Pauli e la guerra
di Antonio Sparzani
Non mi stanco di cercare di imparare cose di e su Wolfgang Pauli (Vienna 1900 – Zurigo 1958), uno dei grandi protagonisti non solo della scienza ma della cultura del secolo scorso, di cui ho dato già qualche elemento ad esempio qui.
Del resto sto ancora sforzandomi di trovare qualche illuminato editore disponibile a fare una bella edizione italiana dello straordinario venticinquennale carteggio tra lui e Carl Gustav Jung, citato qui e oggetto, nella lunga serie di commenti a questo post, di una sterile polemica.
Quello che oggi voglio raccontare è un flash, costituito da uno scambio di lettere con Oppenheimer, avvenuto a metà del 1943, in piena seconda guerra mondiale.
Occorre sapere che Pauli aveva prodotto i risultati per i quali avrebbe poi ottenuto il premio Nobel (l’invenzione dello spin dell’elettrone e il principio di esclusione) nei primi anni venti e che già nel 1928 il Politecnico Federale di Zurigo gli aveva offerto una cattedra, fatto abbastanza eccezionale per una persona così giovane. Trasferitosi a Zurigo, Pauli aveva chiesto la cittadinanza svizzera che gli fu negata. Per di più, essendo viennese di nascita, fu costretto, dopo l’Anschluss, ad avere la cittadinanza tedesca, cosa che lo preoccupava non poco avendo egli alcuni nonni ebrei. Per questa ragione accettò, appena gli venne proposta, un’offerta dell’Institute for Advanced Study, di Princeton, N.J., di un soggiorno come visiting professor per due anni. Tra l’altro ebbe difficoltà ad organizzare il viaggio, sempre con la moglie Franziska (“Franca”) Bertram per gli Stati Uniti, riuscendo solo finalmente ad imbarcarsi su uno degli ultimi piroscafi da Lisbona a New York.
A Princeton Pauli era ovviamente assai stimato dai colleghi fisici, ma l’atteggiamento della burocrazia era assai meno favorevole, trattandosi di un immigrato praticamente apolide, o comunque con cittadinanza del nemico. La cittadinanza statunitense gli venne infatti per il momento rifiutata.
Nel frattempo la maggioranza degli scienziati USA si davano da fare per la guerra, aiutati in ciò tra gli altri dal nostro illustre concittadino Enrico Fermi, emigrato nel 1938 negli USA, anch’egli in seguito alle leggi razziali, dato che la moglie Laura Capon era ebrea.
Nel 1942 era partito il progetto Manhattan per la costruzione della bomba: capo scientifico del progetto era Joseph Robert Oppenheimer, mentre il capo militare era il generale Leslie Groves, li vedete qui accanto.
Nel 1943 fu decisa la costruzione di quello che sarebbe diventato il Los Alamos National Laboratory, noto in una prima fase come Progetto Y, o “sito Y” e che diventò operativo nel settembre 1943. Già prima dunque di questa data Oppenheimer era in ottimi rapporti con Pauli e nel maggio gli scrisse questa lettera (traduzione mia di queste lettere dall’inglese, che in queste occasioni anche Pauli usava; non ho invece trovato traccia di scambi tra Pauli e Weisskopf che giustifichino il punto di partenza del ragionamento di Oppenheimer.
Los Alamos, 20 maggio 1943
Caro Pauli,
Weisskopf è stato qui non molto tempo fa e ci ha parlato della tua incertezza sul dover o meno entrare nella ricerca direttamente connessa con la guerra. Difficile dare a questa domanda una risposta che abbia una validità non temporanea, ma la mia sensazione è che al momento sarebbe per te uno spreco e un errore dedicarti a questo. Sei più o meno l’unico fisico in questa nazione che può collaborare a tener vivi quei principi della scienza che non sembrano immediatamente importanti per la guerra ed è un compito certamente degno di essere assolto.
Inoltre vi è una motivazione pratica: ci sono stati e ci saranno alcuni che, per complicazioni legali, non possono lavorare su problematiche militari e per i quali dunque la tua guida potrebbe essere decisiva. In modo che si potrebbe sperare che, quando la guerra sarà finita, ci saranno ancora persone in questo paese che sanno cosa sia un mesotrone e che hanno un metodo di studio non immediatamente diretto ad un obiettivo preciso. Questa è soltanto la mia privata opinione e ritengo che col tempo potranno anche arrivarti delle pressioni per lavorare su problemi di guerra, ma certo io le considererei non come qualcosa da cercare, piuttosto qualcosa da cui guardarsi.
C’è un suggerimento che molti di noi hanno più volte proposto e che credo vada preso seriamente, anche se so che ne riderai. Una delle cose che ci preoccupa è che nessuno dei fisici del nostro campo sta pubblicando articoli sulla Physical Review, per la buonissima ragione che nulla di quello che essi fanno può essere reso pubblico. Dev’essere evidente per il nemico che stiamo facendo buon uso dei fisici e in qualche modo ritengo che anche questo stesso fatto costituisca un elemento di informazione sulla natura del lavoro che stiamo facendo. Così ci siamo spesso chiesti se il tuo grande talento sia per la fisica che per le burle non potrebbe essere opportunamente usato chiedendoti di pubblicare qualche lavoro sotto il nome di quelli che al momento non possono pubblicare quello che in realtà fanno. Ciò ti darebbe una possibilità di esprimere nel modo più appropriato possibile la tua valutazione delle loro qualità e avresti allo stesso tempo la deliziosa opportunità di discutere con te stesso in pubblico senza alcuna interferenza. Penso che certo non dovresti intraprendere questo senza il consenso degli interessati, ma so che Bethe, Teller, Serber ed io saremmo ben felici di darti il nostro consenso e non ho dubbi che altri farebbero lo stesso. Non scartare troppo leggermente questa possibilità. [ . . . . ]Joseph Robert Oppenheimer
Ed ecco la risposta di Pauli:
Princeton, 19 giugno 1943
Caro Oppenheimer!
Grazie assai della tua lettera del 20 maggio; apprezzo molto che tu così tanto sottolinei il valore della continuazione del puro lavoro scientifico. Mentre da un lato ho udito punti di vista analoghi da altri scienziati, i non scienziati che mi pagano (la fondazione Rockefeller e il direttore dell’Institute for Advanced Study di Princeton) stanno diventando sempre più, diciamo così, riluttanti al riguardo. Questo porta a una difficoltà pratica nell’attuazione della tua proposta di pubblicare dei miei lavori col nome di altri. Anche se sarei lieto di essere d’aiuto nel modo che suggerisci, temo di dover pubblicare le poche cose che ho al momento con il mio nome, per dimostrare ai sopra nominati paganti che dopotutto produco qualche lavoro in virtù del loro denaro, temendo infatti che il loro senso della burla sia piuttosto poco sviluppato.
Inoltre non credo che la tua proposta raggiungerebbe lo scopo di convincere il nemico che le persone che figurassero come autori non fossero occupate, oltre a qualche lavoro scientifico, con i problemi militari — e l’intera donchisciotteria sarebbe stata invano. [ . . . . ]
Wolfgang Pauli
Naturalmente molti commenti potrebbero essere fatti su un tale scambio, ma per il momento preferisco lasciarli a chi legge. Aggiungo solo che nel 1945 a Pauli venne conferito il premio Nobel per la fisica, premio che non poté andare a ritirare per problemi appunto di passaporto. Subito dopo, naturalmente, sia gli USA che la prudente Svizzera gli conferirono la cittadinanza.
Sorprendente la richiesta di Oppenheimer, che dimostra una certa ingenuità in faccende di controspionaggio, esilarante la risposta di Pauli. Ad entrambe un premio speciale per l’understatement , anche considerato il momento storico e l’argomento sotteso.