chi dice che è morto, mente!
di Tina Nastasi
(Eduardo Hughes Galeano: Montevideo, 3 settembre 1940 – Montevideo, 13 aprile 2015, un grande uruguayano)
E i giorni si misero in cammino.
E loro, i giorni, ci fecero.
E così fummo nati noi,
i figli dei giorni,
gli indagatori,
i cercatori della vita.
(la Genesi, secondo i Maya)
Sta ancora leggendo le sue storie ad alta voce. Lo sentite o non lo sentite?
La sua scrivania – le sue carte, le sue penne, i ninnoli su cui osare lo sguardo tra un pensiero e l’altro che si rincorrono, tra una parola e l’altra che ruzzolano assieme come giocando a palla – adesso l’ha traslata in un angoletto dell’universo, a metà strada tra chissà dove e chissà quando.
Sta dicendo:
Il fatto è che i defunti non se ne vogliono mai andare. Ad Haiti, un’antica tradizione proibisce di portare la bara in linea retta al cimitero. Il corteo la porta a zig-zag e facendo molti giri, di qua, di là e ancora di qua, per depistare il defunto in modo che non possa trovare la strada per tornare a casa.
Ad Haiti, come dappertutto, i morti sono moltissimi più dei vivi.
La minoranza vivente si difende come può.
Sta scrivendo un nuovo libro – adesso solleva lo sguardo dal pasto delle parole che leggeva un momento fa e racconta – cacciatore di storie lo vuole intitolare, perché questo è nella vita.
Confessa che quando l’avrà terminato non saprà che farsene del vuoto che seguirà, così se lo cesella ancora un po’ per tenerselo vicino, minuziosamente, carta dopo carta, spazio dopo spazio – ché si sa: la scrittura sta negli spazi vuoti tra i caratteri. Questo suo pupo appena nato: non gli riesce proprio di lasciarlo andar via.
E non sa se mai riuscirà: intanto ha ceduto alla tentazione delle nuvole, le vagabonde del cielo, come le chiamava Basho. Si è trasformato nel Viaggiatore, sta blaterando: uno scrittore camminante.
Adesso si è incaponito a voler bussare alle porte dell’infinito, cavalcando un raggio di luce: si sarà montato la testa, figurandosi di essere Einstein?
Alla ricerca del L’incontro, ci lascia il suono della sua voce nelle orecchie e la grazia di assaporare ancora una volta la parola “ricordare”. Ripasso per le parti del cuore.
Sta leggendo, lo udite o non lo udite?
La porta era chiusa:
“Chi è?”
“Sono io.”
“Non ti conosco.”
E la porta rimase chiusa.
Il giorno dopo:
“Chi è?”
“Sono io.”
“Non so chi sei.”
E la porta rimase chiusa.
E il giorno dopo:
“Chi sei?”
“Sono te.”
E la porta si aprì.
Che il delirio ti sia compagno di questo tuo folle viaggio, Eduardo. Quaggiù brindiamo alla tua salute e ti abbracciamo così.
Nota: Eduardo Galeano sta leggendo dal suo “I figli dei giorni”, Sperling & Kupfer, 2012, pp. 5; 342; 392.