli per disperdere le persone – ( cmq rimando alla cronaca che ho scritto e ho linkato più sopra), ma io non mi faccio strumentalizzare da 300 stronzi che vogliono giocare con la PS.
    è questo il punto, il mio corpo e la mia mente cerco di tenerli liberi, e figuriamoci se devo diventare “prigioniero” della macchinazione di 300 ultras ed essere costretto a difendermi dalla PS che rispondeva ad una provocazione violenta che durava già da 90′

    è il principio che è violento, sulle conseguenze possiamo discutere, ma se si guarda la storia dalla fine, non si capisce la verità

  117. @ Andrea
    il tuo cartone animato non mi riguarda. Stai di nuovo, come già altre volte nei miei confronti, sbagliando mira. Riavvolgendo il nastro, nel mio primo commento dicevo questo:

    *Chi vuole che davvero la situazione cambi, chi lo vuole davvero, non può ripetere il solito rito della “presa di distanza” o dei distinguo (psuedo) politici o, peggio, della denuncia poliziesca; deve porsi il problema di come far diventare quella carica esplosiva una prospettiva di futuro.*

    Lo confermo, parola per parola.

    Se in questa frase, o nelle altre da me scritte, vuoi vederci l’elogio dello scontro fine a se stesso o altro, liberissimo di farlo; il senso è però un altro.

    Dopo la sigla i credits: Piazza Statuto, 1962.

    Passo e chiudo.

    NeGa

  118. @ Carlo: ho visto ed ero lì anch’io: quello che tu non dici è che già da un po’ la PS attaccava anche a monte del ‘corteo’, in Pzza Vittorio e in Piazza Santa Maria maggiore e spingeva di conseguenza la gente verso Pzza San Giovanni. Le cariche lì erano scattate a freddo e per episodi minori, qualche fumogeno di troppo uno o due petardi… Ma sono scattate, sono scattate perchè bisognava comprimere il corteo e schiantarlo. E’ da anni che fanno così, è da Genova che fanno così….
    Se la vedi così potrai essere obbiettivo, visto che è difficile decidere, da quel filmato che citi, se fossero i cretinideliranti ad attirare la PS in Pzza, o la PS a spingere loro addosso al corteo. Credo che che sia incontrovertibile….
    Fino a quel momento la strategia dei cretinideliranti era stata altra, attaccare e mettere tra se stessi e la PS noi con il nostro corteo, ma a Via Labicana no, sono rimasti loro e la PS, e su via labicana il patatrack è successo dopo l’attacco al Ministero della difesa, da lì i PS hanno iniziato a reagire in maniera indiscriminata, stringendo il corteo da dietro, con forze provenienti dai Fori, e dai lati. Da lì la gente ha iniziato a reagire. Io personalmente mi sono riuscito a sganciare e a salire su Colle Oppio poi sono risceso per vedere che accadeva, perchè nemmeno io avevo intenzione di combattere guerre che non avevo dichiarato, ma ho trent’anni d’esperienza di ‘conflitti’, lì c’era gente che nemmeno sapeva dov’era e loro sono rimasti nella tenaglia…
    Pochi uomini? Ma se c’erano almeno 2500 divise schierate. In quanti dovevano venire? 10.000, 20.000? ti rendi conto di quello che dici?
    Ma in un certo senso hai ragione, fino a Labicana io di PS ne ho vista poca, pochissima, anche tra Ricci e Pzza Venezia era più quella cachée che quella visibile… pensaci un po’… che vuol dire?
    I caroselli in Pzza con i blindati non si fanno e basta. Santo iddio, anche tu Carlo, che dici? Il rischio di accoppare qualche innocente è troppo e credimi che ci siamo andati molto vicini, altre volte è già successo, non sto a farti memoria. Che i cretinideliranti siano cretinideliranti è, imho, un fatto, ma non farti trascinare dalla rabbia a dire cose che credo tu non pensi, visto che citi Formenti e Bifo…
    per quanto riguarda i pesciolini è andata proprio così, la PS ha caricato senza ragione, e come al solito, siccome una carica per prendere gruppi di 15, 20 cretinideliranti è assolutamente e stupidamente inutile, il risultato è stato manganellare i primi che capitavano, cioè i più miti e inesperti…
    Guardale meglio quelle immagini, cerca di capire se oltre alla prima lettura immediata ce n’è anche un’altra o delle altre, o invece di fare una ricostruzione, fai letteratura… E la letteratura, credimi, in questa storia non è utile affatto… Io da Genova cerco di analizzare le strategie di OP messe in atto in Ytraglia, e ho imparato ade ssere prudente, nell’analizzare i filmati, che di per sè non sono la verità, ma solo un punto di vista sulla verità…. La stessa scena ripresa da un’altra angolatura, racconta una storia diversa, o crederemo che quando hanno sparato a Carlo lui era arrivato a meno di un metro dal Defender. Ma basta guardare altre foto, meno schiacciate di quella più diffusa e si scoprirà che non era così. Altrimenti alla fine anche tu fai analisi manichee, i buoni e i kattivi, e la realtà è probabilmente assai più complessa….
    Scusa la pletoricità….

  119. gli idioti, gli sfascisti, i pesciolini, gli allocchi.
    la ps che risponde alle provocazioni.
    vi rileggete quando scrivete?

    dodici arresti, rischiano da tre a dodici anni. due sono donne: una percentuale maggiore che nei consigli d’amministrazione, o in parlamento.
    tutti hanno meno di trent’anni, il contratto di inserimento per loro è ancora applicabile.

    quando scriviamo, cerchiamo di ricordare che questi ragazzi saranno tra i pochi, pochissimi nel nostro paese a prendersi fino in fondo le loro responsabilità – e anche oltre, se conosco un po’ questo paese.

    non fosse altro che per questo, per il prezzo che già stanno pagando con la privazione della libertà, meritano maggiore rispetto nelle nostre incontrollate invettive.

  120. per chiarezza, incollo qua quanto ho commentato a pie’ del pezzo di Helena, su Er Pelliccia
    “una cosa su Er Pelliccia voglio dirla: se era tra quelli che hanno spaccato a Via Cavour, via Labicana, ai Fori, allora che sconti quello che merita. Ma, siccome allo stato ho visto solo foto di San Giovanni, se non è così, non mi sta bene che chi si è difeso a San Giovanni paghi anche per i deliquenti che hanno fatto tutto il disastro precedente. Per chiarezza. I capri espiatori mi hanno sempre fatto orrore.
    Non è stata una buona idea impugnare quell’estintore, povero Er Pelliccia, avesse tirato sanpietrini, sbarre, elefanti, neutrini, passi… Ma un estintore no, per chi tira estintori in Ytaglia vige la pena di morte, o almeno il carcere duro… Che il dio dei ragazzini protegga Er Pelliccia, se davvero se lo merita…”

  121. mi sto leggendo i commenti di tutti coloro che ad ogni costo vogliono minimizzare, giustificare e in alcuni casi persin sostenere le azioni violente e stupide di alcune centinaia di ragazzi che, grazie all’assenza delle forze dell’ordine hanno rovinato una bella manifestazione e oscurato le sue istanze. Ci manca solo che qualche rivoluzionario dica che sono “compagni che sbagliano”.
    Come al solito in questo paese ci si ostina a rifiutare il principio di responsabilità che dofrebbe fondare qualsiasi democrazia.
    Si pretende di non fare differenza tra un ragazzo che studia acquisisce competenze e manifesta pacificamente la sua rabbia cercando di elaborare un progetto alternativo, e un’altro che sfascia i beni pubblici commette atti di violenza mettendo a repentaglio la vita degli altri manifestanti e dei poliziotti.
    E non si capisce sul piano politico che questi atti idioti (altro non sono) finiscono con il rafforzare e giustificare le politica autoritarie della destra che ha sempre speculato sulla paura.
    Mi fa piacere in ogni caso che i ragazzi che hanno manifestato non la pensino così.

  122. Dice cose che si dicono in giro….
    Casarini ha risposto con nettezza dicendo che è libero di discutere alleanze con chiunque.
    Ciò non spiega, in ogni caso, chi abbia autorizzato certi signori (signorini, direi) a dare fuoco alle auto vicino a migliaia di persone mettendo a rischio la loro vita. Nè a fornire l’alibi a certi signori in divisa per tentare di massacrare migliaia di inermi in Pza. san Giovanni…
    Negli anni 70 quelli dei Volsci me li ricordo bene, alla Sapienza occupata: arrivarono da dietro, improvvisamente, spararono ai poliziotti che ci assediavano e poi fuggirono via.
    A noi che eravamo rimasti lì, basiti, toccò la violenza di una repressione indimenticabile. Meglio casarini in parlamento (se ci sta gente come Schifani, Casarini a Montecitorio non fa problema, ma non credo che luca da grande voglia fare il deputato, vedremo) che manifestare ancora con certi ‘duri e puri’, sempre lesti alla fuga. Cowards…

  123. Lello non volevo giustificare i caroselli figuriamoci… Ma ti assicuro che ciò di cui ho fatto cronaca l’ho solo vista con i miei occhi. E la puoi leggere su Precarie Menti. La parte di via cavour non l’ho fatta direttamente, ma me la sono fatta raccontare, cioè dall’esproprio dell’elite sino al colosseo. E di quelle cariche che dici ne prendo nota, ma non modificano in generale la stesura dei fatti, e la strategia dei neri. Dopo l’esproprio si sono anche fatti strada con le bombe carta e ad uno di SEL sono saltate due dita.

    Quando alle 15,30 sono arrivato a s. giovanni (provenendo da Re di Roma) ho visto tanta gente tranquilla entrare in piazza. Poi sono andato diritto per E. Filiberto e quindi girato a sx su Viale Manzoni (tutto tranquillo). Superata via Merulana ho incontrato su Via Labicana i neri che di lì a poco hanno incominciato a spaccare tutto (Manpower, macchine, bidoni in mezzo alla strada, poi le banche etc etc). Il corteo si è fermato e vista l’aria che tirava sono risalito su da via S. Giovanni in Laterano, verso piazzale del Laterano perché avanti non si poteva andare. Arrivato su ho visto la PS provenire da via dell’Amba Aradam e iniziare a scendere su via Merulana, all’incrocio con via Labicana, dove c’era la testa del corteo, praticamente ferma, perché su Viale manzoni (quindi sul percorso stabilito del percorso) c’erano altri bidoni, macchine bruciate etc etc. Bene, posso dirti che lì, perchè l’ho visto e documentato con immagini audio-visive, la polizia poteva fare il massacro (perché lì la gente era impreparata), poteva andare diritta e caricare il corteo (come fece a Via Tolemaide insomma), invece ha girato a dx su via aleardo aleardi e poi sx arrivando direttamente su viale manzoni e caricando i neri.

    A mio parere i neri hanno voluto bloccare il corteo a Via labicana perchè era il punto migliore per una carica della PS. a dx di Via Labicana, per molti metri, non c’è via d’uscita, a sx le vie d’uscite sono strette. Hanno quindi lasciato dei “punti di riferimento” per la PS (distruzione, bidoni, e auto) e poi sono andati via.

    Dove? La maggior parte su via E. Filiberto e dintorni, dove, scassando lo scassabile i neri hanno attirato la PS sulla piazza. Forse la PS non aspettava altro? Forse, ma quello che è certo è che senza i neri lì non ci sarebbero mai arrivati.

    Sul numero delle FDO: dico pochi, perchè dalle 17.20 alle 18, ovvero il tempo in cui sono stato a via Umberto Biancamano, ho visto PS e carabinieri in netta inferiorità (di forza e di numero) rispetto alla piazza.

    Se vogliamo criticare le FDO facciamolo (gettare i cellulari in mezzo alla gente è folle, criminale, come avete potuto vedere oltre a essere pericolisissimi, sono anche facili bersagli di sassi. Una strategia talmente deficiente è degna della loro controparte), ma nell’ordine di responsabilità, va stabilità una gerarchia: chi ha pro-vocato, chiamato, aizzato ed esposto il corteo alla violenza della PS è stata quella minoranza di incappucciati neri.

    Il ragazzo arrestato, come pure facevo notare sopra, è una vittima della repressione, ma ancor prima è una vittima dei 300 neri incappucciati che hanno fatto entrare la PS in piazza (e la cronaca dei fatti, riportata su Precarie Menti secondo me lo dimostra). è questo che va ben tenuto a mente.

  124. sul fatto quotidiano, vi lascio il link:
    http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/15/roma-15-ottobre-2011-il-videoracconto-delle-violenze/164149/
    c’è un video che a 2’30” registra un “accordo” tra uno dei responsabili del corteo (uno dei più autorevoli, penso) e le forze dell’ordine.
    “non entrate in piazza”, dice bernocchi.
    “non lo faremo, li aspettiamo qui”, dice il funzionario “te lo garantisco”.
    dilettantismo, insufficienza di forze, inestinguibile slealtà, non lo so, ma lo vorrei sapere.
    perché la ps è entrata in piazza?
    “attirata”, “pro-vocata”, “aizzata”: embe’, e quando è entrata in piazza che ha risolto? a parte respingere il corteo e “saldare” qualche migliaio di persone della piazza/tonnara alla rivolta – per poi arrestarle?
    date una spiegazione a questo, e poi dedicatevi con calma alla caccia ai black.

    p.s. ma il “principio di responsabilità” che verrà inesorabilmente applicato ar pelliccia, perché non viene invocato per il pulotto che manganella in volto una manifestante inerme? e potrei fare migliaia di esempi… davvero bastano quelle macchine incendiate per deviare il corso dei nostri sentimenti nel mainstream?

  125. DI FRANCO BERARDI “BIFO”
    looponline.info

    Il 15 febbraio del 2003 centomilioni di persone sfilarono nelle strade del mondo per chiedere la pace, per chiedere che la guerra contro l’Iraq non devastasse definitivamente la faccia del mondo. Il giorno dopo il presidente Bush disse che nulla gli importava di tutta quella gente (I don’t need a focus group) e la guerra cominciò. Con quali esiti sappiamo.

    Dopo quella data il movimento si dissolse, perché era un movimento etico, il movimento delle persone per bene che nel mondo rifiutavano la violenza della globalizzazione capitalistica e la violenza della guerra.

    Il 15 Ottobre in larga parte del mondo è sceso in piazza un movimento similmente ampio. Coloro che dirigono gli organismi che stanno affamando le popolazioni (come la BCE) sorridono nervosamente e dicono che sono d’accordo con chi è arrabbiato con la crisi purché lo dica educatamente. Hanno paura, perché sanno che questo movimento non smobiliterà, per la semplice ragione che la sollevazione non ha soltanto motivazioni etiche o ideologiche, ma si fonda sulla materialità di una condizione di precarietà, di sfruttamento, di immiserimento crescente. E di rabbia.

    La rabbia talvolta alimenta l’intelligenza, talaltra si manifesta in forma psicopatica. Ma non serve a nulla far la predica agli arrabbiati, perché loro si arrabbiano di più. E non stanno comunque ad ascoltare le ragioni della ragionevolezza, dato che la violenza finanziaria produce anche rabbia psicopatica.
    Il giorno prima della manifestazione del 16 in un’intervista pubblicata da un giornaletto che si chiama La Stampa io dichiaravo che a mio parere era opportuno che alla manifestazione di Roma non ci fossero scontri, per rendere possibile una continuità della dimostrazione in forma di acampada. Le cose sono andate diversamente, ma non penso affatto che la mobilitazione sia stata un fallimento solo perché non è andata come io auspicavo.

    Un numero incalcolabile di persone hanno manifestato contro il capitalismo finanziario che tenta di scaricare la sua crisi sulla società. Fino a un mese fa la gente considerava la miseria e la devastazione prodotte dalle politiche del neoliberismo alla stregua di un fenomeno naturale: inevitabile come le piogge d’autunno. Nel breve volgere di qualche settimana il rifiuto del liberismo e del finazismo è dilagato nella consapevolezza di una parte decisiva della popolazione. Un numero crescente di persone manifesterà in mille maniere diverse la sua rabbia, talvolta in maniera autolesionista, dato che per molti il suicidio è meglio che l’umiliazione e la miseria.

    Leggo che alcuni si lamentano perché gli arrabbiati hanno impedito al movimento di raggiungere piazza San Giovanni con i suoi carri colorati. Ma il movimento non è una rappresentazione teatrale in cui si deve seguire la sceneggiatura. La sceneggiatura cambia continuamente, e il movimento non è un prete né un giudice. Il movimento è un medico. Il medico non giudica la malattia, la cura. Chi è disposto a scendere in strada solo se le cose sono ordinate e non c’è pericolo di marciare insieme a dei violenti, nei prossimi dieci anni farà meglio a restarsene a casa. Ma non speri di stare meglio, rimanendo a casa, perché lo verranno a prendere. Non i poliziotti né i fascisti. Ma la miseria, la disoccupazione e la depressione. E magari anche gli ufficiali giudiziari.

    Dunque è meglio prepararsi all’imprevedibile. E’ meglio sapere che la violenza infinita del capitalismo finanziario nella sua fase agonica produce psicopatia, e anche razzismo, fascismo, autolesionismo e suicidio. Non vi piace lo spettacolo? Peccato, perché non si può cambiare canale.

    Il presidente della Repubblica dice che è inammissibile che qualcuno spacchi le vetrine delle banche e bruci una camionetta lanciata a tutta velocità in un carosello assassino. Ma il presidente della Repubblica giudica ammissibile che sia Ministro un uomo che i giudici vogliono processare per mafia, tanto è vero che gli firma la nomina, sia pure con aria imbronciata. Il Presidente della Repubblica giudica ammissibile che un Parlamento comprato coi soldi di un mascalzone continui a legiferare sulla pelle della società italiana tanto è vero che non scioglie le Camere della corruzione. Il Presidente della Repubblica giudica ammissibile che passino leggi che distruggono la contrattazione collettiva, tanto è vero che le firma. Di conseguenza a me non importa nulla di ciò che il Presidente giudica inammissibile.

    Io vado tra i violenti e gli psicopatici per la semplice ragione che là è più acuta la malattia di cui soffriamo tutti. Vado tra loro e gli chiedo, senza tante storie: voi pensate che bruciando le banche si abbatterà la dittatura della finanza? La dittatura della finanza non sta nelle banche ma nel ciberspazio, negli algoritmi e nei software. La dittatura della finanza sta nella mente di tutti coloro che non sanno immaginare una forma di vita libera dal consumismo e dalla televisione. Vado fra coloro cui la rabbia toglie ragionevolezza, e gli dico: credete che il movimento possa vincere la sua battaglia entrando nella trappola della violenza? Ci sono armate professionali pronte ad uccidere, e la gara della violenza la vinceranno i professionisti della guerra.
    Ma mentre dico queste parole so benissimo che non avranno un effetto superiore a quello che produce ogni predica ai passeri.

    Lo so, ma le dico lo stesso. Le dico e le ripeto, perché so che nei prossimi anni vedremo ben altro che un paio di banche spaccate e camionette bruciate. La violenza è destinata a dilagare dovunque. E ci sarà anche la violenza senza capo né coda di chi perde il lavoro, di chi non può mandare a scuola i propri figli, e anche la violenza di chi non ha più niente da mangiare. Perché dovrebbero starmi ad ascoltare, coloro che odiano un sistema così odioso che è soprattutto odioso non abbatterlo subito?

    Il mio dovere non è isolare i violenti, il mio dovere di intellettuale, di attivista e di proletario della conoscenza è quello di trovare una via d’uscita. Ma per cercare la via d’uscita occorre essere laddove la sofferenza è massima, laddove massima è la violenza subita, tanto da manifestarsi come rifiuto di ascoltare, come psicopatia e come autolesionismo. Occorre accompagnare la follia nei suoi corridoi suicidari mantenendo lo spirito limpido e la visione chiara del fatto che qui non c’è nessun colpevole se non il sistema della rapina sistematica.

    Il nostro dovere è inventare una forma più efficace della violenza, e inventarla subito, prima del prossimo G20 quando a Nizza si riuniranno gli affamatori. In quella occasione non dovremo inseguirli, non dovremo andare a Nizza a esprimere per l’ennesima volta la nostra rabbia impotente. Andremo in mille posti d’Europa, nelle stazioni, nelle piazze nelle scuole nei grandi magazzini e nelle banche e là attiveremo dei megafoni umani. Una ragazza o un vecchio pensionato urleranno le ragioni dell’umanità defraudata, e cento intorno ripeteranno le sue parole, così che altri le ripeteranno in un mantra collettivo, in un’onda di consapevolezza e di solidarietà che a cerchi concentrici isolerà gli affamatori e toglierà loro il potere sulle nostre vite (anche togliendo i nostri soldi dai conti correnti delle loro banche come suggerisce Lucia).

    Un mantra di milioni di persone fa crollare le mura di Gerico assai più efficacemente che un piccone o una molotov.

    Franco Berardi Bifo
    Fonte: http://www.looponline.info
    Link: http://www.looponline.info/index.php/component/content/article/644-mantra-del-sollevarsi-15-ottobre-e-dintorni
    16.10.2011

  126. Michele, lo ripeto e lo ripeterò: per sabato 15-0 c’è una gerarchia di responsabilità inequivocabile: la pro-vocazione dei neri (che ha avuto il suo acme a Via Labicana) serviva ad attirare le forze dell’ordine e fornirgli la scusa per attaccare il corteo.

    Tra l’altro non so e non penso che il plotone di via labicana ripreso nelle immagini, faccia parte dello stesso di S. Giovanni. Come tu ben sai i poliziotti ricevono ordini dall’alto, la loro discrezionalità e autonomia deve sempre confrontarsi con chi sta più in alto di quel tipo che “promette” che non sarebbero entrati in piazza (loro che in quel momento stavano all’incrocio tra v. merulana e v.labicana)

    Io ero nello stesso punto in cui era l’operatore del fatto: come hai potuto vedere la gente si sentiva “oppressa” da quello che stavano facendo i neri, perché avevano intuito che la polizia sarebbe arrivata a momenti e molti avevano paura.

    Vogliamo dire che abbiamo le FDO peggiori del mondo? Diciamolo. Ci vuole il numero identificativo. Certo che ci vuole. Genova è stata una sospensione illegale dei diritti umani? Certo che lo è stata.

    Ma il fatto stesso che stiamo qui a parlare delle FDO significa che la strategia dei neri ha avuto successo: ovvero, usare il diffuso odio anti-statale anti-FDO che alberga in molti giovani e meno giovani di questo paese per distruggere il corteo e farci dividere. (nella piazza e anche adesso)

    è stata la violenza di quei neri ha generare tutto il resto, persone che come dice bene Rovelli hanno parassitato il corteo. E anche dalle immagini che hai postato tu si vede bene che i manifestanti cercano in tutti i modi di isolare i violenti, che stanno giocando con la pelle degli altri al fine di raggiungere i propri obiettivi.

  127. L’area “negriana” qui: http://www.globalproject.info/it/in_movimento/Fuori-i-violenti-dai-cortei-non-facciamo-il-loro-gioco/9712

    Gianmarco de Pieri “leader del centro sociale TPO” scrive: “Nella seconda parte della manifestazione ci sono stati comportamenti soggettivi di persone, divise in gruppetti, che hanno operato con viltà e con l’obiettivo di sabotare e distruggere il corteo e di impedire il comizio finale del Comitato 15 ottobre”

    “Il risultato è che oggi non stiamo parlando dei contenuti di questa grande iniziativa, ma delle azioni di pochi, delle proposte di compressione della libertà di manifestare, di una legge Reale bis, tema su cui il ministro dell’Interno Roberto Maroni e Antonio Di Pietro sono in accordo. Chi ha fatto altro, nel corteo, ha diviso, separato, prodotto un arretramento politico”

    ” A chi ci ha sabotato diciamo: “Non vogliamo essere vostro ostaggio, stateci alla larga, noi andiamo da un’altra parte”. Coloro che pensano di imporre un tipo di abbigliamento, o una certa pratica, non sono la nostra strada”.

    “Non diventeremo tutti boy scout, ma nemmeno ostaggio degli “utili idioti” vestiti di nero. Vogliamo cambiare il Paese, essere in tanti, usare il conflitto come metodo”

  128. Per chi è di roma: sembra che oggi alle 17 (qualcuno dice le 18) ci sarà una interessante assemblea in piazza (occupata) santa croce in gerusalemme.

  129. Mentre raccontava dello sciopero generale, l’inviato del TG3 ha detto che i Black Bloc stavano ingaggiando scontri davanti al Parlamento greco. In effetti, la “divisa” è simile: maschere anti-gas, giubbotti e pantaloni neri, volto coperto, etc.; stessa cosa per i comportamenti: dal corpo della manifestazione – immensa! – si staccavano e aggredivano i poliziotti lanciando di tutto; le uniche differenze sono, rispetto ai Black Bloc nostrani, l’uso delle molotov (a Roma non ne sono state lanciate) e il brandire bastoni con la bandiera rosso-nera degli anarchici. Altra differenza di non poco conto: il resto dei manifestanti, quelli che non facevano violenza, anziani e famiglie compresi, ogni volta che i Black facevano arretrare la polizia, applaudiva. Ecco, mi chiedevo quale potesse essere la percezione di quegli scontri da parte di quelli che, qui e altrove, hanno espresso riserve sui fatti di sabato 15. Mi incuriosisce capire perché, rispetto a fatti lontani da noi, siamo più “tolleranti” e arriviamo a guardare con simpatia quelle immagini. In fondo, cosa sappiamo dei loro fatti? Avranno preso la decisione in assemblea? Sarà stata davvero, quella di ingaggiare battaglia, una scelta democratica e condivisa dal resto dei manifestanti? No, sono convinto che nessuno, nel guardare quelle immagini, si ponga il problema: le guardiamo come testimonianza della gravità della situazione e del conflitto che riprende la parola. Sono altresì convinto che lo stesso meccanismo mentale lo abbiamo messo in moto in decine di altre occasioni, magari anche ieri quando i telegiornali mandavano in onda le immagini degli scontri tra polizia e attivisti che difendevano un campo Rom, in Inghilterra. O quando, alcuni mesi fa, gli studenti inglesi assaltavano il palazzo dei Tories e si scontravano con la polizia; anche in questa occasione, centinaia di giovani si staccarono dal resto del corteo e, mascherati come Black, cominciarono a rompere vetrine, distruggere auto, lanciare oggetti. Qualcuno si è posto gli stessi problemi che si è posto per sabato scorso o ha, dentro di sé, gioito per quella esplosione di radicalità? Si badi, non sono domande retoriche o provocatorie. Un amico di Philadelphia mi ha scritto una mail dopo Roma: “Grandi!”, mi ha scritto. Io, certo, rispondendo gli ho spiegato i fatti, i pro e i contro, le divisioni e quant’altro, inviti alla delazione compresi; però mi ha dato da pensare la sua percezione dell’evento. Forse, mi sono detto, da lontano si vede meglio; forse a distanza si coglie meglio il senso dell’evento. E mi sono ricordato dell’invito di Benjamin: osservare la storia con distacco. In precedenza ho citato, come antecedente, la rivolta di Piazza Statuto del 1962. Ovviamente, non intendevo stabilire dei paralleli rispetto alle forze in campo o alla composizione sociale; mi interessava rilevare come, all’epoca, i giudizi della sinistra furono negativi, e che venivano espressi ricorrendo quasi agli stessi termini di oggi: “teppisti”, “provocatori”, “infiltrati”, “fascisti”, “piccoli gruppi di facinorosi”, etc.; persino la Fiom, che pure aveva “convocato” lo sciopero, ne prese le distanze (“c’erano in mezzo anche pregiudicati”, scrissero; “c’erano provocatori”). Ma qual è, oggi, la nostra lettura di quella rivolta? Oggi sappiamo che quei “teppisti” aprirono la strada all’inchiesta operaia di Panzieri, a un nuovo pensiero della politica e della rappresentanza, sfociato poi nei Consigli di Fabbrica del 1969. E allora vengo al dunque: siamo davvero convinti che la rabbia che si è espressa sabato 15 non possa aprire qualcosa di nuovo? Che non possa, cioè, fare da base per più sensate “rivolte”? E guardate che non mi riferisco tanto alla forzatura dei “300”; mi riferisco alle migliaia di giovani che si sono buttati nella mischia. Perché non hanno esitato? Cosa li ha spinti? Quali forze li ha portati a reagire? In questa discussione, ho trovato molta rabbia e nessuna voglia di pensare a come rendere produttiva – politicamente produttiva – quella rabbia; questo è, per me, un errore politico madornale. A meno che non si pensi che il cambiamento vada cercato solo per via elettorale (e allora, certo, meglio seguire le narrazioni appaganti di Vendola), non sarebbe più opportuno, come dice anche il Bifo postato dalla Fu, coinvolgerli in “una forma più efficace della violenza”? Abbiamo bisogno di radicalità, non del solito teatrino; abbiamo bisogno di rompere con la spirale violenza-repressione, ma anche di rompere con lo squallido meccanismo politicista che punta a far diventare gli “indignati” una stampella elettorale del centro-sinistra. Solo se queste due istanze sapranno esprimersi compiutamente potrà nascere un movimento credibile. Marx, personaggio che in questo periodo, anche qui, viene citato benevolmente, rispetto a esplosioni di collera simili a quelli di Roma non esità a scrivere: “Ben lungi dall’opporsi ai cosiddetti eccessi, casi di vendetta popolare su persone odiate o su edifici pubblici cui non si connettono altro che ricordi odiosi, non soltanto si devono tollerare quegli esempi, ma se ne deve prendere in mano la direzione”. Tolleriamo – o almeno, se si preferisce, come dice anche Bifo: non isoliamoli – e diamo una direzione politica a quello “sfogo”: solo questo può essere il compito *politico* di chi vuole un cambiamento radicale.

    NeGa

  130. nevio faccio abiura di quanto scrissi, e ti rispondo seriamente – scrivi:

    “Qualcuno si è posto gli stessi problemi che si è posto per sabato scorso o ha, dentro di sé, gioito per quella esplosione di radicalità? Si badi, non sono domande retoriche o provocatorie.
    Forse, mi sono detto, da lontano si vede meglio; forse a distanza si coglie meglio il senso dell’evento.”

    La domanda è cruciale. Detto senza ironia. Si ho anch’io gioito per l’esplosione di radicalità, in Inghilterra, ad esempio. Si vede meglio da lontano? Secondo me, no. Da lontano si vede l’immagine della radicalità, il quadro appagante, da lontano si è spettatori non attori. Io sono stato spettatore degli studenti inglesi, seduto davanti alla TV, come davanti a un bel film, con i miei eroi preferiti. Non dico che fosse sbagliata quella gioia, ma era una gioia da spettatore, che sa poco della situazione inglese, delle forze in gioco, non solo in piazza quel giorno, ma sulla lunga durata.
    Qui la gente era non solo spettatrice ma anche attrice, non si godeva lo spettacolo al sicura, era nel corteo, o ci andrà alla prossima occasione. Cambia tutto. Come spettatori degli scontri degli altri, si può fare al massimo buona sociologia. Come attori degli scontri del proprio corteo si sta facendo politica. O si tenta di farla.
    Ci sono due livelli ben distinti su cui vale la pena discutere.

    Uno riguarda la valutazione politica delle violenze di Roma, rispetto agli intenti della maggioranza di persone nel corteo. Qui non ci si può perdere in conteggi 300 o 3000, provocati o provocatori. La dinamica da chi l’ha vissuta è parsa molto chiara. Ma sopratutto è il risultato che è parso chiaro: demotivazione di una parte di manifestanti, rancori e conflitti interni al movimento, occasioni di organizzare una repressione da parte di un governo che era agonizzante, e che qui può trovare occasioni di rivalsa, appannamento delle questioni politiche che il movimento cercava di articolare. Cincischiare sul giudizio politico, da parte di chi non era protagonista di quelle violenze, mi sembra quasi più grave di coloro che quelle violenze le hanno volute e le rivendicano. (Notare bene: il giudizio politico non è una predica morale. Il giudizio politico è rispondere a queste domande: quella di sabato è la strada giusta? Farà oggettivamente progredire i rapporti di forza? Migliorerà la condizione di vita di quelli che stanno peggio?)
    Il secondo livello è la comprensione del perché ciò è accaduto. E qui, credo, nessuno fa fatica a comprendere la rabbia che può covare sopratutto nei più giovani.
    Il terzo livello, che poi tu invochi, e sul quale non ho risposte, è quello del “che fare domani?” Oppure: come incanalare questa rabbia. (Anzi, alcune risposte le avrei, ma lungi dall’essere sicuro che siano quelle definitive: fare in modo che la maggioranza del movimento si responsabilizzi fino in fondo sulla questione dei metodi di lotta, e quindi affronti in modo sistematico la questione. E poi appronti delle soluzioni pratiche e praticabili.)

    Sul pezzo di Bifo ci sarebbe molto da dire. Vi sono molte cose del tutto condivisibili, alcuni punti davvero molto belli e giusti, ma anche dei vicoli ciechi. Mi soffermo solo su un punto: quando Bifo scrive: “la visione chiara del fatto che qui non c’è nessun colpevole se non il sistema della rapina sistematica.”
    Ecco, da qui può venire un legittimazione dell’irresponsabilità della vittima. Siccome sei vittima di qualcosa, allora non sei colpevole. E questo è un errore letale a lungo andare. E ogni volta che si ripropone in modo così generico questo discorso, il rischio è enorme.
    Il fatto di essere vittima non ti esime dalla responsabilità. La responsabilità ad esempio basilare di prendere atto delle conseguenze politiche dei tuoi atti, e del fatto che perdurare nell’analfabetismo politico è un modo di nuocere a te e agli altri. E che nessuno ti assolverà dagli errori politici, se non chi ti vedrà da lontano, seduto davanti alla TV.

  131. Avete visto la videointervista alla ragazza madre black bloc su Repubblica.it? Offre l’occasione per un abbozzo di riflessione sulle donne che hanno partecipato agli scontri di sabato. Nell’ultimo periodo ci siamo abituati a pensare che molte donne in difficoltà lavorino in nero a meno di 4 euro all’ora o si prostituiscano con uomini molto buoni che fanno tanta beneficenza. Questa non-velina molto simile alle donne in nero cecene, un po’ soldato e un po’ donna araba, ci offre un’immagine molto diversa dalle precedenti e forse inattesa. Vorrei interpretare il suo total black come una forma ancora da definirsi, un’identità nuova in formazione.

  132. @ Andrea
    il quadro è appagante, ma è anche reale. Voglio dire, la radicalità degli scontri inglesi o greci non è costruita come uno spettacolo: ci sono persone reali che scelgono non di essere attori in una fiction, bensì di agire il conflitto. A noi giunge mediata dallo schermo, certo; ma compiamo un errore di prospettiva se la leggiamo come spettacolo. Quella “esplosione di radicalità” è vera. E se proprio quello che vediamo così sfuocato, così da lontano, ci rimandasse indietro la vera essenza dell’evento? Se prendo insieme tutte le più recenti “esplosioni”, ne posso tracciare un quadro sintetico: la crisi (del capitalismo) rende la società una grande polveriera; sempre più persone riempiono le piazze, manifestando nient’altro che rabbia e disperazione. Io ne prendo atto e dico che vanno affinate le “rivendicazioni”, affinché la rabbia e la disperazione divengano qualcosa di diverso, di costruttivo. Ma se voglio andare in questa direzione, mi devo sporcare le mani; devo entrare “da amico” in quelle esplosioni di radicalità. In questi giorni, la maggior parte dei distinguo ha portato a una situazione inedita, dove in molti ritengono la “delazione” (ovvero lo smascheramento e, di riflesso, la consegna nelle mani della polizia dei “violenti”) una pratica legittima per il movimento degli “indignati”. A me questo esito spaventa; e spaventa molto di più che la violenza di sabato. Dirò di più: questo esito non è imputabile alle violenze, ma è parte integrante di un pensiero diffuso in alcune componenti della “sinistra” odierna (è quel pensiero che spinge sulla parola d’ordine della “legalità”, tanto per intenderci). E si arriva alla situazione paradossale dove realtà importanti del movimento, quelle stesse che in questi anni hanno organizzato decine di iniziative (precarietà, immigrati, No Tav, scuola, guerra; etc.), e tra l’altro con significativa capacità di aggregare sulla base di *contenuti politici*, viene criminalizzata, e tutto ciò mentre altre realtà, alcune delle quali contigue a partiti istituzionali che hanno portato avanti politiche neo-liberiste e guerrafondaie, si rifanno la faccia. Questo mi rimanda (anche altro, certo) l’evento di sabato 15. E non credo che siano elementi da sottovalutare. Anche sottolineare questi aspetti è fare una valutazione politica di quanto accaduto sabato 15 a Roma. Io non lo so se la scelta “violenta” di sabato è la strada giusta; potrei dirti che per me non lo è. Però ti dico che anche la scelta contraria, quella dell’evento di massa con comizio finale è una scelta sbagliata e che avrebbe ugualmente ucciso sul nascere il movimento, e lo avrebbe fatto anche in assenza di violenze. In fondo, si stava riproponendo una ri-edizione del social forum (non a caso sono presenti più o meno le stesse sigle e – alla faccia della novità! – gli stessi leader), con l’occhio strizzato a sbocchi parlamentari. Un film già visto anche questo. La novità, ed è la vera novità, è la tensione a partecipare al di là di quelle sigle. Però attenzione: questa tensione ha riguardato non solo migliaia di persone che si sono sentite “violentate” dai violenti, ma anche le migliaia di giovani che si sono “accodati” ai violenti e hanno scelto la pratica dello scontro. Qui, in questa discussione, l’aria che si respira è di chiusura netta nei confronti dei secondi. Per me, come ho già detto, questo è un errore strategico immenso. E allora, ecco che lo sguardo distaccato, quello che mi porta ad allontanare da me l’evento di sabato 15, mi permette di cogliere la disperazione del loro gesto e, insieme, anche le potenzialità. Anche questa è una valutazione politica di quanto accaduto sabato 15.

    @ Roberta Salardi
    oltre alla donna “in nero”, ho visto le interviste ad alcuni indignati “belli&pacifici” su Le Iene. Io, francamente, non riesco proprio a scegliere i secondi a scapito della prima; e proprio non ci riesco fisicamente. Poi, posato l’istinto, mi dico che sono facce di una stessa medaglia: io sono entrambi.

    NeGa

  133. Vedo, Nevio, che qualche ripensamento l’hai pur fatto. Ché non è la stessa cosa urlare Io sono di loro, come hai fatto, e dire Io devo entrare da “amico” – ciò che implica invece una distanza, uno sguardo riflessivo – e tanto più: Io sono entrambi (in riferimento anche ai pacifici – e ne convengo – poco simpatici indignados). Dici poi: “Io non lo so se la scelta “violenta” di sabato è la strada giusta; potrei dirti che per me non lo è.” Bene. E’ sbagliata. Rispetto a cosa? Rispetto, evidentemente, a ciò che produce. Che è ciò che qui almeno io andavo affermando sin dall’inizio. Parli poi di “evento di massa con comizio finale”: ma non era questa l’opzione di sabato che è stata negata dalle violenze. Se così fosse stato, sarebbe stato ben poco incisivo essere lì. Ciò che in molti aspettavamo era l’inizio della presa delle piazze – non con le bombe carta, ma con le tende. Tocca ribadirlo ancora: è questo che aspettavamo, io che alla era dovevo tornare in pullman a Milano e molti ragazzi che ho visto arrivare con le tende – salvo poi doversene tornare via. E’ stata questa ipotesi – inedita, ancora mai tentata nel nostro paese – che ne è uscita frustrata. Se la rabbia fosse esplosa altrove (per esempio: se il corteo fosse stato esplicitamente un tentativo di avvicinarsi ai palazzi, beh a quel punto chi ci andava sapeva bene ciò a cui andava incontro – e magari ci sarei andato pure io), sarebbe stato ben diverso. Il punto che ho sempre sostenuto è stato che quella rabbia ha impedito di praticare quell’opzione nuova.
    Dici poi: “questa tensione ha riguardato non solo migliaia di persone che si sono sentite “violentate” dai violenti, ma anche le migliaia di giovani che si sono “accodati” ai violenti e hanno scelto la pratica dello scontro.” Allora, io ero arrivato in piazza san giovanni tra i primi. La piazza cominciava a riempirsi, ma i caschi neri erano per arrivare, il grosso del corteo stava dietro. Invece di entrare in piazza, mi sono diretto verso via Pisani. Nel frattempo sono arrivati i caschi neri, e a ruota la polizia. Gli scontri li ho ben visti dal margine, ma non ero in piazza. E mi sono salvato così. Se fossi stato in piazza (ed è un caso che non ci fossi già) avrei subito anch’io cariche e idranti. E probabilmente avrei resistito anch’io, per un naturale senso di autodifesa, non so dire. Ma questo non implica un’adesione alla tattica militare dei caschi neri. I quali, invece, sono stati molto furbi, in quanto portando gli scontri in piazza quello che volevano era proprio trascinare altre persone, mettendole di fronte al fatto compiuto. Questo, io credo, per amor di verità.

  134. Marco scrive:

    “Dici poi: “Io non lo so se la scelta “violenta” di sabato è la strada giusta; potrei dirti che per me non lo è.” Bene. E’ sbagliata. Rispetto a cosa? Rispetto, evidentemente, a ciò che produce.”

    Sbagliato rispetto a ciò che produce è un giudizio etico o politico?
    Pare che qui tutti siano uniti nel distinguere i due piani, i due giudizi, quando si parla di violenza. E che tutti vogliano concentrarsi su quello politico. Mi preme allora solo ricordare che non per tutti è così. Senza volere entrare nel merito del perché per alcuni etica e politica non sono dissociabili, onde evitare di semplificare troppo un discorso complesso, cito allora un articolo comparso sul Corriere,

    La lezione di Capitini ai tempi dei black bloc
    di Paolo Di Stefano
    in “Corriere della Sera” del 18 ottobre 2011
    *
    Mentre si discute di manifestazioni violente, di black bloc e della presenza dei cattolici in politica,
    sarebbe utile tornare a leggere Aldo Capitini, il maggior pensatore italiano della nonviolenza, poeta,
    filosofo, educatore, libero religioso, idealista pratico alla Gandhi, che non si vergognava di associare la politica all’etica: a proposito di Pannella e di Bandinelli diceva di essere «alquanto critico perché sono “politici” e forse senza gli scrupoli che per me contano». Morto nel 1968 e (troppo) poco ricordato anche in questo cinquantesimo anniversario della Marcia per la pace e la fratellanza dei popoli da lui creata nel 1961, Capitini credeva in una visione religioso-sociale non da mistico ma da razionalista.
    La sua «disobbedienza civile» e la sua «non collaborazione» erano tutto il contrario del «solo
    violenza aiuta / dove violenza regna» di brechtiana memoria. Lo si può leggere, Capitini, nel sito a
    lui dedicato, dove si capisce bene che valore abbiano i suoi concetti di «tramutazione» e di
    «omnicrazia». Gianfranco Contini, che lo conobbe a Perugia già negli anni Trenta, lo definiva «uno
    di quei temperamenti risorgimentali più atti a elaborare la resistenza alla tirannia che ad
    amministrare il grigio quotidiano», una natura «più fatta per la penombra carbonara che per la luce
    elettrica della politica attiva». Il filologo gli attribuì, tra l’altro, il merito di aver fatto della Normale
    di Pisa il centro della resistenza intellettuale e di aver spogliato Francesco d’Assisi dell’«estetismo
    imbecille» voluto da «bigotti e dilettanti» sin dal Trecento: «San Francesco — scrive Capitini —,
    mentre i cattolici facevano le crociate e scannavano i saraceni tanto che il sangue arrivava alle
    ginocchia, andava a parlare di nonviolenza ai saraceni».
    Sono frasi tratte da un libretto appena uscito per le Edizioni dell’Asino, dove vengono raccolte
    molte lettere che Capitini mandò ai suoi amici dal ’47 in poi. Tra i suoi amici ci sono Guido
    Calogero, Goffredo Fofi, Walter Binni, Danilo Dolci, Norberto Bobbio. Capitini era fautore di una
    discussione e di una educazione civica dal basso, una specie di democrazia diretta che riuscisse a
    integrare la democrazia parlamentare. Il suo motto era «spendere la propria vita giorno per giorno»,
    preparando la pace (e una società più giusta) durante la pace, cosa che il suo amico Carlo Levi
    trovava prosaica. L’obiettivo era «creare figli, costituire una grande cassa di risonanza, di solidarietà e di azione, anche per utilizzare atti generosi di pochi». Non per questo si faceva grandi illusioni. Al punto che avvertiva realisticamente che «questa cassa di risonanza, o unione di animi» non c’era, anche perché molti suoi amici pensavano alle loro carriere e «a mettersi nelle cricche protettive». Il visionario aveva capito benissimo come vanno le cose del mondo: Capitini sarebbe un maestro ideale degli attuali indignati pacifici privi di leader. Probabilmente oggi sarebbe schierato con loro.
    E contro molti dei suoi amici di un tempo.

  135. @ Marco Rovelli
    quale ripensamento? Non ho mai scritto, da nessuna parte, che le modalità della rottura erano giuste. Se permetti, ho fatto un discorso leggermente più complesso. Inoltre, se rileggi i miei commenti noterai che mi sono sempre riferito alle “migliaia di giovani” che si sono buttati nella mischia; nel mio primo scrissi:

    *ho visto migliaia di giovani, senza alcuna tradizione politica e al di fuori di ogni compatibilità o disciplina, che si sono buttati nella mischia disposti a tutto.*

    di questi mi sono dichiarato “uno di loro”.

    La dinamica di piazza, mi dispiace, ha anche visto il protagonismo “militare” di queste migliaia. Nel tuo articolo, nei commenti tuoi e di altri (a parte, forse, quelli di Antonicelli e di Lello), questa “insorgenza” non esiste; esiste solo la rottura dei “300”. E esiste la volontà, esplicitata più volte, di non includere i “violenti”, senza fare distinzioni di sorta. Di fronte alle reazioni di questi giorni, a me è venuto spontaneo sentirmi uno di loro, benché poi in piazza non lo sia stato per distanza fisica. E lo confermo, a maggior ragione oggi dove si sta scatenando una vera e propria “caccia alla streghe”. Per altro, nel mio ultimo commento, riferendomi alla doppia intervista (la ragazza “nera” e gli indignati belli&pacifici), io aggiungo di sentirmi “entrambi”; “entrambi”, Black Bloc compresi. Tutti i miei interventi problematizzano questa aderenza, senza tranciare steccati o stilare pagelle. E pongono problemi *politici* che nessuno, almeno qui, si è posto. Insomma, mi pare di essere uno dei pochi che veramente è uscito dal discorso “buoni” vs “cattivi”.

    Ribadisco il Marx citato in precedenza:

    “Ben lungi dall’opporsi ai cosiddetti eccessi, casi di vendetta popolare su persone odiate o su edifici pubblici cui non si connettono altro che ricordi odiosi, non soltanto si devono tollerare quegli esempi, ma se ne deve prendere in mano la direzione”

    Questo passo contiene lo sguardo strategico di cui abbiamo bisogno. Al sottoscritto, le “esplosioni di radicalità” non fanno paura, tutt’altro. Neanche quella di Roma mi fa paura. Così come guardo benevolmente a quelle di Londra o di Atene, io colgo nell’esplosione di sabato delle novità. Sta a noi riuscire ad allontanarle dalla semplice esplosione di rabbia e di disperazione. Se riusciremo a *fare politica*, le potenzialità di quella rabbia verranno colte; altrimenti continueremo col teatrino.

    Più chiaro di così …

    @ Lorenzo (scherzosamente, ma anche no)
    la violenza è la levatrice della storia

    NeGa

  136. riferendomi alla doppia intervista (la ragazza “nera” e gli indignati belli&pacifici)

    che buffo, con tutti i video che circolano in rete sulla manifestazione (video non costruiti in studio come le intervista), con tutte le dirette delle assemblee nelle varie piazze occupate, dirette fornite dai ragazzi nei loro blog e in facebook, che rivelano uno sforzo (a volte anche ingenuo) di costruire davvero qualcosa, tu drogato di comunicazione ad effetto, e non solo tu, ti riferisci solo a due interviste spettacolari costruite a tavolino, fatte con tutti gli elementi dello spettacolo compreso i rimandi a tragedie passate (ma poi rese spettacolo dalla tv) come le donne cecene.
    E poi dici di sentirti uno di loro. Io credo che il tuo atteggiamento e forma mentis sia proprio lontano anni luce da loro, violenza compresa.
    A proposito della ragazza, presunta black bloc, ricordo che in presenza di fatti del genere i media vanno sempre a caccia di una donna “tipica” da intervistare successe anche nel 2001, la donna come la violenza fa sempre audience e se, puta caso, non trovano in tempo una donna adatta, la creano, magari tutta bardata da cecena ;-)
    Se fossero stati seri avrebbero nascosto la faccia della ragazza come fanno sempre in tv e non l’avrebbero bardata come a carnevale ;-),ma chiaro che per fare effetto sui vari ng oltre alle parole ci voleva anche la mascherata nera altrimenti che razza di black srebbe stata :-).
    Tu ti senti entrambi (ragazza nera e pacifisti delle iene) perchè ambedue ti sono noti (essendo tv e quindi banalmente proprio come tu li vuoi), hai più difficoltà invece nel sentirti gli altri, quelli veri (fuori tv) perchè sono difficili da afferrare e perchè hanno occhi duri (sono tempi duri davvero e non più retorici come in passato) e frasi non convenzionali che tu non riconosci più.

  137. Che buffo, Georgia non coglie la metafora. E non ha colto la sequenza dei commenti. E il loro senso complessivo. Che buffo. Che buffo poi scorpire, e proprio seguendo l’assemblea linkata dalla stessa Georgia, che di frasi convenzionali se ne dicono a iosa, tra gli indignati “buoni”. Che buffo.

    Meglio buffi che puffi.

    [E consiglio a Georgia di seguire il consiglio dato in quell’assemblea: le consiglio di imparare ad assumere il punto di vista dell’altro. Detto altrimenti: le consiglio di imparare a leggere]

  138. Forse è vero il contrario, Georgia, noi tutti che stiamo discutendo da giorni di sfumature, valutazioni, pro e contro, siamo più simili ai manifestanti colorati, ma proviamo curiosità di capire il diverso da noi (o chi è come noi, nel senso che vorrebbe vivere come noi in una società più giusta ed egualitaria, ma ha avuto un vissuto diverso e quindi reagisce alle circostanze in maniera diversa). Anch’io, che ho citato per prima la ragazza madre in nero, provo molto più interesse per quel tipo di donna che per le ragazze dell’Olgettina, tanto per fare un esempio. E visto che ci sono, cito anche una notizia di ieri del Corriere della sera: quasi il 49% delle donne italiane risultano inoccupate.
    Comunque grazie di aver segnalato l’assemblea di ieri a Roma. Certo che m’interessa anche quella.

  139. Però, Nevio (ok, se vuoi: Ng), tu, nella frase che citi confondi i piani (e infatti nulla dici dell’ultimo punto che ponevo nel commento precedente – eppure era quello il punto decisivo – e lo è fin dall’inizio): infatti altro è il manipolo che esecrita la sua opera distruttiva funzionale all’imposizione della propria strategia al corteo, altro è la reazione di autodifesa che tutto il resto della piazza ha opposto alle cariche, una volta trovatasi in un cul-de-sac. Credo che la diversità di giudizio dipenda molto dal fatto che tu non c’eri e io sì – e ho avuto subito ben presente le dinamiche, avendole viste in diretta, e spazializzate davanti ai miei occhi, e dunque le ho avute chiaramente distinte fin dall’inizio. Ancora, dunque, la questione della distanza che tu stesso hai introdotto: a distanza le cose le si vedono certo diversamentye, ma mi trovo dalla prospettiva di Andrea, però. Se fossi stato a casa, probabilmente avrei avuto anch’io un moto spontaneo di soddisfazione, credo che sarebbe andata così. Perché così è andata altre volte. E non è questione di grecia e italia. Standoci dentro, ho esperito altre percezioni. L’empatia si trasforma, e se da un lato sei maggiormente esposto allo schiacciamento sull’immediato di certe sensazioni (la rabbia, l’entusiasmo, l’incazzatura, la paura…), dall’altra -essendo parte dell’intenzionalità collettivo, che è un ciorpo vivente – sai valutare anche il risvolto politico della questione. Hai presente – da un punto di vista che comporta tutto l’essere – ciò che si è guadagnato e ciò che si è perduto.
    In ogni caso, andiamo avanti. E lo scritto di Bifo mi pare una buona base per farlo.

  140. ng, se tu ascoltassi tutto, ma non credo che ce la farai ;-), ti accorgeresti che non sono i buoni e neppure i cattivi e soprattutto non si sa cosa diventeranno, ma sono solo una nuova società internazionale in fieri, chiaro che tu non non puoi identificarti televisivamente, somigli più ai cascami del passato buoni o cattivi che siano e che fossero ;-)

    roberta, scusa ma che c’entrano in questo caso le olgettine? boh

    segnalo un’altra pagina facebook.

  141. @ Georgia
    … e invece, cara Georgia, sto continuando ad ascoltarla, quell’assemblea, tra una pausa e l’altra d’un lavoro che sto facendo … Sono arrivato dove parlano della pratica della “murga” che è, guarda un po’, un cascame del passato … Evidentemente, non tutto ciò che viene dalle nostre spalle è da buttare via … In ogni caso, andrò alla loro meditazione spirituale … Chissà, magari ne uscirò illuminato … Comunque, è più facile reagire facendo indossare all’altro la maschera d’un mostro passato che affrontarne gli argomenti … Tranquilla: non mordo.

    W. Benjamin (non apocrifo): nostro compito è la creazione del vero stato d’emergenza.

    @ Marco
    di fronte alla foga repressiva che ha preso parte del movimento, non riesco ad aggiungere altro a quello che ho già scritto.

    NeGa

  142. Additati dai media e da Maroni come i principali responsabili degli scontri di sabato, ecco cosa rispondono quelli di “Askatasuna” …

    […] Il cartello degli organizzatori non aveva la forza politica e la rappresentatività necessarie per imporre all’indignazione italiana una deviazione dal sentimento e dalle pratiche della globalrevolution. Lo si è visto nella partecipazione residuale all’assemblea di Via Nazionale indetta dagli organizzatori il 29, così come nella presenza di massa, il 30, agli spezzoni metropolitani, precari e antagonisti che li hanno preceduti in corteo. Non riteniamo che sulle azioni prodotte in Via Cavour da gruppi di manifestanti, di diverso orientamento e dinamiche di affinità, debba concentrarsi la nostra analisi. È tuttavia chiaro che incendiare automobili lungo il percorso di una manifestazione di massa, ben sapendo che la stragrande maggioranza dei presenti è del tutto contraria a un simile atto, significa esprimere un disprezzo profondo per il corteo, attraverso un gesto che non conduce a nessuna prospettiva di allargamento del consenso e di produzione di conflitto sociale. Episodi simili hanno mostrato che l’autoreferenzialità è ben distribuita tra i soggetti politici tradizionali del movimento italiano, siano essi orientati a un avanguardismo senza seguaci o alla deriva istituzionale, e non è in grado, ad ora, di interpretare la ricchezza e le potenzialità dei soggetti che si stanno affacciando sulla scena del Mediterraneo e più in generale del pianeta. L’assenza di una prospettiva condivisa nel movimento, unita alla tensione causata dalla decisione di lasciarsi alle spalle il nemico, anziché raggiungerlo, ha favorito ulteriori dinamiche scompositive nella manifestazione. 
La rivolta di Piazza San Giovanni e delle vie limitrofe, al contrario, ha rappresentato il momento ricompositivo, conflittuale, espressione dell’irrappresentabilità di una componente a vocazione maggioritaria nel corteo. Rivolta, si badi, non semplice resistenza: perché se a tutte e tutti coloro che hanno resistito è parso atto dovuto difendere la manifestazione, è innegabile che i numeri e l’entusiasmo di chi si scontrava con la polizia, o di chi rifiutava di abbandonare la piazza agli idranti e ai caroselli, esprimevano una rabbia accumulata in anni di sfruttamento di settori giovani e precari, di umiliazione delle donne, di restrizione degli spazi culturali e politici nel nostro paese, di peggioramento delle condizioni di reddito e di vita. Una rabbia che avrebbe voluto avere come obiettivo il ceto politico di Montecitorio e che, per una sorte ironica ma istruttiva, ha semmai reso impossibile la kermesse di Piazza San Giovanni. Serve a poco, ora, cercare responsabili in questa o quell’altra area di movimento o attivare guerre di bandierina; occorrerebbe, semmai, concentrarsi sulla lettura di una composizione sociale abbastanza ampia e complessa da rendere possibile quanto accaduto. […]

  143. a marco e nevio

    vorrei aggiungere una cosa a quanto dice Marco, sul punto importante dell’entusiasmo dello spettatore per il tumulto violento; è qualcosa di implicito già in quanto dice marco, ma è davvero importante sottolinearlo; il problema non è riducibile all’io c’ero o all’io non c’ero, anche se esserci è fondamentale quasi sempre per capire le specifiche dinamiche degli scontri di cui parla Marco; ma quando io faccio la distinzione tra attore e spettatore, non è solo una distinzione di grado di prossimità “testimoniale”, ma si tratta di un salto di “status”; in un caso, prevale una sguardo emotivo-estetico – potrebbe prevalere anche se guardassi lo scontro di piazza da una finestra di Roma; nell’altro, sono io con loro un attore: io agisco con loro, e qui le implicazioni sono molto più drastiche: o la loro linea di condotta rafforza la mia, quella che io scelto, quella per cui scendo in piazza, oppure la indebolisce, o addirittura rischia di annullarla; è la dimensione pragmatica, dell’agire pratico e politico, che non lascia spazio a tentennamenti o a soluzioni contraddittorie.

    A livello più generale, comunque, ci dividono Nevio analisi e strategia politica. Da questa divisione, consegue tutto il resto. Me ne rendo ben conto vedendo come consideri i social forum e l’azione parlamentare.

  144. A fronte della maturità dimostrata oggi dai No Tav, e dedicato a chi ha cercato “nemici oggettivi” dentro il movimento, offro questo passo:

    […] E’ possibile che per tenere dentro De Magistris si perda il valore e la solidarietà della lotta contro la TAV? Gli specchi su cui si sta arrampicando chi oggi criminalizza gli scontri di sabato, ma cerca di salvare gli scontri in val di Susa, sono sempre più inclinati. Certo, quella conflittualità ha un enorme appoggio popolare assolutamente diverso da ciò che è avvenuto sabato, ma chi porta avanti quelle lotte è lo stesso soggetto che sabato praticava il conflitto. Così come porta avanti le lotte sociali a Roma, a Napoli e altrove. Nessun infiltrato era presente sabato, lo ripetiamo per l’ennesima volta, e nessun soggetto politico estraneo allo spirito di quel corteo. Operare oggi questi distinguo significa solo facilitare la repressione, e, di passaggio, non capirci un cazzo di movimenti e di politica. […]

    Militant

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.