Miti Moderni/12: c’è tempo…

Luigi Ghirri
Luigi Ghirri

di Francesca Fiorletta

«Che ore sono?» disse Michèle sbadigliando.
«Insisti, dopo tutto quello che ti ho detto?» rispose Adam.
«Sì, che ore sono?».
«È l’ora in cui, chiara nella notte, vaga intorno alla terra errante con la sua luce altèra…»

[Il verbale,  J.M.G. Clézio, :duepunti edizioni]

Il tempo non c’è, non avanza mai, s’è perduto, piano piano, il tempo. 

Il tempo non insiste, per fare tutte le cose che vuoi fare, e nemmeno una piccola parte, la zona minima, che resta nell’ombra, l’aspettativa; ti mangia dentro, invece, e non aumenta, non diminuisce l’attesa, riempi di favole l’assenza, l’hai imparato, metabolizza i palliativi, lo sai fare, ma il tempo resta sempre lì, a guardarti muto, senza senno, di spalle, non si muove di un passo, non è blasfemo, non cammina, poi semplicemente muore.

Il tempo giusto per un viaggio caldo, la passeggiata e il belvedere, un bagno al largo, tra i gabbiani, sogni di continuo l’automobile, lo sbandamento, le montagne russe, non ti bastano gli incidenti della mattina, quando la colla fredda si mischia ancora alle pozzanghere, prendi in fretta le prime scarpe colorate di stagione, c’indossi sopra la giacca di lino, troppo leggera, il tempo non lo puoi condizionare, non lo sai valutare davvero, mai.

Il ritmo forte della prima batteria, del cantante americano che sembra un fungo acido nel bosco, gli occhi di sale e la saliva spalmata sul bavero, continua a rincorrere una scala, una croma, la tromba mistica con gli orecchini ricamati di ottone, se lo bagni insieme all’oro viene via anche tutto il rame, te lo spiegano sui banchetti delle fiere cittadine, alla domenica, quando non circolano gli autobus, il trasporto è interrotto, e perdi tempo.

Non c’è tempo per incontrarsi, i convenevoli degli amici impertinenti, la barba che si allunga nel disgelo, le unghie arcuate che ancora indugiano sui colori pastello; era finita male, prolunghi tutti i giorni l’insano gesto, scegli uno sformato di vitamine, una caraffa di vin santo senza il bollitore, lo dimentichi acceso, la fiamma divampa, cadiamo tutti già per terra, nell’albergo suonano gli allarmi, la vecchina del secondo piano non si accorge di niente.

Il tempo è sempre quello che scegli di non avere, ti senti perseguitata, le ossessioni della nonna, le rivendichi con astuzia, cerchi dopo i pasti la blanda compagnia di un animale domestico; al centro storico c’è una donna che strilla, seduta per terra, sui gradini, ha il rossetto calcato sotto il naso, il mento all’insù, indica di getto i passati, si gratta le gambe e ripete: “ormai è tardi, ormai è troppo tardi”.

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