. . . non è prevedibile . . .
di Antonio Sparzani
«Prevedibile, non è prevedibile mai», così il Sismologo di Fama, il Direttore dell’Istituto deputato ad occuparsi di terremoti e dei movimenti interni del nostro pianeta in generale. Così sì che si sintetizza bene la scienza della sismologia, quella che si vorrebbe invece sentir dire «questa zona è sicura», «quest’altra meno».
Dei terremoti sappiamo molto, della storia, delle modalità, delle frequenze, perché abbiamo, da una certa epoca in poi, molte registrazioni, che peraltro cominciano a diventare un po’ precise soltanto dal secolo scorso.
Lo statunitense Charles Richter dà il nome alla scala dei terremoti, scala basata sull’energia da essi sprigionata, per quel che si riesce a stimare; naturalmente all’origine dell’invenzione della nuova scala, che è andata sostituendo un po’ alla volta la scala Mercalli, c’è il sismologo tedesco Beno Gutenberg, costretto a emigrare negli USA dalle sue origini ebree, e mentore di Richter.
Ma quello che mi interessa sottolineare è che in queste situazioni si evidenzia, come forse in pochi altri casi, il ruolo della cosiddetta scienza nella vita pubblica. Il terremoto è un fenomeno studiato dalla scienza e pertanto la gente in generale, in perfetta buona fede, si rivolge alla scienza, per avere lumi, per avere suggerimenti sul come salvarsi da questi cataclismi naturali, per avere, come ci si aspetta dalla scienza, una parola di certezza, una dichiarazione di controllo del fenomeno, un’áncora cui affidarsi per non venire sballottati dalle onde sotterranee.
E questo perché siamo stati accuratamente allevati nell’idea che la scienza, affidata a pochi sapienti e imperscrutabili personaggi, che tanto hanno studiato e che quindi sanno le segrete cose che non si possono, no, decisamente non si possono spiegare a tutti ― troppo complicate sono ― i quali personaggi ogni tanto si abbassano a provare non certo a spiegare le segrete cose al volgo, ma alcune conseguenze delle segrete cose, la scienza, dicevo, controlli e preveda ogni cosa.
Il terremoto, ahimè, o anzi, per fortuna, smaschera quest’aura ideale che circonda la Scienza con la esse maiuscola, perché mette a nudo le caratteristiche di questa particolare scienza; la principale delle quali è: del futuro nulla possiamo dire con certezza; si dirà che possiamo esprimerci sulle probabilità; ora spero che tutti sappiate che una affermazione probabilistica è molto vicina al vuoto; tutti i giocatori di roulette, ancorché si illudano, in fondo al cuore lo sanno: se il rosso è uscito venti volte di fila, la probabilità che esca la ventunesima volta è ancora un bel 50%, non è diminuita perché è già uscito venti volte, la probabilità non ha memoria del passato.
Dentro la Terra nessuno ha guardato così bene da vedere le zolle che si muovono subdole ma inesorabili fino ad urtarsi e a tentare di accavallarsi, producendo sconquassi, non abbiamo il filmino dei movimenti delle zolle, non abbiamo modo di registrare il loro pur lentissimo procedere e soprattutto nulla sappiamo delle leggi del loro spostarsi. Non c’è verso, bisogna rassegnarsi: fino a quando non avremo, se mai sarà possibile, e si può ben dubitarne, una mappa completa di questo agitarsi sotto traccia, per così dire, non sarà possibile prevedere nulla, ma proprio nulla.
L’unico vero intervento che possiamo doverosamente fare è quello delle costruzioni antisismiche, e qui naturalmente si apre un capitolo che ha a che fare con l’economia, con la politica, con gli appalti, ecc. nel quale non entro, se non per ricordare, uno per tutti, che il disastro di Fukushima è avvenuto perché le condizioni antisismiche preventivate dalla Tepco non erano, per ragioni di risparmio economico, all’altezza neppure del maggiore terremoto avvenuto nel secolo scorso sulla Terra, ci si era mantenuti un po’ sotto, perché era “improbabile” che si desse un terremoto con conseguente maremoto, tsunami e quant’altro, di quell’intensità. Improbabile, capite? Improbabile.
Che crollino le chiese purtroppo non mi sorprende: i costi per rendere antisismico tutto il nostro enorme patrimonio storico e artistico sono evidentemente fuori portata, specie di una nazione in crisi e indebitata come la nostra. Mi sorprende invece che crollino i capannoni industriali, che dovrebbero nascere come “ingegneria pura”. Ho sentito alla radio ieri sera un ingegnere bolognese, a capo di qualcosa d’importante, affermare che gli ingegneri aspettano dai sismologi dei dati precisi (l’acellerazione massima che può raggiungere il terreno) per progettare di conseguenza, evidentemente senza sprecare un bullone in più del necessario. A me sembra un discorso assurdo: margini ragionevoli di sicurezza dovrebbero essere stabiliti da decenni, considerando che l’Italia è totalmente inclusa nelle cosiddette “aree sismiche” del pianeta.
Non mi funziona il “Clicca per modificare”, comunque “accelerazione”.
Sto ascoltando i pareri degli esperti sismologi alla tv: sono di una banalità sconcertante! In pratica sanno di un terremoto in arrivo solo quando si verifica la scossa…non hanno altri parametri!!!Mi sembra scandaloso che la gente, poveri operai, poveri tecnici, sia tornata al lavoro in Emilia senza una verifica dei capannoni oppure che chi li stava testando sia rimasto sotto le macerie…mi chiedo a questo punto che cosa abbiamo a fare un istituto di sismografia, vulcanologia e geofisica, quanta gente ci lavora, quanto guadagna, cosa caspita fanno lì????
La colpa non è del sismografo ma come diceva elio_c di chi quantifica la sicurezza dei propri lavoratori in bulloni,se proprio.
D’altra parte non credo fosse neanche auspicabile bloccare la produzione della regione fino ad un ipotetico “cessato pericolo”, sarebbe forse stato necessario un repentino esame delle strutture industriali che isolasse quelle a rischio e/o indebolite dal sisma del 20.
Credo che lo scopo di Sparz scrivendo questo post andasse al di là delle tragiche contingenze del momento. Credo che volesse prendere lo spunto dal terremoto per ricordare quanto poco la scienza sia sinonimo di verità. Da quasi due secoli il mondo si rivolge alla scienza come una volta si rivolgeva al Vangelo. Faremmo bene a rivedere il nostro atteggiamento.
Sparzani:[…] ora spero che tutti sappiate che una affermazione probabilistica è molto vicina al vuoto; tutti i giocatori di roulette, ancorché si illudano, in fondo al cuore lo sanno: se il rosso è uscito venti volte di fila, la probabilità che esca la ventunesima volta è ancora un bel 50%, non è diminuita perché è già uscito venti volte[…]
Indichiamo con A la proposizione: «La probabilità che il rosso esca dopo che è uscito venti volte di fila è 50%».
Se capisco bene, il tuo ragionamento è:
1. Tutti i giocatori di roulette sanno che A è vera.
2. La teoria delle probabilità dice che A è vera
Ergo: Un’affermazione probabilistica è “molto vicina al vuoto”.
Prego?
[Tralasciamo che l’esempio è comunque sbagliato: la probabilità del rosso è 18/38 in una roulette con doppio zero e 18/37 in una senza]
la probabilità non ha memoria del passato
Questa è semplicemente una sciocchezza: ciò è vero, per definizione, soltanto nei processi nei quali eventi successivi sono indipendenti, come appunto nella roulette. Non è vero, ad esempio, in tutti i processi che mostrano autocorrelazione: guarda caso proprio nei terremoti con le scosse di assestamento: la probabilità di avere un terremoto di magnitudo maggiore di 2.0 dopo un terremoto 5.8 nelle ultime 72 ore è molto maggiore della probabilità di avere un terremoto di magnitudo di due 2.0 senza eventi sismici precedenti.
Dentro la Terra nessuno ha guardato così bene da vedere le zolle che si muovono subdole ma inesorabili fino ad urtarsi e a tentare di accavallarsi, producendo sconquassi, non abbiamo il filmino dei movimenti delle zolle, non abbiamo modo di registrare il loro pur lentissimo procedere e soprattutto nulla sappiamo delle leggi del loro spostarsi. Non c’è verso, bisogna rassegnarsi: fino a quando non avremo, se mai sarà possibile, e si può ben dubitarne, una mappa completa di questo agitarsi sotto traccia, per così dire, non sarà possibile prevedere nulla, ma proprio nulla
Mannò, i movimenti delle placche si conoscono piuttosto bene, e le loro velocità sono misurabili senza grosso sforzo: Medicina (sede di un radiotelescopio vicino alla zona del terremoto) si muove con una velocità media di 17.686(4) mm/anno verso nord e 22.769(3) mm/anno verso est. Scusa, ma l’articolo di Ereditato sui neutrini superluminali non l’hai nemmeno guardato? Non avranno tenuto in conto dei problemi causati da cavetti e connettori, ma della deriva tra il Gran Sasso e Ginevra sì.
E poi, i terremoti non avvengono perché le placche vanno a sbattere l’una con l’altra — così nascono le montagne — ma per via della frizione tra le placche. Per il fatto cioè che certi punti che si dovrebbero muovere non si muovono o si muovono poco. Ciò porta ad una deformazione ed al conseguente accumulo di energia (ricorda: il tensore degli sforzi doppio contratto con il tensore della deformazione dà la densità di energia). Superato un certo carico si ha la rottura e l’energia viene rilasciata: ecco il terremoto. La posizione e l’istante dipendono dal limite di rottura che è funzione principalmente della caratteristiche macro-meccaniche della litosfera e dalla distribuzione localizzata di imperfezioni (nel senso tecnico del termine).
In fin dei conti prevedere un terremoto è come prevedere la caduta di un fulmine, fenomeno di rottura del dielettrico.
Eh già, soltanto che i para-terremoti sono un po’ più difficili da realizzare :-)
Filosoficamente mi sembra interessante considerare come anche da questa continua agitazione geologica sia strettamente dipesa la possibilità di un’evoluzione biologica come quella che riscontriamo essersi attuata su questo pianeta.
Anche il Titanic era “inaffondabile”. Non so se per presunzione, arroganza, troppa fiducia nei propri mezzi ma riguardo le stime degli scienziati queste non sono molto dissimili alle previsioni degli aùguri etruschi. L’uomo vorrebbe poter misurare tutte le cose, ma non può, perchè è misurato a sua volta. Appena la scala aumenta ecco la catastrofe. La scienza serve per governare i limiti, prevenire i danni che l’uomo genera a sè stesso, non per amplificare un’onnipotenza (o un complesso di inferiorità, è uguale) artificiosa.